Madonna di Campiglio |
Un feeling che dura almeno da otto
secoli quello tra i cremonesi e Madonna di Campiglio, e che ha anche
una giustificazione storica. E' stato infatti un cremonese, il
vescovo Sicardo a favorire, con una sua lettera, la nascita della
località trentina adagiata nella bellissima conca tra il gruppo
delle Dolomiti di Brenta e i ghiacciai dell'Adamello e della
Presanella.
Otto secoli. A tanto ammonta l'età anagrafica di
Madonna di Campiglio, località la cui storia è caratterizzata da
numerose singolarità, compresa la prima tra tutte, relativa
alle circostanze della sua fondazione.
Di Campiglio infatti possiamo
dire di conoscere, con un'approssimazione di pochi anni, anche la
data di nascita, ascrivibile in una finestra temporale compresa tra
il 1195 e il 1205. Qualche incertezza esiste sul nome: l'attuale
Madonna di Campiglio appare in alcuni documenti storici con un nome
strano, privo di alcun significato e che presenta tre varianti:
“Ambàno” (1188) “Ambeno” (1221) “Ambino”(1122); l'ultimo
nome indicato, “Ambino” è molto simile a quello che oggi si usa
per indicare una piccola conca a nord del centro di Madonna di
Campiglio denominata “Nambino”.
Queste varianti sono giustificate
da un fattore importante: il villaggio era abitato da un numero di persone veramente esiguo, non
stabile e con una parlata non propria in balìa dei viandanti che
inevitabilmente, per passare da una valle all'altra, transitavano da
Madonna di Campiglio. Non avendo dei riferimenti sulla parola
“Ambino” una delle ipotesi più plausibili riguarda il fondamento del ruolo svolto della località:
congiunzione tra la Val di Sole e la Val Rendena quindi 2 valli; la
radice della parola è “ambo” che in latino significa “tutt'e
due”; Madonna di Campiglio congiunge tutt'e due le valli.
Ma è un
documento di eccezionale valore a fugare qualsiasi dubbio: una
pergamena redatta nel 1222 a Pinzolo da tal notaio Giovanni - al
servizio del principe vescovo di Trento - il quale, in presenza di
numerosi testimoni e del primo rettore del monastero campigliano,
Oprando di Madruzzo, con il suo documento ufficiale pubblica il
riassunto di quattro “lettere patenti”, privilegi di indulgenza
di altrettanti principi vescovi del tempo contenenti offerte ai
fedeli che avrebbero aiutato l'ancora giovane istituto in cima alle
Giudicarie. Uno di questi vescovi era il nostro Sicardo.
Questo
documento, custodito presso l'archivio di stato di Trento, è oggi a
disposizione degli studiosi ed è stato oggetto anche di una tesi di
laurea (Annalaura Gilli Pedrini, facoltà di storia medievale e
paleografia dell'Università di Padova, pubblicata sul periodico
“Civis” anno I n.3, 1977).
La pergamena del notaio Giovanni |
Fino a circa il 1195 d.C., l'attuale
territorio di Campiglio era una landa desolata e inabitata, poco
distante dal Passo della Moschera (oggi Passo Campo Carlo Magno)
comunicante con la Val di Sole e, attraverso le Dolomiti di Brenta,
con l'Anaunia (attuale Val di Non).
A cavallo tra 1100 e 1200, un
certo Raimondo, nell'intento di salvarsi l'anima, fonda in Campiglio
un monastero dotato di ostello
ed ospizio dedicato alla Madonna: scopo
della struttura, proteggere i viandanti che in zona erano spesso
oppressi tanto dai predoni quanto dalle avversità della natura. La
vocazione ricettiva del luogo diventa quindi essenza stessa del suo
esistere: un unicum tra le stazioni turistiche, anche quelle di
antica tradizione.
Agli inizi, quell'istituto era un piccolo
rifugio, abitato da pochi coraggiosi (abbiamo traccia di quattro
conversi) che prestavano la loro opera al servizio degli avventurosi
viaggiatori che si inoltravano nelle oscure selve sullo spartiacque
tra Rendena e Anaunie.
Di questi volonterosi, autentici pionieri di
Campiglio, conosciamo anche i nomi: Copa (o Cupo), Precassio,
Raimondo e Oprando. Tra questi, i due protagonisti principali furono
Raimondo e Oprando; il primo, in quanto ideatore e fondatore
dell'ospizio e il secondo, in quanto primo rettore e protagonista
dell'avviamento dell'istituto. Oprando apparteneva all'illustre
famiglia dei Madruzzo del ramo di Gumpone il quale, nel 1161, aveva
ricevuto dal vescovo di Trento Adelpreto II l'investitura di quello
che oggi è l'omonimo castello nei pressi di Cavedine, nella zona del
basso Sarca. Gumpone aveva quattro figli: Alberto, Giordano, Udalrico
e appunto Oprando; quest'ultimo aveva seguito la propria vocazione
scegliendo il monastero di «Santa Maria di Campéi» e portando con
sé in dote un maso situato dalle parti del maniero di famiglia.
Soprattutto suo, dopo il fondatore Raimondo, fu il merito
dell'iniziale, difficile avvio di quel piccolo istituto all'estrema
parte delle Giudicarie. I primi anni di vita non furono certo facili,
per i “padri fondatori” di Campiglio. I quali, nell'anno del
Signore 1222, vissero il loro primo momento importante e memorabile.
Ci fu parecchia animazione, in quel di
Pinzolo, nella giornata del 6 novembre 1222, prima domenica di quel
remoto mese. Nel centro del villaggio, davanti alla casa di tal
Parisi figlio del fu
Salvaterra, fu fissato un appuntamento
espressamente richiesto da Oprando. All'incontro si presentarono in
molti: c'era il signor Pietro, arciprete della pieve di Rendena;
c'era il signor Giovanni, chierico di Caderzone, e il signor Ognibene
figlio di Preottone di Mortaso. Non mancò nemmeno Buongiovanni
figlio di fu Ambrogio di Pinzolo, e assieme a lui tanti altri
“testimoni pregati”. Oltre, ovviamente, al converso Oprando
dell'hospitale di Campiglio.
Per sancire l'ufficialità di tale
evento era espressamente giunto pure il notaio Giovanni, funzionario
del vescovo. Queste le sue parole: «alle richieste del signor
Oprando del detto Ospizio scrissi questa
carta e la perpetuai e la ridussi in
forma pubblica». «Scrissi questa carta»: il documento ufficiale su
pergamena protagonista del nostro racconto che, giunto fino a noi, ci
racconta oggi con dovizia di particolari quanto accadde in quella
lontanissima domenica di ottocento anni or sono.
Nel corso degli anni si erano
accumulate quattro “lettere patenti” (privilegi di indulgenza),
scritte in momenti diversi e tutte molto importanti. In queste
quattro lettere altrettanti vescovi, insigni autorità ecclesiastiche
del tempo, si erano espressi con grande favore nei confronti del
piccolo e giovane rifugio in cima alla Rendena, arrivando a offrire
ai suoi futuri benefattori larghe indulgenze.
Le parole del notaio
Giovanni sono esaurienti: «Il signor Oprando converso dell'Ospizio
della gloriosissima Madre di Dio Maria di Campiglio, della località
di Ambeno, porse a me Giovanni sottoscritto notaio quattro lettere
sigillate con diversi sigilli (...) e mi pregò, per timore di Dio e
della beatissima sua Madre Maria di ridurle in forma pubblica».
Con
solennità Oprando consegnò al notaio Giovanni i manoscritti. I loro
sigilli spiccavano con evidenza, e conferivano ancor maggiore gravità
al momento.
Le firme in calce erano di grande prestigio: il primo
era stato scritto da Wolfkero, patriarca della sede di Aquileia in
carica dal 1204 al 1218; il secondo da Sjcardo, legato del papa e
vescovo di Cremona dal 1185 al 1215.
Gli ultimi due documenti erano
stati redatti dai due predecessori del vescovo di Trento Adelpreto,
in quel momento titolare della cattedra di san Vigilio: Corrado da
Beseno (principe vescovo di Trento tra il 1188 e il 1205) e Federico
Wanga.
Il notaio Giovanni procedette alla lettura di tutti e quattro
i privilegi di indulgenza, quindi passò a trascriverne il contenuto per
consentirne la pubblica affissione a Pinzolo.
Un gesto che, oggi, ci
permette di conoscere i dettagli della fondazione e dei primi anni di
vita dell'istituto di Campiglio.
In tutte le lettere troviamo brevi
e preziosissimi brani dedicati alla descrizione monastero; Wolfkero
definisce la conca di Campiglio «uno strettissimo monte, dove i
passanti venivano oppressi dai predoni con vari pericoli (...) le
(cui) facoltà proprie non sono sufficienti al sostentamento dei
poveri e dei deboli che ivi confluiscono in abbondanza».
Sjcardo
parla di un ospizio «poverissimo da poco edificato nel vescovado di
Trento ad onore di Dio e della beata Vergine Maria e ad utilità di
tutti i passanti di lì nella località di Campiglio, in cima di un
difficilissimo monte, dove i passanti venivano oppressi da vari
pericoli, nel quale vengono ricevuti i poveri e gli infermi e ai
ritornanti vengono dimostrati con cuore ilare, in molti modi ossequi
di umanità».
Tra tutte, le parole di Corrado da Beseno sono per
noi le più preziose; in esse infatti è riassunta la vicenda della
fondazione del monastero.
Corrado ci dice chi fu il fondatore,
Raimondo, e ci indica il periodo con la formula «intende edificare»:
durante il suo mandato quindi (1188-1205) l'erezione del monastero fu
quantomeno progettata, e realizzata nell'ipotesi più estrema entro
il 1215, termine del mandato terreno del collega Sicardo, che
definisce l'ospizio «poverissimo da poco edificato».
Il vescovo Sicardo sulla facciata della chiesa di S. Omobono |
Fino al 1205 Sicardo fu impegnato come
nunzio apostolico a Costantinopoli e fino al 1210 nel risolvere i
conflitti interni della sua città. E' probabile che possa aver
conosciuto la località trentina nel corso di qualche viaggio in
Germania per perorare la causa del giovane Federico II contro i
baroni tedeschi, intorno al 1212.
La data precisa della sua lettera
non ci è nota; per limitare ulteriormente la finestra temporale
entro la quale ascrivere la fondazione dell'ospizio ci giungono in
aiuto altri documenti che ci testimoniano una transazione che i
frati, evidentemente già nel pieno delle loro funzioni, stipularono
nel 1207.
Corrado da Beseno ci spiega inoltre le motivazioni ideali
che spinsero Raimondo fin lassù, in quel «locus desertus et
inabitabilis» dove «i passanti venivano spogliati e uccisi»: egli,
«per rimedio della sua anima» intese edificare «una chiesa e un
ospizio in onore della beata madre di Dio Maria, sempre Vergine, per
il sostentamento dei poveri e la difesa dei passanti nella località
che si chiama Ambe, vicino al monte Campiglio».
Ma ecco cosa scriveva Sicardo:
«Sjcardo, per grazia di Dio vescovo di Cremona, legato della Sede
apostolica, a tutti i fedeli di Cristo, tanto chierici che laici
costituiti per le province di Lombardia,
di Rovenna, di Grado, di Aquileia, ai
quali arriveranno le terre infrascritte, salute eterna in Cristo.
Merita di entrare in grembo all'aula celeste chi fa del bene ai
poveri e agli infermi.
Sappia dunque la vostra carità, che il
latore delle presenti è il nunzio dell'ospizio poverissimo da poco
edificato nel vescovado di Trento ad onore di Dio e della beata
Vergine Maria e ad utilità di tutti i passanti di lì nella località
di Campiglio, in cima di un difficilissimo monte, dove i passanti
venivano oppressi da
vari pericoli, nel quale vengono
ricevuti i poveri e gli infermi e ai partenti e ai ritornanti vengono
dimostrati con cuore ilare, in molti modi ossequi di umanità.
Mai
poiché un'opera tanto pia e utile non può mantenersi senza le
elemosine dei fedeli di Cristo, preghiamo, ammoniamo, ed esortiamo
tutti voi nel Signore che porgiate misericordiosamente grati benefici
al predetto nunzio quando verrà a voi dei beni di Dio a voi dati e
conferiti; e che voi, i quali siete preposti spirituali delle chiese
induciate il popolo a voi affidato a beneficiarlo con grande
diligenza affinchè coll'offerta dell'elemosina consegnate il premio
della letizia sempiterna.
Noi poi confidando nella misericordia di
Cristo e nei meriti dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo, a tutti i
veri pentiti che avranno trasmesso sussidi all'ospizio già detto,
rilasciamo nel Signore 40 giorni della penitenza imposta loro
per i peccati gravi».
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