Un sogno a lungo accarezzato che fu sul
punto di realizzarsi nella primavera del 1951: un grande film su
Giuseppe Guarneri del Gesù con i migliori attori della stagione
neorealista italiana. Poi, non sappiamo esattamente per quale motivo,
non se ne fece nulla. Era il terzo tentativo nel giro di tre lustri
di dedicare un lungometraggio ai maestri della liuteria cremonese,
che si sarebbe però concretizzato solo molti anni dopo nel 1988 con
lo Stradivari di Giacomo Battiato, interpretato da Anthony Quinn, e,
nel 1998, con “Il violino rosso” di Francois Girard. Nel 1936, in
previsione delle celebrazioni del bicentenario stradivariano che si
sarebbero tenute l'anno successivo, il comitato che si era
appositamente costituito, tra le altre iniziative, aveva proposto
anche l'idea di realizzare un film su Antonio Stradivari, che si
sarebbe dovuto girare interamente tra le vie di Cremona. La proposta
era stata fatta propria anche dall'Ente provinciale del Turismo,
appena costituito sotto la presidenza di Tullo Bellomi. Se ne
discusse nell'ultima seduta di quell'anno, ma poi non se ne fece
nulla. L'idea, tuttavia, non era per nulla originale. I cremonesi
erano stati bruciati sul tempo dai tedeschi che, il 25 agosto 1935,
avevano distribuito nelle sale cinematografiche “Stradivari” il
primo film dedicato al grande liutaio, affidato al regista Géza von
Bolvàry, con un cast che annoverava i migliori attori del momento.
Una produzione franco-tedesca realizzata con grande dispendio di
mezzi, cui era seguita in ottobre, la versione francese intitolata
“Stradivarius”. Un vero film, di oltre un'ora e mezza, con
protagonista Stradivari ed i suoi violini, con una trama che,
per alcuni versi, anticipava i contenuti del celebre “Violino
rosso”, girato effettivamente nelle strade e nelle piazze di
Cremona poco più di sessant'anni dopo.
Paola Gagnatelli negli anni '50 |
Quando
dunque quella sera del 31 marzo 1951 Enzo Borromeo si presentò nel
piccolo teatro del Gruppo Artistico Leonardo allestito nel palazzo
dell'arte per assistere a due rappresentazioni de “L'uomo dal fiore
in bocca” diretto da Adriano Vercelli, tutti lo notarono. Il
regista era giunto espressamente da Roma accompagnato dalla sua
segretaria Paola Gagnatelli, già attrice del Teatro Stabile diretto
da Gemma D'Amora, che l'anno prima aveva lasciato Cremona per
stabilirsi definitamente a San Felice Circeo. Di origini anconetane,
Paola, scomparsa nel novembre del 2013 dopo aver insegnato per 32
anni nelle scuole elementari di Borgo Montenero, durante la guerra
era sfollata a Cremona con la madre e si era dedicata con passione al
teatro. Nel 2008 le è stato conferito dal presidente Napolitano il
Cavalierato della Repubblica, dopo la pubblicazione di un libro “La
lunga favola di nonna”, che si apre appunto con il racconto della
sua vita cremonese. Ebbene il giovane regista teatrale romano era
giunto a Cremona con il preciso intento di girare un film su Giuseppe
Guarneri del Gesù, ed aveva fornito tutti i dettagli del progetto.
Si sarebbe trattato di una coproduzione italo austriaca, tra la casa
di produzione italiana Italmetrofilm e la Helios film austriaca. Le
trattative erano durate parecchi mesi ed in quei giorni si stava
stendendo il piano di lavorazione per le riprese, che si sarebbero
dovute girare in buona parte nelle strade cittadine, nei palazzi e
nella Cattedrale. Alcune scene si sarebbero girate a Parma ed altre a
Bologna, mentre per gli interni la troupe si sarebbe trasferita a
Vienna. Il soggetto era stato scritto da un autore austriaco mentre
sarebbe stato lo stesso Borromeo a scrivere la sceneggiatura, in quei
mesi in fase di ultimazione, avvalendosi di una serie di specialisti
in materia di liuteria. La pellicola sarebbe stata girata interamente
a colori con il sistema Agfacolor. Introdotto
nel 1939, l'Agfacolor fu il primo processo negativo/positivo con
sviluppo cromogeno di pellicole cinematografiche multistrato. Durante
la Seconda guerra mondiale il procedimento fu usato per 13 film a
colori. Dopo il 1945 dall'Agfacolor furono derivate altre pellicole a
colori tra cui la Ferraniacolor. Lo sviluppo e l'introduzione
dell'Agfacolor erano stati promossi dal governo tedesco e in
particolare dal Ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph
Goebbels, il quale era convinto che i film a colori tedeschi
avrebbero presto potuto competere con le produzioni di Hollywood.
Otto Wernicke |
Ma
quello che avrebbe dovuto stupire era il cast stellare coinvolto
nella produzione, formato dai più noti artisti italiani ed austriaci
del periodo. Ad iniziare da Paula Wessely, una
delle attrici di punta del cinema austriaco e dell'UFA,
nel panorama cinematografico dell'anteguerra, vincitrice nel 1935
della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla
Mostra Internazionale d'arte cinematografica in “Episodio”, un
film di Walter Reisch. Nel 1950 la Wessely aveva creato una propria
casa di produzione che in nove anni avrebbe prodotto undici
pellicole. C'era poi Otto Wernicke, noto per aver interpretato in due
film di Fritz Lang il ruolo del commissario Karl Lohmann, il primo
ispettore di polizia pragmatico e razionale della storia del Cinema.
Fu, anche, il primo a rappresentare il capitano Smith nel primo film
"ufficiale" sul Titanic nel 1943. Nel 1951 era impegnato in
Italia in “Amore sangue”, un film di Marino Girolami con Andrea
Checchi. Nel cast figurava il ballerino e attore teatrale austriaco
Harry Feist, che nel 1942 aveva iniziato a lavorare in varie
produzioni cinematografiche italiane di cui rimarrà storica quella
in cui interpreta il maggiore Fritz Bergman in “Roma città
aperta” di Roberto Rossellini. Will Quadflieg, uno dei più noti
attori teatrali tedeschi del dopoguerra, considerato uno dei massimi
declamatori di poesie in lingua tedesca, aveva recitato in opere di
Schiller, Shakespeare, Ibsen e Schnitzler e lavorato anche in qualità
di dialoghista e direttore di doppiaggio per il cinema, e come
adattatore e rielaboratore di testi teatrali per il teatro di prosa e
per quello musicale.
Silvana Pampanini |
Tra
le attrici italiane c'era Silvana Pampanini, la prima vera diva
cinematografica italiana ad essere conosciuta in tutto il globo,
dall'India al Giappone, dagli Stati Uniti all'Egitto, così come
nella vecchia Europa. Nei primi anni '50 Silvana Pampanini, che
nel 1946 era stata eletta a fuor di popolo Miss Italiana ex aequo con
Rossana Martini, è l'attrice italiana più pagata e richiesta. Nel
1951 avrebbe poi girato “Bellezze
in bicicletta” in cui canta anche l'omonima canzone, e “Ok
Nerone”, suo primo successo internazionale, parodia di "Quo
vadis". E poi Vittorio Duse, che nel 1943 aveva recitato in
“Redenzione” di Marcello Albani e “Ossessione” di Luchino
Visconti e tanti anni dopo, nel 1990, avrebbe interpretato la parte
dell'anziano don Tommasino, nel film “Il padrino, parte III” di
Coppola. Tra gli uomini nel cast figurano anche Mario Ferrari, attore
e doppiatore che avrà poi una carriera lunghissima, diretto tra gli
anni trenta e quaranta da registi come Blasetti, Alessandrini e
Brignone, prototipo dell'italiano fiero ed irriducibile, mai disposto
a scendere a compromessi, ruoli che lo obbligano a non sfuggire al
cliché di uomo granitico, integerrimo, rigoroso e a tratti severo
che lo obbligano spesso ad interpretare il ruolo di ufficiale, ma che
nell'Italia fascista ha rappresentato l'immagine dell'eroe
positivo, senza macchia e senza paura, a cui ispirarsi; Ugo Sasso,
che nel 1970 interpreterà la parte dello sceriffo zoppo nel film “Lo
chiamavano Trinità...”; Armando Guarneri , che negli anni quaranta
aveva interpretato molti film, tra cui “Amanti in fuga” del 1946
con Gino Bechi, “I fratelli Karamazoff” del 1947 con Fosco
Giachetti e Mariella Lotti, entrambi diretti da Giacomo Gentilomo e
“L'isola di Montecristo” di Mario Sequi del 1949 con Carlo Ninchi
e Claudio Gora nel ruolo di Esposito che negli anni cinquanta e
sessanta prenderà parte sempre in ruoli di caratterista a molti
altri film tra cui “Guardie
e ladri” di
Mario Monicelli e Steno del 1951 con Totò e Aldo Fabrizi nel ruolo
del barbiere e in tanti altri. Ed infine Enzo Stajola, che all'età
di sette anni, era stato scelto per il ruolo di Bruno Ricci da
Vittorio De Sica nel film "Ladri di biciclette" del 1948.
Viene scelto per via della sua caratteristica camminata. Lasciatosi
dirigere dal grande maestro con estrema bravura, l'immagine dello
Staiola bambino divene una specie di "manifesto" vivente
del neorealismo italiano, per la sua profonda e spontanea umanità.
Tuttavia, la sua successiva carriera di attore non gli ha mai
permesso di approfondire il personaggio che l'aveva reso famoso né
di ripetere il miracolo del suo debutto; benché qualcuna fra le sue
interpretazioni sia apparsa degna di nota, come quella in "Cuori
senza frontiere" (1950) di Luigi Zampa in cui sostiene un ruolo
di rilievo.
Enzo Staiola in "Ladri di biciclette" |
Questo
per quanto riguarda gli attori. La colonna sonora sarebbe stata
composta dalle musiche originali di Paganini eseguite dall'Orchestra
Filarmonica di Vienna. Il regista Borromeo avrebbe voluto anche che
partecipassero alle riprese i diversi attori delle compagnie
filodrammatiche locali, con cui aveva già preso contatti. Ma in
realtà il film, che avrebbe dovuto essere distribuito in Italia,
Austria e Svizzera, non fu mai girato. Dello stesso regista Enzo
Borromeo si persero le tracce e non si parlò più, fino agli anni
ottanta, di altre pellicole a tema liutario.
Tuttavia
il “Cannone”, lo strumento più celebre costruito da Giuseppe
Guarneri nel 1743, suonato da Niccolò Paganini, è stato
indirettamente protagonista di un film: nel
“Violinista
del diavolo” di
Bernard Rose, sono le mani virtuose di David Garrett a
rendere giustizia alle evoluzioni strumentistiche del suo
rivoluzionario predecessore italiano, dando corpo al Paganini più
credibile dello schermo. Ed il “Cannone” è diventato anche un
fumetto: nel graphic novel 'Paganini' edito da De Ferrari in
concomitanza con il 'Genova Festival Paganini' e la mostra a Palazzo
Ducale 'Paganini rockstar” lo scorso ottobre, una comitiva osserva
i due preziosi strumenti di Paganini a palazzo Tursi: il Cannone, e
la sua copia, il Villaume. Quando tutti escono lasciando sola una
giovane violinista, il Cannone si anima e racconta la storia del suo
padrone. I quattro autori, Roberto Iovino e Nicole Olivieri (soggetto
e testi delle schede), Gino Andrea Carosini (sceneggiatura e i
disegni delle schede), Marco Mastroianni (disegni con alcune tavole
fanno rivivere le avventure della tournée europea (dal 1828 al
1834), le case di Paganini fra Genova e Parma, Cremona e la liuteria
con i Guarneri e gli Stradivari, i guadagni calcolati in rapporto al
nostro tempo, le testimonianze dei grandi del tempo, la sua eredità
artistica raccolta da Beatles, Hendricks, Michael Jackson, Madonna.