domenica 22 luglio 2018

Tommaso Turco, generale domenicano

Lorenzo Bernini, Ritratto di papa Urbano VIII
Si racconta che Niccolò Ridolfi, maestro generale dei Domenicani costretto alle dimissioni da papa Urbano VIII della potente famiglia Barberini, richiesto dai Padri del Capitolo quale dovesse essere la persona più adatta a ricoprire l'alto incarico, avesse risposto, senza alcuna esitazione: “Turco”. E fu così che un professore cremonese di filosofia, diventò il Maestro generale dell'Ordine dei predicatori, la maggiore autorità dell'ordine religioso fondato da Domenico di Guzmàn.
Tommaso Turco, o Turchi, era nato a Cremona nel 1595 “da onesta stirpe” ed appena quindicenne era stato ordinato frate il 29 agosto 1610, ed assegnato al convento cittadino. Dieci anni dopo si era già fatto conoscere per le sue doti intellettuali nello studio della filosofia e della teologia, ed aveva già fatto progressi così sorprendenti al confronto con gli altri allievi, che il cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di Alessandro divenuto papa nel 1621 con il nome di Gregorio XV, lo aveva voluto presso di sé come suo teologo personale. Nel 1623, nonostante la sua giovane età, lo aveva addirittura fatto nominare dallo zio vescovo di Scala e Ravello nel Regno di Napoli, anche se in realtà la nomina non aveva avuto effetto, appunto perchè ritenuta sconveniente. “Più utile forse, e per l'Ordine suo più decoroso fu, che tratto non ne fosse per essere su di una cattedra Vescovile collocato - osserva il suo biografo, fra Giambattista Contarini (Notizie storiche circa li pubblici professori nello studio di Padova scelto dall'ordine di San Domenico, Venezia, 1769) – poiché proseguendo ad insegnare nelle scuole de' Conventi più insigni di sua vasta Provincia, se ne sparse la fama per tutta l'Italia, come di uomo per profondità di dottrina, per copia di erudizione, per la perizia nel diritto canonico, nella storia ecclesiastica, ed in più lingue, spezialmente ebraica, greca, caldea, superiore a molti, né inferiore ad alcuno de' tempi suoi”.
Proprio per queste sue qualità, il maestro generale dell'ordine, fra Niccolò Ridolfi, che tre lustri dopo lo avrebbe indicato come suo successore, lo aveva scelto fra tanti altri, nonostante la sua giovane età, per reggere lo studio generale di Bologna per poi, nel successivo Capitolo generale a Roma nel 1629, dichiararlo Maestro senza, tuttavia, abbandonare l'insegnamento a Bologna. Più tardi, dovendo scegliere il successore di fra Marco Rossetti, il 27 gennaio 1631 i riformatori dello studio di Padova proposero al Senato padre Tommaso Turco per la cattedra di metafisica. Non solo il Senato accettò l'indicazione, ma assegnò al giovane Tommaso uno stipendio di duecento fiorini, una cifra superiore a quella che solitamente veniva attribuita- “L'applauso che riscossero fino da principio le sue lezioni – osserva ancora il biografo – corrispose alla fama, che di lui era precorsa, singolare era il profitto che ne traevano li studenti, non ordinaria la soddisfazione che ne provava il Senato; ma sensibilissimo, e comune a tutti il dispiacere in veggendolo dopo un solo quinquennio obbligato a dimettere l'impiego, per assumerne altri a' quali il Cielo lo aveva destinato”. Era accaduto che papa Urbano VIII, che conosceva bene fra Tommaso, lo aveva chiamato a Roma verso la fine del 1643 per assumere l'incarico di Procuratore generale dell'ordine, in seguito alla morte di Padre Domenico Gravina, prologo alla successiva nomina a Maestro generale da parte del Capitolo di Roma il 13 maggio 1644, vigilia di Pentecoste.
La chiesa di San Domenico a Cremona
In realtà a favorire la nomina di fra Tommaso era stato Niccolò Ridolfi, caduto in disgrazia presso la famiglia Barberini, da cui proveniva il papa. I motivi vanno individuati da un lato nella forte azione riformatrice di Ridolfi presso l'ordine domenicano di Francia, e dall'altro nelle vicende romane. Per questo motivo, una volta divenuto Maestro generale, una delle prime preoccupazioni di Tommaso fu quella di riabilitare il suo anziano protettore. Ma andiamo con ordine.
Niccolò Ridolfi era divenuto domenicano dopo un incontro con San Filippo Neri e dopo aver frequentato in un primo tempo la Compagnia dei Gesuiti. Aveva rifiutato una prima nomina cardinalizia, per diventare in seguito teologo personale di papa Gregorio XV e, deceduto fra Serafino Secchi, Vicario generale dell'ordine, nominato da Urbano VIII e, eletto dai frati, Maestro generale. In tale veste si era preoccupato di risanare la situazione economica dell'Ordine e di riequilibrare le differenze fra un convento e l'altro e fra un religioso e l'altro; non di rado vi erano infatti numerose disparità fra religiosi ricchi e poveri e fra conventi ricchi e poveri. A questo scopo aveva creato la Cassa Generalizia dell'Ordine, espropriando tutti i beni e gli averi che, in violazione della regola, conventi e religiosi avevano conservato e che eccedevano le necessità quotidiane.
Questo procurò molta prosperità all'Ordine e agli stessi conventi, dal momento che il Maestro generale cominciò a redistribuire in maniera molto munifica le risorse che affluivano nella Cassa generalizia, donando soprattutto a quei conventi che erano in difficoltà e ai poveri. Nello stesso tempo, però, gli procurò problemi con i religiosi ricchi e con quelli poveri che intanto si erano arricchiti; e furono soprattutto alcuni di questi ultimi, che in qualche caso avevano usato risorse dell'Ordine per mantenersi e mantenere i loro familiari, a promuovere processi contro di lui e la sua azione riformatrice. Il divario fra conventi e religiosi ricchi e poveri era particolarmente presente in Francia, dove negli ultimi cento anni si era anche cominciato a non rispettare più la regola da un punto di vista morale. Si erano formate due categorie di frati: la più ricca, comprendente i maestri in teologia, i baccellieri, i predicatori e i frati di famiglie benestanti viveva una vita agitata, godeva di molti privilegi, possedeva in convento i propri appartamenti, non viveva in comunità ed era dispensata dal coro e dalla messe cantante, aveva al proprio servizio conversi e domestici e andavano a questuare per conto loro. La categoria dei frati poveri, ai quali il convento non passava nulla, tirava avanti a fatica, era obbligata a questuare ovunque, anche nelle taverne, ed era gravata dagli impegni più pesanti, come la presenza nel coro, la celebrazione delle messe ad ora tarda o cantate, l'ascolto delle confessioni. Ovviamente le famiglie benestanti non mandavano volentieri i loro figli in un ordine dove per vivere si doveva chiedere la carità e di conseguenza calavano le vocazioni e si doveva ricorrere ai ceti più poveri, mentre nel frattempo fiorivano gli altri ordini come i Gesuiti, i Recolletti, i Carmelitani scalzi, i Cappuccini, ammirati e sostenuti dalla gente.
Velasquez, Ritratto di papa Innocenzo X
Lassismo e squilibri cessarono con il mandato di Ridolfi, che con una risoluta azione si trasferì oltralpe per guidare in prima persona il cambiamento. Appena arrivato impose di nuovo rigore e austerità ai frati ricchi e si preoccupò in pari tempo di migliorare la vita dei frati più poveri, spesso incaricati dei lavori più pesanti e costretti ad elemosinare ovunque per tirare avanti.
A tale scopo
egli fece valere anche le disposizioni, uscite da tanti capitoli precedenti ma mai applicate fino ad allora, che obbligavano ricchi e poveri ad un unico e comune noviziato, fondando anche un nuovo Noviziato Generale in Parigi. Egli inoltre introdusse anche fra i domenicani gli esercizi spirituali retaggio della sua giovanile frequentazione dei Gesuiti. Nei conventi visitati da Ridolfi non c'era più alcun tipo di silenzio né clausura, uomini e donne circolavano liberamente e non vi erano più un refettorio comune, un biblioteca, vesteria, dormitorio perchè ognuno viveva per conto proprio lasciando la chiesa ed lo stesso convento in totale stato di abbandono
Sul piano politico, sulla scorta dell'esperienza fatta al tempo della sua permanenza transalpina, tentò una difficile mediazione con il cardinale Richelieu per riappacificare Francia, Spagna ed Austria e scongiurare un'alleanza dei francesi con i protestanti. Ma la sua azione riformatrice in campo religioso, che aveva colpito numerosi interessi, e la sua azione diplomatica, che gli aveva attirato molte antipatie e lo aveva coinvolto in trame più alte e inestricabili, provocarono la sua deposizione, desiderata sia dai frati cui aveva sottratto ricchezze e aveva costretto a tornare alla piena osservanza della regola, ma anche auspicata velatamente dalla cancelleria francese. Fu così che al Capitolo convocato a Genova nel 1642, il candidato filofrancese Michele Mazzarino, fratello del più famoso Giulio, arrivato in anticipo coi suoi sostenitori e prima che fossero giunti tutti gli altri provinciali, riuscì a leggere ai presenti un documento del cardinal Barberini che lo designava presidente del Capitolo. Mazzarino riuscì a far approvare la deposizione di Ridolfi e, poco dopo, a farsi eleggere nuovo maestro generale da un ridotto numero di aventi diritto. Per tutta risposta, i frati austriaci e spagnoli, contrari alle trame politiche dei Mazzarino, uscirono dal Capitolo e, riunitisi a Cornigliano, elessero un altro maestro, Tommaso di Rocamora. A questo punto, il Papa fu costretto a nominare una commissione che dichiarò nulle sia la deposizione di Ridolfi che le successive elezioni di Mazzarino e Rocamora, restituendo il governo dell'Ordine al primo dei tre. Il Papa in seguito demandò ad un successivo Capitolo Generale il giudizio delle colpe, ma poco dopo sollevò ugualmente Ridolfi dall'ufficio, chiudend operò tutti i processi contro di lui e manifestando l'intenzione di chiamarlo all'episcopato. Intanto al Ridolfi non fu affidata nessuna diocesi, mentre il Mazzarino venne nominato Maestro del Sacro Palazzo.
Nel successivo Capitolo, convocato a Roma dal Papa nel 1644 i frati che pensavano di poter rieleggere prontamente il Ridolfi, si trovarono di fronte al veto del pontefice, che fece valere il suo rifiuto anche nei confronti di fra Domenico de Marinis, maggior collaboratore di Ridolfi, in un primo tempo eletto dal Capitolo. La grande paura della famiglia Barberini era che Ridolfi, durante il Capitolo, potesse rivelare gli intrighi e le malefatte della famiglia cui apparteneva il papa. A quel punto i padri capitolari si orientarono sul nome di Tommaso Turco, anch'esso consigliato loro da Ridolfi e, alla fine, confermato dal Papa. Alla morte di Urbano VIII, avvenuta lo stesso anno, salì al soglio pontificio Innocenzo X, della famiglia Pamphili, acerrima nemica dei Barberini che, amico del Ridolfi, elevò alla carica del Sacro Palazzo proprio Domenico de Marinis, il candidato al governo dell'Ordine su cui Urbano VIII aveva posto il veto.

Forse Tommaso Turco avrebbe voluto risolvere subito la questione del suo mentore Niccolò Ridolfi, ma si fermò a Roma solo un anno. Si recò dapprima in Francia, ed il 26 novembre 1645 era a Parigi per riformare il convento di San Giacomo. Racconta il suo biografo: “Persuasa con particolarità la Regine del sapere singolare del nostro Generale, premurosamente incitollo a combattere e colla voce, e con la penna l'eresie che in quel regno ed in que' giorni oltremisura infierivano; lo che fatto forse egli avrebbe, se in quel poco tempo che restogli di vita, altri gravissimi affari tenuto non lo avessero indispensabilmente occupato”. Fu così che nel marzo 1646 dalla Francia passò in Belgio, dove fu accolto con grandi feste e grande entusiasmo, e da lì di nuovo in Francia nel convento di Tolosa, e poi in Spagna, ricevuto dallo stesso re Filippo IV, per il Capitolo generale di Valencia del 1647. Riuscì a tornare a Roma nel 1648 e subito sollecitò il nuovo papa Innocenzo X a riunire una commissione di cardinali per riabilitare il Ridolfi, fino alla sua completa assoluzione. Purtroppo per ironia del destino, fu tutto inutile. Tommaso Turco morì improvvisamente il 1 dicembre 1449 a 54 anni di età, e Niccolò Rodolfi pochi mesi dopo, il 1 maggio 1650, a dieci giorni dall'apertura del Capitolo che lo avrebbe sicuramente eletto maestro generale. Conclude il suo biografo: “Com'egli era uomo di gran mente, di attività, di coraggio, così concepute aveva idee, quali se mandate avesse ad effetto risultate sarebbero in gran vantaggio, e sommo lustro di quell'Ordine, di cui era capo; ma la morte che in età troppo fresca lo colse, gliene impedì la esecuzione. Li disagi sofferti ne' lunghi viaggi, le occupazioni moleste, ed incessanti, guastarongli per tal modo la sanità, che un solo anno in circa da che restituito erasi da Spagna in Roma, fu sorpreso da gravissima infermità, che tosto ei riconobbe mortale; onde chiesti, e ricevuti con superiorità d'animo, e spirito di singolar divozioni gli ultimi Sacramenti, cessò di vivere il primo dicembre 1649, che della età sua non era che il 54: Pianse la di lui morte immatura, non solamente l'Ordine nostro, che in lui perduto aveva un Generale per costumi, per dottrina, per zelo, per intrepidezza, per estimazione, e per merito a veruno de' suoi predecessori non inferiore; ma la compianse tutta Roma, l'Italia, la Europa; e lagnossene con distinzione il Pontefice Innocenzo X che al funesto annunzio, che recato gliene fu, ebbe a dire: che caduta era una colonna della cristiana Repubblica, non che della Religione Domenicana”.

La musica del lager

Il campo di prigionia di Celle
La città di Celle, in Germania, è stata sede di un campo di prigionia destinato agli ufficiali della Grande Guerra. Il lager, insediato nella località di Scheuen, immerso nell’immensa brughiera pianeggiante a poche decine di chilometri da Hannover, era stato costruito prima della guerra, e fu completato con il lavoro forzato dei primi prigionieri russi alla fine del 1914; vi furono internati fino alla metà di novembre del ’17 prigionieri francesi, russi, inglesi e belgi. E dalla fine dello stesso mese vi furono concentrati ufficiali italiani catturati dopo Caporetto (circa 3000 nell’arco dei 13 mesi) e circa 500 soldati adibiti ai servizi che vi resteranno fino ai primi di gennaio 1919. Tra questi vi era anche il capitano Giuseppe Denti, di Pugnolo, di cui ci siamo già occupati qualche mese fa per la sua testimonianza sulla disfatta di Caporetto. Ma è stato proprio grazie al ritrovamento di 570 lettere di Denti inviate dal fronte e dalla prigionia alla moglie e alle figlie, oltre a disegni, acquerelli e quaderni, e un vasto materiale fino ad allora ignorato, se è stato possibile iniziare una ricerca storica sul lager. Nel 1995 ad un tratto emergeva, dopo ottant’anni, improvvisamente e inaspettatamente un  corpus  di documenti che dava conto della vita di un soldato, in questo caso un ufficiale, che aveva affrontato le più diverse esperienze della grande guerra: dall’addestramento alla trincea, dagli assalti ai momenti di riposo nelle retrovie, dalle ferite alle licenze, dalla prigionia nei Lager tedeschi al ritorno a casa. Soprattutto la ricca documentazione relativa ai quattordici mesi di prigionia a Cellelager ha prodotto una ricerca specifica, rintracciando notizie sugli altri ufficiali protagonisti e svelando così una pagina tragica e dimenticata della grande guerra. Rolando Anni, Mariuccia Cappelli Carlo Perucchetti, protagonisti allora con i propri familiari della scoperta, condividono oggi il progetto del sito Internet su Cellelager, con Lauro James GarimbertiAlessandra Ghidoli, Maria Neroni e Silvia Perucchetti. Da questa ricerca emerge, soprattutto, il ruolo di protagonista ed animatore assunto nel campo da Giuseppe Denti nel rendere meno amara la sopravvivenza degli internati nel lager. Tra loro vi erano anche altri cremonesi: Guido Bodini di Cremona, il tenente Luigi Bonetti di Soresina, Annibale Correggiari di Crema (fondatore della sottosezione del CAI), un soldato di nome Fagliuoli di Casalmaggiore, morto nel lager il 5 marzo 1918, il generale Angelo Farisoglio di Casalmaggiore, il tenente Galli di Motta Baluffi, l'attendente Alessandro Mancini del 246° fanteria di Cingia de' Botti, il generale di brigata Giuseppe Robolotti di Cremona poi fucilato dai fascisti a Fossoli il 12 luglio 1944, il maggiore del 231° reggimento fanteria Gaetano Tassinari di Cremona e il bersagliere del 420° Machine-Gevaert Giuseppe Toliol di Vicobellignano, morto a Celle il 5 marzo del 1918.
Nei primi quattro mesi di prigionia gli internati dovettero fare i conti con il freddo, la fame, il senso deprimente della sconfitta e l’abbandono totale da parte dello Stato italiano. Dalla metà di marzo 1918 incominciarono ad arrivare i pacchi di cibo e di indumenti confezionati dalle famiglie e gli ufficiali (che non erano costretti a lavorare a differenza dei soldati) riuscirono in buona parte a salvarsi. Nacque l’Università di Cellelager e in qualche modo riuscirono, grazie alla cultura, a riprendere la propria identità.
Il capitano Giuseppe Denti
Tra questi un ruolo di primo piano spetta a Giuseppe Denti, arrivato a Celle nel dicembre del 1917, dopo essere stato catturato la mattina del 27 ottobre sul monte Kum, durante la battaglia di Caporetto, ed aver trascorso un periodo prigionia nel campo di Rastatt. Durante l’anno di prigionia nel lager di Celle Denti diventa l'animatore, il pianista, il direttore del coro dell'orchestra del Lager. Come ha raccontato Carlo Perucchetti, uno dei sopravvissuti (Voci e silenzi di prigionia, Cellelager 1917-1918, ed. Gangemi 2015), nei quattro blocchi del lager la musica era praticata un po' da tutti, in quanto erano presenti numerosi dilettanti e, in misura minore, musicisti professionisti, che lasciarono moltissime testimonianze. Se i complessi bandistici, al fronte e in prigionia, vedevano la partecipazione soprattutto di braccianti, contadini e operai, le orchestrine degli ufficiali era composte da appartenenti alla piccola e media borghesia, spesso formatisi nei conservatori italiani.
A Celle furono costituite diverse orchestrine con molti strumentisti ad arco ed ampi repertori. Nei blocchi A e D il complesso era diretto dal maestro Borghi e il violino di spalla era Mario Squartini, nel blocco B l’orchestra, di cui esiste una fotografia, è bene descritta nel diario di un suo componente, il Colonnello Noè Grassi. Il complesso orchestrale del blocco C, diretto dal maestro di banda Agenore Berardi, e il coro erano stati ideati ed animati dal icapitano Giuseppe Denti, maestro di scuola elementare, pianista e compositore. Nei suoi taccuini personali Denti catalogò e ordinò i volumi della biblioteca musicale, trascrisse e adattò varie opere agli organici strumentali del momento, annotò in elenco le musiche eseguite di volta in volta nei vari “concerti”, compilò la lista degli strumenti a disposizione, acquistati con una colletta degli ufficiali. In un quaderno è presente l’elenco completo degli strumentisti e dei coristi.
Gli spettacoli del blocco C si svolgevano nella sala mensa della baracca 33. Il repertorio era molto vasto, e spaziava dalla musica d’opera quasi esclusivamente italiana, ma con la presenza anche di brani wagneriani, a quella sinfonica e cameristica con opere di Chopin, Schumann, Mendelssohn, Offenbach.. Denti compose non solo pezzi da far eseguire al complesso, ma anche brani strumentali e romanze assecondando il proprio gusto personale. Venne eseguito due volte lo scherzo melodrammatico La Lager Signorina, su testo dello scrittore futurista pratese Alberto Casella, con musica scritta “a quattro mani” da Denti, cui si deve la prima parte di stile ottocentesco, e da Alceo Rosini, autore della seconda parte in stile pucciniano. Rosini, talentuoso violino solista, spalla dell’orchestra, eseguì spesso in duo con Denti pagine di Paganini, Sarasate, Mozart, Wienawski e una Zingaresca per violino e pianoforte di sua composizione, andata perduta. Agenore Berardi compose diverse opere andate perdute per l’orchestra con titoli che rimandavano alla vita del Lager, tra cui La sbobbaRicordo nostalgico,AppelloPosta e pacchi in arrivo e Le chiacchiere di Bertacca, di cui è stato ritrovato lo spartito. Anche il coro, sotto la direzione di Denti, partecipò agli spettacoli con l’esecuzione di famosi brani operistici verdiani tratti da NabuccoI Lombardi alla prima crociataTrovatore e Aida. Gli ufficiali tedeschi furono collaborativi per i progetti musicali, consentendo noleggi e acquisti a Celle di strumenti, partiture e accessori da parte degli italiani, che si autotassarono per lo scopo. Giuseppe Denti nel suo taccuino annotò: Epifania, il tenente tedesco porta 16 corde per violino: 5 mi, 5 la, 3 re, 3 sol: importo marchi 12,45. […] Pago 75 marchi per un flauto”.
Il capitano Angelo Ruozi suona il zitar, una cetra da tavola evidentemente presente nel campo e ordina in un negozio di musica di Celle un album con spartiti di vari brani.
Il colonnello Grassi scrive: 
Uscita nel centro di Celle per acquisto musica e sopraluogo per acquisto pianoforte da un privato che viene acquistato per 500 marchi”. Non mancano però i problemi se sempre Denti scrive Se al concerto di stasera vengono i tedeschi fo una dimostrazione accusando debolezza per denutrizione.”
Il teatro del campo di Celle
Noè Grassi, musicista dilettante, partecipa ai progetti orchestrali e scrive: “1 gennaio 1918. Concerto ufficiali Blocco C, per 4 violini, pianoforte, flauto. Uno dei violinisti sottotenente dei granatieri, suona divinamente [Alceo Rosini]; Programma: Marcia reale, inni patriottici, intermezzo della Traviata, duettino ultimo atto Bohème; nasce l’idea di fare un’orchestra di tutti gli ufficiali comune ai Blocchi”, E gli viene pure affidato l’accompagnamento musicale delle funzioni sacre nella cappella del Lager: “31 gennaio 1918, prova in chiesa di una messa di Hadler a due voci con accompagnamento di armonio e archi. 1 febbraio 1918, prova generale della messa offerta ai soldati che cambiano campo. 3 febbraio 1918, prima esecuzione della messa cantata di Hadler. Il cappellano tedesco si offre per acquisti musica sacra. 5 febbraio 1918, il cappellano tedesco consegna libri di mottetti, corde per mandolino, chitarra, catalogo musica sacra. 7 febbraio 1918, un soldato tedesco chiede di far parte dell’orchestrina come mandolinista e violinista.
Il capitano Denti, dal canto suo, scrive le sue composizioni prima sul pianoforte e poi strumentate per il complesso di archi e fiati. Lo stile e i contenuti son da un lato inconfondibilmente suoi, d’altra parte la vicinanza con alcuni musicisti come il direttore Berardi e il violinista Rosini, stimolano la ricerca di nuove soluzioni armoniche e la frequentazione di nuove forme quali la piccola scena di melodramma, La Lager-signorina, o la rivista-operetta più scanzonata “A B C D
A Cellelager fu organizzato e andò in scena lo spettacolo “Piedigrotta”, incentrato sul repertorio delle canzoni napoletane tradizionali e su quelle, sempre in dialetto napoletano, composte durante la guerra, come O surdato ‘nnamurato che fu la canzone più cantata sul fronte italiano. La canzone vincitrice del concorso fu Cielo turchino (Turnammoce) composta da Giovanni Guida, altre furono Povero Ammore di Benedetto Di Ponio e Aspiettame di Edgardo Fenga.
La musica quindi fu sentita come antidoto alla disperazione della prigionia, una medicina per mantenere la propria identità, per stabilire rapporti e condividere progetti da parte di ufficiali lontani dalla patria e abbandonati da essa.
Giuseppe Denti, nato a Pugnolo il 5 ottobre 1882 e morto a Cremona il 30 gennaio 1977, prima di finire prigioniero a Celle aveva imparato la musica sull'organo della chiesa parrocchiale di Pugnolo e sugli insegnamenti del padre utilizzando forse un pianoforte nella casa patriarcale. A 12 anni, grazie alla costante pratica, allo studio di compositori antichi e contemporanei e all’ascolto di valenti musicisti-organisti, aveva vinto un concorso come organista titolare della parrocchia di Quistro, frazione di Persico Dosimo. Conseguito il diploma magistrale col massimo dei voti, dal 1901 aveva insegnato nelle scuole elementari di Cingia de’ Botti e più tardi in quelle di Cremona. Dimostrò in questo doti di organizzatore, dando corpo ad una affiatata banda, a vari corsi di cultura, fra cui un corso popolare festivo di disegno per consentire anche ai lavoratori di parteciparvi e di apprendere le più elementari nozioni. È del 1896 la prima composizione, la romanza “alla Tosti” per canto e pianoforte: O caro, amabil Espero, mentre a partire dal 1901, con l'inizio dell'attività didattica, si era indirizzato verso le canzoni per bambini, spesso nella struttura della romanza senza parole.
Quando nel 1915 parte per la guerra, la musica occupa un posto importante nel suo bagaglio sentimentale e lo conforta e sostiene nella solitudine della trincea. Dalle lettere sappiamo che gli incontri fortuiti con pianoforti e organi costituiscono, per lui che suonava, le uniche gioie nella drammatica incertezza quotidiana. In assenza di strumenti scrive un rigo musicale tracciato alla bell’e meglio su una carta qualsiasi, come racconta nella lettera del 24 dicembre 1916 dalla trincea del Sober scritta alla moglie Carmela.
Giuseppe Denti con la banda di Cingia de' Botti
I soldati in trincea, lo apprendiamo sempre dalle lettere, accennavano sommessamente ai canti popolari della propria terra, aggiungendo e improvvisando magari strofe riguardanti la guerra, e Giuseppe li ascoltava in silenzio e nei rari momenti che la vita al fronte concedeva, insegnava loro il Va’ pensiero e O signore dal tetto natio.
Nel dopoguerra a Giuseppe Denti viene affidato dal Comune di Cremona l'insegnamento della musica per le quarte e quinte classi elementari e lui stesso sceglie di insegnare gratuitamente canto corale presso l’Istituto dell’Infanzia abbandonata, una volta alla settimana, rinunciando così al giorno libero. Valendosi della sua capacità di organizzatore, dà vita al Circolo musicale Euterpe per il canto corale a voci virili. Tra i tantissimi suoi allievi ricordiamo anche il futuro baritono Aldo Protti che dimostrò sempre, anche da artista affermato in campo internazionale, la riconoscenza a colui che era stato il responsabile della sua scelta artistica.
A Cremona, sempre negli anni ’20 e ’30, dirige il Coro Polifonico Claudio Monteverdi. Compone musiche per pianoforte, organo, violino, archi, orchestra e banda, messe, inni religiosi, pastorali e due operette: La Cingeide e La Scalata. Svolge per molti anni il ruolo di organista sostituto presso il Duomo di Cremona dove il titolare è il maestro Federico Caudana, che lo vuole espressamente al suo fianco. Suona regolarmente l’organo nella parrocchiale di S. Giovanni Evangelista di Cingia de’ Botti e l’organo Sgritta della parrocchiale di S. Giovanni Battista di Zone (BS). La casa di Cremona in via Bonomelli diventa un punto di incontro e di riferimento per tanti musicisti e strumentisti cremonesi. Tra questi si ricordano i violinisti Marco Brasi, Nino Negrotti, Persico, Cleandro Corradi, il violista Bisotti. Con tutti questi, con Gino Nazzari, tecnico di pianoforti e suo accordatore prediletto, con don Dante Caifa, musicista e direttore di coro, i rapporti erano di intensa amicizia e di rispetto reciproco.