Novecento anni fa, il 3 gennaio 1117,
l'evento che cambiò il volto della nostra città. Sappiamo dalle
cronache che il terremoto del 1117 è stato uno dei più forti e meno
compresi eventi sismici dell'Italia, anche se i suoi effetti si sono
sentiti in un'area dell'Europa che va da Reims a Montecassino, al
punto che l'evento rimase talmente impresso nella memoria dei
contemporanei che nei documenti notarili il terremoto veniva citato
come termine temporale ancora settant'anni dopo.
L'epigrafe con i profeti Enoc ed Elia |
Cremona è peraltro
una delle poche località, per non dire l'unica, per le quali ci
siano giunte notizie contemporanee certe relative ai danni provocati
dal sisma. Queste notizie, in sostanza, ci raccontano che in
occasione del terremoto avvenuto alle 17 del 3 gennaio 1117 la
cattedrale crollò, ed il corpo del santo protettore Imerio rimase a
lungo sotto le macerie, sino a quando fu ritrovato,dodici anni dopo,
nel maggio 1129 ed il vescovo Oberto lo pose al sicuro. A tale
proposito, ormai quasi una decina di anni fa, nel 2007, sulla rivista
“il Quaternario”, il sismologo Paolo Galli, esperto del
dipartimento della protezione civile dell'Ufficio sismico nazionale
dell'Istituto di geologia e geoingegneria del CNR di Roma, ha preso
in analisi il fenomeno, contestando la sua ubicazione epicentrale nei
pressi di Verona e sulla base di un completo riesame delle fonti e
dei risultati storici dei sismi antichi, ha proposto un quadro degli
effetti che permette di ipotizzare un secondo epicentro nell'area
basso-padana, con ogni probabilità ubicato proprio nel cremonese.
Galli, dunque, partendo dal fatto che la cattedrale, in tutto o in
parte, crollò, si è chiesto se sia possibile trovare oggi dei
riscontri oggettivi o degli indizi di quel sisma ancora al loro
posto. E qui abbiamo la prima sorpresa. Prendendo infatti in
considerazione i resti archeologici messi in luce negli anni scorsi
dagli scavi della Soprintendenza archeologica della Lombardia, ed
interpretandoli in chiave “archeosismica” ha dimostrato come
siano facilmente contestabili le varie opinioni sulla sua
ricostruzione, mostrando come la chiesa attuale non è quella del
1107 e nemmeno quella danneggiata dalle scosse del 1117. Nel corso
degli scavi eseguiti nella cripta del duomo tra il 1988 ed il 2000.
infatti, sono stati rinvenuti materiali e mosaici pavimentali
contemporanei a quelli del Camposanto dei Canonici. Entrambi i
pavimenti appartengono a due distinti edifici a cui si è sovrapposta
l'attuale cattedrale romanica, ad una quota di circa tre metri sotto
quella della pavimentale attuale. Le stratigrafie effettuate e le
caratteristiche stilistiche rilevate collocano i mosaici ad una data
vicina, ma anteriore al 1117, e testimonierebbero la prosecuzione del
progetto architettonico del complesso iniziato nel 1107 secondo la
tipologia delle chiese doppie, tipica del periodo medievale, presso
le sedi episcopali, come Cremona era almeno a partire dalla metà del
V secolo. “Non è ragionevole pensare che l'aula del prezioso ciclo
a mosaici del Camposanto – sostiene Galli – sia stata progettata
o, men che mai, eseguita contemporaneamente alla cattedrale romanica,
dal momento che quest'ultima si sovrappone alla prima. E' cioè molto
più verosimile credere che essa fu edificata (in toto o in parte)
seguendo una prima fase progettuale (iniziata nel 1107) e subito
abbandonata per un motivo di forza maggiore (il terremoto)”.
Secondo l'ipotesi di Galli, dunque, queste chiese, tra cui la
principale a cui si riferisce la frase sibillina contenuta
nell'epigrafe di fondazione “quae media videtur”, sarebbero
crollate con il terremoto del 1117, ed i loro ruderi dovettero
persistere a lungo sul luogo, se, come sappiamo da Sicardo, il corpo
di Sant'Imerio potrà essere recuperato solo nel 1129, cioè dopo
dodici anni dal crollo.
Le absidi del duomo di Cremona |
La serie di frammenti di fregi e
sculture oggi incastonata sotto la Bertazzola, nel cortiletto del
Torrazzo e riutilizzati nel transetto settentrionale appartengono ai
portali della cattedrale iniziata prima del terremoto, e salvati in
parte dal crollo, smontati, rimodellati e rimessi in opera. Con il
novo cantiere si sarebbe poi abbandonato il progetto primitivo
dell'impianto a due aule procedendo alla costruzione di un'unica
cattedrale romanica a tre navate, con grandi transetti la cui
estensione avrebbe ricoperto l'area di tutte le costruzioni
precedenti, compresa la nuovissima aula con il mosaico del Camposanto
e la stessa Canonica. Il lungo lasso di tempo trascorso tra il
terremoto e la rimozione delle macerie, secondo Galli, potrebbe
essere proprio giustificato dal ripensamenti del progetto di tutto il
complesso episcopale, la cui costruzione venne terminata nel 1196
quando il corpo del santo protettore potrà essere nuovamente
traslato nella nuova cattedrale.
La cattedrale odierna, dunque, non
avrebbe nulla a che vedere con il tempio iniziato a costruire nel
1107 dal vescovo Gualtiero. Effetti devastanti, dunque, quelli
arrecati dal terremoto, al punto da costringere gli architetti del
tempo a ripensare l'intero progetto.
Ma nelle altre città dell'area padana
cosa era successo? La cattedrale di Nonantola subì probabilmente
solo il crollo delle coperture, quella di Parma, consacrata nel 1106,
secondo Quintavalle non presenterebbe ricuciture di materiali o
ripensamenti progettuali dovuti al terremoto. La cattedrale di
Piacenza, per la quale non esistono testimonianze contemporanee,
sarebbe stata ricostruita solo cinque anni dopo il terremoto, nel
1122. Quella di Fidenza, ricostruita sulle spoglie di quella ormai
cadente del IX-X secolo, era stata probabilmente già consacrata nel
1106, prima di essere ristrutturata dall'Antelami e nuovamente
consacrata nel 1207. A Modena, infine, nessuna fonte storica
documenta danni alla città e alla cattedrale: la cattedrale venne
fondata nel 1099 sui resti di una basilica più antica e nel 1106 era
già stato consacrato l'altare, anche se per alcuni storici si
trattava di quello della cripta, terminando la costruzione nel 1184.
Effettivamente, però, 85 anni per costruire un edificio decisamente
più piccolo di quello cremonese sembrano un po troppi, a meno di non
pensare ad un'interruzione dei lavori forzata. Appare chiaro, secondo
Galli, che si potrebbe prefigurare “l'attivazione di una struttura
sufficientemente grande e vicina a Cremona da causare il crollo del
complesso episcopale e, eventualmente, da provocare danni nelle città
limitrofe”. Questa andrebbe ricercata tra quelle per le quali
esiste un indizio di attività, aree di circa 10-20 chilometri
potenzialmente capaci di generare eventi caratterizzati da una forte
capacità distruttiva locale e di un forte risentimento. “Tra
queste – suggerisce Galli – quella di Piadena sembrerebbe essere
stata attiva in tempi storici, ed eventualmente postromani, con una
deformazione areale in superficie sufficiente a spingere il corso del
Po e dell'Oglio a nord. Tale fenomeno potrebbe essere ipoteticamente
connesso all'occorrenza di un epicentro locale della sequenza del
1117”. In seguito al sisma il Po si sarebbe discostato di molto dal
livello fondamentale della pianura, ampliando la sua valle da 600 in
metri in prossimità del capoluogo, fino agli oltre dieci chilometri
a Casalmaggiore, e l'assenza delle tracce di centuriazione romana in
questa zona, cancellate dalla migrazione del Po, fornirebbe un
ulteriore indizio cronologico su quando il fenomeno sia avvenuto in
epoca medievale.
L'interno del duomo di Cremona |
Testimonianze scritte del terremoto del
3 gennaio 1117 compaiono per ben 64 località dell'Europa, ma gli
effetti del sisma nell'area veneto-lombardo emiliana, quella più
prossima all'epicentro, non furono tutti uguali. A Cremona, ad
esempio, contrariamente a quanto ritiene Galli, gli effetti non
sarebbero stati così disastrosi. Uno studio in questo senso è stato
effettuato, contemporaneamente al saggio di Galli, dall'architetto
Fausto Ghisolfi (Bollettino Storico Cremonese, Nuova Serie, XII,
2005, pubblicato nel 2007), che ha ricostruito gli interventi
strutturali resisi necessari in seguito ai crolli. Innanzi tutto non
è accertato che il corpo di Sant'Imerio fosse già stato deposto nel
nuovo edificio in fase di edificazione, perchè la traslazione poteva
anche non essere ancora avvenuta, in quanto un altare dedicato a S.
Imerio è già documentato nel 1124 e poteva trovarsi in qualche
altro ambiente del complesso ecclesiastico. Il palazzo episcopale,
inoltre, risultava agibile negli anni immediatamente successivi al
sismi, in quanto figura utilizzato per tenervi un'investitura il 18
giugno 1118 ed un'altra il 21 gennaio 1120. La possibilità che la
cattedrale, seppur danneggiata, conservasse la sua identità
monumentale, troverebbe conferma nella cerimonia di giuramento tenuta
dai militi di Soncino il 19 giugno 1118 davanti alle sue porte. Il
ritardo nella ripresa dei lavori successivi all'evento sismico
sarebbe giustificata dai numerosi impegni del nuovo vescovo Oberto da
Dovara, giunto subito dopo i fatti, assorbito nella riappropriazione
delle proprie prerogative, dopo anni in cui la sede episcopale era
stata vagante.
Per quanto riguarda il consolidamento
strutturale intervenuto dopo il terremoto restano tracce sia nella
facciata, che nell'interno e nella zona absidale. Forse non vi siete
mai fermati ad osservarle, ma sono abbastanza evidenti. “Per
esempio – osserva Ghisolfi – nelle quattro arcate... poste ai
lati del protiro alla base della facciata, si riconosce che il
rivestimento lapideo che le tampona e le annulla, presenta
incoerenze, dovute alla maggiore frammentarietà dei conci marmorei
ed al trattamento più grossolano delle superfici, eccettuate le
parti levigate che sono chiaramente integrazione successiva; non a
caso, proprio in tale zona tamponata, nell'arcata intermedia di nord
a sinistra del protiro, si ritrovano perfettamente connesse con i
conci adiacenti le lastre con il rilievo del peccato originale e la
cacciata dal paradiso terrestre, che gli studiosi concordemente
riconoscono come elementi frammentari di reimpiego provenienti da
qualche zona della Cattedrale danneggiata o da qualche elemento
smantellato a seguito del terremoto”.
Anche l'andamento dei pilastri
cilindrici della navata maggiore è testimone silenzioso del dissesto
portato dal terremoto, soprattutto per quanto riguarda la
disposizione in contrasto con le modanature verticali della parte
superiore, dove si perde il caratteristico ritmo alternato del
romanico lombardo: “evidentemente – osserva Ghisolfi – la
necessità di consolidare le zone compromesse o danneggiate dal siam
ha prevalso sulla esigenza di mantenere il ritmo alternato
tipicamente lombardo, del quale si è voluta mantenere la parvenza
mediante la diversità del pilastri circolare rispetto a quello
composito, ma con un esito greve che non è sicuramente compatibile
con l'equilibrata cadenza originaria”. I pilastri cilindrici
presenti nei transetti, uniformi nelle proporzioni e nelle modanature
della base, potrebbero invece essere riconducibili alla
riedificazione dei sostegni dei transetti, conseguenti alla volontà
di dare una maggiore solidità alla costruzione.
All'esterno colpisce la discontinuità
delle due torrette absidali che non sono innestate, come sarebbe
logico, sulle strutture scalari sottostanti provenienti dai matronei,
collocate nella muratura alla congiunzione interna fra le absidi, ma
disassate e arretrate contro la parete di fondo che, evidentemente, è
collegata alla fase della ricostruzione. Una variazione nella trama
muraria si rileva anche nella parte inferiore delle scale nella
sezione prismatica, rispetto alla seconda fase dei lavori, circolare.
La variazione al progetto originale è visibile anche nei raccordi
dell'abside maggiore con quelle laterali che abbracciano le strutture
scalari abbandonando il profilo curvi dell'abside e sono realizzati
in modo sommario e asimmetrico sui due lati: “quello meridionale è
rettilineo e occulta dall'esterno l'organismo della scala, mentre il
raccordo settentrionale è sagomato e lascia intuire il volume, come
un rigonfiamento, della scala interna ascendente che preesisteva. “La
modalità costruttiva – osserva Ghisolfi- sembra trasmettere
l'esigenza di trovare comunque una soluzione staticamente
accettabile, senza affrontare il problema della coerenza formale,
prassi esecutiva testimoniata anche dalla conformazione delle cornici
terminali marmoree dei raccordi murari, che costituiscono l'imposta
della galleria sommitale dell'abside, realizzate in modo sommario e
irregolare. Questo dimostra che il tardo intervento non riguardò
soltanto la vasta parete di fondo in mattoni con le nuove torri
scalari, ma realizzò un lavoro complesso: il rivestimento in conci
lapidei delle absidi, un guscio di rinforzo che, concluso dalle
gallerie, caratterizza l'immagine attuale dell'insieme. E' perciò da
presumere che il terremoto abbia seriamente compromesso la zona
orientale tanto da determinare la necessità di realizzare un solido
involucro esterno delle tre absidi, che avvolge l'originaria
struttura in mattoni, mentre la parte sommitale è stata
completamente ricostruita partendo dalla base, agli estremi laterali
del complesso, dove sono stati costruiti robusti contrafforti in
pietra, conclusi in sommità con terminazione orizzontale,
leggermente rialzata, che lascia intuire l'intenzione di realizzare
ulteriori torrette angolari”.
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