La piazza di Olmeneta |
Un campo di concentramento per prigionieri inglesi alla
cascina Longhirone. Ed una storia persa nel tempo riaffiorata grazie ad un
libro dello storico bresciano Lodovico Galli, “Il Questore di Brescia della
Repubblica sociale Italiana”, che raccoglie la documentazione inedita su Manlio
Candrilli ed il suo ufficio negli anni compresi tra il 1943 ed il 1945.
Tra questa anche gli interrogatori relativi al legame
intercorso tra Dina Aeri, giovane bresciana sfollata ad Olmeneta, ed il soldato
inglese Michael, di cui non conosciamo altro se non il nome, storpiato in
“Maico” nei verbali della Questura e, probabilmente, nelle dichiarazioni rese
dalla donna accusata dunque di favoreggiamento. Proprio da lei veniamo a sapere, a quasi settant’anni di
distanza dai fatti, che nel periodo compreso tra il maggio ed il settembre 1943
esisteva nella cascina un campo di prigionia di soldati inglesi che venivano
impiegati come bergamini alle dipendenze di Pietro Ardigò. Fuggirono tutti dopo
l’8 settembre e non se ne sarebbe saputo più nulla se uno di loro non fosse
stato fermato alla stazione di porta Trento in dicembre con indosso la
fotografia di una ragazza. Ne parla nel suo rapporto il sottufficiale dalla
gendarmeria di campo Wenzler al Comando militare di Brescia.
“Il giorno 6.12.1943 fu fermato alla stazione di P. Trento
dal Partito Fascista un prigioniero di guerra inglese. Gli fu trovata una
fotografia di Aeri Dina, la quale si trovava nello stesso tempo alla stazione.
La Aeri fu da me interrogata, essa disse che conosce quell’inglese del campo
dei prigionieri che vi era ad Olmeneta dove abita la sua zia. Siccome i suoi
genitori si trovavano presso quella zia, per pericolo aereo, essa si recava ivi
ogni 14 giorni. In tale occasione essa vedeva l’inglese il quale la salutava.
Dice però di non avere parlato con lui. Ancor meno essa può spiegarsi in quel
modo lo stesso sia venuto in possesso della sua fotografia. Dice di non
avergliela data lei. Essa suppone, siccome la sua zia regalava la biancheria al
prigioniero ed essa aveva quella fotografia, che l’inglese se la sia presa
presso la zia o che i bambini della zia l’abbiano data all’inglese. Dice di
aver veduto l’ultima volta l’inglese prima dello sconvolgimento. Di non essere
mai stata in relazione con lui”.
Nei documenti raccolti da Lodovico Galli c’è anche il
verbale dell’interrogatorio di Dina, effettuato il 13 marzo 1944 nei locali
della Questura. Dina era nata il 6 gennaio 1923, figlia di Guido e di Pasqua
Sanvitti, dattilografa disoccupata, abitava in quel periodo in via S. Clemente
3.
“Nel maggio 1943 - racconta dunque Dina - mi sono portata ad
Olmeneta (Cremona) e precisamente dallo zio Zacco Luigi, abitante nella cascina
Longhirone per sfollamento. In detta località si trovava un campo di concentramento
di circa una cinquantina di prigionieri di guerra, la maggior parte inglesi.
Avevo occasione di vederli spessissimo in quanto detto campo si trovava vicino
all’abitazione dei miei parenti e così ho fatto conoscenza con qualcuno di essi
e tra questi un certo ‘Maico’, ma non saprei dare ulteriori e più precisi
particolari sul loro vero nome. A molti di questi io accomodavo le calze mentre
la zia Sanvitti Carolina in Zacco, pensava per la lavatura della biancheria.
Sia il Maico che gli altri, pure accompagnati dalle guardie di scorta, venivano
in casa nostra ora per una cosa o per l’altra e quindi era nata una certa
confidenza, anche per il fatto che costoro si dimostravano con noi gentili,
offrendoci quando arrivava loro qualche pacco, cioccolata od latri generi
alimentari. L’8 settembre, quando avvenne il fuggi fuggi generale, tutti i
prigionieri del campo si allontanarono dicendo che si sarebbero recati in
Svizzera. Qualcuno di questi restarono ancora per qualche giorno in paese, per
ritirare la merce, mentre la sera con le coperte andavano a dormire nei campi,
Indi nei giorni seguenti essi un po’ per volta si dileguarono completamente
senza lasciar più traccia. Il dicembre u.s. e precisamente la mattina del 6 di
detto mese ho avuto occasione di (vedere ndr.) a porta Trento in Brescia il
predetto straniero col quale però non ho parlato. Poco tempo dopo egli veniva
fermato da due persone in borghese. A.D.R. Sia io che la zia non abbiamo mai
fornito ad essi mangiare ed altro. Il detto ‘Maico’ prima di allontanarsi ha
preso dalla casa della zia una mia fotografia adducendo che l’avrebbe tenuta
per ricordo. Non ho altro da aggiungere”.
Raccontò tutta la verità Dina? Forse no, come ognuno può immaginare.
Quella bugia pietosa, però, contribuì probabilmente a scagionarla dall’accusa
di favoreggiamento. Di certo in quella stazione ferroviaria in quel freddo dicembre finì anche la
sua breve storia d’amore con il giovane soldato inglese. Anche il questore non
volle approfondire la questione, e l’8 aprile 1944, aggiungendo altri
particolari, mostra di credere alle parole di Dina, lasciando però intuire di
aver capito tutto.
“Facendo seguito al mio foglio di pari numero in
data 18 marzo u.s. si comunica che Aeri Dina rimase per sfollamento, presso la
Sanvitti Carolina fu Antonio e fu Fatini Maria, nata a Borgo S. Giacomo
(Brescia) l’11 novembre 1906, coniugata con Zacco Luigi fu Vitale, residente in
Olmeneta, cascina Longhirone, oltre che nel mese di maggio 1943, anche per
tutto il mese di agosto e parte di settembre dello stesso anno. Durante la sua
permanenza in detta cascina, e specialmente nei primi del mese di settembre,
l’Aeri strinse relazione di amicizia con alcuni prigionieri di guerra di quel
campo di concentramento ed in particolar modo con il prigioniero ‘Maico’ il
quale frequentava più sovente, l’abitazione della zia, sita poco distante dal
campo di concentramento. Tale relazione venne allacciata perchè 4 prigionieri,
compreso il ‘Maico’, lavoravano quali bergamini, alle dipendenze del sig.
Ardigò Pietro nella stessa cascina Longhirone, dove, la sera ultimato il
lavoro, si riunivano per passare qualche ora. La Sanvitti accoglieva in casa i
quattro prigionieri suddetti in quanto conosciuti dal marito per ragioni di
lavoro e nell’occasione provvedeva alla lavatura e rammendatura della loro
biancheria. Non risulta che la famiglia dello Zacco abbia fornito del vitto e
ricovero ai prigionieri, soltanto prima che detti prigionieri lavorassero nella
stessa cascina, dava loro qualche pezzo di pane e un po’ di polenta. Dopo l’8
settembre dello scorso anno quando tutti i prigionieri del campo di
concentramento si sbandarono per le campagne, i quattro che frequentarono
l’abitazione della Sanvitti, rimasero in quelle adiacenze per alcuni giorni
ancora e poi si allontanarono per tema di essere sorpresi e ripresi. Fu in
quell’ultimo periodo di tempo che la Aeri s’incontrava più sovente con il
prigioniero ‘Maico’ e sempre nelle campagne dove egli si era rifugiato. Verso
il 15 settembre i quattro prigionieri si allontanarono e l’Aeri partì senza
fare più ritorno presso la zia. Non è stato possibile accertare la vera
relazione che intercorse tra l’Aeri e il prigioniero ‘Maico’ particolarmente
negli ultimi giorni”.
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