giovedì 20 agosto 2020

I delitti della banda partigiana (prima parte)

I partigiani entrano a Cremona (Archivio Anpi Cremona)
E' un caldo pomeriggio di giugno nei campi intorno a Spinadesco. Siamo nel 1945 e da poco è finita la guerra. In campagna regna una strana quiete. Virginio Lucini è solo un ragazzino, ha nove anni e si gode il sole dopo l'inverno, gira tra i viottoli con il suo compagno di giochi Umberto. Ad un tratto il silenzio è rotto da un fruscio tra l'erba già pronta per essere falciata, e dal vociare di alcuni uomini. C'è un ragazzo scalzo che corre trafelato in preda al terrore. Ogni tanto si volta verso quelli che devono essere gli inseguitori, poi scorge lungo il fosso un vecchio gelso. Lo raggiunge e vi si accovaccia cercando riparo, nascosto dall'erba. E' di nuovo silenzio, ma ad un tratto risuona secco un colpo di pistola. Virginio si volta istintivamente verso il gelso ai bordi del campo, ma vede solo un ragazzo allontanarsi in fretta. Non è certamente quello di prima, forse è uno degli altri che lo inseguivano. Virginio è spaventato, gli è sembrato di riconoscere almeno due di quei ragazzi, Gaetano Dosi e Carlo Mori di Spinadesco, e riferisce tutto ai carabinieri, che la sera stessa si recano sul posto e in un fosso, vicino al campo chiamato “Lazzari”, trovano riverso il cadavere di Ernesto Subitoni, tenente della Guardia Nazionale Repubblicana. Ha un foro di proiettile nella regione parietale, poco sopra il collo, e nella mano destra tiene stretta una rivoltella. Ma proprio questo particolare, supportato dal certificato di un medico del luogo, unito al fatto che il compagno di Virginio, Umberto Campanella, sottoposto ad interrogatorio neghi di aver assistito all'episodio, portano i carabinieri ad escludere un omicidio ed a propendere per il suicidio del giovane. L'inchiesta viene chiusa con un non luogo a procedere e l'episodio ben presto dimenticato.
Sei anni dopo, però, quando ormai i fatti di Spinadesco sono un lontano ricordo, accade qualcosa di inaspettato. La sera del 10 dicembre 1951 a breve distanza da Cavatigozzi, sulla via Milano, un commerciante col proprio furgone viene bloccato da un'auto messa di traverso sulla carreggiata da cui scendono quattro giovani con il voto coperto da fazzoletti, che gli intimano di consegnare tutto il denaro che ha con sé. Non c'è discussione, ed i quattro rapinatori ripartono alla volta di via Eridano dove, con lo stesso stratagemma, rapinano Augusto Peri, 53 anni, residente in viale Po, sottraendogli anche l'auto su cui viaggia, una Topolino giardinetta, che poi viene ritrovata in una stradina lungo il Po a Piacenza, priva degli pneumatici e con i sedili smontati.
Viene arrestato con l'accusa di concorso in rapina Pietro Viganò, ex comandante di zona del CLN dal maggio 1945 che, nel corso dell'interrogatorio, si lascia sfuggire alcune frasi relative all'episodio di Spinadesco, che spingono gli inquirenti a ritenere fondata la versione fornita a suo tempo dal piccolo Virginio Lucini. L'inchiesta viene immediatamente riaperta e, il 29 dicembre, vengono arrestati Zemiro Foina, 27 anni, abitante in via Manini 14, Gaetano Dosi, 25 anni di Spinadesco, Carlo Mori, 30 anni, anch'egli di Spinadesco, e Pietro Viganò, 37 anni in quanto esecutori materiali dell'omicidio avvenuto il 5 giugno 1945 e Francesco Carini, 31 anni, residente in via Passera, in qualità di mandante. In effetti Foina, Dosi e Mori confermano di aver ricevuto dal comandante del CLN Francesco Carini l'ordine di arrestare il tenente della GNR Enrico Subitoni, che una donna aveva visto in paese. E' un ordine strano, perchè solo Mori risulta aver militato nella Sap Ghinaglia dal 2 marzo 1943 al 25 aprile 1945, mentre degli altri due non si sa nulla. Comunque sia i tre si recano all'abitazione di Subitoni che, avvertito del loro arrivo, riesce a fuggire calandosi da una finestra. Tuttavia viene inseguito attraverso i campi per circa una paio di chilometri fino a quando, nascosto dietro un gelso, viene sorpreso alle spalle da Foina e freddato con un solo colpo di pistola alla nuca. Foina, poi, lo getta nel fosso dopo avergli messo in mano una delle due pistole che porta con sé, volendo con questo simulare un suicidio.
Nel corso dell'istruttoria, condotta dal giudice Pietro Acotto, il pubblico ministero ritiene che Foina abbia agito spinto solo dall'odio personale, ma l'ipotesi vien ritenuta “assurda” in quanto l'esecuzione di Subitoni avrebbe le caratteristiche di una vera e propria azione politica e, di conseguenza rientrerebbe nella lotta antifascista, volta a prevenire il ricostituirsi di questo movimento. Mentre gli altri imputati vengono assolti con formula piena per non aver commesso il fatto a Foina, che conferma di essere l'autore materiale dell'omicidio negando solo il fatto di aver gettato il cadavere di Subitoni nel fosso, viene dunque riconosciuto il diritto di usufruire dell'amnistia per i reati di tipo politico.
Tuttavia, fin dal momento dell'arresto dei cinque, nonostante l'assoluto riserbo mantenuto dagli inquirenti nello svolgimento dell'inchiesta, Spinadesco ha iniziato ad interrogarsi su quel delitto che qualcuno, fin dal 1945, ha cercato in tutti i modi di occultare. Vi è un tarlo che rode la comunità, cattivi pensieri che emergono dalle nebbie della coscienza collettiva. Perchè avrebbe dovuto suicidarsi un giovane appena tornato dal servizio militare senza aver mai svolto attività politica? E perchè un medico, non si sa di dove, sarebbe stato terrorizzato da minacce di morte al punto da stilare un certificato falso? E perchè i carabinieri, per la prima volta, non ammettono i giornalisti nei loro uffici?
I partigiani a porta Venezia (Archivio Anpi Cremona)
Si diffonde la voce che, in realtà, partendo dall'indagine su Ernesto Subitoni, gli inquirenti potrebbero riaprire anche il caso della fucilazione dell'ingegnere Nino Mori, avvenuta a Bresso l'8 maggio 1945, e sarebbero sulle tracce dei due esecutori materiali, uno già arrestato e l'altro individuato ma ancora a piede libero, che l'avrebbero ucciso a scopo di rapina. Ma riemerge dalla memoria anche un altro delitto avvenuto a Spinadesco nell'estate del 1946, quando venne tratto a riva dal Po, nei pressi di Stagno Lombardo, il cadavere di un uomo identificato successivamente con “Martedè”, il soprannome dato ad un contadino di Spinadesco che, dopo essere stato un fervente fascista, si era rifugiato a combattere con i partigiani in montagna, conquistandosi quella fama che poi, nel dopoguerra, gli aveva consentito di rivestire una posizione politica di rilevanza nel comune. Chi poteva averlo ucciso, e per quale motivo? Paolino Luigi Martedei, più conosciuto come Paolo, era nato il 24 gennaio 1901 a Motta Baluffi ed era stato congedato definitivamente dall'esercito, dove aveva prestato servizio in fanteria, il 12 agosto 1939. Il 14 giugno 1944 era entrato nella formazione partigiana “Bersani” che operava nella zona di Piacenza, in cui aveva militato fino al 28 aprile 1945. Risiedeva con la moglie Angela Bernuzzi nella cascina Cavecchia di Spinadesco. Il suo cadavere venne rinvenuto nelle acque del Po nei pressi di Stagno Lombardo l'8 giugno 1946.
Indubbiamente nei giorni immediatamente successivi alla liberazione la situazione è particolarmente confusa. Francesco Carini, in qualità di comandante del Corpo Volontari della Libertà della Sap Ghinaglia, l'11 maggio 1945 invia un dispaccio in cui invita tutti i partigiani a sottostare ai suoi ordini: “Tutti i partigiani di passaggio o che si fermassero temporaneamente nella zona di Spinadesco devono sottostare agli ordini del Comandante il Corpo Volontario della libertà unico capo riconosciuto e approvato dal C.L.N. Chiunque trasgredisse a questa disposizione verrà punito”. (Ascr. Archivio Anpi, busta n.46). Nessuno degli implicati nell'omicidio di Ernesto Subitoni figura tra i partigiani che hanno guidato in paese l'insurrezione del 25 aprile. Lo stesso Carini, in una relazione inviata il 12 luglio 1945 al Presidente del CLN provinciale, specifica che la rivolta è nata spontaneamente da parte di un gruppo ristretto di persone: Mario Poli, Mario Lazzari, Annibale Zanni e Giovanni Lampugnani. Attendendo il momento avevano distribuito volantini a stampa, opuscoli e giornali, del tipo “L'Italia combatte”, “L'Avanti”, “L'Unità”, “il Volontario S.A.P.” e “L'edificazione socialista” forniti dapprima da Arnaldo Feraboli e poi da Ettore Ghidelli della Sap Ghinaglia, entrambi di Cremona. Al momento dell'insurrezione son questi gli attivisti che costituiscono ed insediano a Spinadesco il Cln provvisorio, “indipendente dal fattore politico”, sottolinea Carini, che riesce a raggruppare intorno a sé un buon numero di giovani in modo da costituire il Corpo Volontario della libertà armato, guidato dallo stesso Carini, con il compito di “ottenere con qualsiasi mezzo: il fermo ed il disarmo dei fascisti repubblicani del luogo, il fermo ed il disarmo di diversi soldati tedeschi in ritirata, la costituzione del servizio di polizia per il buon mantenimento dell'ordine e la sorveglianza del passaggio di qualche elemento sospetto; emanando ordini ritenuti indispensabili per il buon andamento della vita civile del Paese e per lo scopo prefisso inerente alla liberazione desiderata; provvedere alle materie prime relative all'alimentazione della popolazione”.
Verzelletti commemora il 25 Aprile (Archivio Anpi Cremona)
Dopo il 25 aprile, “il momento più delicato che richiedeva lo sforzo massimo anche a costo di una qualche vita”, il CLN provvisorio decide di sciogliersi per dar vita il 6 maggio al CLN regolare, costituito dalle rappresentanze dei cinque partiti maggiori. Ne fanno parte il comunista Francesco Carini, presidente; il socialista Quinto Salvini, il democristiano Mario Galli, Dino Andreani per il Partito d'Azione ed il liberale Luigi Spigaroli, che poi si dimette per ragioni personali senza essere sostituito. Prime azioni del nuovo CLN sono la nomina del sindaco, l'ex partigiano Annibale Zanni, e il lancio di una sottoscrizione pubblica per i poveri del paese, per le famiglie dei caduti in guerra e gli internati in Germania, che consente di raccogliere oltre 222 mila lire, di cui 86 mila effettivamente destinate allo scopo, e le restanti 136 mila depositate su un libretto di risparmio per le altre eventuali necessità. Carini nella sua relazione parla di “esito felice” per i cinque punti in cui si è articolata l'attività del CLN, fino al disarmo dei partigiani, avvenuto entro luglio, ed il conferimento di pieni poteri al sindaco. Sottolinea le difficoltà dell'approvvigionamento alimentare, di un mercato nero alimentato dalle nuove libere associazioni e dai consorzi che ricordano ancora le defunte federazioni fasciste, ma non accenna ad episodi di esecuzioni sommarie di fascisti. La relazione è controfirmata dal comandante di zona Pietro Viganò. Viceversa un messaggio del Capo di Stato Maggiore del CLN Gianni Bianchi inviato l' 8 maggio al Questore e per conoscenza al Prefetto, informa dell'esistenza di un corpo di Polizia giudiziaria formato da ex fascisti, impadronitisi della caserma e delle armi del Fronte della Gioventù di Sesto Cremonese, che si è incaricato autonomamente di mantenere l'ordine e sollecita gli organi competenti a ripristinare la legalità.

(1. continua)

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