I partigiani entrano a Cremona (Archivio Anpi Cremona) |
E' un caldo pomeriggio di
giugno nei campi intorno a Spinadesco. Siamo nel 1945 e da poco è
finita la guerra. In campagna regna una strana quiete. Virginio
Lucini è solo un ragazzino, ha nove anni e si gode il sole dopo
l'inverno, gira tra i viottoli con il suo compagno di giochi Umberto.
Ad un tratto il silenzio è rotto da un fruscio tra l'erba già
pronta per essere falciata, e dal vociare di alcuni uomini. C'è un
ragazzo scalzo che corre trafelato in preda al terrore. Ogni tanto si
volta verso quelli che devono essere gli inseguitori, poi scorge
lungo il fosso un vecchio gelso. Lo raggiunge e vi si accovaccia
cercando riparo, nascosto dall'erba. E' di nuovo silenzio, ma ad un
tratto risuona secco un colpo di pistola. Virginio si volta
istintivamente verso il gelso ai bordi del campo, ma vede solo un
ragazzo allontanarsi in fretta. Non è certamente quello di prima,
forse è uno degli altri che lo inseguivano. Virginio è spaventato,
gli è sembrato di riconoscere almeno due di quei ragazzi, Gaetano
Dosi e Carlo Mori di Spinadesco, e riferisce tutto ai carabinieri,
che la sera stessa si recano sul posto e in un fosso, vicino al campo
chiamato “Lazzari”, trovano riverso il cadavere di Ernesto
Subitoni, tenente della Guardia Nazionale Repubblicana. Ha un foro di
proiettile nella regione parietale, poco sopra il collo, e nella mano
destra tiene stretta una rivoltella. Ma proprio questo particolare,
supportato dal certificato di un medico del luogo, unito al fatto che
il compagno di Virginio, Umberto Campanella, sottoposto ad
interrogatorio neghi di aver assistito all'episodio, portano i
carabinieri ad escludere un omicidio ed a propendere per il suicidio
del giovane. L'inchiesta viene chiusa con un non luogo a procedere e
l'episodio ben presto dimenticato.
Sei anni dopo, però, quando
ormai i fatti di Spinadesco sono un lontano ricordo, accade qualcosa
di inaspettato. La sera del 10 dicembre 1951 a breve distanza da
Cavatigozzi, sulla via Milano, un commerciante col proprio furgone
viene bloccato da un'auto messa di traverso sulla carreggiata da cui
scendono quattro giovani con il voto coperto da fazzoletti, che gli
intimano di consegnare tutto il denaro che ha con sé. Non c'è
discussione, ed i quattro rapinatori ripartono alla volta di via
Eridano dove, con lo stesso stratagemma, rapinano Augusto Peri, 53
anni, residente in viale Po, sottraendogli anche l'auto su cui
viaggia, una Topolino giardinetta, che poi viene ritrovata in una
stradina lungo il Po a Piacenza, priva degli pneumatici e con i
sedili smontati.
Viene arrestato con l'accusa
di concorso in rapina Pietro Viganò, ex comandante di zona del CLN
dal maggio 1945 che, nel corso dell'interrogatorio, si lascia
sfuggire alcune frasi relative all'episodio di Spinadesco, che
spingono gli inquirenti a ritenere fondata la versione fornita a suo
tempo dal piccolo Virginio Lucini. L'inchiesta viene immediatamente
riaperta e, il 29 dicembre, vengono arrestati Zemiro Foina, 27 anni,
abitante in via Manini 14, Gaetano Dosi, 25 anni di Spinadesco, Carlo
Mori, 30 anni, anch'egli di Spinadesco, e Pietro Viganò, 37 anni in
quanto esecutori materiali dell'omicidio avvenuto il 5 giugno 1945 e
Francesco Carini, 31 anni, residente in via Passera, in qualità di
mandante. In effetti Foina, Dosi e Mori confermano di aver ricevuto
dal comandante del CLN Francesco Carini l'ordine di arrestare il
tenente della GNR Enrico Subitoni, che una donna aveva visto in
paese. E' un ordine strano, perchè solo Mori risulta aver militato
nella Sap Ghinaglia dal 2 marzo 1943 al 25 aprile 1945, mentre degli
altri due non si sa nulla. Comunque sia i tre si recano
all'abitazione di Subitoni che, avvertito del loro arrivo, riesce a
fuggire calandosi da una finestra. Tuttavia viene inseguito
attraverso i campi per circa una paio di chilometri fino a quando,
nascosto dietro un gelso, viene sorpreso alle spalle da Foina e
freddato con un solo colpo di pistola alla nuca. Foina, poi, lo getta
nel fosso dopo avergli messo in mano una delle due pistole che porta
con sé, volendo con questo simulare un suicidio.
Nel corso dell'istruttoria,
condotta dal giudice Pietro Acotto, il pubblico ministero ritiene che
Foina abbia agito spinto solo dall'odio personale, ma l'ipotesi vien
ritenuta “assurda” in quanto l'esecuzione di Subitoni avrebbe le
caratteristiche di una vera e propria azione politica e, di
conseguenza rientrerebbe nella lotta antifascista, volta a prevenire
il ricostituirsi di questo movimento. Mentre gli altri imputati
vengono assolti con formula piena per non aver commesso il fatto a
Foina, che conferma di essere l'autore materiale dell'omicidio
negando solo il fatto di aver gettato il cadavere di Subitoni nel
fosso, viene dunque riconosciuto il diritto di usufruire
dell'amnistia per i reati di tipo politico.
Tuttavia, fin dal momento
dell'arresto dei cinque, nonostante l'assoluto riserbo mantenuto
dagli inquirenti nello svolgimento dell'inchiesta, Spinadesco ha
iniziato ad interrogarsi su quel delitto che qualcuno, fin dal 1945,
ha cercato in tutti i modi di occultare. Vi è un tarlo che rode la
comunità, cattivi pensieri che emergono dalle nebbie della coscienza
collettiva. Perchè avrebbe dovuto suicidarsi un giovane appena
tornato dal servizio militare senza aver mai svolto attività
politica? E perchè un medico, non si sa di dove, sarebbe stato
terrorizzato da minacce di morte al punto da stilare un certificato
falso? E perchè i carabinieri, per la prima volta, non ammettono i
giornalisti nei loro uffici?
I partigiani a porta Venezia (Archivio Anpi Cremona) |
Si diffonde la voce che, in
realtà, partendo dall'indagine su Ernesto Subitoni, gli inquirenti
potrebbero riaprire anche il caso della fucilazione dell'ingegnere
Nino Mori, avvenuta a Bresso l'8 maggio 1945, e sarebbero sulle
tracce dei due esecutori materiali, uno già arrestato e l'altro
individuato ma ancora a piede libero, che l'avrebbero ucciso a scopo
di rapina. Ma riemerge dalla memoria anche un altro delitto avvenuto
a Spinadesco nell'estate del 1946, quando venne tratto a riva dal Po,
nei pressi di Stagno Lombardo, il cadavere di un uomo identificato
successivamente con “Martedè”, il soprannome dato ad un
contadino di Spinadesco che, dopo essere stato un fervente fascista,
si era rifugiato a combattere con i partigiani in montagna,
conquistandosi quella fama che poi, nel dopoguerra, gli aveva
consentito di rivestire una posizione politica di rilevanza nel
comune. Chi poteva averlo ucciso, e per quale motivo? Paolino Luigi
Martedei, più conosciuto come Paolo, era nato il 24 gennaio 1901 a
Motta Baluffi ed era stato congedato definitivamente dall'esercito,
dove aveva prestato servizio in fanteria, il 12 agosto 1939. Il 14
giugno 1944 era entrato nella formazione partigiana “Bersani” che
operava nella zona di Piacenza, in cui aveva militato fino al 28
aprile 1945. Risiedeva con la moglie Angela Bernuzzi nella cascina
Cavecchia di Spinadesco. Il suo cadavere venne rinvenuto nelle acque
del Po nei pressi di Stagno Lombardo l'8 giugno 1946.
Indubbiamente nei giorni
immediatamente successivi alla liberazione la situazione è
particolarmente confusa. Francesco Carini, in qualità di comandante
del Corpo Volontari della Libertà della Sap Ghinaglia, l'11 maggio
1945 invia un dispaccio in cui invita tutti i partigiani a sottostare
ai suoi ordini: “Tutti i partigiani di passaggio o che si
fermassero temporaneamente nella zona di Spinadesco devono sottostare
agli ordini del Comandante il Corpo Volontario della libertà unico
capo riconosciuto e approvato dal C.L.N. Chiunque trasgredisse a
questa disposizione verrà punito”. (Ascr. Archivio Anpi, busta
n.46). Nessuno degli implicati nell'omicidio di Ernesto Subitoni
figura tra i partigiani che hanno guidato in paese l'insurrezione del
25 aprile. Lo stesso Carini, in una relazione inviata il 12 luglio
1945 al Presidente del CLN provinciale, specifica che la rivolta è
nata spontaneamente da parte di un gruppo ristretto di persone: Mario
Poli, Mario Lazzari, Annibale Zanni e Giovanni Lampugnani. Attendendo
il momento avevano distribuito volantini a stampa, opuscoli e
giornali, del tipo “L'Italia combatte”, “L'Avanti”,
“L'Unità”, “il Volontario S.A.P.” e “L'edificazione
socialista” forniti dapprima da Arnaldo Feraboli e poi da Ettore
Ghidelli della Sap Ghinaglia, entrambi di Cremona. Al momento
dell'insurrezione son questi gli attivisti che costituiscono ed
insediano a Spinadesco il Cln provvisorio, “indipendente dal
fattore politico”, sottolinea Carini, che riesce a raggruppare
intorno a sé un buon numero di giovani in modo da costituire il
Corpo Volontario della libertà armato, guidato dallo stesso Carini,
con il compito di “ottenere con qualsiasi mezzo: il fermo ed il
disarmo dei fascisti repubblicani del luogo, il fermo ed il disarmo
di diversi soldati tedeschi in ritirata, la costituzione del servizio
di polizia per il buon mantenimento dell'ordine e la sorveglianza del
passaggio di qualche elemento sospetto; emanando ordini ritenuti
indispensabili per il buon andamento della vita civile del Paese e
per lo scopo prefisso inerente alla liberazione desiderata;
provvedere alle materie prime relative all'alimentazione della
popolazione”.
Verzelletti commemora il 25 Aprile (Archivio Anpi Cremona) |
Dopo il 25 aprile, “il
momento più delicato che richiedeva lo sforzo massimo anche a costo
di una qualche vita”, il CLN provvisorio decide di sciogliersi per
dar vita il 6 maggio al CLN regolare, costituito dalle rappresentanze
dei cinque partiti maggiori. Ne fanno parte il comunista Francesco
Carini, presidente; il socialista Quinto Salvini, il democristiano
Mario Galli, Dino Andreani per il Partito d'Azione ed il liberale
Luigi Spigaroli, che poi si dimette per ragioni personali senza
essere sostituito. Prime azioni del nuovo CLN sono la nomina del
sindaco, l'ex partigiano Annibale Zanni, e il lancio di una
sottoscrizione pubblica per i poveri del paese, per le famiglie dei
caduti in guerra e gli internati in Germania, che consente di
raccogliere oltre 222 mila lire, di cui 86 mila effettivamente
destinate allo scopo, e le restanti 136 mila depositate su un
libretto di risparmio per le altre eventuali necessità. Carini nella
sua relazione parla di “esito felice” per i cinque punti in cui
si è articolata l'attività del CLN, fino al disarmo dei partigiani,
avvenuto entro luglio, ed il conferimento di pieni poteri al sindaco.
Sottolinea le difficoltà dell'approvvigionamento alimentare, di un
mercato nero alimentato dalle nuove libere associazioni e dai
consorzi che ricordano ancora le defunte federazioni fasciste, ma non
accenna ad episodi di esecuzioni sommarie di fascisti. La relazione è
controfirmata dal comandante di zona Pietro Viganò. Viceversa un
messaggio del Capo di Stato Maggiore del CLN Gianni Bianchi inviato
l' 8 maggio al Questore e per conoscenza al Prefetto, informa
dell'esistenza di un corpo di Polizia giudiziaria formato da ex
fascisti, impadronitisi della caserma e delle armi del Fronte della
Gioventù di Sesto Cremonese, che si è incaricato autonomamente di
mantenere l'ordine e sollecita gli organi competenti a ripristinare
la legalità.
(1. continua)
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