martedì 12 aprile 2016

Cremona val bene una Dieta

Il castello di Santa Croce a Cremona
“Comandò dunche el papa a’ viniziani che levassino le offese da Ferrara e restituissino le cose occupate a quello stato; e non ubbidendo loro, successivamente, benchè con qualche intervallo di tempo, gli dichiarò scomunicati ed interdetti, e per pigliare el modo della difesa, si fece una dieta a Cremona, dove oltra gli oratori di tutti gli altri stati di Italia, eccetto e’genovesi, vi intervenne personalmente el duca di Calavria, el signore Lodovico Sforza, Lorenzo de’ Medici, el marchese di Mantova, messer Giovanni Bentivogli, e credo el conte Girolamo, oltre a Francesco Gonzaga, cardinale mantovano legato del papa”.
E’ quanto scrive Francesco Guicciardini nelle “Storie fiorentine” su uno dei più importanti avvenimenti politici del Quattrocento che ebbe come scenario la Cremona sforzesca.
Per due giorni, il 26 e 27 febbraio 1483, la Capitale del Po fu al centro della diplomazia nazionale nel tentativo di risolvere la “Guerra del sale” che stava opponendo Ferrara a Venezia.
Nel castello di santa Croce convennero da ogni parte d’Italia i maggiori signori del tempo, preceduti dalle complesse trattative e dalle schermaglie politiche, non senza esclusione di colpi, condotte dagli ambasciatori nel preparare il terreno. Ludovico il Moro era già giunto in città il 3 febbraio. Il giorno precedente Eusebio Malatesti, scrivendo da Sabbioneta, aveva annunciato che il duca di Milano si sarebbe poi dovuto recare a Casalmaggiore con trecentocinquanta cavalli e che la cittadina si apprestava a preparare gli alloggiamenti, ma che sei giorni prima Pietro Marca e suo figlio Guido erano stati raffigurati poco elegantemente appesi per i piedi sulla fronte del palazzo comunale.
Ludovico il Moro
Ludovico arrivò entrando da porta San Luca: “Subito gli andai contra sin a la Porta de Sancto Lucha, - racconta Francesco Sicco, procuratore di Guido Torello signore di Guastalla, citato da Carlo Bonetti - dove, dimorando poco, gionse Sua Ecc. et il Reverendissimo Mons. Ascanio: a li quali volendo far il debito mio dismontai da cavallo per tocargli le mane et le Sue Signorie non volsero toccarmela, et facta assi reverentia me fecero montar a cavallo, et volse el prefato Signor Lodovicho ch’io andassi vanti a Sua Signoria cum el prefato Mons. Ascanio, qual ad ogni modo volse che gli andasse de sopra, et sa questo modo introrno ne la citade com tanto trionfo et solennitade del mondo et cum bellissima compagnia et grande: gionti a la Piaza el Sig. Lodovico accompagnò Mons. Canio in Vescovato dove è alozato; poi sua Eccellenza andoe a smontar a casa de Bartolomeo de Roncadello, dove allozò la ill.ma Madona Clara, quando andò in Franza. Dismontato che fui ritornai da sua Ecc.za, la quale me abrazoe”.
Ludovico il Moro si era recato prima di tutto a Casalmaggiore per sistemare una questione con i conti Torelli, signori di Guastalla, cui aveva sottratto il possesso di Montechiarugolo e che si era impegnato a restituire offrendo anche 5000 ducati ogni anno.
Nel frattempo tesseva la sua tela diplomatica, chiedendo agli Estensi di Ferrara di inviare alla dieta il conte Marsilio in sostituzione del protonotaro che avrebbe preferito la sede di Montecchio.
Aveva poi mostrato al procuratore dei Torelli alcune lettere che lo informavano del fatto che anche Lorenzo de’ Medici avrebbe partecipato alla dieta se ne avesse avuto il permesso dalla Signoria fiorentina.
Lo stesso Francesco Sicco fornisce altre informazioni al suo signore Guido Torello sulle mosse del Moro: prima di partire da Milano aveva dato ordine che si preparassero “mille homini d’arme, cinquecento lancie spezzate, trecento de suoi e venti de la famiglia, quarante per homo, et ventuo in panno, barde et penachini, che stano ducati sessanta per cadauno, et sii capi de quadra più secondo la coditione loro”. Aveva poi ricevuto lettere da Venezia in cui si diceva che la Serenissima avrebbe fatto di tutto per compiacersi il duca di Milano. Mentre fervevano i preparativi della dieta Ludovico il Moro il 10 febbraio aveva raggiunto in nave Casalmaggiore.

Lorenzo il Magnifico alla Dieta di Cremona
Ad informare dell’accordo è questa volta Eusebio Malatesta che, il 23 febbraio, fornisce un resoconto dettagliato di quanto accaduto al figlio del marchese Francesco Gonzaga. Sempre lo stesso informa il giorno successivo Francesco Gonzaga di quanto nel frattempo accade a Cremona: “Circa le diciotto hore se partì da Vescovato lo Ill.S.V. Patre et cussì cavalcando venne fin presso Cremona ad un miaro, dove trovò lo ill.mo sig. Lodovico et Revmo monsignor Ascanio cum li magnifici oratore Regio de Ferrara et uno Ambassadore del Ill. Marchese de Monferrato novamente mandato quale fratello del Marchese de Saluzzo, che tutti gli venevano incontro. In questo istante gionse anche el Mg.co Mes. Zohan Bentivolio et a sono de trombette cum grandissima festa acompagnorono qui al castello el prefato S.N. Patre e Mes. Zohan Bentivolio. Dismontati, incontinenti sopragionse el Mg.co Lorenzo de Medici al quale andarno incontra li prefati Ill.mo aig. Lodovico, Mons. Ascanio et tutti li oratori sopranominati et lo acompagnorono asonde trombette pur qui al castello. Domane se aspecta mò lo Rv.mo Monsignor Legato et li ill.mi sig.ri Duca di Calabria et Duca de Ferara, quali insieme cum el prefato S.N. Patre, Mons. Ascanio, et signor Lodovico, et Magn.co Lorenzo alogiano tutti cum le persone sue et qualche servitori qui in Castello; et lo N.S. Patre ha si no tre camere, dove convien stare tutti quelli de la camara et che sono soliti alloggiare in Castello lì a Mantova. Li altri oratori et lo resto de le compagnie allogiano in casa de li citadini. Fin qui altro nn me acade scrivere a la S.V. Se non avisarla che ‘l signor suo padre sta bene et che per continuare el debito et lo bon principio la tenerò informata de quello che tractarà a la zornata”. Puntualmente il giorno successivo Malatesta informa il giovane Gonzaga: “Adviso per che la S.V. Intenda particolarmente tutto quello che se fa a la zornata, l’adviso come hozi circa le ventuna hora montorono a cavallo li ill.i sig.ri S.N. Patre, sig. Lodovico, el Rev.mo Mons. Ascanio, il magnifico Lodovico de Medici, er Ms. Zohanne Bentivoglio cum tutti li altri ambassatori de la santissima Lega, e andorono incontra a lo Rev.mo Mons. Legato et a li Ill.i sig.ri Duchi di Calabria et de Ferrara et a Mes. Lorenzo da Castello oratore del papa. Et aspectorono questi quasi sine le ventiquattro hore suso la ripa del Po; poi gionti che furono et dismontati da nave, montorono a cavallo et cum grandissima festa a sono de trombette et de campane furono acompagnati dentro da la citade da i prefati signori. Et Rev.mo Mons. Legato nanti che ‘l venisse cui al castello, ando sotto al bandachino a la Chiesa Cathedrale insieme cum tutti li altri ill.i signori, excepto el Duca de Ferrara, quale per ascurtar la via venne ex directo qua al Castello: nanti che tutto fossero gionti al lozamento era una hora de nocte; hozi non c’è facto altro che questo. Domane se redurano in consilio. De che spero che le cose se ordinaranno bene, se ‘l no accade qualche difficultà tra l’una parte et l’altra, benchè ciascuno de persone sia benissimo disposto a quello se ha a tractar. De li progressi tenerò avisata V.Ill.S.”.

Francesco Gonzaga
Il 24 febbraio arriva anche Lorenzo de’ Medici, alloggiato nel castello di Santa Croce. “Il medesimo dì, et hanche ieri (25) tutti li prenominati signori ambassatori e signori se ne venero a star bon pezo cum lo ill.mo S.N padre al suo logiamento rasonando de cose varie et piacevole più presto che ponderose. Heri poi sule ventun hora tutti montorono a cavallo et si condussero fuora de la porta da la Mosa, fin sopra la ripa del Po, lontano da terra circa un miglio, dove stette ad aspettar fin ale ventitre hora ed meza el Rev.mo legato, li ill.i signori duchi di Calabria et de Ferrara. Gionti che furon et montati a cavallo, se aviorno per la cità, ma aparve a lo ill. sig. Duca de Ferrara venir per un’altra porta per essere la via più curta et anche in mancho strepito, et cussì fece pur a cavallo; el resto intrati ne la terra se ne venero a la ghiesa Cathedrale, et lo Rev.mo legato sotto il baldacchino, et dentro dal tempio dete la reverendissima sua beneditione, poi remontati a cavallo se redrisorno a la via del Castello cun numerosa quantità de torze, dove ad una hora de nocte se gionse et cadauno andò per le camere sue. Paulo post sopragiunse lo ill. sig. Duca de Ferrara, et tutti cum poca parte de li suoi sono disposti et alogiati in castello. Il resto de le sue famiglie alogiano chi qui, chi là dispersi per urbe”. Il 26 febbraio le trattative entrano nel vivo, senza il duca di Ferrara, sofferente di mal...di fiume “Questa mattina se redusseno a la camara del Rev.mo Mons. Cardinale tutti questi ill.i signori, et li fecero dir la messa del Spirito Sancto, excepto lo ill.sig. Duca de Ferrara che non se ne partì da la sua camara per essere stato la nocte passata un poco alterato per rispecto de la nave che heri el turbò. Audita che hebeno la messa se restrinseno in una altra camara lo prefato Rev.mo Mons. Legato, lo ill.Signor Duca de Calabria, lo ill.mo S.N. El sig. Lodovico, el Rev. Mons. Ascanio, li Mag.ci Mess. Lorenzo da Castello, oratore del papa, Lorenzo de Medici et Mes. Zohane Bentivoglio, et non volseno dentro niun altro; ma per quello che ho potuto comprendere si inanti che intrassino in consilio come doppo, rasonarono solamente de quello che se haveva a proporre per liberare Ferraram ad che me pareno tutti benissimo disposti. Questo è quanto s’é facto nanti disinare; poi la sera ale ventun hora quelli medesimi ritornorono in consilio dove steteno fin alle hore tre et meza di nocte. Quel che habiano deliberato non si sa, né si può dire, perchè ciascuno di loro hano in sacramento de non manifestarlo: se tien ben però certo che hano preso optimi partiti per liberare non solamente Ferrara ma tutta Italia da la obsesione de li comuni inimici”.
Anche la giornata del 27 febbraio fu spesa in trattative continue e, a detta dello scrivente “le cose vanno benissimo et macime a proposito dell’Ill. S.N. et de lo signor Duca de Ferrara, qual hozi ha comintiato andar inbconsilio perchè sua sig.a è stata meglio de l’usato et credo che la se sanarà presto del corpo et de la mente, vedendo le cose andar a suo proposito”. In realtà non si risolse nulla, e fu solo la Pace di Bagnolo due anni dopo a por fine alla questione.

<+S CAP6R>P<+S TONDO>assato alla storia con la duplice definizione di “Guerra di Ferrara” o “Guerra del sale”, il conflitto che si è combattuto fra il 1481 ed il 1484 con ferocia inaudita e continui capovolgimenti di fronte in tutta l’Italia, dato anche il vasto sistema di alleanze che era venuto a crearsi, ha vissuto sul territorio del Ducato estense alcuni degli episodi più eroici della contesa.
I motivi che hanno indotto la Repubblica Veneta a scatenare una guerra contro il Ducato di Ferrara sono stati molteplici.
In ambito nazionale, in uno stato italiano inesistente e suddiviso fra una miriade di signori e signorotti, quasi tutti imparentati fra di loro ma pronti in ogni momento a rinnegare il sangue e l’amico pur di allargare i loro domini ed il loro potere, si assisteva di continuo ad intrighi ed alleanze più o meno finte.
In tale fluttuante ed ondivago quadro politico la Repubblica Veneta era riuscita a fondare un autentico impero grazie al sistema di traffici commerciali sulle vie d’acqua e guardava con grande attenzione ad una sua espansione territoriale non solo sui possedimenti estensi del Polesine di Rovigo ma su tutto il Ducato di Ferrara, col quale intratteneva rapporti di ordinaria diplomazia e stipendiava un Visdomino in città e uno a Comacchio: questa figura, in quei tempi, ricopriva un ruolo importantissimo poiché si trattava di un magistrato che aveva l’altissimo compito di proteggere gli interessi dei sudditi veneziani che aveva la residenza nel Ducato estense. Vari sono i motivi che prepararono il terreno alla guerra del sale.
Nel 1480 venne stipulata la pace fra Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze e Ferdinando, re di Napoli, alla quale aveva formalmente aderito anche Ercole I il quale, tra l’altro, aveva avuto il comando nella precedente divergenza militare fra Venezia e Firenze, in seguito a maggio del 1480 si addivenne ad un’alleanza fra papa Sisto IV e la potentissima Repubblica di Venezia ed a settembre del 1480 Girolamo Riario, nipote del Papa e signore di Imola, che ambiva al Ducato di Ferrara, dopo essersi impadronito di Forlì ed accordato con Sisto IV, convinse Venezia a muovere la guerra contro Ferrara. 
In ambito locale, invece, si sa di diverse questioni che hanno concorso in ugual misura a spingere Venezia verso la guerra.
Innanzi tutto Venezia non vedeva di buon occhio Ercole I d’Este, perché aveva sposato Eleonora d’Aragona, la figlia di Ferdinando, re di Napoli, il quale pensava che fosse giunto il momento di porre un freno alla potenza veneta; vi era una controversia con Ferrara sui confini, con chiari risvolti economici legati ai dazi da pagare sulle merci in transito; esisteva poi il fenomeno dell’emigrazione dei rodigini che, fin dal 1464 avevano iniziato ad oltrepassare i loro confini e a spingersi ben oltre le terre del padovano, fino ad occupare le terre di Cavarzere.
Venezia ebbe a lagnarsi di ciò col duca Borso ma decise, comunque, di soprassedere: in quel momento aveva altri interessi di cui occuparsi e le proteste rimasero in “ambito diplomatico”.
Infine il problema del monopolio del sale sul quale la Repubblica di Venezia, in virtù di tre antichi privilegi (aiuti a Matilde di Canossa, nel 1101, nel recupero di Ferrara, diverse convenzioni dal 1204 al 1366 e, infine, trattato del 1405 con gli Estensi nel quale si stabiliva, in via definitiva, che gli Estensi non avrebbero potuto commercializzare il sale di Comacchio) aveva conseguito monopolio del sale comacchiese.
Il trattato di pace del 25 marzo 1405 imponeva a Ferrara la rinuncia alle saline di Comacchio e l’obbligo di comperare il sale direttamente da Venezia.
Da ultimo una questione di soldi: quando Nicolò III decise di costruire il castello estense, chiese due prestiti, uno di 44.000 ducati (25.000 e 19.000) al marchese di Mantova, a cui diede in pegno la terra di Melara e uno di 50.000 ducati alla Repubblica di Venezia, che si tenne in pegno e a garanzia del debito pressoché tutto il Polesine di Rovigo.
Al tempo della guerra, il duca Ercole I non contravvenne mai a tali regole ma egli, tuttavia, sapeva bene che in diverse località del suo territorio (Ariano, Volano, Filo, Ostellato, Portomaggiore e Comacchio) risultava pressoché impossibile impedire la raccolta di un bene gratuito della Natura.
A gennaio del 1479 Ercole I venne informato ufficialmente dal suo console a Venezia della duplice lamentela del doge Giovanni Mocenigo: da una parte egli voleva fermare il contrabbando del sale da parte, principalmente, dei comacchiesi che lo prelevavano dalle saline e lo rivendevano ad un prezzo inferiore rispetto a quello monopolizzato da Venezia; dall’altra, voleva interrompere anche il fenomeno del brigantaggio operato, a suo dire, dagli stessi comacchiesi che poi, dopo le scorribande, risultavano pressoché imprendibili poiché andavano a cercare rifugio nelle paludose acque vallive.

Ercole I decise di indagare solo sul fenomeno del brigantaggio visto che conosceva assai bene l’altro problema della raccolta non autorizzata del sale che egli mai combatté dato l’evidente tornaconto personale. Così venne a sapere che ad esercitare il brigantaggio erano gli stessi miliziani di stanza a Comacchio i quali, non essendo pagati regolarmente, si dedicavano ad assaltare i mercanti che colà transitavano. Venne anche a sapere di numerose donne che vendevano il loro corpo agli stessi soldati in cambio del sale. Venezia decise così sia di compiere azioni dimostrative, operate da soldati mercenari ciprioti ed albanesi, i quali prima ingaggiarono scaramucce e misero a fuoco capanni e fortini, poi occuparono militarmente Magnavacca e Comacchio, sia di scortare militarmente i carichi di merci destinati al passaggio da quelle parti ma, nonostante tale sorveglianza, nell’estate del 1480 vennero attaccate alcune navi cariche di barili di aceto. La reazione comacchiese alla presa della città si tradusse nell’iniziativa di Riccardo Arveda che, dopo aver raccolto un grosso manipolo di volontari e disperati, riuscì a liberare Comacchio e ad uccidere pressoché tutti gli invasori. Sul fronte politico le cose iniziarono però a peggiorare per gli estensi poiché stava prendendo corpo il progetto di Girolamo Riario che concluse i patti con Venezia: dopo la sconfitta degli Estensi, il Ducato sarebbe andato a papa Sisto IV che l’avrebbe donato allo stesso Riario mentre Venezia sarebbe entrata in possesso di Reggio e Modena. Con Venezia si schierano: Sisto IV, Girolamo Riario, il marchese di Monferrato, il conte di San secondo (Pier Maria de’ Rossi) e la città di Genova. Le truppe vennero affidate al comando di Roberto da Sanseverino, conte di Caiazzo (Caserta). Con Ferrara scesero in campo, sotto il comando di Federico da Montefeltro, duca di Urbino Ferdinando, re di Napoli, il duca di Milano Ludovico il Moro, il marchese di Mantova Federico Gonzaga, i Bentivoglio di Bologna, i principi Colonna di Roma e la Repubblica di Firenze. Tuttavia, nonostante l’alto numero di alleati, l’esercito estense poté schierare al massimo diecimila armati contro un esercito nemico numerosissimo e privo di problemi economici.

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