E. Quiresi, il traghetto di Crotta d'Adda (1973) |
Li
chiamavano “I portinai del Po” e fino agli anni Sessanta, anche
dopo la costruzione dei ponti di Cremona e Casalmaggiore, erano i
“Caronti” che trasportavano merci e persone da una sponda
all'altra del fiume. Figure un po'
strane, abituate a vivere ai margini della città, tra le boschine e
le nebbie autunnali, depositari dei segreti dell'acqua, pronti a
sfidare le piene o a ingaggiare lotte con gli storioni, un po'
barcaioli e un po' pescatori, autentici figli del fiume. Qualcuno di
loro è entrato nella leggenda, come Pasquino Soriani, che nel
mantovano a forza di remi aveva
traghettato duecentomila persone e ne aveva salvate 60 che stavano
annegando. Meritò una lettera del generale Alexander per
aver aiutato, nell'ultima guerra, partigiani e alleati e poi i
ringraziamenti degli alluvionati del Polesine che nel '51 andò
coraggiosamente a recuperare. Alla morte, davanti alla sua casa rossa
in golena, le bettoline che portavano nel 1957 il petrolio a Cremona
suonarono a lungo la sirena. Altri sono stati eternati nelle
splendide pagine di “Autobiografie della leggera” di Danilo
Montaldi, come Teuta, cresciuto in una famiglia di pescatori lungo le
rive del Po, che negli anni Venti traghettava d'estate i bagnanti
davanti alle Colonie padane, e, come ricorda lui stesso “guadagnavo
abbastanza bene per vivere onestamente”. Teuta, che lavorava sulla
barca con altri quattro soci, era finito in galera la prima volta a
17 anni per una rissa avvenuta il 16 agosto 1907 all'osteria del
Salice di Bosco ex Parmigiano, nel corso della quale, su di giri per
il caldo ed il vino, aveva ferito ad un braccio un contadino con un
coltello.
A
Crotta d'Adda una scultura in cemento di “San
Cristoforo con in spalla il Bambinello”
in
via Cavallatico, nome che evoca il percorso dei
cavalli che trasportavano la ghiaia e la sabbia recuperate dal letto
fluviale, ricorda l'esistenza dell'attracco del traghetto che
collegava la sponda cremonese con la dirimpettaia lodigiana. A
guidarlo, ancora negli anni Settanta, era l'ultimo traghettatore,
Orlando Grilli, ritratto con il suo traghetto in una splendida
immagine di Ezio Quiresi del 1973. Secondo la Legenda Aurea di Jacopo
da Varagine, Cristoforo, un giovane gigante vissuto nel III secolo
alla ricerca della conversione, per esercitarsi nella carità aveva
scelto di abitare lungo le rive di un fiume con lo scopo di aiutare i
viaggiatori a passare da una riva all'altra. Una notte fu svegliato
da un grazioso fanciullo che lo pregò di traghettarlo; il santo se
lo caricò sulle spalle, ma più s'inoltrava nell'acqua, più il peso
del fanciullo aumentava e a stento, aiutandosi col grosso e lungo
bastone, riuscì a guadagnare l'altra riva. Qui il bambino si rivelò
come Cristo e gli profetizzò il martirio a breve scadenza. Dopo aver
ricevuto il battesimo, Cristoforo si recò in Licia a predicare e qui
subì il martirio.
L'epopea
dei traghetti è ricordata da Franco Dolci nelle belle pagine di
“Storie di fiume”. “Nel Cremonese – racconta Dolci - c’erano
solo il ponte di Cremona e, a 45 chilometri, quello di Casalmaggiore.
In alternativa, lavoravano i pittoreschi traghetti, rappresentati
dalla barca a remi del “passatore” o da qualche grosso natante
composto da due barconi in cemento e trainato da un vecchio
motoscafo. Trasportavano persone, ma anche qualche automobile, o
carichi di legname (le piante abbattute nei pioppeti limitrofi),
carri e mezzi agricoli di agricoltori cremonesi (per esempio di San
Daniele Po) che avevano terreni sulla sponda parmigiana.
E. Quiresi, il traghetto Stagno Lombardo-Polesine (1959) |
I
natanti trasbordavano anche allegre comitive di giovani che andavano
alla “Festa de l’Unità” a Polesine Parmense. In quei momenti
di allegria si esprimeva il piacere della libertà, dopo vent’anni
di oppressione e terrore. Anche il fiume sembrava partecipasse
all’esultanza collettiva per la riconquistata libertà. Su questi
traghetti viaggiavano contadini, boscaioli, pescatori, merciai
ambulanti senza licenza, imprenditori; i personaggi della legèera,
cari a Danilo Montaldi; girovaghi, saltimbanchi come Braka, l’uomo
dal triplice salto mortale che si esibiva nel rione Sant’Imerio a
Cremona e nei paesi a cavallo del Po; le fattucchiere e gli strioni
di cui parla Alberto Bevilacqua nei suoi libri dove si guarda al Po e
alla sua gente con curiosità e tenerezza. I passatori, detti anche
“portinai del Po”, erano noti lungo tutto il corso del fiume.
Famoso era Orlando Grilli (detto Caronte) che traghettava in
prossimità della foce dell’Adda. Con il suo traghetto univa la
sponda cremonese (Crotta d’Adda) a quella lodigiana (Maccastorna).
Orlando Grilli lavorò fin verso la fine del 1980. Poi un ponte
moderno, costruito dalle amministrazioni provinciali di Cremona e
Milano, rese inutile il suo servizio. Il “passatore” chiese a
lungo di essere assunto come cantoniere presso l’amministrazione
provinciale di Cremona, ma invano, perché era oltre i limiti di
età.
Al
traghetto Stagno Lombardo–Polesine Parmense provvedeva Dante. Da
tutti era conosciuto con questo nome. Era anche socio della locale
“Cooperativa Ghiaiaioli”. La forza di Dante si notava soprattutto
quando era ai remi. Non aveva orari, bastava chiamarlo. Dalla sponda
cremonese, portando le mani alla bocca, si urlava: «Dante! Dante!»
Capitava che non rispondesse. Allora si ripeteva il grido e scattava
il sistema di informazioni di cui Dante disponeva sulla sponda
parmigiana. Dante appariva al suo porticciolo e gridava anche lui:
«Vègni...!» Mollava gli ormeggi, infilava i remi negli
scalmi (furcule) e si lanciava contro corrente, verso nord,
poi a un certo punto del fiume cessava la vogata e sfruttava la
corrente fino all’approdo. Legava la barca a un anello di ferro,
caricava i passeggeri o le merci e prendeva la via del ritorno.
Stessa spinta verso nord, stessa deriva verso il porticciolo
parmigiano. Come passatore, Dante godeva di grande considerazione.
Berengario, un merciaio ambulante senza licenza, era un suo grande
amico: oltre a pagargli la modesta tariffa, gli offriva regolarmente
uno dei primi bicchieri di bianco fresco fra i tanti che, con i
rossi, avrebbe sorseggiato durante i suoi itinerari. Se al ritorno
aveva un po’ di tempo, amava fare una partita di carte con Dante;
poi il reimbarco e il paesaggio sul fiume nel tramonto infuocato”.
Prima
nel marzo 1980 fosse inaugurato il nuovo ponte “Verdi” tra Isola
Pescaroli e Roccabianca il servizio di trasporto era assicurato dal
traghetto gestito da Natale Bia, un autentico uomo del Po che aveva
trascorso la sua esistenza pescando, recuperando la legna semisepolta
lasciata dalle piene sugli spiaggioni, cavando sabbia e ghiaia dal
greto del fiume. L'imbarcazione era quasi in tutto simile a quella
che garantiva il trasporto tra Stagno Lombardo e Porto Polesine,
costituita da due grandi barconi di cemento coperti da un tavolato di
legno trainati da un vecchio motoscafo. La gestione amministrativa
del traghetto era affidata ad un consorzio dove erano rappresentate
le due amministrazioni provinciali di Cremona e Parma e i comuni
rivieraschi di San Daniele Po e Roccabianca.
Sempre
Franco Dolci racconta come avvenne l'avvicendamento con il nuovo
collegamento stradale tra le due sponde: “La lunga permanenza sul
fiume lasciò il segno anche nella forte fibra di Natale Bia. Così
il nostro “passator cortese” nel giugno 1975 rassegnò le
dimissioni e il venir meno del traghetto provocò una crisi nel
rapporto fra le sue sponde. Il blocco del servizio creò uno stato
di agitazione nei suoi utenti. La stampa si fece portavoce del
malumore diffuso e gli amministratori cercarono una soluzione. Quando
la trovarono, si rivelò inadatta, al punto che per la negligenza
del gestore che non aveva allentato gli ormeggi durante una piena,
uno dei due barconi si inclinò e urtò con violenza contro la
sponda sassosa del pennello e parzialmente naufragò. Si riprese
allora un progetto che, in una prima formulazione risaliva
addirittura al 1919 e il quale era stato riproposto, nel 1949, dal
“piano” della Camera del lavoro: la costruzione di un ponte
moderno che, con oltre 2 chilometri di lunghezza sarebbe stato il
più lungo ponte fluviale italiano e che avrebbe risolto
definitivamente le difficoltà dei rapporti fra l’Emilia Romagna e
la Lombardia nella zona, favorendo lo sviluppo socio-economico della
campagna spopolata a seguito delle trasformazioni dell’agricoltura.
Nel 1975 venne firmata una intesa fra le amministrazioni provinciali
di Cremona e Parma, e le amministrazioni regionali, con l’assenso
del ministero dei Lavori pubblici. Le spese erano equamente ripartite
tra le parti contraenti.
C’era
intanto bisogno di un traghetto. Il Consiglio del Consorzio venne
l’idea di rivolgersi a Gino Barbarini che appena era stato nominato
Cavaliere al merito della Repubblica, per la molteplicità dei suoi
impegni: ristoratore-albergatore, impresario dell’estrazione di
ghiaia e sabbia dal Po, operatore per lo sgombero della neve in
lunghi tratti di strade provinciali, sempre impegnato per lo sviluppo
economico-sociale del territorio. Era fra i più grandi sostenitori
del nuovo ponte.
Il
Consiglio del Consorzio, valutato tutto, optò per il cavalier
Barbarini e lui, nonostante le difficoltà, assunse la gestione del
traghetto; il figlio era avvezzo ai lavori sul Po, in quanto lavorava
già all’escavazione di ghiaia e sabbia con un natante di
proprietà della famiglia. Si era trovato un nuovo natante a
Guastalla e Barbarini si era dotato di un rimorchiatore per il traino
e aveva reperito il personale. Domenica 4 dicembre 1977 si inaugurò
solennemente il nuovo servizio. Barbarini fece funzionare il
traghetto fino a che, l’8 marzo 1980, fu inaugurato il ponte”.
F. Patellani, l'approdo del traghetto a Cremona (1945) |
I
traghettatori del Po sono gli ultimi epigoni di un corposo nucleo di
trasportatori, comprendente navaroli e barcaroli, che ancora alla
fine del Settecento contava una vera e propria piccola flotta
adisposizione della città, forte di cinque battelli e sette barche,
per lo più destinate al noleggio. I navaroli censiti nel 1787 erano
sei, ma ognuno di essi aveva probabilmente al suo servizio familiari
e personale assunto come avventizio nei momenti di maggior necessità.
Tra di essi vi era un vero e proprio armatore fluviale, un certo
Antonio Rossi che possedeva tre barche e due battelli, che la
notificazione censuaria definiva “condottiere sul Po”. Rossi,
peraltro, fosse perché la condotta sul fiume non lo impegnava
personalmente più di tanto, fosse che la disponibilità di diversi
mezzi di trasporto lo favorisse nello svolgimento di attività
collaterali, viene censito anche nella categoria degli spedizionieri
con fondaco in contrada Zuecca (ora via Verdi), nonché in quella dei
negozianti di cotoni ed altre merci all’ingrosso con magazzino in
Dogana. La sua abitazione era sempre segnata in contrada Zuecca.
La
rete dei traghetti, eliminata definitivamente solo negli anni tra
1975 ed il 1980, iniziò ad entrare in crisi nella seconda metà
dell'Ottocento in quanto questi mezzi, seppur economici, non
bastavano più a soddisfare le aumentate esigenze di trasporto, tanto
che agli inizi del 1860 il Consiglio della Camera di Commercio di
Cremona pensava di costituire una associazione che realizzasse un
ponte di barche di fronte a Cremona per collegare le due rive. Già
nell'ottobre del 1861 venne costituita la “Società anonima del
Ponte su Po presso Cremona” amministrata dall'avvocato Luigi
Sartoretti con il compito di realizzare il ponte. Questo
ponte in barche, gestito con la riscossione dei pedaggi, costituiva
il tanto auspicato collegamento stabile fra le due sponde del fiume
distanti, al momento della inaugurazione del ponte nell’agosto del
1862, 610 metri diventati peraltro già oltre 800 l'anno successivo,
in seguito a due forti piene. Il ponte, ubicato sulla sponda
cremonese del fiume all’altezza dell’attuale largo Marinai
d’Italia, era
lungo 960 metri, posava su 72 chiatte composte, ciascuna, di due
barche unite fra loro e aveva in servizio stabile un ingegnere, un
assistente capo calafattiere, un esattore, un controllore, un capo
marinaio, un calafattiere e sei marinai più del personale
straordinario assunto in caso di necessità.
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