Per tener vivo l'interesse turistico
suscitato dalla mostra del Guercino, Piacenza si appresta ad ospitare
nel 2018 una grande mostra dedicata ad Annibale nei sotterranei del
palazzo Farnese, approfittando dell'assonanza con il 218 a.C. quando
il condottiero cartaginese sconfisse i Romani nella battaglia della
Trebbia. Cremona, che pure ad Annibale deve in fondo la sua stessa
esistenza, con scarsa originalità ha deciso di puntare tutto sui
personaggi del Novecento: don
Primo Mazzolari, Mina, Danilo Montaldi e il Premio Cremona”, il cui
appeal resta strettamente locale. Un'occasione persa per rinverdire,
esattamente a vent'anni di distanza, i fasti della grande mostra
archeologica della Postumia, quando la soglia di Santa Maria della
Pietà fu varcata da settantamila visitatori. E il materiale da
esporre di certo non manca. Basti pensare che abbiamo prestato un
elmo celtico in bronzo, proveniente da Pizzighettone, addirittura a
Barletta, nel cui territorio si trova Canne, per organizzare lo
scorso autunno, guarda un po', proprio una mostra dedicata al viaggio
di Annibale, dove il pezzo forte era rappresentato dalla corazza
dell'eroe cartaginese, proveniente dal museo del Bardo di Tunisi. La
stessa corazza che, prima di tornare in Tunisia, viaggerà con altri
pezzi celtici e romani alla volta di Piacenza. Insomma le due colonie
gemelle, fondate sulle sponde del Po per fronteggiare l'avanzata
dell'esercito cartaginese verso Roma, hanno diviso i loro destini
proprio su questa importante occasione, tale da fornire a Piacenza il
biglietto da visita ideale per candidarsi a capitale della cultura
per il 2020.
Quando
Annibale, nel settembre del 218 a.C., valicate le Alpi si presentò
nella Pianura Padana, trovò solo una città in grado di tenergli
testa: uno sperduto avamposto su uno sperone roccioso della riva
sinistra del Po, nel mezzo di un territorio occupato dalle tribù
galliche in rivolta, dove seimila spaventati coloni latini erano
stati inviati in tutta fretta per difendere i confini, dapprima
dall'aggressione dei riottosi galli Boi, e poi dalle soverchianti
truppe cartaginesi che, seppure decimate dall'inverno alpino, erano
pur sempre dotate di una fortissima cavalleria, dove spiccavano gli
elefanti. Cremona, come la gemella Piacenza, era stata fondata solo
qualche mese prima, secondo le ultime ricerche i primi di giugno del
218, anche se è possibile che fin dal 222 esistesse un avamposto
insediato in territorio gallico, dopo l'accordo stipulato con i
Cenomani. Erano momenti storici particolarmente convulsi, quelli a
cui fa cenno Tito Livio: nel 225 a.C. vi era stato un primo attacco
dei Galli nell'Italia settentrionale a cui Roma aveva risposto
inviando un contingente di 80.000 uomini, forniti anche dagli alleati
latini, dando il via alla prima iniziativa militare aldilà del Po.
Nel 222 Marco Claudio Marcello aveva sconfitto i Galli Insubri ed
ucciso il loro capo Vertomaro, ottenendo di conseguenza la
disponibilità di un vasto territorio. Secondo Polibio, invece,
sarebbe stata proprio la notizia dell'imminente arrivo di Annibale
nella Pianura Padana a spingere i Romani a stringere i tempi per la
deduzione delle colonie, dando un mese di tempo ai coloni per
raggiungere il luogo loro indicato che, evidentemente, era in qualche
modo già noto.
Annibale contempla l'Italia dalle Alpi (F. Goya, 1771) |
La
situazione, però, ben presto, precipita. Nel maggio del 218 Annibale
aveva lasciato la penisola iberica con un esercito di 90.000 fanti e
12.000 cavalieri, oltre a 37 elefanti. Il
condottiero cartaginese doveva muoversi in fretta se voleva
sorprendere le forze di Roma ed evitare l'attacco diretto a
Cartagine; Annibale intendeva combattere la guerra sul territorio
nemico e sperava di suscitare con la sua presenza in Italia alla
testa di un grande esercito e con una serie di vittorie una rivolta
generale dei popoli italici recentemente sottomessi da Roma. Il
piano predisposto dai romani prevedeva invece che i fratelli Publio
Cornelio Scipione e Gneo Cornelio Scipione attaccassero Annibale
mentre era ancora in Spagna, facendo leva sulle popolazioni locali, e
nel frattempo fossero rafforzate le due colonie latine dedotte sul
Po, Piacenza e Cremona. In questo contesto la notizia dell'imminente
arrivo in Italia di Annibale, spinge i Galli Boi, già adirati per le
assegnazioni agrarie ai nuovi coloni, a tentare un'azione armata con
il sostegno degli Insubri nei confronti sia dei due insediamenti
padani, che verso le terre occupate intorno ai due nuclei abitati,
costringendo i coloni a fuggire verso est riparando a Mutina
(Modena), rimasta interamente sotto il controllo romano, che viene
stretta d'assedio. Tra i coloni che avevano trovato scampo a Mutina
vi erano anche i triumviri incaricati dell'organizzazione della
colonia di Piacenza, Publio Cornelio Scipione Asina, Papirio Masone e
Gneo Cornelio Scipione. I tre deductores cremonesi, invece, Caio
Lutazio Catulo, Caio Servilio Gemino e Marco Annio, che tentano di
trovare un accordo con i Boi, vengono invece fatti prigionieri dai
Galli ed a nulla serve un tentativo di liberarli compiuto dal pretore
Lucio Minucio con la legione Quarta che, a sua volta, viene
intrappolata dai Boi nella località di Tanneto, costringendo Roma ad
inviare un altro contingente armato sotto la guida di un pretore, che
però non riesce a liberare la legione prigioniera. I Boi, qualche
mese dopo, offriranno i tre ostaggi ad Annibale che però consiglierà
loro di tenerli in serbo in vista di uno scambio con prigionieri
galli in mano dei romani. Tito Livio, che con Polibio si occupa di
queste vicende, aggiunge anche una notazione curiosa e pungente sulla
presunta pigrizia dei Celti, incapaci di sostenere l'assedio alla
città e di bloccarne le vie di accesso.
Elmo bronzeo trovato a Pizzighettone (seconda metà del III sec. a.C.) |
Alla
fine di settembre Annibale raggiunge la Pianura Padana e si accampa
ai piedi delle Alpi per far
riposare le truppe, impegnate per quindici giorni
nell'attraversamento della catena montuosa e quasi dimezzate nei loro
effettivi. Qui cerca di stringere un'alleanza con i Taurini, che si
erano ribellati agli Insubri senza peraltro fidarsi troppo dei
Cartaginesi, ma, non essendo riuscito nell'intento, stringe d'assedio
la città di Taurasia, che dopo tre giorni capitola. Molti degli
abitanti vengono messi a morte in modo da costringere le popolazioni
limitrofe alla sottomissione. Una volta ottenuta la fedeltà delle
numerose tribù celtiche Annibale decide di avanzare verso la
pianura, ma viene a sapere che il console Publio Cornelio Scipione lo
ha preceduto e lo attende a nord del corso del Po. Publio Scipione,
infatti, una volta inviato il fratello Gneo in Spagna con la flotta e
parte delle truppe, era ritornato in Italia, sbarcando a Pisa, ed
attestandosi a Piacenza. Entrambi si apprestano a darsi battaglia,
increduli per la rapidità dimostrata dall'avversario nei repentini
spostamenti, avanzando lungo le sponde opposte del Ticino. Dopo due
giorni di marcia, orami vicini, piantono gli accampamenti ed i
romani, secondo Tito Livio, costruiscono anche un ponte sul Ticino,
difendendolo con una fortificazione. Ne approfitta Annibale che,
mentre i romani sono impegnati in queste operazioni, invia il suo
generale Maarbale con una schiera di 500 cavalieri Numidi a devastare
i campi delle tribù alleate dei romani, ordinando di risparmiare i
Galli, in modo che i loro capi potessero in seguito defezionare a
favore di Cartaginesi.
Lo
scontro avviene a Viginti Columnae, una località non lontano
dall'attuale Vigevano, verso la metà di novembre: i romani si era
accampati a poco più di sette chilometri da Victumuli (forse
l'odierna Lomello) dove a sua volta era accampato Annibale che,
intuendo l'approssimarsi della battaglia, aveva richiamato in tutta
fretta la cavalleria numida. Si trattò, in realtà., di uno scontro
improvvisato, in quanto Scipione era andato in avanscoperta con i
propri cavalieri romani e celti per spiare le condizioni
dell'esercito nemico, senza immaginare che anche Annibale stava
facendo la stessa cosa guidando la cavalleria numidico-iberica. Le
due cavallerie si scontrarono frontalmente, dando vita ad un
combattimento che per lungo tempo rimase equilibrato. Quando però i
Numidi operarono l'accerchiamento alle "ali", caricando i
soldati romani alle spalle, i velites,
che inizialmente avevano evitato l'urto dei cavalieri nemici, vennero
schiacciati dall'impeto numida. Gli altri, una volta assaliti alle
spalle, si diedero alla fuga, disperdendosi, altri si strinsero
attorno al console che, gravemente ferito, fu portato in salvo a
Cremona Il resto dell'esercito romano raggiunse Piacenza, dopo aver
sciolto le corde che legavano l'estremità del ponte sul Ticino, in
modo da ritardare l'avanzata delle truppe cartaginesi. Annibale, dopo
aver fatto circa 600 prigionieri, con due giorni di marcia riuscì a
far passare il grosso dell'esercito cartaginese a sud del Po, sopra
un ponte di barche, e pose l'accampamento a sei miglia da Piacenza,
senza tuttavia forzare l'assedio alla città.
Un
nuovo scontro avvenne il 18 dicembre sul fiume Trebbia. Dopo la
battaglia del Ticino negli accampamenti romani vi era stata la
rivolta degli ausiliari Galli che, dopo aver massacrato le sentinelle
romane, in 2.000 fanti e 200 cavalieri erano passati dalla parte di
Annibale. Scipione, prevedendo una rivolta generale, seppur ancora
sofferente per la ferita riportata al Ticino, mosse da Cremona per
spostarsi verso il fiume Trebbia in posizioni più elevate e
collinari per meglio ostacolare la cavalleria cartaginese, e costruì
un campo fortificato in attesa dell'arrivo delle legioni di Tiberio
Sempronio Longo. Annibale, preoccupato per la scarsità dei viveri a
disposizione all'approssimarsi dell'inverno, aveva occupato
Clastidium, la fortezza-dispensa dove i Romani tenevano grandi
riserve di viveri, in particolare di grano, grazie al tradimento del
prefetto Daesio.
Spada celtica ritrovata a Romanengo |
Inizialmente
i Galli che abitavano la regione tra la Trebbia e il Po, di fronte a
uno scontro tra popolazioni tanto potenti, preferirono mostrarsi
amici di entrambi. I Romani che lo sapevano, ne tollerarono il
comportamento, per evitare di avere ulteriori difficoltà. Ad
Annibale invece spiaceva moltissimo poiché diceva di essere venuto
in Italia per liberarli dal giogo romano, ma, per procurarsi i mezzi
di sussistenza necessari all'esercito, aveva saccheggiato tutto i
villaggi fino alla sponda destra del Po. I Galli avevano allora
richiesto aiuto ai Romani, ma Scipione, dopo la rivolta negli
accampamenti e ricordandosi del fatto che i Boi qualche mese prima
avevano consegnato ad Annibale gli agrimensori cremonesi venuti a
spartire le terre, non si fidava di loro. Tiberio Sempronio Longo,
invece, che aveva affrontato vittoriosamente i cartaginesi in un
primo scontro sul Trebbia in difesa degli alleati Galli, premeva per
la soluzione veloce, probabilmente anche perché l'anno consolare
volgeva alla fine e quindi la gloria, e i relativi vantaggi politici,
di una vittoria su Annibale sarebbero toccati ai consoli successori.
Publio Cornelio Scipione, ferito, cercava di prendere tempo, sia
perchè riteneva che le legioni sarebbero state maggiormente
preparate se avessero affrontato durante l'inverno un sufficiente
addestramento, sia perchè sperava che i Celti, vista la forzata
inattività dei Cartagine, avrebbero potuto voltar le spalle ad
Annibale. Quest'ultimo, sebbene la pensasse quasi allo stesso modo di
Publio Scipione, desiderava scontrarsi con i Romani il prima
possibile: prima di tutto per meglio sfruttare l'ardore degli alleati
Celti, almeno fino a quando gli fossero stati fedeli; in secondo
luogo poiché le legioni romane erano state appena arruolate e poco
addestrate e terzo, perchè sapeva che Publio, il migliore dei due
consoli, era ancora ferito e non avrebbe potuto partecipare alla
battaglia. Per questo motivo, quando seppe dagli esploratori mandati
in avanscoperta che i Romani si apprestavano alla battaglia, il
Cartaginese decise di giocare d'astuzia scegliendo un punto tra i due
accampamenti dove si trovava una pianura priva di alberi, ma adatta
ad un'imboscata, con un corso d'acqua dalle alte sponde, dove
cresceva una vegetazione rigogliosa che gli studiosi hanno
individuato ad est di Gazzola nei pressi di Rivalta. Qui fece
nascondere le sue truppe, mandando il fratello Magone con la
cavalleria numidica a provocare i Romani gettando dardi contro i
posti di guardia. Sempronio cadde nel tranello, attraversando il
fiume con tutta la cavalleria, la fanteria leggera e tutto il resto
dell'esercito. Fu un strage: 10.000 soldati romani , stanchi,
affamati, bagnati, ma compatti, riuscirono a ritirarsi in buon ordine
a Piacenza. Dei resti dell'esercito romano una parte fu sterminata
nei pressi della Trebbia dai cavalieri e dagli elefanti di Annibale,
mentre indugiava a ripassare il corso del fiume gelido. La cavalleria
e parte della fanteria romana riuscì inizialmente a tornare
all'accampamento e poi, visto che le forze cartaginesi non riuscivano
a passare il fiume per la stanchezza, irrigiditi dal freddo, oltreché
dal disordine, a raggiungere Piacenza guidate da Publio Cornelio. Una
parte dei Romani, infine, si spostò a Cremona, per non gravare con
tutto l'esercito sulle risorse di una sola colonia.
La tomba celtica di Offanengo |
Annibale
non si curò più delle due colonie e proseguì la sua discesa
dell'Italia, contando sul fatto che le tribù galliche dei Boi e
degli Insubri si sarebbero, come avvenne, nuovamente ribellate,
costringendo Piacenza e Cremona a resistere ad oltranza, creando
ostacoli agli arruolamenti di Galli da parte dell'esercito
cartaginese, ritardando la marcia di Asdrubale che, nel 207, ritentò
l'impresa del fratello cingendo d'assedio Piacenza senza ottenere
alcun risultato, ma rinunciando ad attaccare Cremona, protetta dal Po
verso tutti gli assalti provenienti da sud. Nonostante il prolungarsi
della guerra finisse con il minare la volontà di resistenza degli
alleati, e si moltiplicassero le defezioni dei coloni, le due colonie
gemelle resistettero ancora, fino al 206, quando i loro inviati
posero davanti al Senato la questione dell'impatto che il conflitto
aveva avuto sulle due comunità. Il senato si limitò ad ordinare ai
coloni di rientrare, inviando in aiuto un pretore con un nuovo
contingente militare. Il conflitto andò avanti e la guerra finì
con il mutare il destino che fino ad quel momento aveva accomunato le
due colonie. Nel 200 a.C. l'esercito cartaginese guidato da
Asdrubale, unitosi ai Celti, compresi gli stessi Cenomani, mise a
ferro e fuoco Piacenza, massacrando due terzi dei coloni che la
abitavano, ma nulla potè contro Cremona, dove resistevano ancora gli
abitanti protetti dalle strutture difensive, in attesa del soccorso
che di lì a poco sarebbe arrivato con l'arrivo di un nuovo esercito
consolare guidato da Lucio Furio. Nella furiosa battaglia in campo
aperto, dove trovarono la morte Asdrubale e tre capi gallici, ebbero
la meglio i Romani, che riuscirono a liberare duemila ostaggi
catturati dai Galli a Piacenza. Annibale, sconfitto a Zama nel 202,
si era ormai ritirato nella sua Cartagine. Per anni si è ritenuto
che il luogo dello scontro fosse il quartiere Battaglione, anche se
la notizia è priva di qualsiasi fondamento.
Numerosi
sono invece i ritrovamenti archeologici che testimoniano la presenza
del Celti nel nostro territorio ed il loro rapporto con i coloni
romani. Per la fase più antica, tra il IV ed il III secolo a.C. si
sono individuati nove ambiti con una distribuzione geografica lungo
il corso del Serio, del Po e dell'Oglio. Spiccano poi i ritrovamenti
di Pizzighettone con la presenza di una serie di elmi ritrovati nelle
acque del fiume Adda, e quello di Rivolta d’Adda rappresentato dal
tesoretto di dracme padane del terzo quarto del II secolo a.C. Vi è
poi la tomba con il corredo di guerriero di Romanengo riconducibile
alla seconda metà del III secolo a.C. ad un’area probabilmente
sotto il controllo degli Insubri e la necropoli della Cascina Venina
ad Isengo.