C’è posta! Quello con il
portalettere è diventato un appuntamento pressochè quotidiano. Ma
un regolare servizio di posta, quando è nato a Cremona? Già in
documenti del 1385 troviamo accenni a cavallari di posta e a
messaggeri appiedati, che facevano servizio fra le varie città del
Ducato di Milano, ed erano tenuti a segnare l’ora di partenza e
quella di arrivo, a farsi rilasciare ricevute ed attestazioni dai
funzionari delle varie stazioni e dai destinatari, e soprattutto a
spostarsi con la massima celerità. Nel secolo successivo, gli Sforza
hanno mirabilmente sviluppato e perfezionato il servizio.
Ma per aver qualche certezza dobbiamo
arrivare al 1571. Un certo Zaccaria Boccalino presenta al Comune un
progetto per realizzare un servizio di scambio della corrispondenza
tra Cremona e Venezia. E’ la prima notizia della nascita della
posta all’ombra del Torrazzo. Il progetto prevedeva che un
incaricato avrebbe stazionato in permanenza nella piazza del Duomo
per ricevere le lettere che il Comune o i privati gli avessero
consegnato per essere inoltrate a Venezia, dove un altro incaricato,
in un luogo prestabilito, avrebbe provveduto ad inoltrarle ai diretti
interessati e a ricevere in carico i plichi da rimettere a sua volta
alla nostra città. Il servizio si sarebbe svolto ogni lunedì quando
due corrieri sarebbero partiti alla volta di Venezia, impiegando per
il viaggio quattro giorni seguendo la via più breve possibile.
Distribuite le lettere a Venezia,
avrebbero atteso due giorni per avere la risposta da recapitare a
Cremona in altri quattro giorni. In questo modo per avere una
risposta ad una lettera spedita si sarebbero dovuti attendere dieci
giorni, ammesso che il destinatario fosse stato il più solerte
possibile nel rispondere al mittente.
Per garantire che il servizio sarebbe
stato perfetto e scrupoloso Zaccaria Boccalino informava il Comune
che ai corrieri sarebbe stata applicata una penale di dieci scudi
d’oro a titolo di risarcimento ogni volta che “fossero negligenti
e non fedeli a eseguire l detta loro impresa”. Non sarebbe stata
applicata invece alcuna sanzione se il danno fosse stato dovuto ad un
“impedimento fortuito, cioè di mal tempo o d’infermità o altri
casi sogliono accadere alla giornata senza colpa e fatto di quelli”.
Gli impedimenti più frequenti in questi tempi potevano essere solo
imboscate e rapine.
Franco Tasso uno dei primi imprenditori |
Il neoimprenditore postale aveva
lasciato in bianco lo spazio riservato al compenso per
l’effettuazione del servizio, che, trattandosi di un incarico
pubblico, si sarebbe dovuto concordare con il Comune. Boccalino
faceva presente la comodità di questo sistema di spedizione postale
per Venezia, che avrebbe permesso anche l’inoltro della
corrispondenza per Milano, Roma, Napoli, Firenze, Lucca e altre città
italiane.
Il proponente rivendicava il diritto
dell’invenzione e chiedeva al Comune, nell’eventualità che il
progetto venisse accolto, di averne il privilegio della gestione, in
quanto nessun altro “possa per niun tempo tal impresa esercitare
senza licentia et consenso di esso supplicante per essere inventore”.
Non sappiamo se sia stata accolta la richiesta di questo primo
servizio postale tra Cremona e Venezia, sta di fatto che l’anno
dopo fu istituito un servizio di posta regolare fra Cremona e Milano.
A gestirlo erano Giovanni Pietro Mola e Giovanni Battista Moroni, che
avevano presentato una regolare domanda al Comune.
Le modalità del primo servizio postale
erano del tutto simili a quelle proposte l’anno prima dal
Boccalino: un incaricato stazionava in un luogo preciso di piazza del
Duomo dove ritirava le lettere e i denari da inoltrare a destinazione
e nel frattempo consegnava tutto quanto fosse arrivato da Milano. I
corrieri da Cremona partivano due volte alla settimana, il mercoledì
e il sabato. D’altronde un esempio di come dovesse essere
organizzato un regolare servizio postale lo aveva offerto già da
qualche decennio la famiglia Tasso di Cornello, che detenne per
secoli il monopolio del servizio postale tra l’impero tedesco e gli
altri stati d’Europa.
A sottoscrivere gli accordi e fissare
le tariffe furono chiamati dal Comune Lazzaro Affaitati e Alessandro
Fiammeni che stabilirono che i due appaltatori versassero una
cauzione di duecento scudi a titolo di garanzia. Il prezzo della
spedizione era fissato in tre soldi e sei denari per ogni oncia, ma
per le lettere che non fossero arrivate al peso minimo di mezza oncia
la tariffa era fissata in un soldo e sei denari, mentre per il
trasporto di denaro fu fissata la tariffa di venti soldi per ogni
cento scudi d’oro e di 15 per ogni cento scudi d’argento. Mola e
Moroni provvedevano anche a recapitare a Milano la corrispondenza del
Comune, per un compenso di quattro lire per ogni viaggio. Il Comune,
però, quando si trattava di propria corrispondenza, era solito
inviare un corriere espressamente a Milano per un importo di sei lire
d’inverno e di cinque d’estate.
I due gestori privati, pertanto,
avevano chiesto di poter avere almeno cinque lire per ogni viaggio
indipendentemente dalla stagione, ovviamente solo per quei viaggi in
cui si sarebbero trasportati i plichi comunali.
La spedizione di una lettera |
La stazione di posta per il cambio dei
cavalli era situata fuori porta San Luca e nel 1757 a reggerne le
sorti era un certo Domenico Manini che in quell’anno aveva fatto
richiesta alla Magnifica Comunità per tenere “in città tutti li
cavalli destinati alla posta” perchè di notte “non si può uscir
dalla città con lettere per inviarle al suo cammino atteso che le
porte sempre se trovano serrate” e di fronte ad un’urgenza
sarebbe stato indispensabile avere la disponibilità di un servizio
sempre attivo.
Le porte della città, infatti, non
venivano aperte quando si presentava una persona isolata sia
all’interno che all’esterno delle mura, per cui il nostro
imprenditore concludeva chiedendo al Comune che “a tutte le ore
della notte sia licito al postiglione intra e uscir nella città,
siccome nel resto dello Stato si è servito et si serva”. Anche in
questo caso non sappiamo se la richiesta, inviata da Cremona a
Milano, sia stata accolta, anche se è presumibile ritenerlo, visto
che il nostro postiglione dichiara di essere il “postero nella
presente città di Cremona per beneficio di S. M. Cattolica pubblico
e privato”, cioè di essere dipendente del Corriere Maggiore di
Milano.
Il Corriere Maggiore era colui che in
ogni Stato stava a capo del servizio delle poste. Pare che avesse
diritti o privilegi sugli introiti; che si prendesse delle decime da
parte degli altri corrieri ed emolumenti sulle lettere; per contro
era a suo carico il pagamento dei salari ai luogotenenti,
cancellieri, mastri di posta, ordinari e procaccia. A lui competevano
le vertenze che sorgevano fra i vari agenti del servizio. I
luogotenenti, come dice il termine, facevano le veci del Corriere
Maggiore o Generale di posta.
I cancellieri seguivano i luogotenenti,
ed a loro competeva il servizio di ufficio, ed il controllo su
lettere, pieghi, valori, dei quali dovevano tenere carico e scarico
nella consegna ai corrieri. Per avere un’idea dell’importanza e
regolarità del servizio, si può notare che un cancelliere era
sempre presente nell’ufficio, in modo che si alternassero
ordinariamente giorno e notte. Una funzione assai importante era
quella sostenuta dai Mastri di posta che presiedevano ad ogni
stazione.
L’incarico veniva concesso di regola
a persone che gestivano osterie; fornendo essi i cavalli ai
viaggiatori, poteva accadere che questi si fermassero a pernottare
alla “posta”. Ad essi competevano vari privilegi, fra cui quello
di portare armi, l’obbligo ai corrieri di smontare alle loro case,
l’esclusività delle forniture dei cavalli agli stessi. Inoltre
spettava loro di ricevere, smistare e distribuire la posta, ed erano
esenti dal carico di alloggiare soldati, per non essere
impossibilitati nell’espletamento del loro ufficio.
La nomina del Mastro di posta si doveva
al Corriere Maggiore. Il Mastro di posta aveva alle sue dipendenze
dei postiglioni e naturalmente una dotazione di cavalli; la sua
abitazione stava verso la strada; la vigilanza di cui era
responsabile, lo obbligava talora a farvi dormire qualche mastro di
stalla o postiglione perché la notte, sentendo il suono della
cornetta, accorressero con sollecitudine a preparare i cavalli per il
cambio, in modo da far perdere il minor tempo possibile al
viaggiatore od al corriere.
Il nostro Domenico Manini era appunto
“Maestro di posta” di Cremona e nell’agosto del 1577 cercò di
sostituirsi al Mola e al Moroni nel loro incarico di trasportare
plichi e lettere da Cremona a Milano, offrendosi egli stesso per
l’onere di “portar et reportar lettere da Milano, fagotti et
danari et altre cose doi fiate la settimana col pagamento de doi
soldi per lettera, sei soldi l’onza per plico di lettere et meggio
scuto per cento, secondo che detti Mola et Compagni vanno una sola
volta la settimana a Milano, riscuotono cinque soldi soldi per
lettera, soldi diece per ogni onza de plico de lettera et soldi tre
per ciascun scuto”. Insomma, l’offerta era senza dubbio
vantaggiosa.
Le lettere che arrivavano a Cremona
grazie al servizio postale erano smistate da speciali incaricati. Il
primo, ricordato nel 1576, era ancora il nostro Giovanni Battista
Moroni, che in un censimento di quell’anno è chiamato
“portalettere”, di un altro, un cenno Giovanni Battista Zecchi,
vi è un cenno del 1620. Nel 1638 la posta per Roma, Venezia e Milano
partiva il sabato e arrivava il giovedì. Le carrozze da posta
avevano la precedenza su tutte le altre, per farsi riconoscere
suonavano apposite cornette e la loro velocità era regolata da
apposite norme.
Già dal principio del Seicento abbiamo
un catalogo delle stazioni di Posta della Lombardia. Le stazioni
segnate sulla linea tra Milano e Mantova sono: Melegnano, Lodi,
Zorlesco, Pizzighettone, Cremona, Pieve San Giacomo. A Cremona
nel 1675 la corrispondenza veniva raccolta e distribuita in una
bottega del palazzo comunale, affittata ad un privato e con l’affitto
il Comune pagava lo stampatore Paolo Puerone per le spese sostenute
per pubblicare la vita di Sant’Omobono.
Bisogna attendere il 1730 per avere un
servizio postale gestito direttamente dallo Stato, in questo caso
l’amministrazione austriaca, ma la razionalizzazione comportò
anche dei disguidi: un aumento delle tariffe ma anche dei ritardi. Al
punto da far rimpiangere i vecchi messaggeri a piedi.
Tant’è che i presidenti al Governo
cremonesi fecero presenti le difficoltà direttamente a Milano: “Due
volte la settimana solevansi trasmettere le lettere de Cremona a
Milano giungendovi al sabato, e al martedì, ma in oggi viene
talmente ritardato il corso delle medesime che non già due volte in
Milano si ricevono, ma una sola, e quella con tal vicinanza ha il
ricevente, e il doversi rispondere, che assolutamente riesce
impossibile di eseguire quel tanto, che da corrispondenti viene
ordinato e proscritto. Sono già più settimane che le lettere di
Cremona per la via della posta non giungono che una volta sola per
settimana, e con tanto ritardo, che è seguito il caso in cui non
sono giunte che al martedì mattina, quel giorno medesimo in cui
devesi rispondere. Ne è già che in Cremona non scrivansi le lettere
molto prima, ma portare alla posta sulla bona fede che debbono avere
immediato il suo corso, rimangono colà oziose per più giorni con
pregiudicio del Privato, e Pubblico comercio, restandone pregiudicata
anche la Città stesa nelle presenti contingenze”. Eppure
esistevano già da qualche anno le diligenze postali. Che si erano
sovrapposte ed integrate a quelle di trasporto privato, ne è una
prova il nome di postiglione dato a chi guidava sia le diligenze che
i cavalli delle poste. Un servizio regolare con velocifero, importato
dall’Inghilterra, è ricordato dal 1828 a Milano per Cremona e
Mantova con partenze giornaliere dall’Albergo dei Tre e del
Cappello.
Poste e passeggeri viaggiavano insieme,
ma come? In un volumetto stampato a Bassano nel 1789 “Il
viaggiatore moderno, ossia la vera guida per chi viaggia con la
descrizione delle quattro parti del mondo”, l’autore, prima di
dispensare i suoi consigli, premette che chi non ha soldi è meglio
che stia a casa propria, e per lui non servono consigli di sorta; chi
ha la borsa ben fornita, invece, si prepari ad allentarne i cordoni
ad ogni piè sospinto.
Comunque, per farla breve, “chi brama
d’intraprendere viaggi, prima di ogni altro implori il divino
aiuto, ed a questo effetto si premunisca con quei rimedi spirituali
che insegna la S. Madre Chiesa, confessandosi e comunicandosi
divotamente e facendo celebrare anche qualche Messa pro
itinerantibus”. Aggiunge poi un paio di preghiere speciali ed una
filastrocca di giaculatorie da biascicare intanto che si guarda fuori
dal finestrino. Pregare e raccomandar l’anima! Perché oltre che il
pericolo di ribaltare ed andar a finire sotto le ruote per
l’imprevidenza dei postiglioni, ed infatti il servizio passeggeri
sui velociperi fu sospeso, vi era sempre l’eventualità di finire
nelle mani dei briganti. Le strade ne erano infestate, anche nei
pressi della città.
Si ricorda, ad esempio, che sulla
piazza di San Giovanni in Melegnano, un certo anno, se ne impiccarono
un paio e quando qualcuno incappava nella giustizia veniva
giustiziato ed appeso ad un albero lungo lo stradale.
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