La streptomicina è stato uno dei primi
antibiotici usati nella lotta alla tubercolosi, isolato per la prima
volta in America nel 1944, in piena guerra mondiale.
La fabbricazione industriale iniziò due anni dopo, nel 1946, ma in
Italia restò un miraggio fino al 1947. Nel
1946-47 il ritmo di produzione fu di circa 100 chilogrammi al mese ed
il prezzo era molto elevato. Nel luglio del 1947, per interessamento
del direttore della Clinica pediatrica dell'Università di Parma
Alessandro Laurinsich, l'Alto commissariato per la Sanità, pur
essendo le scorte italiane ancora molto scarse e totalmente
dipendenti dalle forniture d'Oltreoceano, concesse un piccolo
quantitativo del miracoloso antibiotico alla clinica parmense,
accendendo le speranze dei tanti malati di tbc. Quella che vogliamo
raccontarvi è una di queste storie che, settant'anni fa, ebbe
protagonista il primo cremonese curato con questo farmaco grazie ad
una straordinaria gara di solidarietà che coinvolse tutta la
provincia.
Il
27 agosto 1947 era approdata al porto di Genova la prima nave carica
di rifornimenti proveniente dagli Stati Uniti, tra cui le preziose
fiale di streptomicina e penicillina, e veniva annunciato l'arrivo
del piroscafo Extavia che avrebbe trasportato altre tremila fiale di
streptomicina e 40 miliardi di unità di penicillina che il governo
italiano avrebbe ricevuto a titolo gratuito nell'ambito del programma
di aiuti AUSA. Alla vigilia di Natale le navi americane arrivate in
Italia erano già duecento, ed avevano trasportato 418.000 tonnellate
di grano e farina, 1.345.000 tonnellate di carbone, 9000 tonnellate
di generi alimentari e 16.000 grammi streptomicina. E nella
biblioteca del nostro ospedale maggiore lo stesso professor
Laurensich poteva illustrare nel corso di una conferenza scientifica
davanti a tutti medici della provincia le applicazioni pratiche del
nuovo antibiotico nella lotta alla tbc.
Liliana Bestetti |
Mentre
nel porto di Genova si susseguono senza sosta gli sbarchi delle navi
americane all'Ospedale di Cremona viene ricoverata d'urgenza verso la
fine di marzo una ragazza di sedici anni: si chiama Liliana Bestetti,
figlia di una dipendente dell'Eam. Sembra trattarsi del decorso di
una comune malattia, ma si scopre che la giovane ha contratto una
grave forma di meningite tubercolare. Sembra sia condannata, ma i
medici riaccendono la speranza della madre. Esiste una medicina forse
in grado di salvare Liliana, è la streptomicina, che in casi
analoghi ha già dato risultati sorprendenti. Ma il farmaco è molto
caro e la madre non è in grado di sostenere da sola la spesa
necessaria. Viene lanciato un appello sul giornale “La Provincia”
per trovare la cifra necessaria all'acquisto immediato di alcune
fiale. Il primo che si presenta con mille lire è il parroco della
Cattedrale, monsignor Carlo Boccazzi: A partire da lui inizia una
gara di solidarietà sorprendente, se solo pensiamo alle condizioni
economiche in cui si trovava la provincia nell'immediato dopoguerra.
In breve vengono raccolte centomila lire. La prima fiala viene
recuperata il 1 aprile e offerta dai farmacisti Bersellini,
Pettenati, Mola e Leggeri al padre della ragazza che a sua volta
consegna il prezioso farmaco al dottor Bongiovanni, che ha in cura la
ragazza. Per tutta la giornata si susseguono gli arrivi di gente che
vuol donare qualcosa: “Bambini che porgevano le loro duecento lire
e dichiaravano di voler celare il nome dietro la tradizionale sigla
'N.N.', enti, ed associazioni che inviavano la loro offerta cospicua,
poveri popolani ed appartenenti a famiglie cospicue che offrivano
l'obolo, proporzionato alle loro possibilità. Alla sera alla mamma
di Liliana, che piangeva di gioia, avevamo la grande soddisfazione di
versare la somma raccolta in questa prima giornata: Ripetiamo:
centomila lire. E' stato per noi motivo di gioia e di orgoglio vedere
la meravigliosa risposta dai nostri lettori. Lanciando la
sottoscrizione, eravamo sicuri della loro adesione, perchè
conosciamo il gran cuore dei cremonesi; ma non avremmo mai ritenuto
di poter raccogliere, in un giorno solo, una cifra tanto cospicua”.
Ma purtroppo servono ben 500.000 lire per effettuare una cura
completa: una fiala da un grammo di streptomicina costa 5.200 lire e
ce ne vorrebbero almeno novanta. Bisogna fare alla svelta, il tempo
stringe per salvare la piccola Liliana.
Dopo
le prime iniezioni, peraltro, le condizioni di Liliana sembrano
migliorare: si sono attenuati un poco i dolori lancinanti e la
giovane ammalata sembra un po' più sollevata, anche se permane una
certa preoccupazione. Infatti, scrive il giornale :”Pare anche che
la cura debba essere continuativa. Una brevissima sospensione, e non
soltanto quel che è stato fatto è annullato, ma le iniezioni fatte
in epoche successive, non danno più nessun risultato. Da qui la
necessità della sicurezza all'inizio della cura, di potersi
provvedere di tutta la streptomicina necessaria per un intervento
completo. Ma a Liliana, non mancherà la streptomicina. Anche ieri, è
stato un commovente affluire di offerenti, alla nostra
amministrazione. Anche ieri, alla chiusura dei conti, si è visto che
erano state raccolte altre centomila lire, che, come quelle di ieri
l'altro, sono state subito versate alla famiglia della giovinetta
ammalata. La quale, informata dai suoi del meraviglioso impeto della
cittadinanza che con le sue offerte vuole soccorrerla, ha pianto”.
E il giornale, nella speranza di raccogliere la cifra restante,
pubblica per la prima volta la foto della ragazza, coi lunghi capelli
scuri ed un sorriso appena accennato.
La
ragazza continua a migliorare. Tra le offerte alla redazione giunge
anche la letterina di un bambino di sette anni: “Cara bambina, ti
ho già fatto ieri un'offerta coi miei fratellini, ma oggi ti porto
queste 500 lire che mi ero messo via per comperarmi un'automobilina.
Così portai guarire e ritornare a giocare anche tu, perchè malati
si sta proprio male. Presto faccio la mia prima Comunione e pregherò
per te. Guarisci presto, così la tua mamma non piangerà più.
Ricordo che anche la mia mamma piangeva sempre e tanto quando anch'io
fui tanto malato perchè mi feci male alla testa, cadendo. Addio,
cara Liliana. Quando sarai guarita, ricordati di me, che sono Mario
La Polla”.
Nel
frattempo il 3 aprile vengono raccolte altre 200 mila lire e
l'obiettivo è sempre più vicino. La ragazza riceve la vista di
monsignor Carlo Boccazzi, che racconta di averla trovata migliorata e
lucida, e la speranza di una guarigione si rafforza anche nei medici.
Il 5 aprile alle 17 viene chiusa la sottoscrizione in quanto viene
raggiunta la cifra necessaria: tra le offerte giunte spicca quella
degli ospiti polacchi del campo profughi allestito nella caserma
Pagliari, reduci dai campi di concentramento tedeschi e tre fiale di
streptomicina donate dal dottor Dino Soavi di Corte de' Frati.
Liliana, dunque, migliora, anche se i medici non sciolgono ancora la
prognosi, in quanto la meningite tubercolare, almeno sino a quel
momento, era ritenuta una malattia quasi sempre mortale, nonostante
la streptomicina si sia dimostrata in grado di operare guarigioni che
hanno del miracoloso. La vicenda di Liliana ha però dimostrato
quanto sia necessario dotarsi di una certa disponibilità del nuovo
antibiotico, senza dove ricorrere ogni volta che se ne prospetti la
necessità alla generosità popolare. Ecco allora che nasce la
proposta di costituire un fondo speciale con cui garantire la
fornitura delle provvidenziali fialette, sia perchè Liliana possa
continuare la cura, sia per tutti quanti ne avessero la necessità.
Qualche fiala è posseduta dall'ospedale, qualche altra è in
dotazione agli uffici sanitari incaricati della distribuzione, ma se
solo si ammalassero tre o quattro persone contemporaneamente sarebbe
del tutto impossibile curarle e potrebbe accadere quanto successo con
la penicillina che, seppur ormai disponibile a prezzi ragionevoli,
resta tuttavia irraggiungibile per le famiglie prive di mezzi per
curarsi. La sottoscrizione permanente potrebbe quindi garantire una
certa disponibilità di streptomicina anche per i più poveri.
“Questo fondo - osserva il giornale – potrebbe eventualmente,
essere amministrato dal Comune o dall'ente comunale di assistenza o
dall'ospedale. In casi di comprovata necessità e di reale urgenza, i
sanitari saprebbero dove rivolgersi”. Nel frattempo l'Alto
Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica assegna alla
Prefettura di Cremona una discreta fornitura del farmaco, da
prescriversi a pagamento. Gli interessati dovranno presentare al
medico provinciale un certificato dove sia specificata la malattia ed
il quantitativo del farmaco eventualmente necessario. Viene data
precedenza alla meningite tubercolare, alla miliare generalizzata
acuta e alla laringite tubercolare con fenomeni disfagici. Il prezzo
di vendita al pubblico viene fissato in 4000 lire al grammo, cui
bisogna aggiungere l'imposta sull'entrata ed un sovrapprezzo di 20
lire per spese di distribuzione, per un totale di 4.180 lire a fiala.
Il versamento del relativo importo va effettuato all'Ufficio medico
provinciale, mediante vaglia della Banca d'Italia, intestato alla
Prefettura di Cremona ed il flacone vuoto va restituito. Il fondo
destinato all'acquisto di streptomicina compare nello spazio della
“Buona usanza”del giornale.
Bisogna
attendere la fine di maggio perchè venga istituito presso l'Ufficio
Sanitario provinciale della Prefettura di Milano un primo centro
regionale gratuito per la streptomicina AUSA, con centri di cura
limitati in rapporto alla disponibilità del farmaco ad alcuni
ospedali con pochi posti letto per ogni provincia. Le proposte di
ricovero a Cremona vengono vagliate dal Consorzio Provinciale
Antitubercolare che si fa carico di disciplinare l'ammissione alle
sole forme che possono realmente trarne vantaggio. Un nuovo
quantitativo di medicinale viene assegnato ancora a luglio, mentre a
Castelleone si apre una nuova sottoscrizione di offerte per curare un
reduce, Giuseppe Fusari, decorato con croce di guerra al merito.
Verso
la fine di agosto il prezzo della streptomicina viene ridotto a 1480
lire il grammo, ed agli inizi di settembre, per iniziativa del
presidente Ferragni, per la prima volta vengono messi a disposizione
sei letti dell'ospedale maggiore di Cremona per i pazienti affetti da
tubercolosi curabili con la streptomicina. Fino a quel momento,
infatti, il commissario per la sanità inviava 80 grammi al giorno
dell'antibiotico, destinato ad altrettanti malati dell'ospedale di
Milano, con la prescrizione che il nosocomio ospitasse anche
tubercolotici provenienti dalle province limitrofe in proporzione al
numero degli abitanti. Ma le richieste erano talmente tante che solo
i milanesi potevano essere curati, e solo un cremonese, dopo
insistenti pressioni era stato accolto. In seguito alle insistente di
Feragni vengono assegnati dieci grammi al giorno di streptomicina
alla provincia di Cremona, sei dei quali destinati all'ospedale
maggiore con l'obbligo di accogliere anche i pazienti di
Casalmaggiore, e 4 a Crema che dovrebbe curare anche i malati di
Soresina. Altre 200 fiale al mese vengono concesse ai malati
indigenti bisognosi di cure, cento delle quali all'ospedale, che così
può garantire la cura a tre malati al mese.
C'è
però chi diffida della streptomicina e preferisce affidarsi alle
cure della Madonna di Lourdes: è una bionda ragazza di ventotto anni
di Casalmaggiore, Gina Cagnolati, ammalata da anni di polmonite
bilaterale. Nel 1947 aveva deciso di andare a Lourdes in
pellegrinaggio, si era immersa nella piscina, aveva pregato, ma non
era successo nulla ed era tornata a casa ammalata come prima. “Ne
ero sicura – racconta al giornale – Perchè ho sentito che non
ero preparata, che non sapevo pregare con fervore. Mi ci voleva un
altro periodo di raccoglimento e di attesa”. Ma dopo un mese dal
ritorno la tubercolosi aveva avuto uno sviluppo repentino ed il
medico, il dottor Fontana, aveva diagnosticato una laringite
specifica. Ormai la sua voce era diventata impercettibile e la
ragazza si chiudeva in casa per la vergogna. Il medico aveva
consigliato una cura con la streptomicina: “Io non ho voluto fare
l'esperimento. La streptomicina sarà un'ottima cosa, ma io ho più
fede nella Madonna”. Si era dunque iscritta al pellegrinaggio
quando non poteva più deglutire. Nel gruppo c'era anche un altro
cremonese ammalo, un barelliere pure cremonese, il dottor Plevani e
monsignor Tadini. Gina aveva indossato l'accappatoio, recitato l'atto
di contrizione e si era immersa nelle acque gelide della piscina,
Niente. Mercoledì 11 agosto 1948, alle 16,30, assiste inginocchiata
al passaggio del Santissimo, il piviale del sacerdote quasi la
sfiora, Gina fissa intensamente la particola ma non trova le parole
per recitare un'invocazione. Poi il sacerdote sale la gradinata del
tempio, alza l'ostensorio alla vista dei fedeli ed impartisce la
benedizione. “In quell'attimo – racconta Gina - io sentii
l'impulso della preghiera. Pensino, non ho saputo nemmeno parlare in
italiano...Ho pregato in dialetto. Ma la Madonna non se l'è presa a
male...Ho detto «Madonna! Signore! Fatemi tornare la voce!. Ho
sentito una intensa agitazione, poi dentro il petto, si è come
prodotto qualcosa. E io, quasi inconscia di quel che era avvenuto in
quell'attimo felice, ho unito, a quelle degli altri che cantavano un
inno, la mia voce. La mia voce! Tale e quale quella di prima, quella
di un anno fa...Ci avevano raccomandato: «Se accade qualcosa di
lieto, per rispetto al Santissimo, non dite nulla, non fate nulla:
attendete che il sacerdote si sia ritirato». Io ho obbedito. Solo
quando tutti si stavano alzando, mi sono rivolta a una assistente che
mi era vicina: «Sorella, io parlo!».
L'abate
mitrato di Casalmaggiore, monsignor Temistocle Marini, non si
sbilancia e si limita a dire: “Era un soffio quasi impercettibile.
L'ho vista quando è tornata. Ieri sera. Mi ha parlato. Sono rimasto
stupito”.
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