Era il novembre del 1936 quando, in
previsione delle celebrazioni del bicentenario stradivariano che si
sarebbero tenute l’anno successivo, il comitato che si era
appositamente costituito, tra le altre iniziative, proposte anche
l’idea di realizzare un film su Antonio Stradivari, che si sarebbe
dovuto girare interamente tra le vie di Cremona. La proposta fu fatta
propria anche dall’Ente provinciale del Turismo, appena costituito
sotto la presidenza di Tullo Bellomi. Se ne discusse nell’ultima
seduta di quell’anno, ma poi non se ne fece nulla.
L’idea, tuttavia, non era per nulla
originale. I cremonesi erano stati bruciati sul tempo dai tedeschi
che, il 25 agosto 1935, avevano distribuito nelle sale
cinematografiche “Stradivari” il primo film dedicato al grande
liutaio, affidato al regista Géza von Bolvàry, con un cast che
annoverava i migliori attori del momento. Una produzione
franco-tedesca realizzata con grande dispendio di mezzi, cui seguì
in ottobre, la versione francese intitolata “Stradivarius”.
Ottant’anni fa, dunque, venne
realizzato il primo vero film, di oltre un’ora e mezza, con
protagonista Stradivari ed i suoi violini, con una trama che, per
alcuni versi, ricorda i contenuti del celebre “Violino rosso”,
girato effettivamente nelle strade e nelle piazze di Cremona
sessant’anni dopo, nel 1995, dal regista canadese François Girard.
Siamo nel 1914, poco prima della guerra
mondiale, quando Sandor Teleky, un ufficiale austriaco, virtuoso del
violino, viene in possesso per una eredità lasciata da uno zio di un
prezioso strumento, che poi si scoprirà essere stato realizzato da
Stradivari. Una leggenda vuole però che ogni possessore di quello
strumento non riesca a conquistare la donna amata. L’ufficiale,
innamoratosi di una musicista italiana non ricca, Maria Belloni, dà
le dimissioni e accetta una scrittura in America per sposarla. Lo
scoppio della guerra impedisce le loro nozze e divide i due
fidanzati. Sandor torna al suo reggimento e non dà più notizie di
sé per quattro anni. A Milano la giovane è corteggiata da un
ufficiale medico, Pietro Rossi, che, ironia della sorte, è venuto in
possesso del prezioso violino mentre cura l’ufficiale austriaco,
raccolto gravemente ferito. Quando i due uomini si riconoscono
innamorati della stessa fanciulla, l’ufficiale italiano, che ha la
prova dell’affetto che la donna nutre per il suo primo fidanzato,
si ritira lealmente ricongiungendo i due giovani. L’annuncio
dell’armistizio pone fine alla tragedia bellica. Il film, prodotto
da Fritz Fromm, fu distribuito dalla Boston Film di Berlino, ed ebbe
un discreto successo grazie soprattutto al nome del regista ed al
cast prestigioso.
Gustav Frölich nei panni di Sandor Teleky |
Geza von Bolvary, regista ungherese
naturalizzato austriaco, è stato particolarmente attivo in Germania
e Ausria a partire dagli anni Venti. Dopo una carriera da giornalista
freelance ed attore, ha lavorato come regista dapprima per la casa di
produzione Star Film, dove conobbe l’attrice ungherese Ilona
Mattyasovszky che sposò nel 1923. Successivamente, nel 1922, fu
assunto con un contratto di quattro anni dall’Emelka, la futura
Bavaria Film di Monaco. Trasferitosi a Berlino, venne messo sotto
contratto dalla casa cinematografica tedesca Fellner & Somlo per
la quale diresse dal 1926 al 1928. Abbandonò la compagnia tedesca
per trasferirsi a Londra dove lavorò circa un anno per la casa
cinematografica britannica Associated British Picture Corporation
(BIP).
Nel 1930, diresse Due cuori a tempo di
valzer, con Walter Janssen e Willi Forst, il suo primo lavoro
apprezzato dalla critica e dal pubblico a livello internazionale. Con
questo film, inaugurò un genere cinematografico che andò molto in
voga tra gli anni trenta e gli anni quaranta, ovvero l’operetta
musicale viennese di cui fu il principale rappresentante e per il
quale si avvalse della collaborazione, oltre che del citato Forst,
dello sceneggiatore Walter Reisch e del compositore Robert Stolz.
Tra il 1923 ed il 1933, si dedicò
soprattutto alla direzione di pellicole del genere commedia leggera,
scoprendo talenti come Zarah Leander, Hilde Krahl, e Ilse Werner.
Dopo aver rifiutato un’offerta da
parte della Metro Goldwyn Mayer, tornò a Berlino dove lavorò fino
al 1933 per la Superfilm Berlin e fino al 1935 per la Boston Films.
Nel 1934 rappresentò alla Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia il suo paese d’origine con la pellicola
Parata di primavera, che aveva come protagonisti Paul Hörbiger e
Franciska Gaal. Trasferitosi a Vienna, Géza von Bolváry lavorò con
numerose case di produzione cinematografica austriache, tra le quali
la Styria-Film, la Terra-Film e la Wien-Film. Dopo la seconda guerra
mondiale si trasferì a Roma dove lavorò per la Grandi Film Storici
Cinopera fino al 1949. Nel 1948 ottenne la cittadinanza austriaca e
si trasferì a Monaco di Baviera dove, a partire dal 1950, lavorò in
qualità di produttore esecutivo della Starfilm, dirigendo numerosi
film fino al 1958, anno della sua ultima pellicola.
Sybille Schmitz e Gustav Frölich |
Il film di von Bolvàry si basava su
una sceneggiatura di Ernst Marischka, altro pezzo da novanta di
quegli anni. Specializzato in commedie musicali e in operette,
fratello di Hubert Marischka, è famoso soprattutto per aver diretto
i tre film dedicati a Sissi, l’imperatrice d’Austria e regina di
Ungheria, interpretati da Romy Schneider tra il 1955 e il 1958.
Marischka scrisse i versi di Vergiß mein nicht, la versione tedesca
della celeberrima Non ti scordar di me di Ernesto de Curtis. Ernst
scrisse la sua prima scenaggiatura per Alexander Kolowrat, un
pioniere del cinema austriaco che a Vienna aveva fondato una propria
casa di produzione, la Sascha Film.: Der Millionenonkel, film diretto
da suo fratello, era una grossa produzione spettacolare che gli aprì
la strada del cinema. Passò presto anche dietro la macchina da presa
e firmò il suo primo film da regista nel 1915. Nella sua carriera,
diresse trentacinque film. Ma il suo lavoro principale restò per
tutta la vita quello di scrittore: specialista nel genere brillante,
scrisse numerosi romanzi e commedie musicali. Lavorò in Austria,
Germania, Italia, Francia e anche per gli Stati Uniti. Hollywood
riprese alcuni dei suoi soggetti e delle sue sceneggiature come
L’eterna armonia, film biografico su Chopin diretto da Charles
Vidor e Parata di primavera diretto da Henry Koster del 1940 e
interpretato da Deanna Durbin.
Veit Harlan |
La parte del protagonista, Antonio
Stradivari, fu affidata ad uno dei più apprezzati attori del regime,
Veit Harlan che, come regista, rappresentò una delle figure chiave
della cinematografia tedesca del Terzo Reich: sue sono alcune tra le
più importanti opere di sostegno al nazismo, come Jud Süss (1940;
Süss l’ebreo), Der grosse König (1942; Il grande re), per cui
vinse la Coppa Mussolini per il miglior film straniero alla Mostra
del cinema di Venezia, e il colossale Kolberg (1945; La cittadella
degli eroi). Figlio dello scrittore Walter Harlan, studiò
recitazione con M. Reihnardt, debuttando in teatro a Berlino nel 1915
come attore e l’anno successivo come assistente alla regia. Dopo
aver partecipato alla Prima guerra mondiale, cominciò a lavorare
anche nel cinema, facendo la sua prima apparizione in Die Hose.
Skandal in einer kleinen Residenz (1927) di Hans Behrendt. Partecipò
quindi a numerosi film, rivelandosi buon caratterista in opere di
ricostruzione storica a tema bellico come Der Choral von Leuthen
(1933) di Carl Froelich, Arzen von Czerépy e Walter Supper, o in
polizieschi come Taifun, noto anche come Polizeiakte 909 (1934) di
Robert Wiene, e recitando nella parte del protagonista in Stradivari
(1935) di Géza von Bolváry. Fu l’introduzione del sonoro, e
dunque la possibilità del dialogo parlato, a favorire il suo tardivo
esordio nella regia cinematografica che avvenne non casualmente con
l’adattamento di una commedia, Krach im Hinterhaus (1935), che era
stata da lui diretta a teatro. Prese il via così una prolifica
carriera di autore, e spesso anche sceneggiatore, di film fondati
soprattutto su grandi interpretazioni d’attore: l’adattamento da
L.N. Tolstoj di Kreutzersonate (1937; La sonata a Kreutzer),
interpretato dalla diva Lil Dagover; Der Herrscher (1937;
Ingratitudine), nel quale primeggia la stella del muto Emil Jannings;
e la lunga serie di film che ebbero come protagonista l’attrice
Kristina Söderbaum (spesso in coppia con Frits van Dongen): il
thriller storico-drammatico Verwehte Spuren (1938; La peste di
Parigi); il melodramma Die Reise nach Tilsit (1939; Verso l’amore),
ricalcato su Sunrise-A song of two humans (1926; Aurora) di Friedrich
W. Murnau; Das unsterbliche Herz (1939; L’accusato di Norimberga),
tratto da un testo del padre, storia melodrammatica in costume
dell’inventore Peter Henlein (interpretato da un suggestivo Paul
Wegener). Harlan diresse quindi l’infaustamente celebre Jud Süss,
esplicito strumento di propaganda antisemita che stravolge il senso
originario del romanzo omonimo dello scrittore ebreo L. Feuchtwanger,
e Der grosse König, ritratto celebrativo di Federico II nella guerra
dei Sette anni con esplicite allusioni alla gloria del Reich
hitleriano. Durante la Seconda guerra mondiale alternò con grandi
capacità di messa in scena la produzione melodrammatica a quella di
sostegno al regime, passando dal triangolo d’amore Opfergang (1944;
La prigioniera del destino) a un kolossal della ricostruzione storica
come Kolberg: realizzato in due anni di riprese con decine di
migliaia di comparse, il film racconta la rivolta popolare di una
cittadina portuale prussiana sul Baltico di fronte all’invasione
delle armate napoleoniche nel 1806, quasi un appello alla resistenza
nei confronti del nazismo accerchiato dalle truppe alleate.
L’attività di Harlan riprese nel dopoguerra con Unsterbliche
Geliebte (1954; La dinastia indomabile), melodramma settecentesco in
costume, e continuò con opere di varia ispirazione: dal film
d’avventura Die Gefangene des Mahradscha (1954; La prigioniera del
Maharajah) a quello spionistico di buona fattura Verrat an
Deutschland. Der Fall Dr. Sorge (1955; Berlino-Tokyo, Operazione
spionaggio), fino allo scandaloso dramma della prostituzione a sfondo
omosessuale Anders als du und ich. § 175, noto anche con il titolo
Das dritte Geschlecht (1957; Processo a porte chiuse). Harlan
trascorse gli ultimi anni della sua vita in Italia e scrisse
un’autobiografia, Im, Schatten meiner Filme, apparsa postuma nel
1966.
Un altro grande attore, Gustav Frölich,
uno dei preferiti del regista austriaco, interpretava il ruolo
dell’ufficiale Sandor Teleky. Per un trentennio fu uno degli attori
più popolari del cinema tedesco, incarnando il personaggio dell’eroe
positivo. Sorriso franco, sguardo diretto, atteggiamento spigliato e
mondano, rivelò di avere il physique du rôle ideale per le commedie
leggere, sentimentali e romantiche.
Il suo primo ruolo di protagonista fu
in Metropolis (1927), quando Fritz Lang gli affidò il personaggio
del figlio dello scienziato, dittatore della megalopoli.
Negli ultimi anni del cinema muto
interpretò due significativi film di Joe May, Heimkehr (1928; Il
canto del prigioniero), dove è un soldato prigioniero di guerra che
torna in patria, e Asphalt (1929; Asfalto), in cui è un vigile
urbano filisteo e borghese che si innamora di una ladra, mostrando di
trovarsi a proprio agio nell’ambito del dramma psicologico e
intimista.
Già diretto da Carl Froelich in Brand
in der Oper (1930; Incendio dell’opera) e Gitta entdeckt ihr Herz
(1932), offrì una delle sue interpretazioni più convincenti nel
ruolo del poliziotto in Oberwachtmeister Schwenke (1934; Il
poliziotto Schwenke). All’inizio degli anni Trenta interpretò
alcuni film interessanti, fra cui Der unsterbliche Lump (1930;
L’immortale vagabondo) di Gustav Ucicky, Die heilige Flamme (1930;
La sacra fiamma) di Berthold Viertel, Voruntersuchung (1931;
Istruttoria) di Robert Siodmak, Unter falscher Flagge (1932; Sotto
falsa bandiera) di Johannes Meyer, Die verliebte Firma (1932) di Max
Ophuls: il suo aspetto piacevole e conciliante e il suo fisico
atletico sembravano destinarlo al ruolo di eroe, cui Froelich non
avrebbe mai rinunciato nei moltissimi film interpretati negli anni
successivi.
Sybille Schmitz |
Protagonista femminile del film, nel ruolo di Maria Belloni, Sybille Schmitz, prima diva del genere “fantasy”, femme fatale ed attrice enigmatica, dotata di una bellezza esotica, lontana anni luce dagli stereotipi della maliarda bionda e algida del cinema nordico. Era entrata nell’immaginario
collettivo grazie ad una pellicola di due anni prima, “Vampyr”
diretta dal danese Carl Theodor Dreyer nel 1932, cui aveva fatto
seguito “The Master of the World” girato esattamente due anni
dopo. Il film, già nel titolo, annunciava una storia di sortilegi e
necrofilie. Nella parte di Leone, figlia di un castellano
perseguitato da un vampiro che ne assedia le notti, la Schmitz si
rivelò interprete di rara intuizione drammatica, passando, come in
delirio, dai sorrisi di fanciulla ingenua alle smorfie di una
creatura assetata di sangue.
Forse in quell’occasione la sua
interpretazione si notò grazie anche all’accorta regia di un
maestro del cinema danese, ma in seguito la forte espressività della
Schmitz saprà emozionare anche lo spettatore più impassibile.
Il film più interessante interpretato
dalla Schmitz resta però Fährmann Maria (La barcaiola Maria), del
1936. Con enfasi espressionistica la Schmitz traghettava i passeggeri
da una riva all’altra del fiume, inseguita da apocalittici
cavalieri. Le molte situazioni drammatiche, la danza di Maria con la
morte, la preghiera dei soldati scandita dal ferito febbricitante,
venivano smorzate dal lieto fine, con cui Maria trovava la patria e
l’amore.
Di certo la faccia dell’attrice
condizionò molto le sue apparizioni: impossibile immaginarla nei
panni di una Gretchen spensierata con quello sguardo inquietante. Per
lo più dette vita a caratteri di donne problematiche: fu George Sand
in Valzer d’addio di Chopin (Abschiedswalzer, 1934), spia tenebrosa
in Hotel Sacher (1939) e astuta principessa in Il capitano di ventura
(Trenck, der Pandur, 1940). Ma la sua interpretazione più riuscita
va individuata in La tragedia del Titanic (Titanic, 1942),
rievocazione del famoso disastro del 1912 in cui il gigantesco
transatlantico venne inghiottito dalle acque.
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