mercoledì 28 dicembre 2016

Quelli della galleria Botti

Una mostra sulla “Galleria d'arte Renzo Botti” che per oltre un decennio, dal 1965 al 1976 ha rappresentato un punto di incontro fra le più importanti proposte artistiche del tempo con apporti di artisti stranieri e mostre che spesso hanno costituito un'anteprima rispetto ai circuiti ufficiali. In occasione dei cinquantanni dalla nascita di quell'esperienza l'Archivio di Stato offre da oggi all'attenzione del pubblico un'esposizione con il materiale donato da Gabriella Montaldi Seelhorst, curata da Donatella Migliore. Cataloghi, riproduzioni delle opere, fotografie, anche se sarebbe fuorviante vedere nell’apertura della “Galleria d’arte Renzo Botti” in corso Campi 30 a Cremona, un vezzo o un progetto slegato dall'attività politiche, in quanto il gruppo che si era costituito nel 1965 era legato e connesso a esperienze e discussioni che vedevano Danilo Montaldi da un lato già impegnato sui quei temi politici e ideologici che avevano portato alla pubblicazione di “Milano-Corea”, dall'altro in contatto con il gruppo di “Nuova Figurazione” di Brera e interessato al tema dell'arte considerata come una delle “forme di coscienza” della realtà storica e sociale.
Il rapporto di Danilo Montaldi con l’arte si articola attraverso incontri e amicizie con artisti molto diversi tra di loro: il pittore cremonese Renzo Botti, personaggio pressoché sconosciuto al di fuori di Cremona, o un artista più noto, come Giuseppe Guerreschi, pittore milanese con il quale Montaldi ha avuto uno scambio epistolare molto intenso tra il 1963 e il 1975, anno della morte di Montaldi. È nel 1965 che Danilo Montaldi, insieme ad Ambrogio Barili, fonda il Gruppo d’Arte Renzo Botti e apre una galleria nel centro di Cremona, in corso Campi, la galleria Renzo Botti. “Quello che vogliono fare certi miei amici (tra i quali l'Ambrogio che conosci) – scrive Montaldi in una lettera del 20 febbraio 1965 all'amico Mino Ceretti – sono delle mostre d'arte contemporanea per il momento impostate sulla grafica (disegni, incisioni, ecc.), tenendo conto, cioè, della risposta che può dare il mercato, e per poter stare entro certe spese che assicurino una continuità all'iniziativa. Iniziativa, alla quale aderisco, che tende a riformare un gusto dopo i disastri provocati dal dilettantismo di questi anni e dal falso antiquariato. C'è da rimetterci quattrini, tempo e fegato, ma vale la pena di farlo. Che cosa ne pensi? Il locale è al centro della città, un interno. Può ospitare una ventina di pezzi. Abbiamo pensato di cominciare con Ceretti, Vaglieri, Guerreschi, e vorrei quindi palartene presto per poter mettere in movimento la cosa entro un mese massimo, se possibile. Scrivimi che cosa ne pensi, oppure ne parliamo ai primi di marzo, quando vieni. Non ci facciamo molte illusioni sulle vendite, anzi nessuna, ma darà quello che darà. Soldi qui ne sono stati spesi molti, in porcherie. Perchè non con del materiale di qualità?”.
Furono i disegni di Botti, raccolti scrupolosamente da Montaldi a suggerirgli, come ricorda Fabrizio Merisi, “ad aprire, più che una galleria, una piccola finestra sul mondo, per ricollegarli con la 'Città' (me ne ha dato anche recentemente conferma Ambrogio Barili, a cui Montaldì indirizzò la proposta iniziale di aprire la 'galleria Botti' e che poi di fatto ne fu il conduttore per più d'un decennio)”. L’esperienza della galleria continua fino all’improvvisa morte di Montaldi. La galleria da subito vuole essere un luogo di incontro e discussione. La sua programmazione in origine doveva essere principalmente dedicata alle mostre di opere grafiche. Ma gli interessi e le attività di Montaldi nell’ambito dell’arte sono estremamente variegati e questo si traduce in un programma espositivo molto interessante e originale.
Si comincia col battezzare la galleria con il nome di un artista anarchico e in conflitto con la città stessa – per un periodo Botti si era auto-esiliato in una baracca sul Po, perché non voleva più vivere a Cremona. Si continua, poi, con l’esporre le opere di un gruppo di giovani artisti milanesi, appartenenti alla corrente del realismo esistenziale, tra i quali, appunto, Giuseppe Guerreschi. Ma la galleria ha ospitato anche artisti internazionali, ad esempio un’esposizione di giovani artisti di Mosca nel 1967. Tra questi figura Ilja Kabakov, il quale, proprio in quell’anno, prende in affitto una mansarda nel centro di Mosca, che diventa il centro della scena artistica dissidente. Nel ’68 viene allestita una mostra con una serie di manifesti prodotti all’interno dei movimenti studenteschi parigini, italiani e tedeschi. E nel ’70 si organizza l’esposizione della collezione personale di Danilo Montaldi, delle stampe popolari francesi ottocentesche di Épinal. Ricorda ancora Fabrizio Merisi: “Naturalmente, la decisione di rivelare Botti al mondo conteneva in sé il progetto di cercare, trovare, promuovere i possibili intrecci con i pittori che in quegli anni portavano avanti ideali analoghi, e operavano per renderli vitali attraverso un linguaggio nuovo ed autonomo. I frutti, indubbiamente, ci sono stati. Basta scorrere il calendario delle mostre che si sono susseguite negli anni Sessanta e Settanta alla 'Botti'. Salta agli occhi immediatamente un panorama di estrema compattezza, una sensazione di necessità: vista a posteriori l'attività svolta sembrerebbe obbedire a una programmazione rigorosa. In verità nulla alla 'Botti' è nato come preordinato, per lo meno secondo i canoni cultural-burocratici (è ancora Ambrogio Barili a darcene indubitabile testimonianza). Ogni mostra nasceva come una sorta di concrezione organica; si sviluppava, diversificandosi, da quella precedente, frutto di rapporti determinati dalla naturale forza d'attrazione d'un ben avvertibile, anche se non dichiarato, orientamento, d'una tensione ideale condivisa d'istinto da tutti i componenti del gruppo”.

L'inaugurazione della galleria, nel giugno 1965, fu affidata ad una mostra Mino Ceretti, cui seguirono Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoni, Gianfranco Pardi, Tino Vaglieri, Gianfranco Ferroni. Nel 1967, tra gli altri, è la volta dello scultore Luigi Grosso, del pittore e incisore berlinese Peter Ackermann, Attilio Steffanoni e Attilio Forgioli, poi nel 1969 dello scultore tedesco Joachim Schmettau Tra il giugno '65 ed il novembre '75 la galleria allestì ben nove mostre di Renzo Botti, l'ultima “Ritratti” dopo la scomparsa di Montaldi, avvenuta il 27 aprile nelle acque del fiume Roia presso il confine italo-francese. Ma a proposito della prima mostra, che inaugura una serie di esposizioni a tesi per illustrare il difficile rapporto tra l'artista e la città, lo stesso Montaldi scrive il 30 gennaio 1967: “Qui ha dato fastidio perchè stiamo – noi – prendendo Botti sul serio mentre loro, «loro», magari hanno in casa un quadretto con due vacche e un asino, e lo tengono come un cimelio, e si vantano d'averlo pagato, allora, come due lire e mezza. Mentre per noi Botti, è un pittore, un uomo che pensa e vede. Neanche sul giornale hanno fatto una recensione. Ma lo sapevamo che sarebbe stato così, lo immaginavamo”. Ed è ancora Fabrizio Merisi che ricorda le fasi concitate dell'allestimento: “Facevamo dei veri e propri piani strategici sia per individuare, attraverso i mille rivoli amicali, i proprietari spesso assai misteriosi, sia per selezionare chi doveva essere invitato a chiedere le opere in prestito. Nonostante l'estremo tatto e le finite cautele spesso ricevevamo secchi rifiuti e bisognava tornare alla carica con altri ambasciatori. Bisogna sapere infatti che quasi sempre i possessori dei 'Botti', pur avendo acquistato le opere per poco o nulla, hanno avuto per esse un attaccamento addirittura spropositato”.

Renzo Botti è stato uno degli amici della generazione precedente che sono stati determinanti per la formazione politica e umana di Danilo Montaldi, di alcuni di questi ritroviamo le storie di vita nei suoi libri, Autobiografie della leggera e Militanti politici di base. Botti era nato a Cremona nel 1885, personaggio considerato eccentrico e «marginale» che aveva fatto un breve passaggio all’accademia di Brera. Si definiva anarchico pacifista, ma era finito in guerra in Libia. Intorno al 1942 era stato attivo in un gruppo di antifascisti a Cremona. Viveva poveramente e piuttosto isolato, avendo un rapporto complicato con la sua città, ma esponeva abbastanza regolarmente insieme ad altri artisti locali. Montaldi era molto affezionato a questa figura, che rifiutava di adattarsi all’ambiente piccolo borghese cremonese, ma che possedeva una grande integrità umana e artistica.
Botti muore nel ’53, nel ’54 si allestisce una mostra delle sue opere in città, accompagnata da un catalogo in cui sono pubblicati testi che cercano di dipingerlo come una specie di simpatica curiosità locale, come «l’ultimo dei bohémien». In forte dissenso con questa mostra e con il catalogo esce un testo ciclostilato di Montaldi che cerca di riabilitare la memoria dell’artista in una luce diversa: Conoscere Renzo Botti. Un ciclostilato, come quelli che avrebbe utilizzato il gruppo Unità Proletaria (fondato nel ’57) per i comunicati politici, sul quale compaiono testi di Montaldi, Renato Rozzi, Mario Balestrieri e Luigi Pasotelli. Il contenuto del ciclostilato è stato interamente riprodotto sul catalogo di un’esposizione tenutasi a Cremona nel 1989, che mostrava 100 disegni raccolti e custoditi dallo stesso Danilo Montaldi e donati da Gabriele Montaldi-Seelhorst per l’occasione.
Ma perché Botti è importante per Montaldi? È Mario Balestrieri nell’introduzione al catalogo a spiegarlo: attraverso un parallelo tra la pubblicazione della prima autobiografia, Vita di Orlando P., sulla rivista «Nuovi Argomenti» nel 1955, che sarà poi integrata nelleAutobiografie della leggera, e il testo Il valore di Botti contenuto nel ciclostilato della primavera del ’56. Qui, tra i quattro testi critici, sono intercalati scritti e citazioni dello stesso Botti, elemento che segnerà fortemente lo stile e la metodologia di Montaldi. Montaldi ha infatti la grande capacità di restituire il «tono» della voce di persone che sono protagoniste autocoscienti della loro stessa storia.
I testi critici scaturiti dalla mano di Montaldi accompagnano queste voci e le collocano dentro un contesto storico e collettivo senza annullare una prospettiva soggettiva, dalla quale spesso emerge il lato ribelle di questi personaggi forti, che nella lettrice e nel lettore suscitano un immediato rispetto. Montaldi scrive: «Se il mondo dialettale, nel quale si fonda l’opera vera di Botti, esprime generalmente, come è stato detto, una concezione pessimista in quanto tradizionale, chi come Renzo Botti ne sviluppa fino in fondo le risorse può riuscire a capovolgere i termini creando con ciò stesso un valore, poiché le “tradizioni” sulle quali si fonda l’opera ad esempio di Botti non sono conservatrici, ma segrete e sotterranee in rapporto alla cultura dell’attuale società, da ricercare di conseguenza nell’anima popolare. Lo studio delle sue strutture, riferite all’ambiente e tenendo presenti le nostre ineguaglianze di sviluppo, può avere un esito rivoluzionario».
Il lavoro di Danilo Montaldi su Botti comincia con uno degli scritti dedicati all’artista. Solo più avanti, in occasione dell’apertura della Galleria Renzo Botti, saranno esposte le sue opere. Nello stesso periodo, Montaldi continuerà a lavorare sulla trascrizione degli appunti sparsi di Botti e nel 1975 uscirà un libretto dal titolo Manoscritto. In questo modo di dialogare con gli artisti, con le loro opere e i loro scritti, potremmo vedere una forma di conricerca. È ciò che sostiene Jacopo Galimberti, quando vede in Montaldi, che non si considerava affatto un critico d’arte nonostante abbia scritto molti testi sull’arte, una figura che ha avuto un influsso anche sul lavoro di critica di Carla Lonzi, contribuendo così a quella trasformazione avvenuta negli anni Sessanta nel rapporto tra critica o critico d’arte e artista. Il lavoro fatto alla galleria Renzo Botti va quindi inserito nella prospettiva della riconquista e dell’elaborazione critica di una cultura di classe, e si tratta di un lavoro complementare rispetto a quello delle inchieste. Ancora una volta, nella sua avventura di gallerista, Montaldi ha dimostrato una grande capacità di sviluppare un progetto che è riuscito a mettere insieme esperienze tanto diverse tra loro, come il pittore locale e i giovani artisti nazionali e internazionali, seguendo una linea politico-culturale e costruendo un discorso coerente che, anche in una prospettiva attuale, può continuare a servire da esempio. “Credo che l’attività legata all’arte e alla cultura della libertà avviata sul finire degli anni ‘60 da Danilo Montaldi e Ambrogio Barili assieme a un gruppo di intellettuali cremonesi – sottolinea ancora Merisi nel catalogo della mostra dedicata nel 2014 ad Alfredo Signori- abbia rappresentato una preziosa boccata d’ossigeno nel pesante clima cremonese, facendo emergere dall’isolamento energie sommerse, creando legami esistenziali e scambi culturali con artisti di punta italiani e tedeschi, da Guerreschi a Vaglieri, da Ceretti a Forgioli, da Ackermann a Schmettau”.


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