lunedì 23 dicembre 2013

La Cremona di Giuseppe Verdi


Per lui Cremona era essenzialmente la città degli affari. Quando vi arrivava dalla sua villa di Sant’Agata nei giorni di mercato, dopo aver percorso il viale, fermava il suo calesse sul piazzale di porta Po, faceva un giro tra i mediatori, apriva i cartocci con il granoturco e il frumento, e ne esaminava il contenuto osservandolo e toccandolo; dava giudizi, faceva acquisti o provvedeva a vendite.
Per il maestro Giuseppe Verdi il “maggengo” cremonese era il migliore in assoluto, ma della nostra città apprezzava anche le più rinomate prelibatezze, dal “pane portento” alle tradizionali specialità quali torrone e mostarda, che acquistava nel negozio Curtarelli in via Solferino, poi diventato il negozio Sperlari, per mandarle in regalo agli amici più cari, dall’editore Ricordi ad Arrigo Boito alla contessa Maffei. Ma erano soprattutto i marubini che gli preparava la cognata Barberina Strepponi a destare la sua ammirazione. Barberina era la sorella della seconda moglie Giuseppina ed abitava in via Cavour, dove ora è la Galleria XXV Aprile. Le sue finestre davano verso la strada, in corrispondenza della sede della Camera di Commercio, sita dove ora è il negozio di Zara. Ugo Gualazzini ricorda di aver saputo dal segretario generale camerale Guido Tomè “che la presenza di Verdi in casa della cognata suscitava la più viva curiosità in tutti loro. Essi adocchiavano dietro le imposte per cercare di scorgere il Maestro in atteggiamenti squisitamente familiari. D’estate usava togliersi la giacca e anche il collo duro, per cui il vedere Verdi in libertà sembrava addirittura un fatto eccezionale”.
Alla cognata Verdi scrisse la sua ultima lettera conosciuta, datata 18 gennaio 1901. Descrive la sua salute buona, nonostante sia costretto su una sedia: “ma ho paura del freddo!!” ripete più volte. “Speriamo che le belle giornate come questa d’oggi continuino. Io col cuore ti stringo le mani”. Giuseppe Verdi morirà otto giorni dopo.
In città il maestro frequentava anche il sarto Cantoni, l’avvocato Amilcare Martinelli, che era il suo legale per seguire gli affari, Ettore Sacchi, con cui collaborò perchè venisse costruito il ponte in ferro sul Po e venisse realizzata la ferrovia Cremona-Fidenza. Nella nostra città Verdi era di casa. Moltissimi lo conoscevano. Egli era affabile con tutti, bastava non parlargli di musica, di teatro, di successi artistici, di critici musicali.
Il mercato di porta Po all'inizio del Novecento

A questo proposito Ugo Gualazzini ricorda ancora un episodio riferitogli dal nonno paterno: “Un giorno a Montecatini, entrato nella sala da pranzo di un albergo ove si trovava Verdi con la Strepponi, la Stolz e Tamagno, fu invitato dal Maestro a sedersi nel tavolo vicino al suo con la precisa giustificazione che avrebbe finalmente visto a quel posto una faccia nota di persona che non lo avrebbe disturbato per chiedergli autografi o per intrecciare discorsi generici e vani”.
Quando non si recava dalla cognata, Verdi preferiva alloggiare all’albergo del Cappello, che si trovava in via Giudecca, divenuta ora via Verdi, di fronte a via Boldori. Era uno dei più antichi e prestigiosi, meta, tra gli altri, dell’imperatore Leopoldo II nel giugno del 1791, di Carlo III duca di Parma e della Regina di Sardegna, che vi soggiornò nel febbraio del 1853 proveniente da Mantova. Il proprietario dell’albergo, un certo Tentolini, era felicissimo di avere un ospite di eccezione come Giuseppe Verdi, e ne sfruttava la fama mettendo un sovrapprezzo alla camera del “maester”, sovrapprezzo che veniva pagato dagli ingenui, che credevano di alloggiare nella stanza dove la notte prima aveva riposato l’autore della Traviata, con vera soddisfazione. E in città non si sprecavano le battute sul moltiplicarsi delle camere verdiane nell’albergo del Cappello, dato che il proprietario si prodigava nell’informare tutti i clienti su dove avevano dormito.
Un curioso incontro nell’autunno del 1885 con il maestro a Cremona è contenuto in “Verdi, interviste e incontri” (Parma 2000) a cura di Marcello Conati: “Passeggiavamo insieme, una sera, sul corso Campi - racconta un anonimo sotto lo pseudonimo Edipi - allorchè vedemmo il maestro Giuseppe Verdi, fermo davanti la vetrina di un libraio e negoziante di musica. Era vestito di grigio scuro, con giacchetta abbondante, con cappello a cencio, pure bigio, cravatta nera a fiocco che svolazzava, e teneva le mani dietro la schiena, e nelle mani…un popone grossissimo”.
Sempre Ugo Gualazzini riferisce un altro episodio raccontato dal nonno che dimostra quanto il maestro fosse legato alla città: “Un giorno il Maestro dalla piazza Cavour si era portato sotto i portici del Palazzo comunale, e, affacciatosi sulla Piazza del Duomo, si fermò, alzò la testa che di solito portava ciondoloni, tirò indietro il cappello a larghe falde e si lasciò scappare un «ah!» di ammirazione rivedendo, per l’ennesima volta, la facciata della nostra cattedrale”.
Ronald Pickup e Carla Fracci
Che Verdi fosse estimatore delle opere d’arte cremonesi è noto dalla sua abitudine di recarsi nella chiesa di Sant’Agostino per ammirare la pala del Perugino, ma sempre Gualazzini racconta che un’altra pala, e non delle migliori, destava la sua ammirazione: “Attraverso la testimonianza di Vittorio Grandi, che a sua volta la ebbe da Alessandro Landriani, uno dei pittori più noti dell’Ottocento cremonese, sappiamo che Verdi andava anche in cattedrale e si soffermava, chissà perché, di fronte all’altare della Visitazione, ove è una pala di Gervasio Gatti, detto il Soiaro, che raffigura la scena dell’incontro di S. Elisabetta con la Vergine. Ora, se da un punto di vista estetico è comprensibile come il Verdi trasalisse nel vedere l’armoniosa facciata della nostra cattedrale, o sentisse la serena e intima bellezza del quadro del Perugino, non è altrettanto spiegabile come di fronte a un’opera pittorica di modeste qualità, quale la Visitazione di Gervasio Gatti, in cui gli elementi retorici sovrabbondano e la maniera sembra essere fine a se stessa, abbia potuto ugualmente ritrovare elementi di intimo compiacimento tali, forse, da giustificare in lui richiami di più lontane esigenze creatrici”.
Giuseppe Verdi tornò a Cremona molti anni dopo, nei panni dell’attore inglese Ronald Pickup, scelto dal regista Renato Castellani per interpretare il ruolo del maestro nello sceneggiato “Verdi”, coprodotto da Rai Rete2 con Antenne2, Bavaria, Bbc, Svt “ e Tss, trasmesso sulla Rete2 TV, a partire dal 13 ottobre 1982, suddiviso in nove puntate.
Venne scelta la location di Cremona perchè il teatro Ponchielli era l’unico che, con le dovute modifiche, poteva ripetere la struttura della Scala, con il suo inconfondibile boccascena.
In realtà non si potè andare oltre la ricostruzione dell’arco scenico, già per di se alto oltre quindici metri, per l’esplicito divieto della Soprintendenza, che aveva autorizzato ad aggiungere qualcosa che fosse provvisorio, ma non a togliere o manomettere nient’altro.
Al teatro Alla Scala, infatti, non sarebbe stato possibile lavorare in modo frazionato, occupando il teatro di giorno e lasciandolo sgombro alla sera per gli spettacoli, dal momento che solo il montaggio e lo smontaggio del complesso apparato tecnico necessario, con oltre 400 kilowatt di luce e quasi mille metri di cavi, avrebbe richiesto l’intera giornata.
Rifare l’interno in un teatro di posa abbastanza alto sarebbe venuto d’altronde a costare ottocento milioni di lire, cioè un quinto del preventivo.
Giuseppe Verdi a S. Agata

Il Ponchielli, dunque, andava benissimo. Le riprese iniziarono il 9 luglio 1979, il primo ciak relativo alla scena della nascita del compositore venne battuto nella villa di Roncole di Busseto, proprio nella sua casa natale. Le riprese sono poi proseguite per 70 settimane nel corso di tre anni, dal 1979 al 1981, con alcuni intervalli dovuti a ragioni organizzative e produttive. Da Cremona, che è stato il centro operativo più importante la troupe si era spostata a Soragna, Fidenza, Parma, Milano, Torino, Venezia, Montecatini, Roma, Viterbo, Napoli, oltre che luoghi verdiani di Busseto e di S. Agata.
A Milano il Comune aveva acconsentito i lavori necessari per restituire alla città l’aspetto dell’Ottocento. Nelle centralissime via Manzoni e piazza della Scala era stato deviato il traffico, tolti i fili della luce e le linee aree dei tram, mascherate le rotaie e la pavimentazione, ricostruite le facciate di antichi palazzi e il famoso caffè Martini, di fronte alla Scala. In otto giorni di riprese a Milano sono state girate le scene più spettacolari: dai combattimenti sui tetti del Duomo e le barricate delle Cinque Giornate del l848, alla serenata notturna dell’orchestra della Scala sotto l’hotel Milan in onore di Verdi.
Altre riprese sono state svolte a Leningrado per cogliere la grande piazza del Palazzo d’Inverno con la neve, in occasione della prima della “Forza del Destino” avvenuta a San Pietroburgo il 10 novembre 1862. Per le riprese delle opere, oltre il Ponchielli, sono stati anche utilizzati la Fenice di Venezia, il Regio di Parma e d il San Carlo di Napoli. Tutti le scene d’interni sono state invece girate negli studi di Cinecittà, dove sono state effettuate le operazioni di montaggio, doppiaggio e di edizione.
Per le circa undici ore del programma, diviso in nove serate, sono stati girati 250 mila metri di negativo, con un rapporto tra girato e montato di circa 1 a 12. Cento gli attori impegnati, tra principali e secondari. Ricordiamo fra gli altri soprattutto Carla Fracci, nei panni di Giuseppina Strepponi, Omero Antonutti (Carlo Verdi), Daria Nicolodi (Margherita Barezzi, la prima moglie), Enzo Cerusico (Emanuele Muzio) Raimondo Penne (Francesco Maria Piave), Lino Capolicchio (Arrigo Boito). Oltre a questi, 18 mila comparse, di cui trecento solo a Cremona, e quattromila i costumi utilizzati. A Cremona le riprese esterne furono effettuate a cavallo del Ferragosto del 1979, utilizzando come magazzino i vecchi locali dell’ex ospedale.
“Il caldo era soffocante - ricorda il regista Renato Castellani -. Le povere comparse e il povero Verdi si muovevano dentro abiti e mantelli pesanti, poiché le stagioni d’opera si sono svolte quasi sempre d’inverno, quasi sempre a Carnevale. Sotto il sole implacabile, il 15 il 16 e il 18 agosto, noi dovevamo riprodurre un’atmosfera invernale, la nebbia. Buona Volontà, pazienza, ‘fumoni’ e la nebbia di Milano fu ricreata. In una scena si fece persino nevicare, poiché lo stesso Verdi, raccontando molti anni dopo l’episodio, ricorda testualmente: ‘nevicava a larghe falde’. Il Comune, per due notti, chiuse anche la via Manzoni, nel tratto davanti al Milan: e il Milan che si vede nel ‘Verdi’ è proprio il Milan. Certo, non identico a quello di allora. Allora, nell’angolo fra via Manzoni e Monte Napoleone, c’era se non mi sbaglio, una depressione o un lavatoio. Quello, non c’è.”

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