Corteo partigiano (Archivio Anpi Cremona) |
Ben diversa la versione
fornita dagli abitanti di Spinadesco, in occasione dell'arresto dei
giustizieri di Subitoni nel 1951, su quanto accaduto nei primi mesi
dopo la liberazione. Un gruppo di persone si sarebbe praticamente
impadronito del paese, razziando tutto quanto avevano abbandonato i
tedeschi in fuga e tutto quello che era possibile trovare, iniziando
ad amministrare la giustizia favorendo la loro stessa parte politica
a scapito delle altre. Ruberie, soprusi, gozzoviglie sarebbero stati
all'ordine del giorno. Sarebbe stato questo gruppo, di cui avrebbe
fatto parte anche “Martedè”, ad uccidere Ernesto Subitoni? Il
giovane ufficiale della GNR era appena rientrato da Arona, dove era
stato destinato, quando, secondo la versione circolante in paese,
sarebbe stato ucciso in pieno giorno da quelli che un tempo erano i
suoi compagni, davanti ad un centinaio di persone, senza un apparente
motivo che non fosse quello politico. In pratica quelli che erano
stati gli amici di una volta non gli avrebbero perdonato il fatto di
essere passato dalla parte del nemico. Ma questa versione, come
sappiamo, non coincide con la testimonianza di Virginio Lucini e con
quanto dichiarato dagli stessi imputati al giudice Acotto durante
l'istruttoria del processo.
Un mese prima, il 5 maggio
1945, era stato ucciso, probabilmente per mano di elementi giunti da
Cremona, anche Giuseppe Grisoli, milite GNR con mansioni di guardia
notturna a Villa Merli, che aveva sposato una ragazza di Spinadesco.
Non si è mai saputo chi facesse parte di quel gruppo, a cui,
peraltro, viene attribuito anche l'omicidio di “Martedè”
avvenuto qualche giorno dopo. Le voci di paese sostengono che si
trattasse di un delitto su commissione, perpetrato da uno dei cinque
arrestati per l'omicidio Subitoni, ricompensato con la somma di 30
mila lire da parte di un misterioso individuo che Martedè”
ricattava per presunti rapporti d'affari poco leciti intrattenuti con
i tedeschi, di cui era venuto a conoscenza. Effettivamente i
carabinieri, nel corso delle indagini, il 4 gennaio 1952 fermano
questa persona, accusata di aver offerto 30 mila lire ad uno dei
cinque detenuti per la soppressione di “Martedè”, dopo non
essere riuscita a sopprimere personalmente il ricattatore sparandogli
una fucilata andata a vuoto. Le 30 mila lire, peraltro, non sarebbero
mai state versate. A detta dei testimoni questo “Martedè” doveva
essere un personaggio decisamente losco, con la cattiva abitudine di
entrare in negozi ed esercizi pubblici senza pagare il conto, ed
avrebbe ridotto in fin di vita un venditore di cocomeri per la misera
somma di 47 lire.
Negli stessi giorni a
Spinadesco si diffonde la notizia che, con l'individuazione degli
assassini di Subitoni, potrebbero essere assicurati alla giustizia
anche gli autori, che si ritiene siano abitanti in zona,
dell'uccisione dell'ingegnere Nino Mori, avvenuta a scopo di rapina.
Ufficialmente Mori venne fucilato dai partigiani a Bresso l'8 maggio
1945, ma il settimanale “Oggi” della Federazione cremonese del
partito democratico del lavoro in un articolo pubblicato il 6 gennaio
1946, offrì una diversa versione dei fatti. Non si sa esattamente
quando e per quale motivo l'ingegnere Mori si sarebbe allontanato da
Cremona ben prima del 25 aprile, ma di certo la mattina del 26 aprile
partì in macchina dalla villa di Farinacci in via Roma,
sul lungolago di Bellagio, che in quegli anni è sede del comando
tedesco del colonnello Erich Bloedorn rappresentante del generale
della Luftwaffe Wolfram von Richthofen, per essere poi bloccato da un
gruppo di partigiani con i fucili spianati nei pressi di Sesto San
Giovanni. Bellagio in quegli anni è sede delle ambasciate di quei
paesi che hanno riconosciuto la Repubblica di Salò: l'hotel
Gran Bretagna che durante il conflitto aveva cambiato nome in
“Albergo Grande Italia” ospita le Ambasciate di Ungheria,
Croazia, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Giappone e in un’ala
distaccata l’Ufficio del Cerimoniale degli Affari Esteri e il
Sottosegretariato all’Aeronautica Militare mentre Villa Serbelloni
e l’albergo Firenze sono occupati dal comando tedesco.
Festa partigiana alle colonie padane (Archivio Anpi Cremona) |
Mori si fermò,
mostrò i documenti cercando di giustificarsi, ma il fatto di
provenire proprio da Cremona, feudo di Farinacci, di guidare
un'automobile con disponibilità di carburante e di avere un regolare
permesso di circolazione non bastò a convincerli.Venne dunque fatto
scendere dall'auto e portato in un vicino edificio scolastico,
adibito temporaneamente a luogo di raccolta, in quanto i prigionieri
potevano liberamente ricevere visite ed intrattenersi con i
familiari. La notizia dell'arresto si diffuse a Sesto e giunse alle
orecchie anche di una cremonese, una certa Adalgisa Sandri, che dal
1930 gestiva un piccolo albergo nella località della cattura e
conosceva personalmente l'ingegnere Mori. La donna ottenne dunque con
una certa facilità il permesso di incontrare il detenuto, che gradì
molto la visita e chiese di poter avere qualcosa da mangiare, diverso
dal rancio abituale fornito ai detenuti.
Nel frattempo da Sesto San
Giovanni avevano telefonato al CLN di Milano chiedendo istruzioni sul
da farsi, ma la risposta in un primo tempo era stata tale da non
ammettere repliche: Mori era un gerarca troppo conosciuto e doveva
essere giustiziato al più presto. Ma, mentre stava per scadere il
termine stabilito, in soccorso di Mori al CLN di Sesto si
presentarono due persone, un uomo ed una donna, Celeste Ausenda ed
Arturo Amigoni, entrambi di “Giustizia e Libertà”, i quali
fecero presenti alcune circostanze che suscitarono qualche dubbio in
seno al tribunale rivoluzionario che aveva pronunciato la sentenza
capitale, e l'esecuzione venne procrastinata in attesa che da Cremona
giungessero ulteriori chiarimenti. Nel frattempo Mori rimase chiuso
nella sua camera in carcere, l'albergatrice cremonese due volte al
giorno gli portava uova e pane secondo le sue richieste. Il primo
giorno trascorse tranquillo: Mori era convinto che presto la sua
posizione sarebbe stata chiarita e tutto si sarebbe concluso nel
migliore dei modi. Ma nei giorni successivi la sua certezza si
incrinò ed il terzo giorno accusò forti dolori addominali, tanto
che la donna dovette portargli del laudano per lenire il dolore. Il
settimanale cremonese “Oggi”, attingendo le notizie da testimoni
locali, racconta come si svolsero successivamente i fatti: “Intanto
il C.L.N. di Milano aveva potuto mettersi in relazione con quello di
Cremona. La cosa fu aggiustata rapidamente: il tribunale popolare
milanese revocava la sua sentenza; Mori veniva reclamato dal C.L.N.
di Cremona, il quale l'avrebbe fatto rinchiudere in carcere per
deferirlo alla Corte straordinaria d'assise. Milano inviò a mezzo di
alcuni armati giunti in macchina, gli ordini opportuni a Sesto; ove
si presero le disposizioni del caso. Mori era abbattutissimo e
piangeva, quando vennero a portargli la notizia che stavano per
tradurlo a Cremona. L'annuncio lo consolò. Ringraziò l'albergatrice
che lo aveva assistito, prese in consegna alla porta una grossa borsa
in pelle che al momento dell'arresto gli era stata sequestrata e che
conteneva 150.000 lire e si avviò con la scorta armata.
Fiancheggiato da due partigiani, si assise sul seggiolino posteriore
della macchina. A fianco del conducente era un altro armato.
E qui comincia il dramma.
Testimoni oculari raccontano che l'auto si avviò a piccola velocità
alla volta di Milano; ma non aveva percorso che poche centinaia di
metri, quando svoltò bruscamente in una stradicciola laterale che
finiva nei campi. Qualcuno, incuriosito, si avviò in bicicletta
verso la stessa direzione e potè così, da lontano, assistere alla
scena. La macchina si era fermata mezzo chilometro lontano dalla
provinciale. Mori venne costretto a scendere. Uno dei suoi
accompagnatori gli fece deporre sull'automobile la ricca borsa
ch'egli portava sotto il braccio. In quel momento Mori intuì la
sorte che gli era riservata e piangendo e gridando disperatamente,
tentò di commuovere gli armati. Essi furono irremovibili e
tentarono, con la violenza, di spingerlo contro un albero. Il terrore
fece compiere a Mori un gesto insensato: tentò di darsi alla fuga.
Uno degli armati, imbracciato il mitra, sparò una raffica che lo
fece cadere. Era soltanto ferito. Urlando, egli si contorceva al
suolo. Uno della squadra, allora, si avvicinò al caduto e lo colpì
reiteratamente al capo con il calcio dell'arma. Poi risaliti sulla
macchina, la fecero retrocedere sino alla strada provinciale e
partirono rapidamente alla volta di Milano.
Partigiani ed abitanti di
Sesto, accorsero per porgere qualche soccorso: non c'era più nulla
da fare. Tra i presenti era il parroco di Sesto; il quale raccolse
tutto quel che Mori aveva nelle tasche, sia per procedere ad un
riconoscimento ufficiale sia per poter consegnare alla famiglia
quanto possibile. Nel portafogli trovò tre immagini sacre. Da qui la
convinzione del sacerdote che il morto fosse di sentimenti religiosi.
Provvide a sue spese all'acquisto del feretro e fece seppellire la
salma nel campo comune del Cimitero”.
Funerali dei partigiani caduti (Archivio Anpi Cremona) |
Fin
qui i fatti. I tre omicidi di Mori, Martedè e Subitoni vengono messi
in relazione tra di loro in quanto in paese si diffonde la voce che
tra i cinque arrestati per la soppressione di quest'ultimo vi sarebbe
anche il responsabile dell'uccisione del gerarca, ed un altro
coinvolto nello stesso delitto sarebbe stato denunciato a piede
libero. Secondo questa ricostruzione uno stesso movente legherebbe
dunque tra di loro i tre delitti: l'eliminazione di testimoni
scomodi, in quanto depositari di segreti che, se rivelati, avrebbero
potuto compromettere seriamente qualche personalità di spicco
all'interno del C.L.N. Il fulcro della vicenda è la misteriosa borsa
che portava con sè Nino Mori al momento dell'arresto. C'è chi parla
di una borsa, c'è chi di una busta gialla. Mori l'aveva con sé al
momento in cui da Bellagio, dove aveva pernottato nella villa di
Farinacci, si dirigeva verso una località sconosciuta, non di certo
a Cremona dove era assente da alcuni mesi. Si sa che l'ingegnere del
regime dopo l'8 settembre avrebbe espresso la volontà di ritornare
nell'esercito con il grado di maggiore del Genio: una comoda via
d'uscita per svincolarsi in qualche modo dalle compromissioni con
Farinacci riconquistando quella dignità militare che si era già
guadagnato nella prima guerra mondiale con una medaglia d'argento ed
altre decorazioni e con la partecipazione alla fondazione
dell'Associazione dei combattenti cremonesi. Cosa poteva contenere
quella borsa, di cui erano sicuramente a conoscenza i suoi carcerieri
che l'avevano sequestrata e trattenuta per tutto il periodo della
detenzione a Sesto, dal 26 aprile all'8 maggio 1945? Forse non
c'erano solo 150 mila lire, ma qualcosa d'altro, decisamente più
scottante, al punto da spingere il C.L.N. cremonese ad inviare a
Sesto due discussi personaggi come erano Celeste Ausenda e Arturo
Amigoni, militanti delle “Brigate Matteotti”, per trattare la
consegna di Mori. E chi erano i partigiani venuti da Milano con gli
ordini del C.L.N. meneghino per condurre il prigioniero a Cremona, ma
in realtà con il preciso scopo di eliminarlo, trafugando la
misteriosa borsa? A Spinadesco si sussurra che potessero essere gente
del posto, veri e proprio sicari. Di certo si sa che Arturo Amigoni
da Cremona, dove abitava in corso Pietro Vacchelli 21, si era
trasferito con la famiglia a Milano due giorni prima dell'esecuzione
di Mori, il 6 maggio del 1945, senza far più ritorno in città, come
risulta da una nota della Questura del 23 luglio 1955 e da una
successiva del 4 aprile 1957 (Ascr, Questura, fascicolo Sovversivi).