venerdì 27 settembre 2019

Eusebio, un cremonese a Betlemme

Le grotte della  basilica della Natività di Betlemme
Nelle grotte della basilica della Natività di Betlemme, accanto al sacello dove, secondo la tradizione, San Girolamo mise mano alla prima traduzione della Bibbia, vi è il sepolcro di un suo discepolo: Eusebio da Cremona, il primo cristiano cremonese fino ad ora conosciuto. Una lapide incastonata nella pietra recita semplicemente “S. Eusebii ora pro nobis peccatoribus”, ed un'altra iscrizione moderna, ricalcata su una più antica, sottolinea che qui sono sepolti “Hieronymus et Paulianus frater eius, Eusebius Cremonensis, Vincentius presbiter, Lupinianus, Valerianus et plurimi alii”. Una piccola porta posta sul fondo della grotta della Natività immette in un corridoio che porta a un complesso di altre grotte. A queste, comunque, si può accedere direttamente dalla chiesa di Santa Caterina tramite una scala ripida, posta a destra della navata, che vi scende. Gli scavi archeologici, condotti da padre Bellarmino Bagatti, attestano che le grotte venivano già usate dal VI secolo a.C. e, a partire dal I sec. d.C., vennero adibite a tombe per i Cristiani. La prima grotta che si incontra al centro, scendendo dalla ripida scale, è la grotta di San Giuseppe, che ricorda il sonno del Santo riportato nel vangelo di Matteo, quando l’angelo gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, e fuggi in Egitto…» (Mt 2,13).
L'epigrafe del sepolcro di S.Eusebio
C’è poi a sinistra, una seconda grotta detta dei Santi Innocenti, a ricordo dei bambini fatti uccidere da Erode. Sul lato destro, invece, si notano i cenotafi in cui furono sepolti alcuni santi vissuti a Betlemme nei primi secoli: le due sante matrone romane Paola e sua figlia Eustochio che, giunte a Betlemme al seguito di San Girolamo, si dedicarono alla vita ascetica e cenobitica; Sant’Eusebio da Cremona, discepolo e successore di san Girolamo, e lo stesso San Girolamo, i cui resti secondo la tradizione furono portati prima a Costantinopoli e poi a Roma, dove dal XII secolo sono venerati nella chiesa di Santa Maria Maggiore. L’ultimo ambiente di questo labirinto di grotte e cunicoli è la grotta di San Girolamo, dove egli visse. Girolamo era nato a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli aveva assicurato un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane aveva subito l'attrattiva della vita mondana, ma poi era prevalso in lui il desiderio e l'interesse per la religione cristiana. Ricevuto il battesimo verso il 366, si era orientato alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si era inserito in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» riunito attorno al Vescovo Valeriano. Era poi partito una prima volta per l'Oriente, vivendo da eremita nel deserto di Calcide a sud di Aleppo in Siria. Ad Antiochia nel 379 Gerolamo riceve il sacerdozio e nel 382 si trasferisce a Roma, dove Papa Damaso I, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assume come segretario e consigliere e lo incarica di riscrivere in latino il testo di una diffusa versione della Bibbia, detta Itala, realizzata non sull’originale ebraico, ma sulla versione greca detta dei Settanta.
Per fare questo lavoro Gerolamo resta a Roma dove sentendo più pungente il peso dei trascorsi giovanili avverte il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana e presto si scontra e polemizza con i nuovi cristiani, stigmatizzandone vizi e ipocrisie, dopo che l’imperatore Teodosio ebbe fatto del cristianesimo la religione di Stato. Intorno a lui si forma un gruppo di vergini e vedove, capeggiate dalla nobile Marcella e dalla ricca vedova Paola, con le figlie Blesilia e Eustochio, per vivere una vita ascetica fatta di preghiere, meditazione, astinenza e penitenza. Alla morte di papa Damaso I, la curia romana contrasta con grande determinazione ed efficacia l'elezione di Girolamo, anche attribuendogli una forte responsabilità nella morte della sua discepola Blesilla., deceduta probabilmente a causa dei continui digiuni. Data la singolarità dell'evento e la grande popolarità della famiglia di Blesilla, il caso solleva un grande clamore. Gli avversari di Girolamo affermano che le mortificazioni corporali teorizzate erano semplicemente degli atti di fanatismo, i cui perniciosi effetti avevano portato alla prematura morte di Blesilla. Nell'agosto 385, Girolamo seguito dal fratello Paoliniano, dal prete Vincenzo e da alcuni monaci a lui fedeli, s'imbarca da Ostia, seguito poco dopo anche dalle discepole Paola, Eustochio ed altre appartenenti alla comunità delle ascete romane e torna in Oriente.
Girolamo arrivò in Terra Santa nel 386 e si stabilì, insieme a Paola, vedova, e alla sua giovane figlia Eustochio, a Betlemme. Le grotte adiacenti a quella della Natività, prima delle tombe, divennero abitate e formarono il primo cenobio a Betlemme.
Per oltre trent’anni il monaco dalmata visse nella solitudine della sua Betlemme, bruciato dall’ideale ascetico, dalla lotta per l’ortodossia della fede, dalla ricerca della verità e soprattutto dalla passione per la Parola di Dio, che egli tradusse in latino. Girolamo univa alla conoscenza del latino e del greco quella dell’ebraico. Infatti, nel deserto di Calcide un giudeo-cristiano l’aveva iniziato alla conoscenza della lingua e un altro aveva rifinito la sua preparazione a Betlemme, durante sedute notturne di studio, che facevano affiorare alla mente di Girolamo l’incontro notturno di Gesù con Nicodemo.
Grazie a questa preparazione egli intraprese la traduzione dell’Antico Testamento dall’originale ebraico. Il mondo cristiano, allora, riteneva ispirata la traduzione greca detta dei Settanta. Girolamo affrontò parecchie difficoltà, tra le quali anche la fatica di procurarsi i testi che si trovavano in mano agli ebrei, custoditi gelosamente come si conviene a un testo sacro. Girolamo non esitò a rinunciare al sonno delle sue notti per lavorare sui testi che un rabbino gli portava prelevandoli dalle sinagoghe, così come non si accontentò di attingere direttamente l’ebraica veritas dal testo biblico, ma una volta afferratone il senso per se stesso, usava confrontare i risultati del suo lavoro con le interpretazioni tradizionali degli ebrei.
Fin qui l'opera di Girolamo, ma che ci faceva un cremonese in Terra Santa ai primordi dell'era cristiana, nel IV secolo dopo Cristo? A parlarci di Eusebio è San Girolamo stesso. Secondo quest'ultimo Eusebio sarebbe nato a Cremona in una famiglia agiata ed educato dai migliori precettori del tempo, ma in seguito, abbandonati gli studi di giurisprudenza, si sarebbe recato a Roma entrando nel gruppo di San Girolamo, decidendo di accompagnarlo nel pellegrinaggio che aveva deciso di fare a Gerusalemme, abbandonando la capitale, dove era malvisto per le sue posizioni a favore del celibato. I due attraversano il mar Ionio in mezzo alla tempesta, transitano per le Cicladi, si recano a Cipro, dove vengono accolti dal vescovo Sant'Epifanio di Salamina. Poi passano ad Antiochia, dove vengono ricevuti dal vescovo San Paolino, ed infine arrivano a Gerusalemme, dove visitano i luoghi della Passione, passano a Betlemme e si recano sul Calvario, sul monte degli Ulivi, il Tabor, la valle del Cedron, tra l'attuale spianata delle moschee ed il monte degli Ulivi, il castello di Emmaus. Poi si inoltrano in Egitto per osservare con i loro occhi come vivono gli eremiti della Tebaide, dove San Pacomio ha fondato la prima comunità cenobitica di Tabennisi. Infine tornano in Palestina per fermarsi a Betlemme, dove decidono di fondare il primo monastero, ben presto preso d'assalto da quanti desiderano abbracciare la regola che san Girolamo stesso si è dato.
Le epigrafi nelle grotte di San Gerolamo
A raccontare questo primo pellegrinaggio dei due è Francesco Ferrario, ripreso da Joseph-Francois Michaud nella sua “Storia delle crociate” del 1831 illustrata da Gustave Doré. Secondo lo storico i due cenobiti, non riuscendo a garantire vitto e alloggio ai numerosi pellegrini, decidono di ritornare in Italia per vendere i beni posseduti destinando il ricavato alle loro opere di misericordia. E' in occasione di questo secondo soggiorno italiano che ai due si sarebbe aggregata appunto santa Paola con la figlia Eustochio, che sarebbero poi partite per proprio conto per effettuare un pellegrinaggio fino in Egitto, e giungere infine a Betlemme dove, sotto la guida di San Girolamo, fondano una serie di alloggi per viaggiatori ed ospedali. Sappiamo da San Girolamo che Eusebio partecipa con il suo maestro alle grandi dispute teologiche dell’epoca. Rufino, avversario di Girolamo, lo descrive come un uomo molto impulsivo, ma di vita integra e austera. Fu legato da amicizia con il santo vescovo e poeta Paolino di Nola. Girolamo gli dedicò i commentari al libro di Geremia e al vangelo di Matteo. Nulla sappiamo degli ultimi avvenimenti della sua vita: succeduto al maestro nella guida del monastero di Betlemme, morì poco dopo, verso il 423. Fu tra i migliori collaboratori di San Girolamo, e forse anche autore di scritti in proprio nome, dato che gli viene attribuito un trattato sul mistero della croce. Tornò a diverse riprese in Italia, e forse fu anche a Cremona, sua città natale. Curiosamente però, nonostante Eusebio sia il più antico dei santi locali, l'eremo edificato tra il V ed il VI secolo nei pressi di Pizzighettone, in località Ferie, sui resti di quello che si è ritenuto essere un sacello di epoca romana, è dedicato ad un altro Eusebio, vescovo di Vercelli, nato in Sardegna nel 283 e nominato primo vescovo del capoluogo piemontese nel 345. Ciò si può dedurre anche osservando il dipinto esposto nell'abside di San Bassiano, la chiesa principale di Pizzighettone (dalla cui giurisdizione ecclesiastica dipende anche Sant'Eusebio), dove il santo viene ritratto con le insegne di vescovo e raffigurato con la mano destra che indica il Segno Trinitario, mentre nella sinistra, appoggiata su un libro, tiene uno stilo, di solito simbolo dei Dottori della Chiesa. Viceversa a Sant'Eusebio da Cremona è dedicata una tavola, parte della “cona” della Visitazione dipinta da Pedro Fernandez prima del 1516, conservata oggi al Museo di Capodimonte, che raffigura Eusebio di fronte agli eretici. Un'altra raffigurazione famosa è quella fornita da Raffaello nel miracolo attribuito al santo cremonese, una splendida tela realizzata tra il 1502 ed il 1503, conservata oggi al Museo d'arte antica di Lisbona.

Paolo Puerari in un breve testo dedicato al vescovo Cesare Speciano, “Breve narratione della vita et miracoli di Santo Eusebio, Nobile cremonese”, pubblicato a Cremona da Cristoforo Dragoni nel 1605, racconta alcuni miracoli compiuti dal cremonese a Betlemme: “Dopo la morte del glorioso San Girolamo si levò tra Greci una setta d'heresia pestilentissima; perilche congregando il Santissimo Eusebio, et tutti gli Vescovi, et altri Catolici, pregarono il pietoso Re del Cielo, che non volesse comportar, che la sua Santa sede fosse così iniquamente combattuta, et lacerata da sì falso errore; Onde avvenne, che passati tre giorni dell'oratione, et digiuni apparve la notte seguente al Beato Eusebio il glorioso Girolamo, et con benigne parole lo confortò a star di buono voglia, informandolo del modo, col qual havesse da batter a terra, e distruggere quel maledetto mostro d'heresia, si come fece poi il giorno sussequente, che radunati i Catolici, et Heretici al Presepio di Christo, et pigliando il Beato Eusebio il Cilicio del Santissimo Girolamo, pregando devotamente Dio, l'accostò a tre corpi morti, e subito, O meraviglia, o stupore l'anime che da lor eran già fatte pelegrine, vi tornarono a stanciar dentro. Questa gratia hebbe il venerando Eusebio per instinto del suo diletto Padre San Girolamo, et il frutto, che ne seguì fu tale, che molti Heretici, voltale le spalle a quella falsa dottrina, tornarono alla vera fede. Di più essendo un Monaco di quel suo Monastero diventato cieco, toccando con la sua faccia la faccia del Beato Eusebio, subito rihebbe intieramente la vista. Et portandosi a sepelire il suo santissimo Corpo, riscontrando un indemoniato, subito fu liberato, e fatto sano. Fu sepolto alla fine con molta riverenza ignudo in Betelemme a lato del suo caro Maestro, havendolo sopra vissuto d'anni duoi”.

I bambini di Vienna

Emilio Caldara
(Archivio storico Società Umanitaria di Milano)
La solidarietà non conosce confini, colori né ideologie. Ce lo insegna una bella storia di cent'anni fa, di cui furono protagonisti operai e contadini della nostra città. Nell'autunno del 1919 un sindaco di umili origini operaie, Emilio Caldara di Soresina, primo cittadino socialista di Milano, tese la mano agli ex nemici austriaci lanciando un progetto di accoglienza e fraternità destinato ad accantonare tutto l'odio maturato in quegli anni, prima che, nel giro di un lustro, il fascismo ne cancellasse con un colpo di spugna il ricordo.
I mesi che seguirono l'armistizio di Villa Giusti il 4 novembre 1918 fecero più vittime che la guerra stessa fra i bambini dell’Europa centrale. A causa del blocco economico la gente era ridotta alla fame e le malattie facevano strage tra i vinti. Prime ad accorgersi di questa situazione furono le donne inglesi che lanciarono una campagna di controinformazione costringendo a porre fine al blocco e a organizzare un’azione umanitaria di emergenza rivolta ai bambini dei paesi più colpiti dalla guerra, dando vita al Save the Children Fund . Anche da parte austriaca agli inizi di dicembre 1919 arrivano pressanti richieste di soccorsi per salvare un paese ormai prossimo al disastro e in Italia il dramma austriaco colpisce le coscienze e produce le prime iniziative locali di solidarietà. Cremona è tra le prime a rispondere.
La mattina del 10 dicembre l'Eco del Popolo pubblica l'appello sottoscritto da Antonino Campanozzi, segretario della Lega dei Comuni Socialisti; Ludovico D’Aragona, segretario della Confederazione Generale del Lavoro e AntonioVergnanini, presidente della Lega Nazionale delle Cooperative: “Vienna, la suntuosa capitale dell'infranto impero, in cui la vita aveva raggiunto i più alti culmini della gioia e degli agi, oggi dolora e si accascia sotto il tormento delle più atroci privazioni, della fame. Le notizie che ci giungono sono sempre più sconfortanti; e fra esse assumono un sinistro colore di tragicità quelle intorno alle sofferenze di cui sono vittime le numerose turbe di fanciulli innocenti, ai quali la vita si schiude fu un'alba così fosca e piena di vergogna. Noi non sappiamo come meglio auspicare ad una sollecita era di pace e di lavoro che tutti invocano, ma che lo spirito sovverchiatore del capitalismo minaccia di allontanare sempre più se non chiamando queste piccole vittime della ferocia umana a propiziare la fine di ogni contesa e facendoli, essi, i figli dei «vinti», segno della pietà e della sollecitudine dei «vincitori» soddisfacendo in un augusto atto di solidarietà l'ardente bisogno di giustizia e fratellanza che tormenta le masse lavoratrici di tutto il mondo”.
Primo ad accogliere l'appello è Giuseppe Garibotti che, per conto del consiglio di amministrazione dell'Ospedale, mette a disposizione dei bambini viennesi fino a maggio 1920 l'ospizio di Cesenatico. L'11 dicembre il sindaco Caldara convoca a Milano i rappresentanti delle amministrazioni socialiste dell'Alta Italia. Per Cremona è presente il maestro Giuseppe Sasdelli, presidente della Congregazione di Carità, ma ci sono anche i rappresentanti di Bologna, Reggio Emilia, Alessandria, Busto Arsizio, Novara e Codogno. Le camere del lavoro, le cooperative, le leghe di resistenza del Piemonte e dell'Emilia chiedono di potere assistere centinaia e centinaia di bimbi. Si decide che a Cremona ne toccheranno almeno un centinaio e subito si mette in moto la macchina della solidarietà, con una prima sottoscrizione: “In ogni famiglia i bambini dei proletari con 20 centesimi attestino ai piccoli fratelli austriaci la solidarietà civile ed umana dell'Italia lavoratrice. I maestri e le maestre socialiste compiano questo loro dovere altamente morale ed educativo”. I primi fondi, 50 lire, vengono raccolti con una festa danzante organizzata dalla cooperativa “Fratellanza sociale” nei locali dell'asilo Martini. In attesa che anche il livello centrale del Partito socialista si muova, Caldara si organizza da solo. Lui e i due sindaci di Bologna e Reggio Emilia chiedono al Governo di fornire loro dei treni per potersi recare in Austria, dove la mancanza di carbone blocca la circolazione ferroviaria. I treni all’andata avrebbero caricato i generi alimentari e di soccorso raccolti e al rientro avrebbero accompagnato a svernare in Italia un primo numero di bambini. Ottenuti i treni, sindaci e assessori, medici, educatrici e funzionari a fine dicembre partirono per Vienna. Mentre il 23 dicembre del 1919 verso le 7 parte da Milano il primo treno carico di risorse alimentari, munito di cucina da campo, con a bordo medici e infermieri, con lo scopo di trasferire nella città lombarda i primi bambini, il presidente del comitato di Cremona, il sindaco Attilio Botti organizza l'accoglienza: “Nelle scuole dei comuni socialisti le amministrazioni devono far circolare schede di sottoscrizione raccogliendo in esse le piccole offerte dei bimbi. Negli altri paesi ove l'opposizione dei maestri o delle autorità impediscono le sottoscrizioni nelle scuole, le organizzazioni economiche raccoglieranno esse stesse le offerte in nome dei piccoli figli dei lavoratori. Le cooperative e le Leghe devono subito costituire i comitati per la raccolta dei fondi pro bambini Viennesi. Più bella occasione per manifestare la nostra fede internazionalista non potremmo desiderare. Le somme raccolte devono essere spedite al Sindaco del Comune di Cremona, Presidente del Comitato pro bambini Viennesi”.
L'arrivo dei bambini a Milano (Archivio Istituto derelitti, Milano)
Il comitato cremonese è costituito dal sindaco Attilio Botti, dal sindaco di Duemiglia Attilio Boldori, dal presidente dell'Ospedale maggiore Giuseppe Garibotti, dal presidente della Congregazione di Carità Giuseppe Sasdelli, dal presidente degli Asili infantili Dante Fornari, dal presidente del Patronato scolastico Costantino Superti, da Ernesto Caporali per la Camera del Lavoro, Giuseppe Chiappari per la Federazione provinciale Socialista, Silvio Barbieri per il Circolo socialista di Cremona, dalle maestre Luigina Vailati, Luigina Belli e Maria Masseroni e dagli avvocati Giuseppe Morelli e Ermegildo Ferrari. Sul primo treno, arrivato a Milano il 28 dicembre, salgono 443 ragazzi, di cui 281 maschi e 162 femmine, tutti tra i 6 e 12 anni; di questi ne vengono scartati cinque affetti da morbillo e tonsillite, uno da congiuntivite e uno da tignatricofitosi. Una volta arrivati a Milano i convogli proseguono diretti in Riviera Ligure, dove i piccoli viennesi trovano alloggio presso diverse colonie climatiche; accolti a Porto Maurizio dalle Colonie Balneari Permanenti del comune di Milano, a Pietra Ligure dal Comitato Colonie Balneari, a Loano dalle Colonie del comune di Busto Arsizio, a Spotorno dalla Colonia Climatica del Pio Istituto Santa Corona. Con due spedizioni successive verranno accolti nel Nord Italia oltre 2000 bambini tra i quattro e i dodici anni, ospitati per un periodo di quattro mesi negli istituti per minori, nelle colonie climatiche liguri e sui laghi lombardi.
Bisogna attendere il 12 gennaio 1920 per festeggiare l'arrivo dei bambini viennesi destinati a Cremona, saliti sul secondo convoglio partito da Milano il 3 gennaio. A differenza della prima spedizione, i bambini, che sono stati selezionati dalle associazioni benefiche locali Kinderfreund,vengono visitati dai medici italiani presso le loro abitazioni, in particolare nei quartieri operai. E' un lunedì mattina quando i due sindaci di Cremona e Duemiglia si recano a Milano, dove la Società Umanitaria ha prestato le prime cure ai piccoli viennesi. “I piccoli bimbi che non avevano visti gli aranci e che da anni soffrivano la fame – racconta L'eco del Popolo del 14 gennaio 1920 – alla prova di tanta solidarietà assunsero un atteggiamento gaio che apparentemente diminuiva le impronte delle sofferenze patite. I milleduecento bambini furono distribuiti nelle diverse plaghe. I più denutriti furono mandati in riviera, gli altri in parte ad Alessandria, a Novara, a Codogno, ecc., a Cremona ne vennero assegnati centocinquanta. Noi, che assistemmo i bimbi nel breve viaggio fummo tempestati di domande e di schiarimenti e il nostro interprete traduceva tutto quello che l'animo nostro sentiva in quel momento. Poveri bimbi. Per un concetto antiquato e millenario i vostri padri e noi fummo ferocemente contro, terribilmente cannibali in nome di una patria. Ma la risultante della guerra ha rimesso alla luce del sole la bellezza del nostro ideale socialista che non vuole più carneficine, e nei visetti scarni e vispi noi vedevamo la speranza dell'immediato realizzarsi della nostra idea. Non preparammo e non volemmo preparare manifestazioni al loro arrivo. La popolazione di Cavatigozzi però intervenne a far ala alla lunga sfilata della colonna dei disgraziati. Nell'ampio locale di Cavatigozzi i bimbi trovarono abbondante ristoro e accoglienza festosa. Alla vista della tavola bianca degnamente ricca di viveri, di latte e di frutta, i bambini esultarono ringraziando colle loro voci diventate gaie il benefattore loro. E i bimbi sapranno a giorni che il benefattore è il Partito Socialista. Sì, o compagni di sventura, il socialismo darà a voi ristoro e conforto e voi tornando alle vostre case porterete belle vostre famiglie il palpito di un ideale che non conosce confini. Così noi iniziamo tangibilmente l'internazionale ed affratelliamo gli uomini di tutto il mondo”.
Anche molte famiglie si offrono per ospitare i bambini, ma il comitato è costretto al diniego perchè sarebbe impossibile in questo modo garantire ai bimbi l'istruzione necessaria per la difficoltà della lingua. Tra le condizioni poste dal sindaco Caldara, infatti, c'era quella che i ragazzi non avrebbero interrotto la frequenza scolastica, potendo seguire corsi scolastici impostati secondo il modello austriaco tenuti da educatrici austriache. Ciò, evidenziava il sindaco di Milano, avrebbe garantito il rispetto della diversità culturale e linguistica, senza nessun recondito intento di “italianizzazione”.
Il ritorno dei bambini a Vienna (Archivio Milanoattraverso)
La sottoscrizione indetta fra gli alunni delle scuole vede il contributo di oltre tremila bambini cremonesi, a Solarolo Rainerio si tiene una grandiosa veglia di beneficenza, che non manca di dare spazio alla polemica: “Anche il prete ha voluto dir la sua per questa festa nostra – scrive l'Eco del Popolo – Egli disse dal pergamo che ci vuole altro che fare delle feste pro bambini viennesi, sono i conti che vogliamo vedere egli disse”. Ed i conti parlano chiaro: sono state raccolte circa 7000 lire; oltre che da numerosi privati e cooperative le offerte sono giunte anche dalle Lega spazzini comunali, dalle alunne del convitto femminile comunale, dalle scuole elementari di Spinadesco, dagli alunni delle elementari di S. Ambrogio, del Centro scolastico di via Cannone, della Villetta e del Boschetto, di Gerre Borghi dagli insegnanti del Decia, del Centro Alfeno Varo e passeggio, del Centro Cannone e Palestro, dagli infermieri, suore medici del Manicomio, dalla parrocchia di Cavatigozzi.
Nel frattempo giungono richieste di aiuto anche dalla zone di guerra dovesi è svolta l'ultima battaglia, e la giunta municipale decide di dare assistenza ad altri trenta bambini provenienti dal basso Piave, che verranno alloggiati anch'essi a Cavatigozzi. Mentre la colletta per i bambini viennesi arriva a 16.000 lire, si inizia una nuova raccolta di fondi per i bimbi trevigiani. Vi partecipano cooperative, contadini, operai, scolari ma anche imprenditori e la stessa Banca Popolare. I bambini del Piave arrivano la mattina del 27 febbraio, accompagnati dalla signora Maccagni, sorella del farmacista Carlo Maccagni da tempo residente a Treviso, e vengono accolti al circolo Ferrovieri dove il Ristorante Economico offre pane e latte. Vengono visitati dal dottor Achille Girelli, poi caricati su due omnibus e portati a Cavatigozzi. Ci si rende facilmente conto che quattro mesi di soggiorno non saranno sufficienti ad alleggerire la loro situazione: le case nella zona del Piave sono state distrutte o diroccate dalle artiglierie e sarebbero costretti a trascorrere un altro inverno in baracche prive di riscaldamento. Ogni bambino costerà almeno 3 lire al giorno e per i trenta piccoli ospiti serviranno almeno altre 30 mila lire.
La sera del 2 marzo giunge a Cremona il vice borgomastro di Vienna Max Winter, che sta visitando uno per uno i comuni dove sono alloggiati i piccoli ospiti austriaci. Arriva in auto da Mantova, dove sono stati accolti 275 bimbi, viene ricevuto in comune dal sindaco Botti, da Garibotti e da una rappresentanza della commissione di assistenza per i fanciulli viennesi. Poi si reca a Cavatigozzi per visitare i piccoli ospiti. Ad accoglierlo, un ragazzo viennese, Alois Wagner, l'unico di cui ci sia rimasto il nome: “La letizia di questo giorno fortunato – sono le parole da lui pronunciate che riferisce l'Eco del Popolo, probabilmente scritte da qualche maestra– di questa Sua amabile visita, rimarrà incancellabile in ogni nostro cuore, come indimenticabile rimarrà per tutti noi il giorno del nostro arrivo in questo lembo ospitale d'Italia, dove tutti ci amano, dove sono persone che noi amiamo e che ameremo sempre come più cari fratelli”. Il giorno dopo Winter riparte per Codogno

Il 21 maggio partono dalla stazione di Milano gli ultimi due treni che riportano i bambini dalle loro famiglie in Austria. Il Sindaco Caldara accompagna a casa la gran parte dei piccoli che avevano soggiornato nel nord Italia. Solo per quattro di loro le cure climatiche non hanno avuto effetto effetto. Al loro ritorno i ragazzini e le autorità italiane vengono accolti dal vice borgomastro Winter, a dimostrazione della piena riuscita operazione umanitaria e della ritrovata pace dei due popoli. Emilio Caldara dichiarerà infatti durante il pranzo offerto dal Sindaco di Milano alla stampa viennese: “Una promessa, che sia sopra tutti i partiti: che nessuno più di fronte ad un bambino debba pronunciare una parola di odio contro un altro popolo”. (Arbeiter Zeitung, 27 maggio 1920). Qualche anno dopo, nel 1924, così ricordava Caldara quell'esperienza:”La guerra, con tutti i suoi dolori e i suoi orrori, con l'atmosfera di odio che ne è causa ed effetto ad un tempo, con l'avvelenamento quotidiano dei nostri sentimenti e di ogni loro espressione, ci fece sentire tutta la profonda verità dell'insegnamento di Cristo, per cui i bambini devono essere oggetto di esempio e quasi di culto”(E. Caldara, Impressioni di un sindaco di guerra, Milano 1924)