Nessuna “Isola del tesoro” alla
Stevenson, per carità, ma qualche piccola spiaggia nascosta in riva
al fiume, dove setacciare la sabbia alla ricerca del prezioso
metallo, c'è pure qui da noi. Certo
non sarà mai il Klondike ed anche una
speranzosa corsa all'oro finirebbe per risultare un grossa delusione,
ma certo per passare qualche ora all'aperto in una giornata di sole
estiva la scusa potrebbe anche risultar convincente. Anche perchè
sulla presenza delle agognate pagliuzze nei corsi d'acqua padani
esiste fior di letteratura fin dal Settecento. Il nostro piccolo
Eldorado è ad Azzanello. A descrivere l'emozionante incontro con
l'oro è Alberto, un cercatore dilettante che ha voluto condividere
la propria felicità con gli altri cercatori che si ritrovano
puntualmente sul sito www.minieredoro.it: «Armato di una
piccola paletta, due setacci e la batea, questa prima uscita l'ho
fatta con l'intenzione di verificare la quantità di ferrite in punti
diversi del fiume. Ho presto incontrato due guardie regionali, ma
dopo gli ho spiegato le mie intenzioni e mi hanno salutato senza crearmi alcun problema, per cui
mi sono dato tranquillamente da fare. Non ti dico la gioia che ho
avuto nel trovare quei minuscoli puntini incollati al piatto e che si
nascondono sino all'ultimo sotto quel “concentrato nero”,
veramente un'emozione unica! Li ho osservati ancor meglio a casa
usando l'obiettivo di un vecchio fax: scagliette minuscole, una
decina, da farsi ridere dietro da amici e parenti, ma non importa,
per me è stato fantastico. Da qui a trovarne anche un solo grammo ce
ne vorrà, ma la molla è scattata! Non lo faccio certo per
arricchirmi o per mantenermi, per questo c'é il lavoro, comunque conoscendomi ci
passerò parecchie ore a “spadellare”. Tra l'altro, ho visto in
rete dei siti che propongono pompe e macchinari vari per dragare il
fondo, ma sono contrario a questo tipo di ricerca che ha il solo
scopo di velocizzare i tempi per aumentare il più possibile la resa,
togliendo però, secondo me, proprio il bello della ricerca».
Pagliuzze e piccole pepite non sono rare nei torrenti della Bessa, un
fazzoletto di terra nel biellese, specialmente nel torrente Elvo,
oppure sul letto del Cervo, torrente che scorre dal lago della
Vecchia al confine con la Valle d'Aosta e si snoda su un percorso di
circa 80 chilometri, prima di immettersi proprio nell'Evo o lungo la
Dora Baltea. In Lombardia, proprio lungo l'Oglio nei pressi di
Azzanello, qualche chilometro a valle di Soncino sono state trovate due pepite di circa
5 grammi l'una. Ora però le ricerche si concentrano più su, dove il
fiume nasce, lungo le pendici del Corno dei tre Signori, tra la
provincia di Sondrio e quella di Brescia. Nel cremonese piccole
pagliuzze sarebbero state trovate nell'Adda a Rivolta.
La ricerca dell'oro nel torrente Elvo |
Sul sito internet dei cercatori d'oro
dilettanti www.minieredoro.it è pubblicata anche una mappa che
indica proprio una località in riva all'Adda dove sarebbe possibile
trovare pagliuzze d'oro di tre e più millimetri. Queste le
indicazioni: «Da Milano prendete la statale n. 11 (Padana superiore)
fino a Cassano d'Adda. Superato il ponte sul fiume piegate subito a
destra direzione Rivolta d'Adda. Dopo circa 2,5 km. Sarete entrati
nella provincia di Cremona (cartello segnaletico nei pressi di un
ponticello). Poche decine di metri oltre di questo prenderete una
stradina sterrata che si diparte alla vostra destra superando un
canale e dopo averla seguita percirca trecento metri sarete arrivati.
In questo punto il fiume lambisce un piccolo parcheggio dove potrete
posteggiare. Potete inziare le ricerche facendo degli assaggi nel
mentre che risalite per un centinaio di metri la sponda dell'Adda per
poi raggiungere in breve dei grossi ruderi (blocchi di conglomerato)
dietro ai quali, se dotati di una giusta dose di fortuna, potreste
anche trovare qualche piccola 'sorpresa'. La dimensione massima delle
scagliette trovate in occasione della gita qui descritta è comunque
di 3 millimetri». Insomma, una vera e propria mappa con tutte le
coordinate per la ricerca del tesoro, come quella che avrebbe
disegnato qualche vecchio pirata. Ma siamo sull'Adda e nei nostri
tempi.
Ogni anno i nipotini di Jack London si
ritrovano ad agosto al Campionato del Mondo dei cercatori d'oro a
Mongrando nel biellese, nella Riserva Naturale Speciale della Bessa,
che custodisce un territorio di quasi dieci chilometri quadrati
interamente modificato, nel suo aspetto, dal lavoro di migliaia di
uomini (gli Ictimuli o Vittimuli) che oltre duemila anni fa abitavano
buona parte del Biellese. Guidati e sfruttati dai Romani tra il II e
il I secolo a.C. trasformarono la Bessa in una delle più grandi
miniere d'oro a cielo aperto del mondo. Oggi il paesaggio si presenta
come un alternarsi di vallette fitte di vegetazione e
cumuli di ciottoli fluviali alti fino a 20 metri.
La ricerca
dell'oro sul greto del torrente Elvo è un'attività all'aria aperta
che si può vivere tutto l'anno, perché nel Parco Naturale della
Bessa opera un'associazione molto attiva, l'Associazione Biellese
Cercatori d'Oro, che organizza escursioni lungo il fiume Elvo, ed
insegna le antiche tecniche per la ricerca dell'oro dal greto del
fiume.
Tecniche che dovevano essere ben conosciute ancora nel
Settecento agli abitanti di Acqualunga, ancora sull'Oglio a pochi
chilometri da Azzanello, protagonisti di una piccola corsa al metallo
giallo.
A scriverne è il naturalista e geologo Giambattista Brocchi
nel suo “Trattato mineralogico e chimico sulle miniere di ferro del
Dipartimento del Mella” del 1808, che così descrive la
circostanza: “Alcuni contadini di Acqualunga, villaggio posto sulle
rive dell'Oglio, si erano avvisati ne' tempi trascorsi di mettere a
profitto questa sorta di ricchezza. Il metodo di cui si valevano per
separare dalle particelle pietrose i grani d'oro era semplicissimo, e
simile a quello adottato dai paesani di Gez sul Rodano,
e dagli abitanti della Contea di Schwartzburg sparsi nelle vicinanze
del fiume Sala. Esso consisteva nel fare scorrere il materiale
aurifero, stemperato nell'acqua, sopra una tavola inclinata, su cui
erano praticati di spazio in ispazio alcuni tagli obbliqui nel senso della sua larghezza. Le
pagliette fermavansi in queste scannellature, mentre l'acqua
trasportava le parti meno pesanti. L'oro rimaneva ancora mescolato
con molta sabbia, e si otteneva puro mediante l'amalgamazione col
mercurio, che compiva l'operazione. Alcuni, invece di tavole,
servivansi di velli di agnello, dirigendosi in tutto il resto col
medesimo meccanismo. Questo ramo d'industria è presentemente affatto
negletto”.
La nostalgia di quell'età dell'oro fu però dura a
morire se ancora nel 1864 sopravviveva la fama di quelle sabbie
aurifere. In occasione dell'Esposizione Agraria Bresciana, infatti,
uno degli organizzatori, il conte Alessandro Bettoni, oltre ad
animali ed attrezzi rurali, chiedeva al conte Luigi Martinengo
Villagana di presentare “un po' d'oro ricavato nel letto
dell'Oglio, anche in tenuissima quantità, accompagnato da due o tre
chilogrammi di quella sabbia”.
Cercatori d'oro sul Serio negli anni Venti |
Sulle sponde del Serio, nei luoghi più
frequentati, si trovano dei cippi di granito che recano incisa questa
scritta: “Fiume Serio - Diritto esclusivo di pesca, pesci e oro del
conte Giuseppe Bonzi di Crema - Dal ponte di Mozzanica allo
sbocco dell'Adda”. È la famiglia Bonzi che ha fatto collocare
questi cippi lungo le rive del Serio a
pubblica affermazione dei propri diritti in base ai privilegi
anticamente derivati e che essendo anch'oggi in possesso di questa
esclusività, di tratto in tratto fa ripristinare le parole incise
nel granito. La nobile Famiglia Bonzi, trasse origine da una famiglia
di barcaioli del Serio, probabilmente oriundi da Ripalta: nel 1452
certo Franchino Bonzi, barcaiolo, aveva una barca grande con la quale
faceva il viaggio da Crema a Venezia, percorrendo il Serio, l'Adda ed
il Po: nel 1509 Bernardino Bonzi, navarolo, sorpreso a trasportare
armi con la sua barca a vantaggio di Venezia, venne preso e
crudelmente squartato dai Francesi.
Nel 1694 i Bonzi furono
solennemente investiti della giurisdizione del Serio, con prerogativa
feudale e con titolo di conti, con diritto esclusivo di pesca su
tutta la parte del Serio che scorre nel territorio cremasco, nonché
sull'oro che in tempi trascorsi si cavava dalle sabbie del fiume, ma
in piccole quantità e con gran dispendio di tempo e di lavoro. I
Bonzi tenevano la loro residenza in una villa con bel giardino a
strapiombo sul Serio. Il Centro di ricerca Alfredo Galmozzi di Crema
conserva in archivio una rara immagine che raffigura cercatori d'oro
sulle sponde del Serio nei pressi di Bocca di Serio, risalente
probabilmente agli anni Venti.
C'era anche oro nel Po: nel 1423 il
diritto di estrarlo dalla ghiaia era stato acquistato dal Capitano
del Naviglio di Pavia Pasino degli Eustachi, che possedeva anche case
a Cremona dove spesso si recava per affari. Con i suoi figli era uno
dei mercanti più attivi di calcina, legna, panni e pesci freschi e
salati provenienti da Venezia. Intorno al Mille Le “Honoratie
Civitas Papie” cita i fiumi da cui si cava oro: Po, Ticino, Sesia,
Agogna e Trebbia. Il Ticino era di proprietà regale ed a Pavia vi
avevano diritto di ricerca gli Auri Lavatores, obbligati da
giuramento a rivenderlo alla Camera Regia o ai Magistrati della
Moneta. Successivamente il diritto, per alcuni tratti del fiume, fu
ceduto in regalia ad ecclesiastici e a privati. Tra il XIV e il XV
secolo, periodo di maggior sfruttamento del tratto pavese, il Paratico dei Mercati
di Pavia ne deteneva il diritto, acquisito o avuto in regalia, dai
precedenti proprietari. Quella degli Auri Lavatores era a suo tempo
una delle professioni più ambite ma dopo il 1500, sia per
l'impoverimento del fiume, che per la maggiore quantità di oro
circolante proveniente dalle Americhe appena scoperte, il mestiere
decadde e da allora il dirtto di cavare metalli dal fiume non si
distinse più dal diritto di pesca o di cavare sassi. La ricerca
dell'oro era praticata saltuariamente dagli uomini di fiume, che
erano di volta in volta boscaioli, pescatori, raccoglitori di sassi, di
legna e via dicendo. Anche a Lodi è documentata la presenza di
cercatori d'oro in epoca antica. Tra i privilegi concessi
dall'imperatore Federico Barbarossa al momento della fondazione della
città nel 1158, vi è tra gli altri, anche quello di raccogliere
l'oro nell'Adda riservato agli abitanti della
città: come nel caso di Pavia i cercatori erano chiamati
aurilevantes.
Cercatori d'oro sul Serio (anni Venti) |
Sull'Adda e sul Serio, dove non ci sono
rapide su greto ciottoloso e dove il sedimento e l'oro sono più
fini, per trovare l'oro veniva utilizzato il banco. Era formato da
due o tre ruvide tavole di legno, lunghe fino a due metri, tenute
insieme in modo da formare un largo canale ed era lo strumento
fondamentale da cui derivano gli strumenti moderni più aggiornati.
Queste tavole accostate l'una all'altra, già ruvide per la loro
stessa natura, venivano inoltre intagliate fittamente a colpi d'ascia
per creare ostacoli allo scorrimento delle sabbie in modo da ottenere
depositi d'oro. Lo strumento, posizionato sulla riva, era tenuto
rialzato da terra tramite sostegni in legno flessibili che
consentivano di farlo periodicamente dondolare agendo con una mano
sulle sponde facendo scivolare in basso il materiale più grossolano
e lasciando depositare l'oro negli intagli. Una persona vi caricava il materiale da lavare con
la pala, un'altra vi versava sopra abbondante acqua con un secchio
fissato a un lungo bastone trasversale chiamato “sucon”,
necessario per raggiungere tutti i punti del banco senza ostacolare
il caricamento del materiale. Periodicamente occorre eliminareil materiale che si era ammucchiato ai
piedi del banco e spostare lo strumento in un'altra zona ancora da
sondare. Quando si riteneva che il banco fosse saturo, lo si girava e
lo si poneva verticalmente in un canaletto di legno lungo e stretto,
chiamato“conchino” e, usando una spazzola e dell'acqua, vi si faceva
cadere il concentrato, che veniva sottoposto ad un ulteriore lavaggio
agitando il conchino a pelo d'acqua in modo da eliminare le parti più
leggere e poi si faceva scivolare il residuo in un bacile, detto
“trula”.
Cercatori d'oro sul Ticino |
In Lombardia tutti i fiumi sono più o
meno auriferi perché i sedimenti di questo metallo provenienti
dall'arco alpino, sono stati trascinati a valle al termine delle
glaciazioni. Anche Lambro e Olona, a detta degli esperti,
porterebbero nel loro umilissimo grembo tracce del prezioso minerale.
C'è oro anche nel Po, ma è il Ticino il sito aurifero lombardo per
eccellenza: fino a una quarantina di anni fa i fidanzati del
Vigevanese avevano l'abitudine di cercare proprio sui suoi argini il
prezioso metallo per la vera nuziale. Abbastanza generosi anche
alcuni torrenti del Varesotto e l'Agogna, che dalla provincia di
Novara attraversa parte della Lomellina.
L'Adda, infine, sarebbe
molto ricco di luccicanti promesse, ma gli appassionati lo
considerano un «paradiso perduto» a causa del divieto di ricerca
posto nel territorio del Parco dalle autorità.
Per trovare i punti
giusti bisogna guardare bene la conformazione dell'argine: se la
sponda è erosa da una piena recente e sono visibili tracce nere di
ferro e tracce rosse di granato, vuol dire che in quel punto la
corrente ha depositato materiale pesante e, probabilmente, anche
dell'oro.
Gli attrezzi del mestiere sono umili: una zappa per
smuovere il terreno; un badile per riempire di terriccio un secchio
da muratori dotato di setaccio e il piatto che gli esperti chiamano
batea al centro del quale, alla fine di pazienti irrorazioni e
filtraggi, rimangono imprigionate le scaglie d'oro.