Un gruppo di comparse alla cascina Badia |
“Novecento”, l'affresco
disincantato del secolo breve di Bernardo Bertolucci, è tornato
restaurato al Festival dei cinema di Venezia e sarà di nuovo nelle
sale ad aprile 2018. Un'occasione per andare a rivedersi un film che
ha fatto storia, girato
tra la bassa cremonese, parmense e reggiana con gente della bassa.
Quando, dopo 11 mesi di riprese, il regista annunciò la fine del
lavoro sul campo, se ne erano già andati 160.000 metri di pellicola.
Il primo giro di manovella era stato il 2 luglio 1974 e la
lavorazione si è svolta quasi interamente nella bassa zona intorno a
Parma, tra Busseto,
Mantova, Poggio Rusco, Rivarolo del Re e Guastalla .
A Rivarolo Bertolucci ci era già arrivato qualche anno prima, nel
1969, in cerca di una location per “La strategia del ragno”,
aveva visto
la balera di Maria Priori e l'aveva affittata per girare una delle
ultime scene, quella del ballo all'aperto al ritmo di “Giovinezza”.
Aveva anche conosciuto Piero Longari Ponzone, nella cui villa aveva
girato alcune scene, per poi sceglierlo per sostenere il ruolo del
cavalier Pioppi, facendolo sposare nella finzione ad Alida Valli in
“Novecento”. Per cui, quando quella mattina del 17 ottobre 1964,
Bertolucci fu visto passeggiare nelle strade di Piadena, la gente non
si stupì. Si sapeva che da qualche giorno il regista aveva
affittato, sembra per due mesi, la
cascina Badia. Nei giorni precedenti, inoltre, Bertolucci aveva
reclutato un gruppo di ragazzi che gli erano serviti come comparse in
alcune scene girate a Busseto. Per il regista di Parma si trattava di
un ritorno nelle campagne cremonesi: alcune riprese della prima parte
del film erano state effettuate tra Casalmaggiore e San Giovanni in
Croce, tra il parco della villa e la cascina Fenilone. La troupe, per
tutta la durata delle riprese, aveva la propria base alla cascina
“Corte
delle Piacentine” nei pressi di Roncole Verdi, frazione di Busseto,
dove abitavano stabilmente una trentina di persone tra cui Demesio
Lusardi
a cui Bertolucci affidò il ruolo di Censo Dalcò. Nel mantovano la
troupe girò alcune scene al santuario delle Grazie di Curtatone e in
una villa di San Prospeto a Suzzara, mentre nel cimitero vecchio di
Poggio Rusco venne girata l'esecuzione del fascista Attila. La festa
dei contadini è invece localizzata nel grande fienile a tre navate
della cascina Badia di Voltido, simile alle volte in laterizio di una
cattedrale. E' qui, che una fredda mattina autunnale, arrivò il
cronista de “la Provincia”, Giuseppe Ghisani, a cui dobbiamo il
racconto delle riprese girate in cascina:
Il set sotto il barchessale |
Anche alla Badia, la vecchia cascina di
Bellingeri a Voltido, si fa festa. Nella vasta aia in terra battuta
con al centro il rosone in pietra è l'animazione che caratterizza le
occasioni come questa. Donne e bambini in promiscuità, le prime
hanno smesso il grembiule di tutti i giorni e hanno tirato fuori dal
comò il vestito nero lungo fino ai piedi e lo scialle trapuntato,
dello stesso colore, che adesso portano in testa e che scende fin
sotto le spalle; i secondi avvolti nei loro tabarri e in testa il
cappello nero dalle falde larghe e dritte. Dal fienile sotto il lungo
e fantastico barchessale giungono le note di una mazurca, al suono
delle trombe e dei clarini di alcuni musici si balla e si gioca sulla
paglia, senza curarsi troppo della nebbia che s'infiltra fin lassù e
del freddo che il tepore della stalla sotto non riesce a mitigare. E'
una scena d'altri tempi, trenta, quaranta cinquant'anni fa, ma che
ritorna grazie alla magia del cinema; gli uomini e le donne con i
vestiti buoni raggruppati nell'aia sono le comparse, tutta gente di
Voltido e dei paesi attorno, che aspettano il segnale per salire sul
fienile a far da corona alla festa che si sta 'girando'. Dice una
donna florida e bersagliera a dispetto dell'età non più giovane:
«Mi danno diecimila lire al giorno, però c'è chine prende di più,
venti, anche venticinquemila, ci pagano a seconda della parte che
abbiamo». C'è anche suo marito tra le comparse, un uomo robusto
quanto lei, baffi folti macchiati di bianco, portamento fiero. Le
comparse, persone anziane per lo più, sono state reclutate con
manifesti a Voltido e nella zona, è gente umile, semplice, il
regista ha scelto quelli i cui volti meglio si collocano nella sua
storia, e devono essere volti di contadini degli anni Venti, smunti e
magri per gli stenti della fame. E il set di 'Novecento' che il
regista Bernardo Bertolucci da alcuni giorni e fino a martedì ha
trasferito a Voltido dove sotto il barchessale della Badia ha
ambientato questo ballo di contadini al centro del quale sono i
protagonisti dell'intera vicenda filmica, vale a dire gli attori
Robert De Niro, Gerard Depardieu, Dominique Sanda e Stefania
Sandrelli. I primi due sono i nipoti di due vecchi patriarchi: Burt
Lancaster, un proprietario terriero dal nome, Berlinghieri, simile
nel suo a quello del 'padrone' della Badia, Bellingeri, che ha come
antagonista Sterling Hayden, un contadino, Dalcò; le due attrici
sono le loro mogli. Il film vuole essere un grandioso affresco di
settant'anni di vita padana vista attraverso le vicende dei
componenti di queste due famiglie affiancati in un eterno conflitto
sociale e uniti da una indissolubile amicizia.
La presenza della troupe è un
avvenimento per Voltido, un paesino di duecento anime, che in questi
giorni conosce un'animazione insolita. Sull'aia della Badia, tra le
comparse in attesa, non mancano i curiosi. È davvero una gran festa,
ci sono anche il segretario comunale ed il maresciallo dei
carabinieri. Sembra che in un primo momento padron Bellingeri non
volesse concedere la sua cascina alla troupe di Bertolucci; a
convincerlo sarebbe intervenuto il farmacista che nei nostri paesi è
ancora un'autorità. Parlando del suo film Bertolucci ha detto: «E'
la storia di due personaggi che fatalmente nascono lo stesso giorno,
un mattino d'estate all'inizio di questo secolo. Uno è figlio del
padrone, l'altro del contadino. E' la loro storia, ma ci sono molte
altre cose (le prime lotte dei lavoratori dei campi contro i padroni,
gli scioperi del 1908, il periodo fascista, quello della Resistenza,
ndr). Nel film c'è una 'giornata simbolo', il 25 aprile 1945, che
contiene tutto il secolo, non solo il passato ma anche il presente».
Bertolucci ha anche detto: «Questo è un racconto che coinvolge non
solo i miei ricordi, ma anche quelli di mio padre, di mio nonno». I
suoi ricordi. Sono quelli di un ragazzo che ha vissuto nella bassa –
è parmigiano – e che ora nella bassa, lascia volutamente senza
confini a significare l'universalità del rapporto che unisce e
divide i protagonisti del racconto cinematografico, ha calato il suo
'Novecento'. Mi spiega Bertolucci che nei suoi ricordi di bambino ci
sono cascine grandi, immense, che sono tali proprio perchè allora le
vedeva così. E queste dimensioni ha cercato di rispettare nel suo
film. A Buseto sta girando in un cortile vastissimo, adesso sopra
questo fienile incredibile tant'è maestoso.
Nell'aia della cascina Badia |
Come vi è giunto? Perchè l'ha scelto?
E' arrivato fin qui per caso – precisa - andando in giro,
guardando, chiedendo, cercando luoghi e creando situazioni sempre
corrispondenti alla geografia dei suoi ricordi. Ha scelto questo
fienile e non un altro «perchè è talmente grande e bello da
sembrare costruito in uno studio di posa invece è reale, vero». Sul
fienile l'ambientazione è curata nei minimi particolari: gli abiti
degli attori e delle comparse come quelli che si portavano nel 1920,
qualcuno autentico, gli altri opera della sarta della troupe; la
pista da ballo improvvisata ai piedi delle balle di paglia sopra le
quali sono i musicisti, un'orchestrina estemporanea che suona valzer
e mazurche; la nebbia che inonda gli ampi volti del barchessale
creata artificialmente da una macchina spruzzatrice manovrata sotto
da un operatore. Il tutto nell'atmosfera rarefatta e struggente della
rievocazione creata attraverso un sapiente ed equilibrato dosaggio
delle luci che il technicolor renderà magnificamente.
In fondo al fienile è piazzata una
rudimentale cucina da campo. Su fuoco, immerse in un pentolone colmo
di olio, friggono le frittelle,sul tavolo bottiglioni e bottiglie di
vino. Qualcuno abbrustolisce castagne sopra i generatori della
corrente. Fa freddo. Tra un ciak e l'altro Stefania Sandrelli,
intirizzita, si rifugia accanto al fuoco e cista fino all'ultimo,
Dominique Sanda si avvolge le gambe in una spessa coperta, le
comparse fugano il pericolo di congelamento mangiando frittelle. Poi
Bertolucci, lasciato il giornalista curioso ed indiscreto, chiamerà
tutti un'altra volta e sul fienile della Badia la lunga vicenda
contadina del Berlinghieri e del Dalcò si arricchirà di nuovi
fotogrammi.
Nel corso delle riprese vi furono anche
inconvenienti, come quello accaduto nella notte del 30 novembre 1974,
quando un incendio 'controllato' acceso per esigenze di scena durante
la lavorazione del film si trasformò in un incendio reale. La troupe
aveva girato a Polesine Parmense, un paese sul Po, la scena
dell'incendio, provocato dai fascisti, di una casa del popolo,
utilizzando un vecchio stabile fuori del paese. A scena conclusa, gli
addetti avevano spento tutto. Qualche focolaio doveva essere però
rimasto e durante la notte il fuoco si estese sviluppandosi nella
mattinata nei piani superiori e nel sottotetto. Fu necessario
l'intervento dei vigili del fuoco per avere ragione delle fiamme.
In
un'intervista rilasciata nel 2006 a Giacomo Papi Bertolucci ricorda
un episodio curioso con protagonista Pierpaolo Pasolini che nelle
stesse settimane stava girando a Mantova “Salò”: “Lui
girava Salò vicino,
a Mantova. Così, il giorno del mio compleanno, organizzammo una
partita di calcio. Vinse Novecento,
ma fu molto peggio di Moggi e della corruzione di oggi. Dovevano
giocare le due troupe, invece, dopo i primi cinque minuti, notammo
visi sconosciuti in entrambe le squadre. Qualcuno ci disse che
avevano chiamato dei professionisti, riserve del Parma, giovani della
Lazio… Una ventina di minuti prima della fine, Pier Paolo chiese di
uscire perché non gli passavano la palla, erano diventati tutti
furiosi… Alla fine era molto di malumore. Aveva visto una tendenza
anche in ciò che lì era avvenuto”.
Il
film narra la storia di due italiani nati entrambi il 27 gennaio 1900
nello stesso luogo (un'azienda agricola emiliana), ma su fronti
opposti: Alfredo è figlio di ricchi proprietari, i Berlinghieri,
Olmo è figlio di Rosina, contadina, della medesima azienda. In una
scena si vede Giovanni padre di Alfredo, che pronuncia parole
affettuose nei confronti di Olmo invitandolo dolcemente a rientrare
in casa, potrebbe lasciar intendere che Alfredo sia fratellastro di
Olmo. Le lotte contadine e la Grande Guerra dapprima, e il
fascismo con la lotta partigiana per la Liberazione poi, sono al
centro dei fatti che si susseguono, con al centro, e per il filo
conduttore, la vita dei due nemici–amici, impersonati in età
adulta da Gèrad Depardieu (Olmo) e da Robert De Niro (Alfredo). Burt
Lancaster, nel ruolo del nonno di Alfredo, e Donald Sutherland nel
ruolo violento, cinico e spietato Attila, chiamato con la sua ferocia
asservita al potere e rappresentare l’arrivo devastante del
fascismo in un paese dove la ricca borghesia iniziava a temere le
varie organizzazioni socialiste a difesa dei lavoratori, sono alcuni
degli altri indimenticabili volti di questa pellicola. L’ultima
parte del film si riallaccia alle scene iniziali, quando, durante il
sospirato giorno della Liberazione, Attila viene finalmente
giustiziato nel cimitero, di fronte alle tombe delle sue vittime, e
Alfredo viene preso in ostaggio da un ragazzino armato di un fucile
ricevuto dai partigiani. Olmo, creduto morto, ricompare ed
inscena un processo sommario al Padrone Alfredo Berlinghieri. Il
legame di amicizia prevale e Olmo “condanna” Alfredo ad una morte
virtuale (in realtà sottraendolo al linciaggio), inizialmente poco
compresa dagli altri paesani, ma alla fine coralmente accettata con
una sfrenata e liberatoria corsa nei campi, sotto l’enorme bandiera
rossa cresciuta e tenuta nascosta durante il ventennio.
Sopraggiungono, con autocarri, rappresentanti del Comitato di
Liberazione Nazionale, incaricati del disarmo dei partigiani. Proprio
Olmo accetta per primo di deporre il fucile dopo aver sparato in aria
per simboleggiare l’esecuzione della parte vile e malvagia del suo
amico più caro. Alfredo ed Olmo iniziano così a scherzare di nuovo,
accapigliandosi come bambini. Il film si chiude su due amici che,
ormai anziani, continuano ad azzuffarsi nei luoghi dell’infanzia,
con Olmo che continua, come faceva da bambino, a sentire la voce del
padre ( mai conosciuto) in un palo del telegrafo e Alfredo che
goliardicamente si uccide come da piccolo si stendeva per gioco e
imitando lo spericolato Olmo sulle traversine dei binari del treno in
arrivo.
SPERO CHE ALCUNI TELESPETTATORI IN QUESTO PERIODO DI (RITIRO FORZATO,"PER ME NO",ABBIAMO FATTO LE (ORE PICCOLISSIME,LA PROIEZIONE INTEGRALE è TERMINATA ALLE 2,37 DEL 2 MAGGIO),PER RIVEDERE UNO SPICCHIO DURATO QUASI MEZZO SECOLO,DI UNA PELLICOLA DELLA NOSTRA STORIA,LEGATA AL MONDO MEZZADRILE,IN QUEI LUOGHI DOVE LE LOTTE CONTADINE COSTITUIRONO I PRODROMI PER LE FUTURE LOTTE OPERAIE E RIVENDICAZIONI SALARIALI.MI DISPIACE MOLTO, CHE ALL'AUTORE DELLA FOTOGRAFIA,RECENSIONE GLOBALE ED ESTREMAMENTE VERITIERA DEL FILM, NON SIANO SEGUITI COMMENTI.
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