sabato 14 settembre 2013

La Priùra deli baléeri

Maria Priori

Tutti la ricordano come “la Priura deli baléeri”. E' stata lei, una piccola donna con la grinta da bersagliere, la vera animatrice dei mitici anni Sessanta. Sul pavimento in legno delle sue balere itineranti, che percorrevano in lungo e in largo l'intera provincia, hanno cantato praticamente tutti i big di quegli anni. E lei, Maria Priori, non aveva paura di bussare a tutte le porte per averli. A lei nessuno poteva dir di no. Eppure, come è delle storie più straordinarie, era cominciato tutto
per caso. Il mestiere, lei, se lo era visto cucire addosso una notte negli anni prima della guerra. Il marito Aldo, Priori anche lui, gestiva una balera ed era andato a concordare a Cà d'Andrea la data in vista della fiera. La sua moto lo tradì e lo trovarono morto nella Delmona, che scorre lungo la strada. Allora erano sposati da solo tre anni e Maria restò sola. Poi arrivò la guerra e le balere itineranti scomparvero dalla pianura.
Giunse la Liberazione e la gente ritrovò la felicità e la speranza, e la voglia di divertirsi. Maria era pronta. Tirò fuori le assi della balera smontata e nascosta da qualche parte nel fienile e insieme al padre, aiutata da due lavoranti, iniziò a girare tutte le fiere e le sagre della provincia, da Spino d'Adda a Rivarolo. Già, Rivarolo mantovano è una località fatidica. C'è invece chi sostiene che il posto fosse però un altro, il castello di Torre de' Picenardi. Sta di fatto che in una calda serata di fine estate del 1958, sul pavimento in legno della balera di Maria Priori, mise i piedi una giovane ragazza bruna vestita da maschiaccio. L'esordio di Mina è vivacemente raccontato da Tato Crotti e Giovanni Bassi nel libro “Mina prima di Mina” edito da Rizzoli nel 2007: «In questo angolo di storia, Mina, in una calda serata di fine estate del 1958, ha fatto i conti con i primi fischi del pubblico: “Té te càantet mìia, te ùuzèt” impreca un signore del pubblico presente nella balera allestita per l'occasione da Maria Priori. Mina, accompagnata dagli Happy Boys, sta cantando sul palco. Impallidisce, si ferma e ha un gesto di stizza: “Basta, io non canto più! Voglio andare via”. Nino la rincorre, la rincuora, convincendola che per un idiota non può mettere a rischio una carriera che si annuncia promettente, e le ricorda che le altre esibizioni hanno riscosso grande successo. Anche gli amici la confortano. Lei risale sul palco e riprende a cantare. I fischi si trasformano in tiepidi applausi. La serata giunge al termine e la signora Maria, attenta ai biglietti venduti, tira un sospiro di sollievo». Maria Priori è una donna minuta ma ha la fibra e il carattere di un corazziere. Ama vestire in modo elegante, alle volte eccentrico, con vestiti neri ma pieni di pizzi, con tacchi altissimi e cappelli a larghe falde. E' particolarmente attenta che tutto fili liscio nella sua balera. Distribuisce personalmente i gettoni a chi vuole ballare, cinque centesimi per tre giri di danza, segue le coppie sul filo della musica, controllando che tutti abbiano pagato. Ma interviene personalmente anche nel mantenere l'ordine tra ballerini troppo focosi. 
Una balera Priori a Piave San Giacomo
Alla sera raccoglie gli incassi in un sacco, a quei tempi non c'erano ancora ricevute fiscali né fatture. Nel suo vagabondare da una fiera all'altra la seguono il figlio Innocente, chiamato però Romano, e la giovane nuora, Maria Molesini, che ben presto si appassiona al lavoro di impresario ed inizia a sostituire il marito, permettendo in questo modo di realizzare un'altra balera mobile. E' gente di spettacolo. Lo stesso marito Romano era nato nel pieno della fiera di San Pietro alle Colonie Padane la sera del 29 giugno. Una predestinazione e una vocazione. Siamo alla fine degli anni Cinquanta e i giovani si affollano ai cancelli della balera: sono costituite da lunghe assi di legno e una recinzione anch'essa di legno oppure in ferro, hanno forma rotonda e quadrata e sono coperte da un tendone simile a quelli dei circhi a forma di cono, di colore verde, arancione o azzurro e grigio. Per montarle e smontarle ci vogliono un paio di uomini, gli unici dipendenti della ditta Priori. Ma a guidare la truppa per il momento è ancora lei, Maria. Crotti e Bassi la descrivono così: “Questa donnetta tanto esile veste in modo elegante e, quando serve, sa tirare fuori gli artigli diventando, in breve tempo, l'incubo di poliziotti e preti: agli uni reclama i permessi per le serate musicali, ai parroci, che non vedono di buon occhio questi divertimenti, oppone i propri diritti. Da giovane vedova si presenta nelle chiese e nei commissariati dei vari paesi con un cappello a larghe falde, un vestito di pizzo, lunghi guanti di raso, tutti rigorosamente neri e tacchi alti undici centimetri: «Sono la vedova Priori e domani sera si canta e si balla. Ho bisogno di sbrigare le pratiche necessarie»”. In Questura conosce tutti e ci mette poco ad avere i permessi necessari. Con i preti la questione diventa più complessa. Con il parroco di Pieve San Giacomo è poi impossibile arrivare ad un accordo.
Romano Priori
C'è la sagra del paese e sono previsti due intrattenimenti con la balera, uno alla mattina e uno alla sera. Ma alla sera c'è anche la processione. I giovani vogliono ballare, ma il prete non vuole concedere lo spazio per la balera. A Maria viene allora un'idea. Poco distante c'è la Delmona,
attraversata dal ponte che porta a Gazzo, sull'altra sponda. Monta la balera sulla sponda opposta, dove la processione, che si ferma sul ponte, non può arrivare. E il gioco è fatto. Un'altra volta, però, è lo stesso prete, che le chiede di avere a disposizione una balera per la festa del paese. Le balere viaggiano ininterrottamente da un capo all'altro della provincia, fino a raggiungere le più sperdute località anche tre volte all'anno, in occasione delle fiere di primavera, estate e autunno. E con loro viaggiano i nomi più famosi del mondo canoro di quegli anni. Ci sono l'immancabile Nilla Pizzi, Achille Togliani, Gino Latilla, Carla Boni, Flo Sandon's la vincitrice del Festival di Sanremo nel 1953. Ci sono, però anche gli inevitabili inconvenienti delle feste di paese. A Cà de' Novelli, per esempio, verso la metà degli anni Sessanta, la giovane Maria Molesini, allora fidanzata con Romano Priori, trova ad attenderla una concimaia, un fienile e tre case. «Mi veniva da piangere - ricorda oggi - poi è iniziata ad arrivare la gente, che lasciava le biciclette nel campo di granoturco attorno. Siamo andati avanti fino alle tre e quattro di notte, un successo incredibile».
In quegli anni chi mai avrebbe immaginato di avere in quello sperduto angolo di campagna, un'esibizione del mitico duo Fasano?

Per i Priori nulla è impossibile. Romano, che ha ereditato dalla madre carattere e passione, è riuscito a tessere una tale rete di contatti da portare nelle sue balere il meglio della musica di quegli anni. Sui diciotto metri quadrati del palco di legno si esibisce una sera a Sesto Cremonese Joe Sentieri, l'urlatore che concludeva le proprie esibizioni con il saltino che mandava in visibilio il pubblico. Arriviamo al 1966: il Cantagiro, che da tre anni percorre le strade su e giù per l'Italia, apre ai complessi beat, ormai fenomeno di costume e musicale inarginabile, organizzando un girone apposito, con la presenza dei gruppi e dei cantanti più noti del genere beat attivi in Italia. La gara ha un enorme riscontro di pubblico e lancia definitivamente il nuovo stile tra i giovani. Romano Priori coglie l'occasione al volo. Viene a sapere che la carovana passerà sulla strada per Brescia e alla fine di giugno si presenta ad un crocicchio per incontrare i Nomadi di Augusto Daolio e Beppe Carletti. Al Cantagiro hanno presentato una canzone, “Come potete giudicar”, che diventerà un inno del genere beat instauratosi in Italia in quel periodo e la bandiere del gruppo. Li convince a suonare nella sua balera di Stagno Lombardo, l'ingaggio è di 180.000 lire. E' una delle prime apparizioni ufficiali del gruppo, che nello stesso anno realizza un'altra pietra miliare della musica di quegli anni, “Noi non ci saremo” di Francesco Guccini. Qualche anno prima, nel1960, aveva fatto la sua apparizione sul palco della balera installata a Bonemerse, un ragazzo di sedici anni che urlava come un'aquila. Si faceva chiamare Fausto Denis, ma il suo vero nome era Fausto Leali. Sarebbe diventato famoso solo qualche anno più tardi, nel 1967, con “A chi”, conquistandosi la fama di “nero bianco” per la sua voce calda e roca. Romano avrebbe voluto anche Celentano ma, quando va a Milano nella sede del Clan, lui non ha tempo per riceverlo. Lungo le scale incontra Don Backy: “Se mi date cinque serate vengo io”. E l'affare è concluso. Una calda sera d'agosto di quegli anni nella balera installata a nel castello di Torre de' Picenardi si esibisce un'altra stella del momento, l'esotica Lara Saint Paul. Ma c'è un altro castello dove le balere viaggianti di Priori sono di casa: è villa Medici del Vascello di Casteldidone, la nobile dimora di Cecilia Gallerani, la leonardesca Dama dell'Ermellino, dove la contessa, finito di ballare in occasione della festa del melone, invita tutti a cena nelle sale dell'austero palazzo. Ci sono anche Enzo e Terry, che sono del posto, e un ancora sconosciuto Raoul Casadei con l'orchestra dello zio in cui fa le prime prove. Ma ormai l'avventura sta volgendo alla fine.
La balera Priori in "La strategia del ragno" di Bertolucci
E' il 1968 e Bernardo Bertolucci sta girando nella bassa, tra Sabbioneta e Viadana, il film “La strategia del ragno”. Vede la balera di Maria Priori e l'affitta per girare una delle ultime scene, e il ballo all'aperto al ritmo di “Giovinezza” diventa una pagina d'antologia. Il regista si ricorda ancora di quello straordinario personaggio qualche anno dopo, e nel 1974 acquista un'altra delle sue famose balere per il film “Novecento”. Ormai i tempi stanno cambiando, e Romano vende anche l'altra balera al Pci, perchè venga utilizzata alle feste dell'Unità. Con il nipote Aldo si contano tre generazioni di Priori. Oggi gestisce un bar in via Giordano e ha per la nonna uno straordinario amore e venerazione. Ne ha raccolto i ricordi, quando, da piccolo, gli raccontava delle sue balere in viaggio nella pianura. Un grande baule in cantina racchiude le altre testimonianze di quegli anni entrati nel mito, quando per ballare e divertirsi bastavano quattro assi e un telone in mezzo ai campi di granoturco.

Maria “La Priura” è morta cinque anni fa a 96 anni di età nella casa di riposo di Stagno Lombardo. Anche quando era ormai inferma ha sempre voluto apparire perfettamente abbigliata secondo il suo personalissimo stile, con quelle scarpe dai tacchi altissimi ed ormai purtroppo divenute inutili.
Sempre fedele al suo personaggio. Amava ricordare che non sapeva nemmeno più quanta gente avesse fatto sposare con le sue balere, che un tempo rappresentavano per i giovani l'unico luogo di ritrovo. La sua attività è stata proseguita prima dal figlio Romano con la moglie Maria, poi dal nipote Aldo, che alla memoria della nonna ha voluto dedicare anche una società immobiliare. Le
balere viaggianti sono state sostituite dalle discoteche. I Priori hanno realizzato a Piadena la discoteca Odeon e per 27 anni hanno gestito il TamTam di San Giovanni in Croce. Aldo, a sua volta, ha lavorato per anni nel mondo dello spettacolo, collaborando con Ugo Gregoretti, recitando
come attore in vari fotoromanzi e. unico italiano, in alcune puntate di Beautiful.                                                                                                                                   

sabato 7 settembre 2013

La casa del marchese Ugolino


Maria Antonietta Villa Sartori è una minuta signora milanese, con una grande passione per l'antiquariato e una casa che di per sè è già un museo, che da anni si è impegnata nell'impresa ciclopica di recuperare tra quelle mura le tracce di un lontano passato. Una casa affascinante e misteriosa la sua, carica di storia. E dai muri ne affiorano le testimonianze. Il ciclo di affreschi al piano terreno, dove ha sede il negozio di antiquariato, è già stato studiato da Lidia Azzolini, così come gli affreschi del piano nobile raffiguranti falconi, avvicinati agli animali di Giovannino de' Grassi dell'Offiziolo, codice miniato per Gian Galeazzo Visconti. Ma è sul retro dell'edificio, in un ambiente al piano terreno, che i lavori di recupero sono proseguiti fino a mettere a nudo una parete interamente decorata con motivi ad arabeschi e piccole stelle dorate su un fondo di un intenso blu lapislazzulo, forse risalente all'antica decorazione tardotrecentesca. Sopra la decorazione più antica, appena al di sotto della soffittatura lignea, compare un fregio cinquecentesco a monocromo grigio su fondo azzurro con motivi zoomorfi e vegetali a foglie d'acanto, già segnalato nel novembre 2012 alla soprintendenza per il suo definitivo recupero.

Gli stessi motivi compaiono anche in un ambiente del piano nobile adibito oggi a cucina. Qui il fregio d'acanto è accompagnato dalla figura di un leone cavalcato da un bambino, mentre in un'altra porzione una figura umana barbuta dallo sguardo inquietante diretto verso l'osservatore, affronta un drago armato di quella che sembra una spada. Nelle sue parti più antiche si tratta sicuramente del più importante ciclo decorativo “civile” in un'abitazione privata, che testimonia la presenza di artisti sensibili al gusto tardogotico dominante in quegli anni in ambiente visconteo. Come ha messo in evidenza Lidia Azzolini un'altra preziosa pagina di pittura tardogotica si trova in un locale al piano terra, ove sono emerse due ampie edicole gotiche tutte trafori e pinnacoli, aperte sul vuoto atmosferico di un blu compatto, al cui interno sono incastonate due figure di voluminosa definizione plastica, delle quali un è ormai ridotta ad una macchia uniforme giallo pallido, quasi indistinguibile da colore del viso.
 L'altra figura maschile conserva una parte del corpo celata da una corta veste a disegni fantasiosi e reca un bastone lungo sin quasi a toccare il mento, prolungantesi trasversalmente sin fuori dalla nicchia. I tratti fisionomici sono riassunti dal segno grafico nero sulla macchia rosata della pelle del viso dal morbido incarnato, ravvivato dal rosso acceso delle guance e dal bianco intenso degli occhi, dalle pupille cerulee. Ma è soprattutto il profilo di un'alta torre che sembra richiamare il Torrazzo, posta ai lati dei troni, a risultare particolarmente interessante. E' sicuramente la più antica raffigurazione realistica del Torrazzo e rappresenta la prima fase di costruzione della Ghirlanda, che fino ad oggi potevamo solo intuire interpretando i sigilli comunali conservati all'Archivio di Stato di Cremona. All'interno di una serie di architetture tardogotiche affrescate sulla parete, si staglia su uno sfondo scuro il profilo di una torre che richiama la Ghirlandina del duomo di Modena, ma che sicuramente rappresenta invece il nostro Torrazzo nel suo primo sviluppo evolutivo. 
Il ciclo di affreschi, attribuibile al primo quarto del XV secolo, si inserisce in quel linguaggio decorativo di gusto internazionale bene interpretato a Cremona da Antonino da Pavia, documentato nel 1419 nella sacrestia di San Luca con le storie del Battista, e da Giovanni Bembo, forse all'opera sull'Incoronazione di Maria nell'absidiola di sinistra della chiesa di santa Lucia e nell'epitaffio sulla tomba dello stesso Antonino proveniente dalla chiesa di San Francesco e oggi in deposito presso gli Istituti Ospitalieri di Cremona. Un vasto repertorio di ghimberle, pinnacoli, archetti polilobi e balaustre di derivazione francesizzante che trova applicazione in architettura nelle contemporanee facciate a vento padane. Nel caso della torre, invece, la rappresentazione diventa più realistica fino al punto di descrivere con minuziosità particolari architettonici che l'avvicinano decisamente alla Ghirlandina modenese, ultimata nel 1319. La torre era originariamente costituita da cinque piani, ultimati intorno al 1179. Si avvertì in seguito la necessità di sovrapporre alla antica torre romanica di cinque piani un successivo piano di raccordo per l'inserimento del corpo ottagonale, che modificò integralmente il suo aspetto, conferendole un accento gotico che l'avvicina alle torri guglie lombarde. E' probabile in questo senso il tentativo di adeguare la torre modenese alla tipologia che andava diffondendosi nella pianura padana, dove il Torrazzo, ultimato nel 1305, forniva un originalissimo prototipo. Oggi noi non sappiamo con certezza quale fosse l'aspetto originale della ghirlanda cremonese, aggiornata
in epoca sforzesca nella seconda metà del quattrocento, ma l'affresco al piano terreno del palazzo Sommi può suggerircelo.