sabato 7 settembre 2013

La casa del marchese Ugolino


Maria Antonietta Villa Sartori è una minuta signora milanese, con una grande passione per l'antiquariato e una casa che di per sè è già un museo, che da anni si è impegnata nell'impresa ciclopica di recuperare tra quelle mura le tracce di un lontano passato. Una casa affascinante e misteriosa la sua, carica di storia. E dai muri ne affiorano le testimonianze. Il ciclo di affreschi al piano terreno, dove ha sede il negozio di antiquariato, è già stato studiato da Lidia Azzolini, così come gli affreschi del piano nobile raffiguranti falconi, avvicinati agli animali di Giovannino de' Grassi dell'Offiziolo, codice miniato per Gian Galeazzo Visconti. Ma è sul retro dell'edificio, in un ambiente al piano terreno, che i lavori di recupero sono proseguiti fino a mettere a nudo una parete interamente decorata con motivi ad arabeschi e piccole stelle dorate su un fondo di un intenso blu lapislazzulo, forse risalente all'antica decorazione tardotrecentesca. Sopra la decorazione più antica, appena al di sotto della soffittatura lignea, compare un fregio cinquecentesco a monocromo grigio su fondo azzurro con motivi zoomorfi e vegetali a foglie d'acanto, già segnalato nel novembre 2012 alla soprintendenza per il suo definitivo recupero.

Gli stessi motivi compaiono anche in un ambiente del piano nobile adibito oggi a cucina. Qui il fregio d'acanto è accompagnato dalla figura di un leone cavalcato da un bambino, mentre in un'altra porzione una figura umana barbuta dallo sguardo inquietante diretto verso l'osservatore, affronta un drago armato di quella che sembra una spada. Nelle sue parti più antiche si tratta sicuramente del più importante ciclo decorativo “civile” in un'abitazione privata, che testimonia la presenza di artisti sensibili al gusto tardogotico dominante in quegli anni in ambiente visconteo. Come ha messo in evidenza Lidia Azzolini un'altra preziosa pagina di pittura tardogotica si trova in un locale al piano terra, ove sono emerse due ampie edicole gotiche tutte trafori e pinnacoli, aperte sul vuoto atmosferico di un blu compatto, al cui interno sono incastonate due figure di voluminosa definizione plastica, delle quali un è ormai ridotta ad una macchia uniforme giallo pallido, quasi indistinguibile da colore del viso.
 L'altra figura maschile conserva una parte del corpo celata da una corta veste a disegni fantasiosi e reca un bastone lungo sin quasi a toccare il mento, prolungantesi trasversalmente sin fuori dalla nicchia. I tratti fisionomici sono riassunti dal segno grafico nero sulla macchia rosata della pelle del viso dal morbido incarnato, ravvivato dal rosso acceso delle guance e dal bianco intenso degli occhi, dalle pupille cerulee. Ma è soprattutto il profilo di un'alta torre che sembra richiamare il Torrazzo, posta ai lati dei troni, a risultare particolarmente interessante. E' sicuramente la più antica raffigurazione realistica del Torrazzo e rappresenta la prima fase di costruzione della Ghirlanda, che fino ad oggi potevamo solo intuire interpretando i sigilli comunali conservati all'Archivio di Stato di Cremona. All'interno di una serie di architetture tardogotiche affrescate sulla parete, si staglia su uno sfondo scuro il profilo di una torre che richiama la Ghirlandina del duomo di Modena, ma che sicuramente rappresenta invece il nostro Torrazzo nel suo primo sviluppo evolutivo. 
Il ciclo di affreschi, attribuibile al primo quarto del XV secolo, si inserisce in quel linguaggio decorativo di gusto internazionale bene interpretato a Cremona da Antonino da Pavia, documentato nel 1419 nella sacrestia di San Luca con le storie del Battista, e da Giovanni Bembo, forse all'opera sull'Incoronazione di Maria nell'absidiola di sinistra della chiesa di santa Lucia e nell'epitaffio sulla tomba dello stesso Antonino proveniente dalla chiesa di San Francesco e oggi in deposito presso gli Istituti Ospitalieri di Cremona. Un vasto repertorio di ghimberle, pinnacoli, archetti polilobi e balaustre di derivazione francesizzante che trova applicazione in architettura nelle contemporanee facciate a vento padane. Nel caso della torre, invece, la rappresentazione diventa più realistica fino al punto di descrivere con minuziosità particolari architettonici che l'avvicinano decisamente alla Ghirlandina modenese, ultimata nel 1319. La torre era originariamente costituita da cinque piani, ultimati intorno al 1179. Si avvertì in seguito la necessità di sovrapporre alla antica torre romanica di cinque piani un successivo piano di raccordo per l'inserimento del corpo ottagonale, che modificò integralmente il suo aspetto, conferendole un accento gotico che l'avvicina alle torri guglie lombarde. E' probabile in questo senso il tentativo di adeguare la torre modenese alla tipologia che andava diffondendosi nella pianura padana, dove il Torrazzo, ultimato nel 1305, forniva un originalissimo prototipo. Oggi noi non sappiamo con certezza quale fosse l'aspetto originale della ghirlanda cremonese, aggiornata
in epoca sforzesca nella seconda metà del quattrocento, ma l'affresco al piano terreno del palazzo Sommi può suggerircelo.                       

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