Una
mostra sulla “Galleria d'arte Renzo Botti” che per oltre un
decennio, dal 1965 al 1976 ha rappresentato un punto di incontro fra
le più importanti proposte artistiche del tempo con apporti di
artisti stranieri e mostre che spesso hanno costituito un'anteprima
rispetto ai circuiti ufficiali. In occasione dei cinquantanni dalla
nascita di quell'esperienza l'Archivio di Stato offre da oggi
all'attenzione del pubblico un'esposizione con il materiale donato da
Gabriella Montaldi Seelhorst, curata da Donatella Migliore.
Cataloghi, riproduzioni delle opere, fotografie, anche se sarebbe
fuorviante vedere nell’apertura della “Galleria d’arte Renzo
Botti” in corso Campi 30 a Cremona, un vezzo o un progetto slegato
dall'attività politiche, in quanto il gruppo che si era costituito
nel 1965 era legato e connesso a esperienze e discussioni che
vedevano Danilo Montaldi da un lato già impegnato sui quei temi
politici e ideologici che avevano portato alla pubblicazione di
“Milano-Corea”, dall'altro in contatto con il gruppo di “Nuova
Figurazione” di Brera e interessato al tema dell'arte considerata
come una delle “forme di coscienza” della realtà storica e
sociale.
Il
rapporto di Danilo Montaldi con l’arte si articola attraverso
incontri e amicizie con artisti molto diversi tra di loro: il pittore
cremonese Renzo Botti, personaggio pressoché sconosciuto al di fuori
di Cremona, o un artista più noto, come Giuseppe Guerreschi, pittore
milanese con il quale Montaldi ha avuto uno scambio epistolare molto
intenso tra il 1963 e il 1975, anno della morte di Montaldi. È nel
1965 che Danilo Montaldi, insieme ad Ambrogio Barili, fonda il Gruppo
d’Arte Renzo Botti e apre una galleria nel centro di Cremona, in
corso Campi, la galleria Renzo Botti. “Quello che vogliono fare
certi miei amici (tra i quali l'Ambrogio che conosci) – scrive
Montaldi in una lettera del 20 febbraio 1965 all'amico Mino Ceretti –
sono delle mostre d'arte contemporanea per il momento impostate sulla
grafica (disegni, incisioni, ecc.), tenendo conto, cioè, della
risposta che può dare il mercato, e per poter stare entro certe
spese che assicurino una continuità all'iniziativa. Iniziativa, alla
quale aderisco, che tende a riformare un gusto dopo i disastri
provocati dal dilettantismo di questi anni e dal falso antiquariato.
C'è da rimetterci quattrini, tempo e fegato, ma vale la pena di
farlo. Che cosa ne pensi? Il locale è al centro della città, un
interno. Può ospitare una ventina di pezzi. Abbiamo pensato di
cominciare con Ceretti, Vaglieri, Guerreschi, e vorrei quindi
palartene presto per poter mettere in movimento la cosa entro un mese
massimo, se possibile. Scrivimi che cosa ne pensi, oppure ne parliamo
ai primi di marzo, quando vieni. Non ci facciamo molte illusioni
sulle vendite, anzi nessuna, ma darà quello che darà. Soldi qui ne
sono stati spesi molti, in porcherie. Perchè non con del materiale
di qualità?”.
Furono
i disegni di Botti, raccolti scrupolosamente da Montaldi a
suggerirgli, come ricorda Fabrizio Merisi, “ad aprire, più che una
galleria, una piccola finestra sul mondo, per ricollegarli con la
'Città' (me ne ha dato anche recentemente conferma Ambrogio Barili,
a cui Montaldì indirizzò la proposta iniziale di aprire la
'galleria Botti' e che poi di fatto ne fu il conduttore per più d'un
decennio)”. L’esperienza della galleria continua fino
all’improvvisa morte di Montaldi. La galleria da subito vuole
essere un luogo di incontro e discussione. La sua programmazione in
origine doveva essere principalmente dedicata alle mostre di opere
grafiche. Ma gli interessi e le attività di Montaldi nell’ambito
dell’arte sono estremamente variegati e questo si traduce in un
programma espositivo molto interessante e originale.
Si
comincia col battezzare la galleria con il nome di un artista
anarchico e in conflitto con la città stessa – per un periodo
Botti si era auto-esiliato in una baracca sul Po, perché non voleva
più vivere a Cremona. Si continua, poi, con l’esporre le opere di
un gruppo di giovani artisti milanesi, appartenenti alla corrente del
realismo esistenziale, tra i quali, appunto, Giuseppe Guerreschi. Ma
la galleria ha ospitato anche artisti internazionali, ad esempio
un’esposizione di giovani artisti di Mosca nel 1967. Tra questi
figura Ilja Kabakov, il quale, proprio in quell’anno, prende in
affitto una mansarda nel centro di Mosca, che diventa il centro della
scena artistica dissidente. Nel ’68 viene allestita una mostra con
una serie di manifesti prodotti all’interno dei movimenti
studenteschi parigini, italiani e tedeschi. E nel ’70 si organizza
l’esposizione della collezione personale di Danilo Montaldi, delle
stampe popolari francesi ottocentesche di Épinal. Ricorda ancora
Fabrizio Merisi: “Naturalmente, la decisione di rivelare Botti al
mondo conteneva in sé il progetto di cercare, trovare, promuovere i
possibili intrecci con i pittori che in quegli anni portavano avanti
ideali analoghi, e operavano per renderli vitali attraverso un
linguaggio nuovo ed autonomo. I frutti, indubbiamente, ci sono stati.
Basta scorrere il calendario delle mostre che si sono susseguite
negli anni Sessanta e Settanta alla 'Botti'. Salta agli occhi
immediatamente un panorama di estrema compattezza, una sensazione di
necessità: vista a posteriori l'attività svolta sembrerebbe
obbedire a una programmazione rigorosa. In verità nulla alla 'Botti'
è nato come preordinato, per lo meno secondo i canoni
cultural-burocratici (è ancora Ambrogio Barili a darcene
indubitabile testimonianza). Ogni mostra nasceva come una sorta di
concrezione organica; si sviluppava, diversificandosi, da quella
precedente, frutto di rapporti determinati dalla naturale forza
d'attrazione d'un ben avvertibile, anche se non dichiarato,
orientamento, d'una tensione ideale condivisa d'istinto da tutti i
componenti del gruppo”.
L'inaugurazione
della galleria, nel giugno 1965, fu affidata ad una mostra Mino
Ceretti, cui seguirono Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoni,
Gianfranco Pardi, Tino Vaglieri, Gianfranco Ferroni. Nel 1967, tra
gli altri, è la volta dello scultore Luigi Grosso, del pittore e
incisore berlinese Peter Ackermann, Attilio Steffanoni e Attilio
Forgioli, poi nel 1969 dello scultore tedesco Joachim Schmettau Tra
il giugno '65 ed il novembre '75 la galleria allestì ben nove mostre
di Renzo Botti, l'ultima “Ritratti” dopo la scomparsa di
Montaldi, avvenuta il 27 aprile nelle acque del fiume Roia presso il
confine italo-francese. Ma a proposito della prima mostra, che
inaugura una serie di esposizioni a tesi per illustrare il difficile
rapporto tra l'artista e la città, lo stesso Montaldi scrive il 30
gennaio 1967: “Qui ha dato fastidio perchè stiamo – noi –
prendendo Botti sul serio mentre loro, «loro», magari hanno in casa
un quadretto con due vacche e un asino, e lo tengono come un cimelio,
e si vantano d'averlo pagato, allora, come due lire e mezza. Mentre
per noi Botti, è un pittore, un uomo che pensa e vede. Neanche sul
giornale hanno fatto una recensione. Ma lo sapevamo che sarebbe stato
così, lo immaginavamo”. Ed è ancora Fabrizio Merisi che ricorda
le fasi concitate dell'allestimento: “Facevamo dei veri e propri
piani strategici sia per individuare, attraverso i mille rivoli
amicali, i proprietari spesso assai misteriosi, sia per selezionare
chi doveva essere invitato a chiedere le opere in prestito.
Nonostante l'estremo tatto e le finite cautele spesso ricevevamo
secchi rifiuti e bisognava tornare alla carica con altri
ambasciatori. Bisogna sapere infatti che quasi sempre i possessori
dei 'Botti', pur avendo acquistato le opere per poco o nulla, hanno
avuto per esse un attaccamento addirittura spropositato”.
Renzo
Botti è stato uno degli amici della generazione precedente che sono
stati determinanti per la formazione politica e umana di Danilo
Montaldi, di alcuni di questi ritroviamo le storie di vita nei suoi
libri, Autobiografie
della leggera e Militanti
politici di base.
Botti era nato a Cremona nel 1885, personaggio considerato eccentrico
e «marginale» che aveva fatto un breve passaggio all’accademia di
Brera. Si definiva anarchico pacifista, ma era finito in guerra in
Libia. Intorno al 1942 era stato attivo in un gruppo di antifascisti
a Cremona. Viveva poveramente e piuttosto isolato, avendo un rapporto
complicato con la sua città, ma esponeva abbastanza regolarmente
insieme ad altri artisti locali. Montaldi era molto affezionato a
questa figura, che rifiutava di adattarsi all’ambiente piccolo
borghese cremonese, ma che possedeva una grande integrità umana e
artistica.
Botti
muore nel ’53, nel ’54 si allestisce una mostra delle sue opere
in città, accompagnata da un catalogo in cui sono pubblicati testi
che cercano di dipingerlo come una specie di simpatica curiosità
locale, come «l’ultimo dei bohémien». In forte dissenso con
questa mostra e con il catalogo esce un testo ciclostilato di
Montaldi che cerca di riabilitare la memoria dell’artista in una
luce diversa: Conoscere
Renzo Botti.
Un ciclostilato, come quelli che avrebbe utilizzato il gruppo Unità
Proletaria (fondato nel ’57) per i comunicati politici, sul quale
compaiono testi di Montaldi, Renato Rozzi, Mario Balestrieri e Luigi
Pasotelli. Il contenuto del ciclostilato è stato interamente
riprodotto sul catalogo di un’esposizione tenutasi a Cremona nel
1989, che mostrava 100 disegni raccolti e custoditi dallo stesso
Danilo Montaldi e donati da Gabriele Montaldi-Seelhorst per
l’occasione.
Ma
perché Botti è importante per Montaldi? È Mario Balestrieri
nell’introduzione al catalogo a spiegarlo: attraverso un parallelo
tra la pubblicazione della prima autobiografia, Vita
di Orlando P.,
sulla rivista «Nuovi Argomenti» nel 1955, che sarà poi integrata
nelleAutobiografie
della leggera,
e il testo Il
valore di Botti contenuto
nel ciclostilato della primavera del ’56. Qui, tra i quattro testi
critici, sono intercalati scritti e citazioni dello stesso Botti,
elemento che segnerà fortemente lo stile e la metodologia di
Montaldi. Montaldi ha infatti la grande capacità di restituire il
«tono» della voce di persone che sono protagoniste autocoscienti
della loro stessa storia.
I testi critici scaturiti dalla mano di Montaldi accompagnano queste voci e le collocano dentro un contesto storico e collettivo senza annullare una prospettiva soggettiva, dalla quale spesso emerge il lato ribelle di questi personaggi forti, che nella lettrice e nel lettore suscitano un immediato rispetto. Montaldi scrive: «Se il mondo dialettale, nel quale si fonda l’opera vera di Botti, esprime generalmente, come è stato detto, una concezione pessimista in quanto tradizionale, chi come Renzo Botti ne sviluppa fino in fondo le risorse può riuscire a capovolgere i termini creando con ciò stesso un valore, poiché le “tradizioni” sulle quali si fonda l’opera ad esempio di Botti non sono conservatrici, ma segrete e sotterranee in rapporto alla cultura dell’attuale società, da ricercare di conseguenza nell’anima popolare. Lo studio delle sue strutture, riferite all’ambiente e tenendo presenti le nostre ineguaglianze di sviluppo, può avere un esito rivoluzionario».
I testi critici scaturiti dalla mano di Montaldi accompagnano queste voci e le collocano dentro un contesto storico e collettivo senza annullare una prospettiva soggettiva, dalla quale spesso emerge il lato ribelle di questi personaggi forti, che nella lettrice e nel lettore suscitano un immediato rispetto. Montaldi scrive: «Se il mondo dialettale, nel quale si fonda l’opera vera di Botti, esprime generalmente, come è stato detto, una concezione pessimista in quanto tradizionale, chi come Renzo Botti ne sviluppa fino in fondo le risorse può riuscire a capovolgere i termini creando con ciò stesso un valore, poiché le “tradizioni” sulle quali si fonda l’opera ad esempio di Botti non sono conservatrici, ma segrete e sotterranee in rapporto alla cultura dell’attuale società, da ricercare di conseguenza nell’anima popolare. Lo studio delle sue strutture, riferite all’ambiente e tenendo presenti le nostre ineguaglianze di sviluppo, può avere un esito rivoluzionario».
Il
lavoro di Danilo Montaldi su Botti comincia con uno degli scritti
dedicati all’artista. Solo più avanti, in occasione dell’apertura
della Galleria Renzo Botti, saranno esposte le sue opere. Nello
stesso periodo, Montaldi continuerà a lavorare sulla trascrizione
degli appunti sparsi di Botti e nel 1975 uscirà un libretto dal
titolo Manoscritto.
In questo modo di dialogare con gli artisti, con le loro opere e i
loro scritti, potremmo vedere una forma di conricerca. È ciò che
sostiene Jacopo Galimberti, quando vede in Montaldi, che non si
considerava affatto un critico d’arte nonostante abbia scritto
molti testi sull’arte, una figura che ha avuto un influsso anche
sul lavoro di critica di Carla Lonzi, contribuendo così a quella
trasformazione avvenuta negli anni Sessanta nel rapporto tra critica
o critico d’arte e artista. Il lavoro fatto alla galleria Renzo
Botti va quindi inserito nella prospettiva della riconquista e
dell’elaborazione critica di una cultura di classe, e si tratta di
un lavoro complementare rispetto a quello delle inchieste. Ancora una
volta, nella sua avventura di gallerista, Montaldi ha dimostrato una
grande capacità di sviluppare un progetto che è riuscito a mettere
insieme esperienze tanto diverse tra loro, come il pittore locale e i
giovani artisti nazionali e internazionali, seguendo una linea
politico-culturale e costruendo un discorso coerente che, anche in
una prospettiva attuale, può continuare a servire da esempio. “Credo
che l’attività legata all’arte e alla cultura della libertà
avviata sul finire degli anni ‘60 da Danilo Montaldi
e Ambrogio Barili assieme a un gruppo di intellettuali cremonesi –
sottolinea ancora Merisi nel catalogo della mostra dedicata nel 2014
ad Alfredo Signori- abbia rappresentato una preziosa boccata
d’ossigeno nel pesante clima cremonese, facendo emergere
dall’isolamento energie sommerse, creando legami esistenziali e
scambi culturali con artisti di punta italiani e tedeschi, da
Guerreschi a Vaglieri, da Ceretti a Forgioli, da Ackermann a
Schmettau”.
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