Maria Antonietta Villa Sartori è una
minuta signora milanese, con una grande passione per l'antiquariato e
una casa che di per sè è già un museo, che da anni si è impegnata
nell'impresa ciclopica di recuperare tra quelle mura le tracce di un
lontano passato. Una casa affascinante e misteriosa la sua, carica di
storia. E dai muri ne affiorano le testimonianze. Il ciclo di
affreschi al piano terreno, dove ha sede il negozio di antiquariato,
è già stato studiato da Lidia Azzolini, così come gli affreschi del piano nobile
raffiguranti falconi, avvicinati agli animali di Giovannino de'
Grassi dell'Offiziolo, codice miniato per Gian Galeazzo Visconti. Ma
è sul retro dell'edificio, in un ambiente al piano terreno, che i
lavori di recupero sono proseguiti fino a mettere a nudo una parete
interamente decorata con motivi ad arabeschi e piccole stelle dorate
su un fondo di un intenso blu lapislazzulo, forse risalente
all'antica decorazione tardotrecentesca. Sopra la decorazione più
antica, appena al di sotto della soffittatura lignea, compare un
fregio cinquecentesco a monocromo grigio su fondo azzurro con motivi
zoomorfi e vegetali a foglie d'acanto, già segnalato nel novembre
2012 alla soprintendenza per il suo definitivo recupero.
Gli stessi motivi compaiono anche in un
ambiente del piano nobile adibito oggi a cucina. Qui il fregio
d'acanto è accompagnato dalla figura di un leone cavalcato da un
bambino, mentre in un'altra porzione una figura umana barbuta dallo
sguardo inquietante diretto verso l'osservatore, affronta un drago
armato di quella che sembra una spada. Nelle sue parti più antiche
si tratta sicuramente del più importante ciclo decorativo “civile”
in un'abitazione privata, che testimonia la presenza di artisti
sensibili al gusto tardogotico dominante in quegli anni in ambiente
visconteo. Come ha messo in evidenza Lidia Azzolini un'altra preziosa
pagina di pittura tardogotica si trova in un locale al piano terra,
ove sono emerse due ampie edicole gotiche tutte trafori e pinnacoli,
aperte sul vuoto atmosferico di un blu compatto, al cui interno sono
incastonate due figure di voluminosa definizione plastica, delle
quali un è ormai ridotta ad una macchia uniforme giallo pallido,
quasi indistinguibile da colore del viso.
L'altra figura maschile
conserva una parte del corpo celata da una corta veste a disegni
fantasiosi e reca un bastone lungo sin quasi a toccare il mento,
prolungantesi trasversalmente sin fuori dalla nicchia. I tratti
fisionomici sono riassunti dal segno grafico nero sulla macchia
rosata della pelle del viso dal morbido incarnato, ravvivato dal
rosso acceso delle guance e dal bianco intenso degli occhi, dalle
pupille cerulee. Ma è soprattutto il profilo di un'alta torre che
sembra richiamare il Torrazzo, posta ai lati dei troni, a risultare
particolarmente interessante. E' sicuramente la più antica
raffigurazione realistica del Torrazzo e rappresenta la prima fase di
costruzione della Ghirlanda, che fino ad oggi potevamo solo intuire
interpretando i sigilli comunali conservati all'Archivio di Stato di
Cremona. All'interno di una serie di architetture tardogotiche
affrescate sulla parete, si staglia su uno sfondo scuro il profilo di
una torre che richiama la Ghirlandina del duomo di Modena, ma che
sicuramente rappresenta invece il nostro Torrazzo nel suo primo
sviluppo evolutivo.
Il ciclo di affreschi, attribuibile al primo
quarto del XV secolo, si inserisce in quel linguaggio decorativo di
gusto internazionale bene interpretato a Cremona da Antonino da
Pavia, documentato nel 1419 nella sacrestia di San Luca con le
storie del Battista, e da Giovanni Bembo, forse all'opera
sull'Incoronazione di Maria nell'absidiola di sinistra della chiesa
di santa Lucia e nell'epitaffio sulla tomba dello stesso Antonino
proveniente dalla chiesa di San Francesco e oggi in deposito presso
gli Istituti Ospitalieri di Cremona. Un vasto repertorio di ghimberle,
pinnacoli, archetti polilobi e balaustre di derivazione
francesizzante che trova applicazione in architettura nelle
contemporanee facciate a vento padane. Nel caso della torre, invece,
la rappresentazione diventa più realistica fino al punto di
descrivere con minuziosità particolari architettonici che
l'avvicinano decisamente alla Ghirlandina modenese, ultimata nel
1319. La torre era originariamente costituita da cinque piani,
ultimati intorno al 1179. Si avvertì in seguito la necessità di
sovrapporre alla antica torre romanica di cinque piani un successivo
piano di raccordo per l'inserimento del corpo ottagonale, che
modificò integralmente il suo aspetto, conferendole un accento
gotico che l'avvicina alle torri guglie lombarde. E' probabile in
questo senso il tentativo di adeguare la torre modenese alla
tipologia che andava diffondendosi nella pianura padana, dove il
Torrazzo, ultimato nel 1305, forniva un originalissimo prototipo.
Oggi noi non sappiamo con certezza quale fosse l'aspetto originale
della ghirlanda cremonese, aggiornata
in epoca sforzesca nella seconda metà
del quattrocento, ma l'affresco al piano terreno del palazzo Sommi
può suggerircelo.
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