Tutti conosciamo il personaggio
di Fra Cristoforo nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. L'esistenza di
questo sacerdote cappuccino è documentata solo dai primi di giugno del 1630,
cioè dal momento della sua ammissione, all'epoca della peste, nel lazzaretto di
Milano, in cui i Cappuccini, sotto la guida del padre Felice Casati da Milano,
svolsero, perdendovi spesso la vita, un importante servizio di assistenza
materiale e spirituale degli appestati. Pochi giorni dopo, il 10 giugno,
Cristoforo moriva, "di peste, stimata da lui catarro, ma dagli altri tutti
giudicata vera peste, avendo servito con molto fervore di carità et essempi
religiosi a' poveri apestati". Nella sua prima apparizione nel Fermo e
Lucia il Manzoni accenna ai suoi natali
cremonesi. Molti studiosi hanno proposto l'identificazione di Cristoforo con il
nobile cremonese Lodovico Picenardi, figlio di Giuseppe e di Susanna Cellana,
battezzato il 5 dicembre 1568, simile al Lodovico manzoniano per la giovinezza
audace e scapestrata. Conosciamo la storia: dopo essersi scontrato con un
nobile e averlo ucciso in un duello in cui perde la vita anche Cristoforo,
servitore cinquantenne molto amato da Lodovico, deve rifugiarsi in un convento
di Cappuccini Le due tragiche morti avviano alla fine un processo già iniziato di conversione
e spingono il giovane al cambiamento di vita cui aveva già altre volte pensato.
Chiede quindi di essere accolto come postulante al convento stesso dove si è
rifugiato. La sua decisione permette ai Cappuccini di evitare il prevedibile
imbarazzo di difendere il diritto di asilo di un nemico di una potente famiglia, e alla
famiglia dell'ucciso l'imbarazzo di scontrarsi con la Chiesa per ottenere vendetta. Nella
soddisfazione generale Ludovico viene quindi rivestito del saio. Memore del suo vecchio e amato servitore,
come nome religioso Lodovico sceglierà il nome di Cristoforo. Il convento di Fra
Cristoforo esiste ancora. E’ un vecchio stabile ormai in rovina posto
all’angolo tra via Mantova e via, manco a dirlo, Dei Cappuccini. Il complesso,
che dovrebbe essere in teoria ristrutturato, ma di cui è certa la demolizione,
è costituito da una serie di basse abitazioni, con alcune arcate tamponate,
risalenti con ogni probabilità all’ultima ricostruzione del convento nei primi
anni del Settecento, in seguito trasformato in una fabbrica di birra al momento
della soppressione.
Un angolo di storia, dunque, che
però ha perso qualsiasi smalto, ed ora è ridotto ad una serie di abitazioni e
muri degradati dal tempo. Poco lontano dalla porta bresciana, oggi porta
Venezia, esisteva da secoli una piccola chiesa appartenente ai benedettini, che
vi avevano istituito un priorato chiamato dei Santi Dodici Apostoli. Nel 1566,
dopo aver ricevuto l’approvazione canonica della Santa Sede, vi si trasferì la
nuova famiglia francescana dei Cappuccini. Dal momento che la chiesetta era
quasi diroccata i nobili ed il popolo cremonese si diedero da fare con offerte
per ricostruirla. Sorse così il convento e fu riedificato il piccolo edificio
sacro che venne consacrato dal vescovo Sfondrati prima di salire al soglio
pontificio. Nel 1611 aggregata al convento, per iniziativa di fra Fedele
cappuccino, venne istituita anche una farmacia al servizio dei poveri, che fu
chiamata col nome di “Santa Corona Serafica”, situata nei pressi della chiesa
di San Vincenzo. L’istituzione era amministrata da tre nobili della città
eletti nel gennaio di ogni anno. Il convento e la chiesa dei Dodici Apostoli fu
anche al centro dell’assedio che per ben 83 giorni nel 1648 i francesi posero
alla città. Più tardi, nel 1655, il convento rischiò di essere demolito una
prima volta quando, decretata la fondazione di nuove fortificazioni che
avrebbero dovuto aggiungersi alle mura della città già esistenti, furono abbattuti
i borghi posti fuori dalla cinta muraria di porta Venezia. Ma dopo mezzo
secolo, nel 1705, durante la
guerra di successione spagnola, ai cappuccini furono concessi solo tre giorni
di tempo per sgombrare il convento, su ordine del governatore di Cremona, che a
sua volta eseguiva una direttiva del governatore francese dello Stato di
Milano. Con il pretesto che avrebbe potuto servire all’armata imperiale guidata
da Eugenio di Savoia il convento venne abbattuto in tutta fretta. Alcuni dei
religiosi trovarono rifugio in altri conventi della provincia, mentre sei di
loro rimasero in città alloggiati per un anno in casa del conte di San Secondo,
poi presso l’Arcidiacono De Cesaris. Passata l’ultima bufera i cappuccini
iniziarono a ricostruire la loro sede e sotto la guida di padre Angelo Felice
da Milano, aiutato da altri confratelli che avevano esercitato nel mondo civile
il lavoro di muratore, il 18 ottobre del 1709 riuscirono a completare la nuova
sede ed insediarvi una nuova Comunità. Per un secolo durò la pace e la
tranquillità, fino a quando nel 1810 il convento venne definitivamente
soppresso. Nel 1841 ai cappuccini venne offerto dal marchese Persichelli il
soppresso convento di San Luca, che già aveva ospitato Amadeisti e Osservanti,
che potè essere aperto nella primavera del 1843, dopo l’indispensabile
riconoscimento da parte dell’Imperatore. Nel 1868, nonostante la ventilata
soppressione, i cappuccini riuscirono a conservare il convento di San Luca che,
però, nella sua grandiosità, poco si confaceva alla regola, per cui nel 1881 lo
cedettero ai Barnabiti. Col compenso ricavato dall’alienazione l’ordine iniziò
la costruzione dell’attuale convento e della chiesa di via Brescia, che fu
dedicato a San Giuseppe. L’ingresso ufficiale avvenne nel 1883.
Dell’originaria sede nei pressi
della Pippia è rimasto poco: un muro nei pressi del supermercato Lidl ed un
pozzo, dove nel corso di scavi avvenuti negli anni scorsi venne rinvenuta una
grande quantità di ceramica cinquecentesca.
Nessun commento:
Posta un commento