Un genio, certamente, ma anche un
grande imprenditore di se stesso: preciso fin nelle minime cose, con
grandi capacità tecniche unite ad un'unica sensibilità artistica.
Come d'altronde, denotano alcune caratteristiche della sua scrittura.
Un'impresa in cui si è cimentato il paleografo Marco D'Agostino,
coadiuvato negli aspetti più scientifici della ricerca, dal
laboratorio di analisi dei materiali del Museo del Violino, diretto
da Marco Malagodi. Un lavoro difficile ed unico nel suo genere, dove
alla chimica è riservato il compito di analizzare gli inchiostri
utilizzati nelle varie annotazioni che Antonio Stradivari lasciava
sia sugli strumenti, che sui disegni preparatori che accompagnavano
le varie fasi della lavorazione, e alla paleografia il compito di
individuarne l'autenticità. Perchè questo? Nonostante il principe
dei liutai sia stato ampiamente studiato, non è mai stato individuato in modo
inequivocabile il corpus direttamente riconducibile a lui e le
caratteristiche del modo in cui lavorava la sua bottega, con la
partecipazione dei figli Omobono e Francesco, prima che il figlio
Paolo cedesse tutto quanto in blocco al conte Cozio di Salabue. E'
proprio questa figura di commerciante e collezionista a complicare un
po' tutto quanto: le sue annotazione compaiono spesso accanto a
quelle del maestro, spesso ne ripetono le frasi e il tono. Dopo la
morte di Antonio gli eredi vendettero a Cozio di Salabue oltre ad un
certo numero di violini trovato in bottega, anche forme, disegni e
vari attrezzi. La collezione del conte, passata poi in eredità alla
famiglia Dalla Valle nel 1840, fu poi venduta nel 1920 al liutaio
Giuseppe Fiorini che a sua volta la donò al Comune di Cremona nel
1930. Un grande numero dei reperti stradivariani conservato al museo
è provvisto di scrittura vergata non di rado anche da due o più
mani: si tratta di 125 pezzi su 710. Le annotazioni erano state tutte
attribuite a Antonio, ma già verso la fine degli anni Ottanta il
conservatore Andrea Mosconi era convinto che ci fosse anche
dell'altro. Ed aveva ragione: solo il 30% di quelle scritte sono
autografe, mentre la parte restante non lo era ed è forte il dubbio
che, in realtà, sia stato proprio il conte Cozio a metterci del suo.
E forse anche qualcuno dei due figli. Ci sono pervenute tre preziose
testimonianze manoscritte di Antonio Stradivari sicuramente di sua
mano: una lettera datata 12 agosto 1708, una seconda lettera non
datata, e il testamento del 24 gennaio 1729. I tre autografi sono
conservati a Cremona, il primo al Museo stradivariano, il secondo
all'Archivio di Stato e il terzo presso la famiglia Sacchi. Il
progetto, ora alla fase iniziali, prevede di esaminare la scrittura
dei tre documenti sia nel suo aspetto generale che in modo analitico,
prendendo in considerazione le singole lettere e i legamenti più
significativi. Sulla base di questa dettagliata descrizione
paleografica verranno analizzati, attraverso il confronto delle
grafie, tutti i reperti stradivariani provvisti di scrittura, con lo
scopo di individuare i reperti le cui scritte possano essere
attribuite con certezza alla mano di Antonio Stradivari. Quella di
Stradivari è una scrittura del suo tempo: una corsiva cancelleresca
della seconda metà del Seicento molto inclinata a destra, di forme
poco regolari, con un ductus rapido e fluido e le lettere
caratterizzate da uno sviluppo pronunciato delle aste in alto e in
basso. La grafia con cui viene vergato invece il testamento, pur
presentando il medesimo tratteggio delle lettere, si presenta più
inclinata, con un andamento meno regolare e uniforme e
complessivamente di un aspetto più disordinato rispetto alla lettera
del 1708. Ma bisogna ricordare che Antonio a quell'epoca era già
novantenne!
Per analizzare le caratteristiche di
ogni scrittura esistono delle “lettere guida” particolari: nel
caso di Antonio Stradivari questa è la “q”, che risulta tale e
quale una “g”. Un tratto di notevole eleganza che non trova
riscontro in altre scritture contemporanee: la lettera è costituita
da un tratto curvo che forma un occhiello con l'asta, la quale si
prolunga incurvandosi al di sotto del rigo e ripiegandosi indietro a
formale un occhiello schiacciato. L'altra lettera è la “l”,
molto sinuosa e particolare: è caratterizzata da una peculiare asta,
sottile e lunga che si piega a metà verso destra incurvandosi alla
fine per formare un occhiello stretto ed oblungo, l'estremità
inferiore è munita in fondo di un trattino orizzontale più o meno
lungo. Nella maiuscole sono invece caratteristiche le lettere D e G
Tra i reperti lignei, lo strumento più completo in tutte le sue fasi
di lavorazione è la viola tenore, conservata oggi al museo
dell'Accademia di Firenze. Si tratta del materiale utilizzato per la
realizzazione, richiesta dal marchese Ariberti il 19 settembre 1690.
Scrive il marchese: «Ho fatto
pochi giorni sono il presente de' due
violini e violoncello al Serenissimo Principe diToscana ed assicurare
alla S.V. Che gli ha graditi...Cominciar subito due viole cioè il
tenore, e il contralto che mancano per compimento del concerto
intiero».. Antonio si mise subito al lavoro, dato che il materiale
utilizzato per la costruzione dello strumento è datato 4 ottobre
1690.
Come per la viola contralto, ogni
singolo reperto che costituisce il corredo è contraddistinto da due
lettere maiuscole, la T e la V (cioè tenore viola) ed è stato
ritenuto sicuramente della mano di Stradivari. Il primo elemento su
cui si è soffermata la ricerca è la forma in legno in legno di
noce,
usata appunto per costruire la famosa
viola medicea, nella cui parte superiore si legge la scritta apposta
dal liutaio: “1690/ Forma nova per il contralto Fatta Ha posta/per
il ser.mo Gran Principe di Fiorenza”. Il tratteggio dell'H e della
D maiuscole e delle lettere minuscole l e p, dimostra secondo
D'Agostino, l'autografia stradivariana
dell'annotazione. Di mano di Antonio sono anche le lettere minuscole
TV, vergate verso il centro il centro della forma, come conferma
anche l'utilizzo dello stesso inchiostro usato per la scritta
precedente e per le medesime lettere poste sui modelli per il
taglio dei blocchi di testa, di fondo,
delle punte superiori e inferiori della forma. Al contrario è
sicuramente una mano più tarda di oltre due secoli quella che
ricopia e corregge la scritta di Stradivari nella parte inferiore
della forma e che riscrive inoltre maiuscole le lettere TV. Il
discorso, poi, si addentra in altre
analisi da esperti in un minuzioso lavoro di ricerca. Perchè tutto
questo affannarsi sulla scrittura di Stradivari?
«I reperti sono passati di mano in
mano nel corso del tempo - spiega il professor Marco Malagodi - uno
dei lavori fondamentali del laboratorio è capire quali siano quelli
originali attribuibili direttamente a Stradivari, quelli dei figli e
dei collezionisti successivi. Lo studio che abbiamo
messo a punto è di tipo
multidisciplinare. Il professor D'Agostino, esperto di paleografia e
di tecniche calligrafiche, con le strumentazioni scientifiche del
laboratorio ha avuto la possibilità di studiare le comparazioni tra
inchiostro e materiali per stabilirne la datazione. Il confronto tra
le
scritte dubbie e quelle certe consente
di ottenere una certa attendibilità degli elementi presenti
nell'inchiostro e cercare di sostenere maggiormente l'ipotesi
calligrafica: l'unione di tecniche e competenze con capacità diverse
consente dunque di fare attribuzioni che siano le più certe
possibili. Adesso vogliamo selezionare una serie di reperti
stradivariani caratterizzati da interventi regolari nel tempo, dalla
nascita alla morte, che dovrebbero costituire una sorta di griglia
con la composizione chimica utilizzata per gli inchiostri. La stessa
cosa vale per quanto scritto da Cozio di
Salabue, in modo da creare un
riferimento che permetta di capire quale composizione chimica
dell'inchiostro sia attribuibile al 1690 piuttosto che ad un latro
secolo». Questo lavoro, in buona sostanza, a cosa è finalizzato?
«Serve per classificare le forme
utilizzate per gli strumenti che utilizzino delle lettere, per capire
se queste siano di Stradivari piuttosto che successive, ma anche per
capire quale fosse l'organizzazione del lavoro all'interno della
bottega: Antonio sapeva disegnare, utilizzare il compasso, aveva una
formazione da umanista e questo apre una prospettiva del tutto
differenze rispetto alla sua personalità». Uno Stradivari, insomma,
forse un po' meno romantico, ma decisamente più manageriale. «In
Stradivari c'era una tecnica ed una conoscenza assoluta dell'arte,
come si può rilevare dalle annotazioni tecniche utilizzate per
costruire strumenti perfetti - spiega il professor
Marco D'Agostino - i documenti
dimostrano un grande intuito unito ad una profonda conoscenza ed una
grande genialità, ormai del tutto individuata».
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