giovedì 20 agosto 2020

I delitti della banda partigiana (seconda parte)

Corteo partigiano (Archivio Anpi Cremona)
Ben diversa la versione fornita dagli abitanti di Spinadesco, in occasione dell'arresto dei giustizieri di Subitoni nel 1951, su quanto accaduto nei primi mesi dopo la liberazione. Un gruppo di persone si sarebbe praticamente impadronito del paese, razziando tutto quanto avevano abbandonato i tedeschi in fuga e tutto quello che era possibile trovare, iniziando ad amministrare la giustizia favorendo la loro stessa parte politica a scapito delle altre. Ruberie, soprusi, gozzoviglie sarebbero stati all'ordine del giorno. Sarebbe stato questo gruppo, di cui avrebbe fatto parte anche “Martedè”, ad uccidere Ernesto Subitoni? Il giovane ufficiale della GNR era appena rientrato da Arona, dove era stato destinato, quando, secondo la versione circolante in paese, sarebbe stato ucciso in pieno giorno da quelli che un tempo erano i suoi compagni, davanti ad un centinaio di persone, senza un apparente motivo che non fosse quello politico. In pratica quelli che erano stati gli amici di una volta non gli avrebbero perdonato il fatto di essere passato dalla parte del nemico. Ma questa versione, come sappiamo, non coincide con la testimonianza di Virginio Lucini e con quanto dichiarato dagli stessi imputati al giudice Acotto durante l'istruttoria del processo.
Un mese prima, il 5 maggio 1945, era stato ucciso, probabilmente per mano di elementi giunti da Cremona, anche Giuseppe Grisoli, milite GNR con mansioni di guardia notturna a Villa Merli, che aveva sposato una ragazza di Spinadesco. Non si è mai saputo chi facesse parte di quel gruppo, a cui, peraltro, viene attribuito anche l'omicidio di “Martedè” avvenuto qualche giorno dopo. Le voci di paese sostengono che si trattasse di un delitto su commissione, perpetrato da uno dei cinque arrestati per l'omicidio Subitoni, ricompensato con la somma di 30 mila lire da parte di un misterioso individuo che Martedè” ricattava per presunti rapporti d'affari poco leciti intrattenuti con i tedeschi, di cui era venuto a conoscenza. Effettivamente i carabinieri, nel corso delle indagini, il 4 gennaio 1952 fermano questa persona, accusata di aver offerto 30 mila lire ad uno dei cinque detenuti per la soppressione di “Martedè”, dopo non essere riuscita a sopprimere personalmente il ricattatore sparandogli una fucilata andata a vuoto. Le 30 mila lire, peraltro, non sarebbero mai state versate. A detta dei testimoni questo “Martedè” doveva essere un personaggio decisamente losco, con la cattiva abitudine di entrare in negozi ed esercizi pubblici senza pagare il conto, ed avrebbe ridotto in fin di vita un venditore di cocomeri per la misera somma di 47 lire.
Negli stessi giorni a Spinadesco si diffonde la notizia che, con l'individuazione degli assassini di Subitoni, potrebbero essere assicurati alla giustizia anche gli autori, che si ritiene siano abitanti in zona, dell'uccisione dell'ingegnere Nino Mori, avvenuta a scopo di rapina. Ufficialmente Mori venne fucilato dai partigiani a Bresso l'8 maggio 1945, ma il settimanale “Oggi” della Federazione cremonese del partito democratico del lavoro in un articolo pubblicato il 6 gennaio 1946, offrì una diversa versione dei fatti. Non si sa esattamente quando e per quale motivo l'ingegnere Mori si sarebbe allontanato da Cremona ben prima del 25 aprile, ma di certo la mattina del 26 aprile partì in macchina dalla villa di Farinacci in via Roma, sul lungolago di Bellagio, che in quegli anni è sede del comando tedesco del colonnello Erich Bloedorn rappresentante del generale della Luftwaffe Wolfram von Richthofen, per essere poi bloccato da un gruppo di partigiani con i fucili spianati nei pressi di Sesto San Giovanni. Bellagio in quegli anni è sede delle ambasciate di quei paesi che hanno riconosciuto la Repubblica di Salò: l'hotel Gran Bretagna che durante il conflitto aveva cambiato nome in “Albergo Grande Italia” ospita le Ambasciate di Ungheria, Croazia, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Giappone e in un’ala distaccata l’Ufficio del Cerimoniale degli Affari Esteri e il Sottosegretariato all’Aeronautica Militare mentre Villa Serbelloni e l’albergo Firenze sono occupati dal comando tedesco.
Festa partigiana alle colonie padane (Archivio Anpi Cremona)
Mori si fermò, mostrò i documenti cercando di giustificarsi, ma il fatto di provenire proprio da Cremona, feudo di Farinacci, di guidare un'automobile con disponibilità di carburante e di avere un regolare permesso di circolazione non bastò a convincerli.Venne dunque fatto scendere dall'auto e portato in un vicino edificio scolastico, adibito temporaneamente a luogo di raccolta, in quanto i prigionieri potevano liberamente ricevere visite ed intrattenersi con i familiari. La notizia dell'arresto si diffuse a Sesto e giunse alle orecchie anche di una cremonese, una certa Adalgisa Sandri, che dal 1930 gestiva un piccolo albergo nella località della cattura e conosceva personalmente l'ingegnere Mori. La donna ottenne dunque con una certa facilità il permesso di incontrare il detenuto, che gradì molto la visita e chiese di poter avere qualcosa da mangiare, diverso dal rancio abituale fornito ai detenuti.
Nel frattempo da Sesto San Giovanni avevano telefonato al CLN di Milano chiedendo istruzioni sul da farsi, ma la risposta in un primo tempo era stata tale da non ammettere repliche: Mori era un gerarca troppo conosciuto e doveva essere giustiziato al più presto. Ma, mentre stava per scadere il termine stabilito, in soccorso di Mori al CLN di Sesto si presentarono due persone, un uomo ed una donna, Celeste Ausenda ed Arturo Amigoni, entrambi di “Giustizia e Libertà”, i quali fecero presenti alcune circostanze che suscitarono qualche dubbio in seno al tribunale rivoluzionario che aveva pronunciato la sentenza capitale, e l'esecuzione venne procrastinata in attesa che da Cremona giungessero ulteriori chiarimenti. Nel frattempo Mori rimase chiuso nella sua camera in carcere, l'albergatrice cremonese due volte al giorno gli portava uova e pane secondo le sue richieste. Il primo giorno trascorse tranquillo: Mori era convinto che presto la sua posizione sarebbe stata chiarita e tutto si sarebbe concluso nel migliore dei modi. Ma nei giorni successivi la sua certezza si incrinò ed il terzo giorno accusò forti dolori addominali, tanto che la donna dovette portargli del laudano per lenire il dolore. Il settimanale cremonese “Oggi”, attingendo le notizie da testimoni locali, racconta come si svolsero successivamente i fatti: “Intanto il C.L.N. di Milano aveva potuto mettersi in relazione con quello di Cremona. La cosa fu aggiustata rapidamente: il tribunale popolare milanese revocava la sua sentenza; Mori veniva reclamato dal C.L.N. di Cremona, il quale l'avrebbe fatto rinchiudere in carcere per deferirlo alla Corte straordinaria d'assise. Milano inviò a mezzo di alcuni armati giunti in macchina, gli ordini opportuni a Sesto; ove si presero le disposizioni del caso. Mori era abbattutissimo e piangeva, quando vennero a portargli la notizia che stavano per tradurlo a Cremona. L'annuncio lo consolò. Ringraziò l'albergatrice che lo aveva assistito, prese in consegna alla porta una grossa borsa in pelle che al momento dell'arresto gli era stata sequestrata e che conteneva 150.000 lire e si avviò con la scorta armata. Fiancheggiato da due partigiani, si assise sul seggiolino posteriore della macchina. A fianco del conducente era un altro armato.
E qui comincia il dramma. Testimoni oculari raccontano che l'auto si avviò a piccola velocità alla volta di Milano; ma non aveva percorso che poche centinaia di metri, quando svoltò bruscamente in una stradicciola laterale che finiva nei campi. Qualcuno, incuriosito, si avviò in bicicletta verso la stessa direzione e potè così, da lontano, assistere alla scena. La macchina si era fermata mezzo chilometro lontano dalla provinciale. Mori venne costretto a scendere. Uno dei suoi accompagnatori gli fece deporre sull'automobile la ricca borsa ch'egli portava sotto il braccio. In quel momento Mori intuì la sorte che gli era riservata e piangendo e gridando disperatamente, tentò di commuovere gli armati. Essi furono irremovibili e tentarono, con la violenza, di spingerlo contro un albero. Il terrore fece compiere a Mori un gesto insensato: tentò di darsi alla fuga. Uno degli armati, imbracciato il mitra, sparò una raffica che lo fece cadere. Era soltanto ferito. Urlando, egli si contorceva al suolo. Uno della squadra, allora, si avvicinò al caduto e lo colpì reiteratamente al capo con il calcio dell'arma. Poi risaliti sulla macchina, la fecero retrocedere sino alla strada provinciale e partirono rapidamente alla volta di Milano.
Partigiani ed abitanti di Sesto, accorsero per porgere qualche soccorso: non c'era più nulla da fare. Tra i presenti era il parroco di Sesto; il quale raccolse tutto quel che Mori aveva nelle tasche, sia per procedere ad un riconoscimento ufficiale sia per poter consegnare alla famiglia quanto possibile. Nel portafogli trovò tre immagini sacre. Da qui la convinzione del sacerdote che il morto fosse di sentimenti religiosi. Provvide a sue spese all'acquisto del feretro e fece seppellire la salma nel campo comune del Cimitero”.

Funerali dei partigiani caduti (Archivio Anpi Cremona)
Fin qui i fatti. I tre omicidi di Mori, Martedè e Subitoni vengono messi in relazione tra di loro in quanto in paese si diffonde la voce che tra i cinque arrestati per la soppressione di quest'ultimo vi sarebbe anche il responsabile dell'uccisione del gerarca, ed un altro coinvolto nello stesso delitto sarebbe stato denunciato a piede libero. Secondo questa ricostruzione uno stesso movente legherebbe dunque tra di loro i tre delitti: l'eliminazione di testimoni scomodi, in quanto depositari di segreti che, se rivelati, avrebbero potuto compromettere seriamente qualche personalità di spicco all'interno del C.L.N. Il fulcro della vicenda è la misteriosa borsa che portava con sè Nino Mori al momento dell'arresto. C'è chi parla di una borsa, c'è chi di una busta gialla. Mori l'aveva con sé al momento in cui da Bellagio, dove aveva pernottato nella villa di Farinacci, si dirigeva verso una località sconosciuta, non di certo a Cremona dove era assente da alcuni mesi. Si sa che l'ingegnere del regime dopo l'8 settembre avrebbe espresso la volontà di ritornare nell'esercito con il grado di maggiore del Genio: una comoda via d'uscita per svincolarsi in qualche modo dalle compromissioni con Farinacci riconquistando quella dignità militare che si era già guadagnato nella prima guerra mondiale con una medaglia d'argento ed altre decorazioni e con la partecipazione alla fondazione dell'Associazione dei combattenti cremonesi. Cosa poteva contenere quella borsa, di cui erano sicuramente a conoscenza i suoi carcerieri che l'avevano sequestrata e trattenuta per tutto il periodo della detenzione a Sesto, dal 26 aprile all'8 maggio 1945? Forse non c'erano solo 150 mila lire, ma qualcosa d'altro, decisamente più scottante, al punto da spingere il C.L.N. cremonese ad inviare a Sesto due discussi personaggi come erano Celeste Ausenda e Arturo Amigoni, militanti delle “Brigate Matteotti”, per trattare la consegna di Mori. E chi erano i partigiani venuti da Milano con gli ordini del C.L.N. meneghino per condurre il prigioniero a Cremona, ma in realtà con il preciso scopo di eliminarlo, trafugando la misteriosa borsa? A Spinadesco si sussurra che potessero essere gente del posto, veri e proprio sicari. Di certo si sa che Arturo Amigoni da Cremona, dove abitava in corso Pietro Vacchelli 21, si era trasferito con la famiglia a Milano due giorni prima dell'esecuzione di Mori, il 6 maggio del 1945, senza far più ritorno in città, come risulta da una nota della Questura del 23 luglio 1955 e da una successiva del 4 aprile 1957 (Ascr, Questura, fascicolo Sovversivi).

Nessun commento:

Posta un commento