E' stata la “grande nevicata del
1985, ricordata anche in una famosa canzone dei “Bluevertigo”, il
gruppo di Morgan, ed immortalata nelle splendide immagini di Giuseppe Muchetti. La mattina del 16 gennaio era già caduta una
quarantina di centimetri di neve e la situazione iniziava a farsi
critica. Era mercoledì, giorno di mercato, e le condizioni
atmosferiche non promettevano nulla di buono. Sarebbe stata un’altra
giornata di nevicate. I commercianti di via Mercatello avevano
realizzato un pupazzo per protestare contro l’isola pedonale che
impediva l’accesso dei mezzi spazzaneve. Gelava l’acqua nelle
canne ed il gasolio nei serbatoi delle auto. A ruba pale, badili,
stufe elettriche.
Davanti ai cancelli dei magazzini
comunali in via Del Macello la fila degli aspiranti spalatori: ne
erano già stati assunti 160 suddivisi in undici squadre che
sarebbero diventati 250 entro sera. Bastava entrare nei magazzini,
fornire le proprie generalità e poi si veniva fatti uscire dalla
finestra per l’impossibilità di fendere la folla che si era
accalcata alle spalle. Il Centro di coordinamento della Protezione
civile aveva d’altronde già avvertito che le basse temperature e
le forti nevicate previste fra domenica 13 e mercoledì 16 gennaio
avrebbero richiesto grande attenzione, soprattutto
nell’approvvigionamento di sale, che iniziò ben presto a
scarseggiare. Dal 10 gennaio, all’arrivo della prima gelata
notturna, per lo scoppio di due radiatori dei gruppi elettronici
diesel che alimentavano la rete di sicurezza, era stata fermata la
centrale nucleare di Caorso. Il consumo eccezionale di metano
costringeva l’Aem ad aumentare i prelievi dalla rete Snam,
superando il fondo scala contrattuale con il risultato di dover
spendere qualche centinaio di milioni di lire di sovrapprezzo. La
municipalizzata era stata costretta a richiamare in servizio il
personale in ferie per far fronte alle prime rotture di condotte
dell’acqua potabile a Picenengo, in corso XX Settembre e in via
Bissolati, con turni di lavoro di 12-13 ore consecutive. Anche gli
autobus e i filobus in servizio in città avevano registrato le prime
rotture ai sistemi frenanti e ai meccanismi di apertura e chiusura
delle porte. Ritardi di due o tre ore anche sulle linee ferroviarie,
a causa della neve che si accumulava sui binari senza il tempo di
poter essere rimossa.
La mattina di giovedì la neve aveva già
raggiunto i 60 centimetri ed erano iniziati i primi crolli. I vigili
del fuoco intervenivano ripetutamente in una cascina di via
Giuseppina, in via Ceccopieri, via Aselli, corso Garbaldi e via XI
Febbraio, per mettere in sicurezza gli alberi in via San Bernardo:
«La situazione già oggi è stata caotica – spiegava il comandante
ingegner Denaro – abbiamo richiamato tutti i vigili, anche quelli
che dovevano godere dei turni di riposo, per far fronte alle decine e
decine di chiamate. Lo strato di neve ha provocato crolli dappertutto
e se dovesse piovere temiamo che possa succedere qualcosa di ancor
più grave. Speriamo di no. La gente ha paura, ora ha davvero paura
anche se bisogna calcolare che i tetti, per essere collaudati,
dovrebbero essere in grado di sopportare anche due metri e mezzo di
neve!»
Chiudono gli istituti scolastici
superiori, mentre continuano a funzionare regolarmente medie ed
elementari. “La città è nel completo caos” titola il quotidiano
“La Provincia”: parcheggi bloccati, marciapiedi impraticabili. La
Guardia di Finanza prende vanghe e badili e libera provvisoriamente
dalla neve piazza Castello e via Zara, mentre una cinquantina di
militari intervengono a liberare i binari e gli scambi della stazione
di Cavatigozzi. Sale a 320 il numero degli spalatori impegnati a cui
si aggiungono 130 militari della Col di Lana che il Prefetto Beatrice
ha ottenuto dal Comiliter di Torino perchè si presentino ai
magazzini comunali per essere inviati nelle zone cittadine di
particolare interesse pubblico, ospedali e cliniche private. Vengono
impegnati anche i mezzi dello Snum, che interrompono il normale
servizio di raccolta dei rifiuti. Camion e camion scaricano la neve
nel Morbasco, dal piazzale di via Boscone all’angolo con via Del
Sale, si ripulisce piazza Marconi ma gli ambulanti non arrivano.
Resta bloccato lo stadio Zini, stracolmo di neve, ma si decide di
affrontare prima l’emergenza sulle strade, visto che l’intervento
si presenta particolarmente lungo e complesso.
“Caos nel traffico, paura per i
crolli – scrive il cronista il 18 gennaio – Ormai siamo allo
stato di emergenza completa anche se ancora si cerca di non
riconoscere la gravità della situazione. E’ anche questo un motivo
per tentare di fronteggiare lo stato di calamità senza allarmismi.
Ma non si possono dimenticare i numerosi crolli; capannoni che hanno
provocato danni alle industrie, stalle e silos danneggiati in modo
anche grave, numerosi capi di bestiame morti sotto le macerie”.
“L’auto sobbalza sui crostoni di ghiaccio: si circola peggio di
mercoledì, però sono arrivati trecento quintali di sale e la
macchina è uscita di prima mattina a spargerlo. «Il sale serve a
sciogliere i crostoni, poi interverremo con le lame spartineve»,
dice un funzionario comunale...Ma c’è anche chi spala la neve e
non è in divisa: continua infatti a crescere il numero di coloro che
si presentano ai magazzini comunali. Ieri erano circa quattrocento e
tra di essi c’era pure qualche donna. La paga è poco più di
diecimila lire all’ora e i conti sono presto fatti, se si pensa che
l lavoro li impegna per una decina di ore al giorno. Ma hanno
sgobbato anche quei volontari, circa una trentina, che hanno
cominciato a spalare la neve allo stadio Zini. L’operazione
continuerà anche oggi e nella notte con i riflettori accesi”.
Quattro giorni di nevicata ininterrotta, 105 centimetri di manto
sulle strade. Quasi come nel 1911. Per un attimo, giovedì 17
gennaio, la neve cessa di cadere, e si può iniziare una prima stima
dei danni. In provincia la situazione è drammatica: crolli in
cascine a Corte de’ Cortesi e Cella Dati, Vicomoscano, Persico
Dosimo, Isola Dovarese, Pieve San Gacomo e all’Aipm di Cà
d’Andrea, dove la neve ha sfondato i coperchi di sette silos. Il
cremasco è in ginocchio: la Galbani non riesce a raccogliere il
latte munto, che resta nelle stalle.
Si arriva a sabato, 19 gennaio, ma la
situazione non migliora: “Siamo ormai al limite della
sopportazione; la circolazione stradale è impossibile e l’intera
città è quasi paralizzata. Sembra incredibile, la gente non riesce
a capacitarsi come mai in cinque giorni non sia stato possibile
rimuovere la neve dalle strade. D’accordo, l’evento è di portata
eccezionale, non poteva essere preventivato. E tanto meno Cremona e
provincia possono sopportare spese annuali per garantire un servizio
di efficienza, proprio in considerazione del fatto che mezzi ed anche
uomini si renderebbero utili soltanto ogni decennio. Tuttavia abbiamo
avuto l’impressione che non fosse pronto alcun piano di
coordinamento, che ci si sia affidati un po’ troppo all’arte
italiana di arrangiarsi, Oppure si è sperato in un mutamento delle
condizioni atmosferiche? Sta di fatto che in città e provincia sono
ferme ed inutilizzate un centinaio di lame, quindi anche trattori e
ruspe; inoltre i dipendenti delle imprese edili sarebbero disponibili
perchè in questo periodo sono senza lavoro”. Ma a soffrire sono
anche le attività produttive: “Disastroso l’attuale momento
delle industrie; non arrivano i materiali da lavorare sempre a causa
delle strade impraticabili. Industriali, piccoli industriali,
artigiani e commercianti sono ormai senza lavoro o quasi; il 50 per
cento delle industrie hanno chiuso sino a lunedì; fra questi anche
l’Acciaieria Arvedi. I piccoli industriali hanno fatto pervenire
una lettera di protesta ai parlamentari cremonesi. La stessa cosa si
deve dire delle aziende agricole; alcune sono senza rifornimenti di
mangime. Eppure la nostra è una provincia piatta...”. Vengono
richiesti dalla Prefettura altri 60 soldati per lo sgombero della
neve alla stazione ferroviaria e nelle principali vie di
comunicazione. Un camion si blocca sul passaggio a livello di via
Rosario, mentre dalla stazione di Cremona sta arrivando un treno, i
due autisti si buttano nella neve pochi istanti prima che il
convoglio investa l’automezzo ad una velocità di circa 80
chilometri all’ora. Solo per un miracolo nessuno resta ferito. Solo
con domenica la situazione migliora, il lunedì successivo riaprono
tutte le scuole ed i ritardi dei treni si mantengono accettabili.
Tocca al prefetto Giulio Beatrice, una volta cessata l’emergenza,
stilare il bilancio dei danni: “Per quanto riguarda la zone
maggiormente colpite e la valutazione dei danni devo dire che nel
periodo interessato dalle precipitazioni era già possibile valutare
in alcune decine di miliardi i danni subiti. Le numerose e ripetute
constatazioni eseguite consentivano di valutare le categorie di
danno: 1) scoperchiamento e crollo di un centinaio di edifici privati
o pubblici; 2) gravi lesioni e danneggiamenti a tettoie o coperture
di fabbricati industriali, ad aziende agricole, a imprese artigiane e
commerciali. In particolare per le aziende agricole i crolli ed in
danneggiamenti sono risultati quasi sempre accompagnati dalla perdita
di ragguardevoli scorte; 3) grave danneggiamento di intere
coltivazioni, distruzione per congelamento di vaste colture,
distruzione e grave danneggiamento di impianti e strutture
zootecniche; 4) lesioni e danneggiamenti a strade statali,
provinciali e comunali, nonché alle reti di acquedotto e di fogne;
5) notevoli danneggiamenti ad impianti elettrici e telefonici.
Durante il periodo delle nevicate e nei giorni seguenti le autorità
centrali venivano costantemente ragguagliate sulle rilevazioni dei
danni, facendo presente l’urgenza della declaratoria di pubblica
calamità, previo il parere della Regione Lombardia, nell’intento
di assicurare per l’intera area coinvolta dalle precipitazioni
nevose la concessione delle provvidenze previste dalle leggi”.
Sono passati 30 anni, ma è uno di
quegli eventi che chi ha vissuto si ricorderà sempre. Erano i primi
giorni di gennaio del 1985. Tutto il nord Italia venne investito da
quella che ancora oggi è ricordata come la grande nevicata dell’85.
Tre giorni di neve caduta incessantemente anche in città, preceduti
da un’ondata di freddo gelido e nelle campagne della bassa pianura
padana, si toccarono anche i 22 gradi sottozero.
A partire dal 4 gennaio, una massiccia
ondata di gelo proveniente dall’artico russo (più precisamente dal
mare di Kara) raggiunse il mar Mediterraneo, avanzando con estrema
velocità. Non si trattò quindi di aria polare continentale di
origine siberiana, come ancora pensano molti.
L’ondata di gelo, in un primo
momento, provocò estese nevicate su Toscana, Umbria, Marche, Lazio
(Roma compresa), Campania e anche, in misura minore, in Pianura
Padana (sebbene non si trattasse di fenomeni eccezionali per il clima
dell’Italia Settentrionale). A causa dell’inversione termica e
dell’effetto albedo, le temperature minime in Toscana ed
Emilia-Romagna scesero anche al di sotto di -20 °C.
Successivamente, tra il 13 ed il 17
gennaio 1985, una depressione centrata sul mar di Corsica provocò
quella che (assieme alle altre che seguirono nei giorni successivi) è
ancor oggi ricordata a Milano e in tutta la Lombardia come la
nevicata del secolo o la nevicata dell’85, costituendo la nevicata
più forte registrata nella regione nel XX secolo.
In una sola nevicata, che durò oltre
72 ore, caddero tra i 70 ed i 90 cm di neve. Il totale dei
centimetri di neve caduti raggiunse livelli record: 20 centimetri a
Genova, 30 a Venezia, 40 a Padova e Treviso, 50 a Udine e Vicenza, 60
a Biella, 80 a Bologna, 110 a Como, 122 a Varese, da 130 a 150 cm
a Trento. A Milano, dopo 4 giorni e 3 notti di nevicata, il manto
nevoso arrivava fino a 90 cm. Nevicò addirittura a Cagliari e
in tutta la Sardegna.
L’inizio fu il 13 gennaio. Un giorno
freddo, in cui il termometro scese oltre 10 gradi sotto lo zero. La
sera dovettero chiudere per il maltempo gli aeroporti di Malpensa e
Linate. Il giorno dopo tutta la Lombardia si risvegliò con oltre 30
centimetri già caduti e dal cielo i fiocchi continuavano
incessantemente a cadere. Strade completamente coperte da un manto
bianco. Un silenzio surreale. Mezzi spalaneve insufficienti. Il tutto
durò per tre lunghissimi giorni. Tre giorni in cui sembrava di
essere stati catapultati in un altra realtà. Scuole chiuse, uffici
con metà dei dipendenti e l’altra metà bloccata in viaggio. Non
mancarono i danni provocati dalla perturbazione: tetti sfondati,
incidenti, cadute. A Milano crollarono i tetti del Palazzetto dello
sport e del Vigorelli. L’eccezionalità del fenomeno provocò caos
e problemi in tutto il Nord Italia, impreparato ad una simile
situazione. Inoltre, parte delle attrezzature antineve della
metropoli lombarda erano state precedentemente inviate a Roma, dal
momento che la Capitale era già stata bloccata, il 6 gennaio, da una
nevicata di dimensioni anomale per il luogo.
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