sabato 29 febbraio 2020

Il sogno della Silicon Valley

De Gasperi a Ripalta Cremasca
Settant'anni fa nasceva il sogno della silicon valley padana, quando sembrava che il petrolio potesse sgorgare a fiumi ovunque si iniziasse a trivellare. A fantasticare sul nuovo Texas aveva contribuito la scoperta del giacimento di Cortemaggiore, avvenuta il 19 marzo del 1949, quando dal pozzo n.1, fortemente voluto da Enrico Mattei, insieme al metano era iniziato a sgorgare anche petrolio, un petrolio molto leggero e di grande qualità, ma in quantità modestissima, dieci tonnellate al giorno. Da quel momento si scatena la corsa all'oro nero. E così quando, un anno dopo, agli inizi di marzo del 1950 un gruppo di ragazzi, giocando tra le buche lasciate dalle bombe della guerra nei campi della ferrovia confinanti con via dei Platani, trova nel terreno alcune conchiglie fossili, mai ritrovate prima in città, ma comunissime a Castell'arquato, il pensiero corre subito a Cortemaggiore. Sono fossili di forma quasi circolare, del diametro di sette ed otto centimetri, che il titolare della cattedra di geologia dell'Università di Parma classifica come “pettini” e “spondili”, con un particolarità: normalmente, nel punto del loro ritrovamento, sono presenti, seppur a ragguardevole profondità, giacimenti petroliferi. Ce n'è a sufficienza per suggerire un sondaggio nella zona. L'entusiasmo si accresce quando il mese successivo il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi giunge il 24 aprile nel massimo riserbo all'impianto metanifero che l'Agip ha nel frattempo installato a Ripalta Cremasca. Lo accompagna una piccola, ma autorevole, delegazione di cui fanno parte il ministro Vanoni, il sottosegretario Clerici, il vicepresidente dell'Agip Mattei ed il prefetto di Milano. Provengono da Lodi, dove i tecnici della Società Italiana Petrolifera hanno illustrato i lavori in corso per la ricerca degli idrocarburi nella Valpadana tra Caviaga, Ripalta Cremasca e Cortemaggiore. De Gasperi visita minuziosamente i tre pozzi già esistenti ed i sondaggi in corso lungo la statale per Piacenza, tra Ripalta e Montodine e la rete di tubazioni in fase di installazione. Il giacimento cremasco è in grado di fornire 250 mila metri cubi di metano al giorno; la sonda n.1, già in produzione, immette nella rete da 100 a 150 mila metri cubi, convogliati agli stabilimenti di Dalmine e Crema con il metanodotto Caviaga-Dalmine. La stessa quantità viene fornita dalla sonda n. 2. I pozzi scendono ad una profondità di 1700 metri, mentre le trivelle sono arrivate a 1952 metri, dove hanno incontrato la falda. Si diffonde la voce secondo cui in una zona di circa 20 chilometri quadrati vi siano riserve di metano calcolabili in circa 150 miliardi di metri cubi, ma in realtà la segreta speranza è che vi possa essere anche il petrolio. Si pensa che a luglio possano già iniziare i lavori per la messa in opera del metanodotto per collegare Cremona, Casalbuttano, Soresina e Caviaga con tubi di 30 centimetri di diametro con una portata di due miliardi di metri cubi al giorno forniti dalla Dalmine, secondo il progetto dell'ingegner Carlo Zanmatti, convinto più che mai che la pianura padana trabocchi di metano e non del petrolio che sta cercando Mattei. I tubi, frattanto, iniziano a confluire a Cortemaggiore, da dove partirà il metanodotto lungo 140 chilometri. Agli inizi di giugno lungo la strada da Cremona a Cortemaggiore compaiono giganteschi cartelli che annunciano l'inizio dei lavori alla conduttura destinata a collegare la cittadina emiliana a Caviaga: una grande macchina scava la trincea profonda due metri al ritmo di tre chilometri al giorno, coadiuvata da 40 operai e si pensa che nel giro di poche settimane la tubatura possa arrivare a Cremona, dove una colonnetta installata a porta Milano, all'imbocco di via Ghinaglia, servirà a rifornire gli autoveicoli. Agli inizi di agosto il metanodotto, quasi completamente saldato, si affaccia alla sponda piacentina di fronte alla punta del Cristo di Spinadesco: in 90 giorni ha percorso quasi venti chilometri, un “record” per la ditta appaltatrice, la Montubi di Milano. Sul fronte opposto la rete è già arrivata a Casalbuttano, ed è pronta a congiungersi con l'altro tronco emiliano.

Ma a complicare le cose il 3 ottobre inizia improvvisamente ad eruttare metano e petrolio il pozzo 18 di Cortemaggiore. I tecnici si affrettano a tranquillizzare la popolazione, ma di fatto: “A Cortemaggiore, per un vasto perimetro, non si fuma. Chi fuma è soltanto lui, l'anarchico pozzo che, con un rombo da elettrotreno che passa sopra un ponte di ferro, emette esattamente da cinquanta ore una nuvola ininterrotta che ricorda vagamente l'atomica di Bikini. E' come un'enorme pompa del «flit» rivolta verso il cielo: sul paese incombe una caligine densa, un cocktail fatto di gasolina, petrolio, fango, il tutto fortemente agitato e presentato con il caratteristico odore di uova marce del metano: qui tutto sa di metano. L'aria, gli abiti, le automobili. I vigneti e le coltivazioni ormai irreparabilmente danneggiate, gli ingegneri dell'Agip, le cose e le case” (La Provincia, 7 ottobre 1950, p. 3). 
L'incendio del pozzo 21
La notte del 1 dicembre una nuova serie di esplosioni sveglia la città, e sinistri bagliori illuminano il cielo di Cortemaggiore, seguiti ben presto dal cupo ronzio che indica la fuga del metano. Ancora verso le 9 di mattina si può osservare in lontananza la lunga lingua di fuoco che si alza verso il cielo. Viene vietato l'accesso al Torrazzo, dove la gente fa la ressa per salire ad osservare lo spettacolo e verso sera il rosso del cielo infuocato si confonde con i colori del tramonto. E' scoppiato un secondo pozzo, il n. 21 di Bersano di Besanzone: la forte pressione del metano mescolato al petrolio ha fatto saltare l'intero sistema delle valvole di sicurezza, posto a milleduecento metri di profondità, proiettando in superficie anche un frammento di tubo che, urtato con estrema violenza il traliccio metallico della torre, ha causato una scintilla da cui si è propagato l'incendio dell'intero pozzo. Per spegnerlo bisogna scavare una galleria il più vicino possibile al pozzo, scendendo per una trentina di metri fino a raggiungere la tubatura, vi si applica poi una carica esplosiva che, una volta fatta brillare, provoca la rottura del tubo ed il suo riempimento di terra, sufficiente a domare il fuoco. Una sola persona al mondo è in grado di farlo, è mister Kinley. Frattanto, “dopo il tramonto, lo spettacolo sembrava da tregenda. In un cielo rosseggiante, si levava ruggente l'immensa fiamma, alta una quarantina di metri e larga cinque o sei. E secondo che la pressione diventava più o meno forte, la lingua di fuoco si alzava e si abbassava, sembrava languire per poco, poi si ravvivava sempre più minacciosa. E il ruggito pauroso del gas in fuga, copriva ogni altro rumore e rendeva impossibile a coloro che guardavano assorti e un poco spauriti, di scambiarsi l'un l'altro le proprie impressioni. E in quel cielo livido del calore del sangue, in quel cielo sereno e senza nebbia, non si vedeva una stella. Perchè la luce irradiata da quel rogo di petrolio, era tanto intensa, da coprire il bagliore degli astri. In certi momenti il cielo aveva la stessa luminosità e le stesse sfumature d'uno di quei rossi tramonti d'estate che sono una delle caratteristiche dei cieli meridionali” (La Provincia, 2 dicembre 1959, p. 5). La mattina del 4 dicembre mister Kinley si presenta puntuale al pozzo di Cortemaggiore dopo aver viaggiato in aereo l'intera notte, indossa una tuta d'amianto con la maschera protettrice ed inizia a girare attorno all'immensa colonna di fuoco: “è sempre accigliato. O, meglio: sempre triste. I suoi occhi, come le sue labbra, non sorridono mai. Si direbbe quasi, che l'ira contro il ruggente suo nemico naturale, si rifletta perennemente sul suo volto”. Per tutti a Cortemaggiore è ormai “Mangiafuoco”: prima di tutto fa rimuovere le macerie della torre, oramai ridotte a metallo fuso, mentre i vigili del fuoco di Piacenza versano materiale antincendio sui roghi sparsi all'intorno. Se tutto andrà bene per spegnere il pozzo ci vorranno almeno venti giorni. In realtà la previsione è ottimistica. Dal 9 dicembre il pozzo inizia ad eruttare polvere e sabbia, i pozzi d'acqua gorgogliano per le infiltrazioni di gas che hanno raggiunto la falda, mentre un getto di metano e petrolio fuoriesce dalla conduttura, lesionata da un'altra esplosione, infiltrandosi nel terreno fino a provocare il franamento della bocca del pozzo, che raggiunge in questo modo un diametro di ben 28 metri ed una profondità di 14 inquinando la falda. Grandi masse di poltiglia vengono proiettate lungo la colonna di fuoco, evaporando nel giro di qualche secondo, per poi disperdersi nelle campagne oscurando la luce del sole. Le nubi biancastre del vapore acqueo si sollevano dalle pozzanghere. Una scena apocalittica di fronte alla quale mister Kinley da forfait, sconfitto dall'incendio. Se ne va annunciando che il pozzo brucerà per almeno venticinque anni. Ma i tecnici della Società Santa Fè di Los Angeles, che ha l'appalto del pozzo, non si danno per vinti. Decidono di scavare un pozzo trasversale che raggiunga la profondità di quello in fiamme, sulla base dei dati tecnici forniti dal tecnico Edward Ferry: partono da un punto distante 170 metri dal pozzo incendiato, scavano fino alla profondità di 890 metri un pozzo perfettamente verticale e dal quel momento iniziano a scavare in senso obliquo sino ad una profondità di 1300 metri, immettendo nel foro tubi di materiale progressivamente più solido. Quando la distanza tra i due pozzi è ridotta ad un diaframma di circa un metro, con quattro pompe vengono scagliati potentissimi getti d'acqua a forte pressione che in breve hanno ragione del diaframma, permettendo discaricare nel pozzo 21 enormi cisterne di fanghiglia biancastra relativamente fluida, contenente sostanze chimiche antincendio, che nel giro di sette ore riesce a spegnere il fuoco. Sono le 7 del 6 febbraio 1951. Per vincere l'incendio ci sono voluti 63 giorni. Tutto torna come prima, l'incidente viene presto dimenticato, ed il 18 luglio 1951 giunge la notizia tanto attesa. Mentre il pozzo 21 continuava a bruciare, i tecnici dell'Agip avevano già effettuato sondaggi a Costa Sant'Abramo, tanto da spingere il quotidiano locale ad affermare che “se, come è probabile, la realtà si mostrerà all'altezza dell'aspettativa, la nostra città diverrà il più importante centro di produzione e di lavorazione del petrolio di tutta quanta la penisola”. Da una trivella giunta a duemila metri di profondità nelle campagne intorno a Castelverde, scaturisce improvvisamente prima una nube di bario e poi subito dopo, con un sibilo assordante, il metano. Mentre il metanodotto è sempre fermo sulle rive del Po. Ma basta questo per sollecitare la fantasia con le promesse di un nuovo Eldorado e di una nuova età dell'oro che possa risolvere il problema endemico del dopoguerra, la disoccupazione. E la paura che l'oro nero possa finire altrove, sottraendo le royalties a cui si pensa di aver diritto: “Hanno trovato il metano a Costa Sant'Abramo e siamo convinti presto lo troveranno in quasi tutta la provincia di Cremona. Tuttavia a quanto pare tale ben di Dio dovrà emigrare per altri lidi. Noi forse vedremo i tubi, forse saremo molestati dalle esalazioni ma nessun beneficio tangibile dovrà venire alla nostra provincia. Infatti tra i «pallini» di chi dirige le questioni del metano vi è anche quello di vendere tale gas allo stesso prezzo sia a Cremona, sia a Napoli, dimenticando che qui c'è la produzione, mentre a Napoli bisogna portarvelo con un tubo di un migliaio di chilometri! Sarebbe in somma come se ci mettessimo in mente di far coincidere il prezzo di vendita del carbone a Cardiff con quello di Milano, ed i prezzo dei limoni a Palermo con quello degli stessi a Stoccolma. Ognuno ha il diritto sacrosanto di godere di quello che l natura e Dio gli hanno elargito, giacchè non ci consta che ad esempio il Chili importi dall'estero concimi azotati per regalare agli altri i suoi nitrati. Orbene tutto lascia credere che approfittando del buon carattere dei cremonesi si cerchi di sottrarre loro una ricchezza che loro spetta senza dubbio” (La Provincia, 3 agosto 1951, p. 2). Che cosa fare dunque di tutto questo metano? Una centrale elettrica, innanzi tutto, una fabbrica di concimi azotati, nitrati, che oltre ai concimi, servono anche a preparare esplosivi con cui “sarebbe potenziata anche la difesa della nazione”, acetilene e isoprene: “Risolveremmo di colpo il problema della disoccupazione, verrebbe dato un lavoro notevole al porto fluviale, ed infine pure la nostra città raddoppierebbe il numero dei suoi istituti con relativo sviluppo edilizio. Tutto ciò si sintetizza in una parola sola: «Prosperità»”. Il metano arriverà in città solo alle 10 di mattina dell'11 aprile 1952.

Quei pazzi sulle macchine volanti

Il manifesto celebrativo del record di velocità
Dopo quella gara nulla sarebbe stato come prima. A cambiare per sempre il circo dei gentlemen driver ci avrebbe pensato una giovane scuderia con un cavallino rampante come simbolo. Enzo Ferrari in quei giorni non era riuscito a pensare ad altro. Una settimana prima aveva visto sfrecciare sulle ali del vento la Sedici cilindri di Alfieri Maserati guidata da 'Baconìn' Borzacchini che, nell'anno più nero della sua carriera, aveva colto a Cremona il successo più strepitoso: il record mondiale sui 10 chilometri con partenza lanciata alla folle velocità di 246,069 km/h. Una gara destinata ad entrare nella leggenda dell'automobilismo. Così, quella sera del 5 ottobre 1929 alla cena di gala dell'Automobile Club di Bologna, organizzata per festeggiare Alfieri Maserati, mentre gli altri commensali profetizzavano la fine imminente delle corse su strada, il giovane Enzo, allora concessionario dell'Alfa Romeo, cercava di convincere Alfredo Caniato, commerciante in canapa di Ferrara, e Mario Tadini, specialista nelle gare in salita originario di Bergamo, che era giunto il momento di creare una sua piccola scuderia.
Quel pomeriggio di sabato, 28 settembre, a sfidarsi sul lungo rettilineo di via Mantova, sono in sei, ma agli allori assurgono in quattro: Mario Umberto Baconin Borzacchini su Maserati Tipo V4 4000, Gastone Brilli Peri su Alfa Romeo, Achille Varzi su Alfa Romeo e Tonino Zanetti su Maserati. La gara costituisce il prologo al Circuito automobilistico Nazionale di Cremona che si terrà all'indomani, ma quest'anno è destinata ad oscurarne la fama Il tratto cronometrato parte dal municipio di Gadesco Pieve Delmona e arriva a Sant'Antonio d'Anniata, una frazione di Pessina Cremonese, con circa 3 km di margine prima e dopo i due riferimenti per il lancio e l'arresto. Il regolamento internazionale prevede che il percorso venga compiuto due volte, una per ogni senso di marcia e la media dei tempi viene omologata ai fini del record. Entrambe le prove devono essere effettuate nel tempo massimo di trenta minuti. Il motivo è semplice: le due prove vanno effettuate per correggere il vento a favore e per bilanciare il dislivello stradale mentre trenta minuti è ritenuto un intervallo di tempo ragionevole entro cui non possono avvenire significative variazioni climatiche.
Per effettuare la prima prova ascendente le auto iniziano la marcia subito dopo il passaggio a livello di via Mantova, mentre il tratto cronometrato inizia circa due chilometri prima di Gadesco e termina due chilometri dopo Cicognolo. Il tratto in cui le auto devono rallentare, che costituisce l'inizio del percorso discendente, termina alla curva parabolica di Sant'Antonio. Qui le auto possono sostare oltre 20 minuti per far riposare il motore e sostituire eventualmente le gomme. Alle prove sono iscritte sette vetture: due Alfa Romeo, due Maserati 4000 e 1100 di cilindrata, una Marcedes, una Talbot e una Bugatti guidata da Giuseppe Campari. C'è la possibilità di battere sei record di classe: quello del mondo è detenuto da Eldridge su Miller in 2'39''45 alla media di km. 225,776, conquistato all'autodromo di Monza nella stagione 1926. La Mercedes, che poi non partirà, dovrebbe dare l'assalto al record di classe A per vetture oltre i 5000 centimetri cubi, detenuto da Cobb su Delage dal 20 aprile 1929, alla velocità di km. 206,185. Nessuna auto è iscritta alla classe B per vetture da 4001 a 5000 cmc. Borzacchini con la sua Maserati 16 cilindri punta al record internazionale della classe C, detenuto dall'inglese Kaye Don su Sunbeam con Km. 209, 485. Brilli Peri guiderà un'Alfa Romeo alesata, leggermente superiore ai 2000 cmc e dovrà battere i 200 km/h di Eyston su Bugatti. Si annuncia invece battaglia nella classe E per vetture da 1501 a 2000 cmc dove si affrontano Achille Varzi su Alfa Romeo e Giuseppe Campari su Bugatti per battere il record di Haye Don di 202,360 km/h. Oggi sono velocità che ci fanno sorridere, ma a quel tempo solo dei pazzi vi si potevano cimentare.
Mario Umberto Baconin Borzacchini
Si presentano al via sei concorrenti: Borzacchini, Zanelli ed Ernesto Maserati sulle Maserati; Varzi e Brilli Peri su Alfa Romeo e Tazio Nuvolari che ha sostituito Campari sulla Bugatti monoposto. Viene sorteggiato l'ordine di partenza: Zanelli, Nuvolari, Borzacchini, Brilli Peri, Varzi, Maserati. Si stabilisce che le prove vengano effettuate in due turni: Zanelli, Nuvolari e Borzacchini e poi nell'ordine Brilli Peri, Varzi e Maserati.
Zanelli prende il lancio dal paddock, seguito ad intervalli di cinque minuti da Nuvolari e Borzacchini. Transita velocissimo, mantenendo l'auto perfettamente al centro della strada. Nuvolari è addirittura impressionante e gli fa eco Borzacchini: l'urlo del suo motore è lacerante e si avverte il rombo ancora a distanza di chilometri. I tempi registrati sono: Zanelli 4'0” 60/100 alla media di 149,626; Nuvolari 3'2”60/200 alla media di 187,152; Borzacchini 2'25''20/100 alla media di 247,933. Scoppia un fragoroso applauso all'indirizzo del corridore ternano, cui segue un religioso silenzio che annuncia l'inizio della prova discendente. Il sole al tramonto acceca la vista dei piloti, il motore di Nuvolari accusa problemi ed anche Borzacchini è in difficoltà, Zanelli invece migliora di qualche centinaio di metri. Per quest'ultimo la media è di 150 km/h, per Nuvolari è 165,898 e per Borzacchini 244,233.
E' la volta delle Alfa e delle Maserati due litri: Brilli Peri e Varzi entusiasmano il pubblico per lo stile di guida, la perfetta tenuta di strada e la regolarità sorprendente del motore. Ernesto Maserati è tradito dall'accensione ed è costretto a ritirarsi a Cà de' Mari.
L'ingegno e il genio di Alfieri Maserati, l'audacia e l'ardore di Borzacchini hanno assicurato all'Italia un trionfo che avrà clamorose ripercussioni internazionali – scrive il giorno dopo Sandro Mainardi su “Il Regime fascista” - la «Miller», la possente vettura americana che ha assicurato ad Eldridge una corona triennale da tanti sfiorata ma da nessuno carpita, questo lauro che tutto il mondo si batte con accanimento per conquistarlo, passa trionfalmente in possesso dell'Italia, con una media semplicemente spettacolosa per superare la quale nuovi profondi studi occorreranno; nuovi anni passeranno per rapircela. Povero 225,776! Dagli altari di ieri mattina sei passato alla polvere del luminoso pomeriggio del 28 settembre 1929 che passerà alla storia e che ricorderemo con nostalgia ogni anno in occasione di tutti gli assalti, quando ci domanderemo stupiti chi sarà in grado, quale nuova macchina ambirà assidersi a posizione tanto regale. L'industria ed i piloti d'Italia che hanno finalmente trovato il loro cimento ideale, il loro rettilineo che non teme né avversari né concorrenti, hanno consacrato al mondo il primato assoluto del rettifilo di Cremona. Su questo terreno che ci ha rivelato Antonio Ascari depositeranno il loro orgoglio gli audaci, a questa pista superba affideranno sempre il tesoro delle loro possibilità, impediranno che da Cremona e dall'Italia da oggi in avanti che si diparta tanto patrimonio di prestigio e di gloria e quel primato che tutte le Nazioni del mondo con ambizione ci invidiano. La giornata indimenticabile ha portato alle vette più elevate, difficilmente accessibili la marcia più gloriosa che conti la Patria. L'Alfa Romeo con quel «P2» che ogni aggettivo appare superato ha completato il trionfo italiano demolendo, oltre che due records internazionali, quello che sembrava inattaccabile appannaggio di Giuseppe Campari, stabilito lo scorso anno – pur in un solo senso – sull'identica pista. Crolla dunque clamorosamente il record di Eyston sulla Bugatti (3'0''20/100) a 200 all'ora di media. La micidiale spugna dell'Alfa con le mani possenti di Gastone Brilli Peri passa e cancella con 2'41''20/100 equivalente a 223,35; qualche cosa dunque equivalente ad oltre 23 chilometri di differenza!. Ma la «P2» del fiorentino, sinonimo di trionfo, aveva una seconda sorella in lizza ed anche questa – come la tradizione esige – ha voluto la sua parte ed eccola con Achille Varzi, nell'esatta cilindrata dei 2000 cmc, annullare non solo lo sforzo di Raye Don, l'inglese volante, con la sua Sunbeam marciava a Brookland con 202.360 (2'51''90/100) ma superare pur essa di slancio il proprio precedente sforzo (Campari, 2'45''1/5) migliorando la media di oltre cinque chilometri.
La Maserati tipo V4 vincitrice del record
Noi ci domandiamo ancor sbalorditi quale miracolo di meccanica nascondano quei cofani, noi andiamo cercando ancora nei nostri ricordi, quale altra macchina della costruzione automobilistica mondiale abbia tenuto per tanto tempo tanta schiacciante superiorità ed un primato senza precedenti nella storia delle competizioni di tutto il mondo. Nuvolari ha avuto poca fortuna e la sua Bugatti monoposto non ha assecondato i voleri dell'ardente e temerario mantovano; una prova ascendente discreta, l'altra discendente inferiore all'attesa; sarà per un'altra volta perchè il valore del pilota non può meritare che le medie d'eccezione. Più sfortunato è stato Ernesto Maserati, tradito dall'accensione in pieno record ascendente; la migliore delle impressioni ha lasciato Zanelli sulla nuovissima (forse perchè troppo nuova) Maserati 8 cilindri 1100 cmc che aveva evidentemente bisogno di maggiori prove e di svariate centinaia di chilometri all'attivo per portarla al rendimento sperato dal costruttore. Quasi 250 di media sui dieci chilometri non è exploit disprezzabile, quando pensiamo che il miglior tempo segnato sulla distanza a Cremona apparteneva dal 1924 alla Salmson di Abele Clerici con 4'49'' e 4/5 alla media di km. 124,223; un miglioramento di oltre 25 chilometri può tuttavia inorgoglire Alfieri Maserati che per l'anno prossimo può con sicurezza sperare in un notevolissimo miglioramento della già brillante e lusinghiera media di ieri”.
La Maserati Tipo V4, è stata una vettura che ha segnato un importante traguardo per il Tridente in termini di innovazione. L’obiettivo degli ingegneri della casa automobilistica modenese era quello di progettare una motorizzazione possente, unendo due motori uguali a 8 cilindri in linea. Il progetto prevedeva l’utilizzo di due propulsori Tipo 26B affiancati, collegati da un unico basamento contenente i due alberi motore. La denominazione V4 deriva dal fatto che i gruppi cilindri erano collocati ad angolo di 25° formando una V mentre 4 è riferito ai litri della cilindrata.
Così Baconin Borzacchini ricordava la sua folle corsa di Cremona: “lì per lì non ho avuto paura perché non ho avuto il tempo. Ero troppo concentrato preoccupato di guardare la strada che si chiudeva a V davanti agli occhi e a tenere la macchina al centro della strada …..”.


La magia del primo film sonoro (1929)

Alberto Collo
“Alberto Collo, l'asso della cinematografia italiana, nelle sere di mercoledì 5 e giovedì 6 corr. presenzierà al Verdi, alla visione del suo ultimo superfilm sincronizzato sonoro: «La madre italiana». Spettacolo eccezionale, al quale parteciperà pure, in alcune scene umoristiche d'ambiente cinematografico, lo stesso Alberto Collo ed i suoi bravi artisti”. Con questo trafiletto il “Regime fascista” del 4 giugno 1929 annunciava, novant'anni fa, l'arrivo a Cremona del primo film sonoro, uno “spettacolo vario e popolare”. Non sappiamo quale sia stato l'esito dell'esperimento, ma solo che lo spettacolo richiamò al Politeama “un foltissimo pubblico”. D'altronde si trattava di un'autentica novità: erano trascorsi solo due mesi dalla prima registrazione di un film “parlato”, girato il 6 aprile dagli operatori dell'Ente Nazionale per la Cinematografia di Roma per immortalare il discorso di Mussolini avanti ai 25 mila alpini radunati al Colosseo. Ed il duce, che ha personalmente assistito alla proiezione, “ha espresso il suo favorevole giudizio”. “La madre italiana”, poi chiamato anche “Redenzione d'anime”, girato l'anno prima, è l'esperimento più ambizioso del regista Silvio Laurenti Rosa, vero pioniere del cinema sonoro in Italia, che a Bologna aveva costituito la Società Anonima Superfilms Italiana, poi AIA (Artisti Italiani Associati). Laurenti Rosa gira un film autarchico nel vero senso della parola, in cui riveste tutti i ruoli tecnici, dal produttore al macchinista, su un soggetto a tema eroico-nazionalista ambientato durante la prima guerra mondiale. E' il suo ultimo film nell’era del muto e anche il suo unico film da regista per più di dieci anni, infatti, spazzate via dall’arrivo del sonoro, le piccole produzioni sulle quali dal dopoguerra in poi aveva fatto leva per emergere, ben presto saranno infatti solo un ricordo. Ecco la trama del film: Alberto e Fernando Bronzetti, figli di una povera vedova, lavorano nello stabilimento dell'ingegner Rastelli. Un giorno, mentre alcuni amici di Rastelli, tra cui la maliarda Claudia, visitano la fabbrica, avviene uno scoppio e Fernando salva la donna. Si rivedono e l'ingenuo giovane, sconvolto dalla passione, abbandona il lavoro. Durante un alterco con il fratello, mentre la madre cerca di dividerli, egli la colpisce involontariamente e credendo di averla uccisa fugge in Francia. Scoppiata la guerra, Fernando si arruola nell'esercito francese e Alberto in quello italiano. Dopo la vittoria Fernando, riabilitatosi, torna dalla vecchia madre che sopporta dignitosamente il dolore per la morte gloriosa di Alberto, caduto eroicamente sul campo.
Silvio Laurenti Rosa
Il film fu girato a Bologna con pochi mezzi e quello presentato per la prima volta a Cremona aveva il titolo "La madre italiana". Dopo il taglio delle scene più cruente imposto dalla censura, con l'eliminazione di mutilazioni, sbocchi di sangue, e via dicendo, il film uscì nelle altre sale col titolo definitivo "Redenzione d' anime" e il sottotitolo "Esaltazione del fante e della madre italiana". L’interesse di Laurenti Rosa per il cinema sonoro è attestato comunque già alla fine degli anni ’20. Tra l’estate 1929 e la primavera 1930 Laurenti Rosa fa redistribuire Garibaldi e Redenzione d’anime, e spesso, soprattutto nel caso del secondo film, con la presentazione in sala, in occasione delle prime cittadine, dell’attore protagonista, l’amico Alberto Collo. I film erano proposti in una versione sonorizzata con un sistema italiano che tuttavia non sembrò raccogliere particolari consensi. La sonorizzazione, annota per esempio un recensore reduce dalla visione di Garibaldi, «ci fa udire malamente i colpi di fucile e di cannone nelle battaglie (uno sternuto al posto del rombo del cannone)». Nel 1931, tuttavia, Laurenti Rosa brevetterà il sistema “Virophone”, fornito di doppia cellula foto-elettrica con rifrazione prismatica, che eliminava gli inconvenienti degli apparecchi in uso, destinato a non aver molta fortuna.
Alberto Collo, l'interprete principale del film, aveva alle spalle un'esperienza teatrale, ma già vent'anni prima  aveva iniziato a collaborare con la casa cinematografica Ambrosio Film, interpretando ruoli comici; due anni dopo era passato alla Itala Film, dove era stato scritturato per interpretare ruoli femminili macchiettistici. Tra il 1913 e il 1924 era stato uno dei protagonisti del cinema muto italiano, recitando con attori come Emilio Ghione e Francesca Bertini e nel 1915 aveva avuto una parte in “Assunta spina”, considerato uno dei film di maggiore successo del cinema muto italiano. Dopo la crisi degli studi Fert, rilevati in seguito da Stefano Pittaluga, Collo aveva abbandonato il mondo della celluloide partecipando solo sporadicamente a qualche produzione. Con Collo recitano nel film Laura Marini, Gino Allegri, Alma Bruni, Vittorio Mantovani, Franz Sosta e Mario Mercati.
Il cinema nell'epoca del muto si presentava, in un certo senso, già "sonorizzato", in quanto durante le proiezioni si aveva spesso un accompagnamento musicale e, a volte, una voce fuori campo era incaricata di narrare le vicende che si susseguivano sullo schermo. E' merito di Stefano Pittaluga di aver presentato al Supercinema di Roma "Il cantante di jazz", il primo film sonoro del 1927, ceduto dalla Warner proprio a Pittaluga. Nel film era possibile ascoltare gli attori sia cantare che parlare, anche solo per una frase del protagonista rivolta al pubblico e un breve dialogo tra il protagonista e la madre in tutto. Accusato dai critici e dai cinefili di non prendere posizione nella produzione Pittaluga, pur ritenendo che la situazione industriale del cinema italiano sia pessima, nel 1929, a prova della sua buona volontà, ristruttura a Roma gli studi della Cines e si lancia così nella produzione. Il suo primo film è "La canzone dell'amore" (1930) da un soggetto di Luigi Pirandello, diretto da Gennaro Righelli. In seguito la legge sul cinema del 18 giugno 1931 accoglie i consigli di Pittaluga: da un lato, impone un tributo a chi importi o doppi i film stranieri (tributo ora scomparso ma ereditato dalla Francia che ancora lo adotta utilizzando poi gli introiti per finanziare il proprio cinema); dall'altro concede crediti ai produttori e premi in denaro calcolati sugli incassi. La legge contribuisce ad incrementare la produzione italica mentre Pittaluga prosegue il suo lavoro di produttore, producendo numerose commedie scacciapensieri come Patatrac di Righelli, Rubacuori di Brignone, La segretaria privata di Alessandrini, ma dando anche possibilità di lavoro ad alcuni tra gli autori più interessanti di questo decennio con film come "Sole", opera prima di Alessandro Blasetti e "Rotaie" di Camerini, entrambi del 1929.
Il primo film sonoro, "Il cantante di jazz"
L'introduzione del sonoro comporta una vera e propria rivoluzione non solo nell'estetica del film, ma prima di tutto nelle tecniche produttive e negli assetti economici dell'industria cinematografica.
E’ comprensibile che quei cineasti che avevano fatto dell'assenza della parola e del suono il principio strutturale dell'espressione filmica, abbiano opposto resistenze a tale innovazione. Una delle spinte decisive alla ricerca di metodi di sincronizzazione di immagine e suono e al rapido passaggio alla realizzazione di film "sonori e parlati" fu sicuramente la concorrenza della radio. Per la comprensione della genesi del cinema sonoro e del suo sviluppo comunicativo e espressivo, è essenziale tenere presente questo rapporto di iniziale concorrenza con la radio. Le parentele tra radio e cinema sonoro sono molto strette: la tecnologia messa a punto per lo sviluppo della radio trovò parallela applicazione nella soluzione di alcuni problemi del cinema sonoro; furono le industrie del settore telefonico e radiofonico a mettere a punto i sistemi di riproduzione e amplificazione del suono che resero poi possibile la rivoluzione del cinema sonoro. La parentela risulta ancor più stretta quando osserviamo che lo sviluppo del sonoro si avvantaggiò e fu fortemente condizionato dagli effetti prodotti dal consumo radiofonico che aveva creato un'abitudine alla voce riprodotta, al realismo documentario della viva voce dei detentori del potere e dei beniamini dello spettacolo.
Il primo sincronizzatore tra immagine e audio fu nel 1926 un marchingegno chiamato Vitaphone, con il suono dei dischi sincronizzato con la proiezione, e nel 1928 del sistema Photophone, con il suono registrato sulla pellicola, l'elemento sonoro nel cinema venne impiegato principalmente per rafforzare l'effetto di realtà, mostrando spesso allo spettatore un universo inutilmente verboso e rumoroso, con l'inserimento del suono in funzione puramente mimetica. Ma l'apparecchiatura che lanciò il sonoro nel cinema, e di conseguenza decretò la morte del cinema muto fu il Movietone. Con questo era possibile registrare il sonoro direttamente sulla pellicola nella parte a fianco il fotogramma, sottoforma di variazione di luce, che durante la proiezione veniva riconvertita in segnale elettrico, quindi, poi in segnale sonoro. Con questo sistema finalmente si aveva la perfetta sincronizzazione tra le immagini e il sonoro.

Anche il “Regime fascista” si occupa della rinascita del film con l'introduzione del sonoro. In un'intervista del 23 giugno 1929 al presidente dell'Ente nazionale per la cinematografia Bisi, in margine ad un convegno tenuto a Padova, si legge: “Il fabbisogno italiano si può calcolare in 300 e 350 film all'anno. Come si vede, dunque, è il momento è il momento più opportuno per piazzare con facilità nel mercato italiano la produzione nazionale. Una seconda constatazione fatta a Padova, è stata la perfetta intesa per l'incrementazione della produzione cinematografica teatrale e quelli con l'Istituto Nazionale Luce che curano egregiamente la produzione delle pellicole di propaganda culturale ed educativa. Sul film sonoro si sa che l'Ente nazionale per la cinematografia ha già iniziato febbrilmente la sua attività produttrice negli stabilimenti provvisori della Farnesina, i primi stabilimenti per film sonori sorti inEuropa. Essi sono tecnicamente attrezzati in modo da poter superare le prime difficoltà tecniche ed artistiche che una simile lavorazione affatto nuova offre naturalmente. Lavoriamo in questo momento contemporaneamente con due troupe e due differenti soggetti e ne stiamo mettendo nel cantiere altri, e questo sempre negli stabilimenti della Farnesina. Il personale italiano è utilizzato nel suo giusto calore. Anzi una lode incondizionata va data ai giovani tecnici italiani che in pochissime settimane hanno saputo impadronirsi dell'impiego dei delicatissimi complicati meccanismi per la produzione dei films sonori”. E aggiungeva il presidente dell'Istituto Luce Sardi: “Non ci sarà da attendere molti anni che gli esperimenti ora in corso permetteranno, col loro sviluppo tecnico, di ottenere la trasmissione della visione di un qualunque film sonoro per mezzo della radio, cosicchè dalle apposite «stazioni», così come ora si trasmettono in ogni angolo del mondo discorsi e concerti, verranno diramati anche e sempre per le vie stesse, i programmi cinematografici e i «dal vero» della attualità”.