Cremona è
debitrice all'Islam non solo di specialità gastronomiche come il torrone e i
marubini, ma anche del suo simbolo per eccellenza, il Torrazzo. Secondo
l'interpretazione più diffusa la torre oggi si manifesta come un prodotto
maturo, seppur unico nel suo genere, del tipico campanile lombardo, scandito in
riquadri da cornici di archetti pensili e limitato da piatte lesene angolari,
con intervallate sottili lesene semicilindriche intermedie ed illuminato dalla
tipica progressione della finestratura. Ma il Torrazzo rappresenta anche un
tipo architettonico nuovo per la Lombardia, annunciante quella che Angiola
Maria Romanini definisce "una seconda età nella storia del gotico
lombardo", caratterizzata da un intenso pittoricismo di natura spettacolare,
che trova nella torre-guglia con pianta d'ampiezza digradante verso l'alto una
delle forme espressive più tipiche. La torre guglia lombarda segna anche il
punto di maggiore adesione tra la tarda architettura romanica regionale e le
tendenze gotiche d'oltralpe. Eppure affinità sorprendenti legano invece la
torre cremonese a minareti realizzati nell'area magrebina e spagnola intorno
alla fine del XII secolo. Non si tratta certamente di un rapporto di dipendenza
diretta dall'arte islamica, come è invece nel caso dei campanili siciliani,
fusione di forme bizantine e arabe, ma questo gruppo di minareti rappresenta
una fonte ispiratrice che ha fornito nel Torrazzo un frutto originalissimo di
contaminazione. A chi guardi la torre della moschea Kutubiya a Marrakesch, realizzata
nel 1157, non sfuggono certamente le analogie che legano questa ai
contemporanei esiti dell'architettura romanica lombarda. Il minareto è alto
67,50 metri per 12,50 di lato. Ognuna delle facciate ha decori differenti,
scolpiti nello stucco, come se quattro architetti differenti avessero cercato
di rappresentare le porte celesti. Sulla sua sommità, è posto un lanternone di
16 metri con una cupola a costoloni. L'interno del minareto è costituito da sei
sale unite da una rampa che dava l'accesso alle bestie da soma, che
trasportavano i materiali da costruzione. Per chi arriva da Essaouira, Safi,
Fès o Ouarzazate, questo minareto è già visibile a 40 km dalla città. La
Kutubiya deve il suo nome ai "Kutubiyin", i librai, che nel XII e nel
XIII secolo vendevano i loro libri sullo sterrato antistante la moschea.
La
stretta proporzione tra la larghezza e l'altezza del minareto della moschea
conferisce una perfetta armonia a questo capolavoro dell'arte ispano-moresca
che fu preso a modello per la Giralda di Siviglia. Il mito narra che i tre
globi di rame dorato che coronano la cupola, siano stati ricavati dalla fusione
dei gioielli della moglie di Yacoub al-Mansour, che portò a termine la
costruzione della torre intrapresa dal sultano Abd el-Moumen. Il motivo, come
detto, si ripete, verso la fine del secolo, nella torre della Giralda a
Siviglia ed interessa un gruppo di torri situate nell'area compresa tra il
Nord-Africa e la Spagna, nella moschea di Al Hasan a Rabat, di Mansura a
Tlemcen e a Toledo.
La torre della
Giralda è un antico minareto almohade che, quando fu costruito, era la più alta
torre del mondo con i suoi 79 metri di altezza, con una base di 16,10 metri per
lato circa, interamente ricoperta in laterizio cotto. È stato uno dei più
importanti simboli della città medievale. La sezione principale della torre,
islamica, è la parte più antica. Iniziata nel 1156 per ordine del Califfo
Yacoub-el-Mansour dall'architetto Ahmad ibn Baso, essa è stata completata tra
il 1184 e il 1197. Originariamente era sormontata da una sfera di rame, che
precipitò nel 1365 a causa di un terremoto. I cristiani sostituirono la sfera
con una croce e una campana. Successivamente, nel XVI secolo, l'architetto
Hernán Ruiz disegnò un ampliamento, la sezione delle campane ("el cuerpo
de campanas") per convertire il minareto in una torre campanaria. In cima
pose una statua rappresentante la fede. La decorazione austera e delicata
traduce i principi del movimento religioso almohade: rigoroso, austero e
contrario a ogni lusso, che diede vita a una corrente artistica che combina
bellezza e semplicità. É chiaro che la torre della Kutubiya di Marrakech,
costruita poco prima della Giralda, fece da modello. Ognuna delle quattro
facciate é divisa in tre sezioni verticali con ornamenti di mattoni di tipo
sebka (ripetizione di piccoli archi che formano una rete di rombi).
La Torre di Hassan, è il minareto
di una moschea rimasta incompleta a Rabat, Marocco. Iniziata per ordine del
sultano Yacoub al-Mansour, la torre doveva essere la più grande del mondo
assieme alla adiacente moschea, ma i lavori si interruppero alla sua morte nel
1199. La torre raggiunse solo i 44 m, circa la metà dell'altezza pianificata,
96 m. Anche il resto della moschea fu lasciato incompleto, con solo la prima
parte delle numerose mura e delle 200 colonne che dovevano essere innalzate. La
torre, realizzata in mattoni rossi, i resti della moschea e il moderno Mausoleo
di Mohammed VI, formano uno dei più importanti complessi storici e turistici di
Rabat. La torre non ha scale, ma una rampa, che avrebbe consentito al muezzin,
di salire a cavallo in cima alla torre per intonare l'invito alla preghiera,
l'adhan. Il minareto della moschea Mansura di Tlemcen (Algeria) del 1303 ripete
gli schemi dei precedenti e presenta una loggetta nella parte terminale. Il
tema della loggetta, ricavata dallo svuotarsi dello spazio compreso tra le
imposte di archeggiature intersecatesi tra di loro, trova un'originalissima
interpretazione in area mozarabica nella facciata occidentale della moschea di
Hakam II a Cordoba e a Toledo, nella moschea trasformata e dedicata a Cristo de
la Lux, esempi entrambi della fine del X secolo. Ma anche nella parte terminale
del minareto della Kutubiya di Marrakech posto nella parte terminale,
immediatamente sottostante la merlatura. Un motivo tipico
dell'architettura islamica trova poi nel Torrazzo una interpretazione
autenticamente padana, vivificata dai contemporanei esiti dell'architettura
gotica.
Le origini del
Torrazzo sono ancora avvolte nella leggenda. Infatti non si sa esattamente in
quale anno ebbe inizio la costruzione. Le fonti storiche cittadine fanno
riferimento genericamente a due date, il 754 ed il 1284 che, però, sono prive
di qualsiasi reale fondamento, mentre, dall'analisi stilistica e da recenti
indagini sui materiali, è lecito ritenere le prime fasi costruttive comprese
nel terzo decennio del XIII secolo. Non esistono documenti antichi che parlino
espressamente del Torrazzo. Sue rappresentazioni sono però fornite dai sigilli
comunali. Il primo sigillo, dei primi anni del Trecento, rappresenta la
Cattedrale cremonese, con a lato la torre, anche se molto differente da quella
di oggi. Un successivo sigillo, probabilmente della metà del XV secolo reca
un'immagine del Torrazzo simile all'attuale. Si tratta, con ogni probabilità,
di due diverse fasi della costruzione. In particolare la torre raffigurata nel
primo sigillo è molto differente dall'attuale.
Non vi compaiono
le lesene mediane semicilindriche e le paraste angolari sono molto rilevate, la
distribuzione delle finestre è notevolmente semplificata con la sovrapposizione
delle due bifore, anziché il raddoppio di queste all'altezza della quinta
cornice. L'ultimo piano è costituito da una trifora, sormontata da una
merlatura con merli a parallelepipedo. Anche la ghirlanda sembra differente,
più piccola, con due chiostre decisamente più semplificate ed una strana
balconata che separa i due tamburi. La muratura è rappresentata diversificata
con la presenza di tre sole cornici marcapiano. La struttura inferiore del
Torrazzo è costituita da una torre quadrata in laterizio, con un lato di circa
m. 12,80 e alta m. 70,40, scandita orizzontalmente da
sette cornici marcapiano ad archetti semplici e intrecciati che danno luogo a
piani di uguale ampiezza e divisa internamente in sei grandi camere a volta. La
distribuzione degli elementi divisionali sul paramento murale non rispecchia la
successione verticale degli ambienti in cui è divisa la superficie volumetrica
interna. La torre è costituita da una doppia canna prismatica, interna ed
esterna, raccordate tra di loro dalla scala e da un paramento esterno a una
sola testa di mattoni disposti orizzontalmente, distante un centimetro dal muro
perimetrale della canna maggiore, che permette, riducendo al minimo i movimenti
d'aria, una "traspirazione" ottimale tra interno-esterno. Il
paramento così concepito garantisce "muri areati", che non gelano
mai: neppure la parete esterna, dal momento che la parete della canna interna
rimane più calda e tra le due avviene uno scambio di calore. Il paramento
salvaguarda totalmente la parete della canna maggiore ed è eseguito con una
tale perizia da non permettere il benchè minimo ristagno d'acqua sulla parete
evitando così i danni causati dal gelo. Il paramento esterno è stato fissato al
nucleo della canna maggiore mediante mattoni disposti in modo trasversale, che
penetravano per oltre sei centimetri nella muratura. Durante i recenti restauri
si è rilevata una diversa qualità della calce tra la parte inferiore del
Torrazzo e quella superiore: più povera, di minore qualità. I mattoni sono di
tre tipi: quelli più prossimi al fuoco durante la cottura (di color rosso
cupo), quelli un po' più distanti (rosso vivo) e quelli distanti (rosso). Laterizi dipinti
con uno squillante pigmento color carminio sono posti intorno alle finestre.
Per realizzarli si è ricorsi ad arenarie di diverso colore (rosso, verde,
giallo) prelevate dalla zona di Vigoleno e disposte sotto le cornici delle
finestre. Si è ricorso spesso al blu, derivato dall'impiego di azzurrite e di
lapislazzuli. Sicuramente il paramento, che interessa l'intero fusto della
torre, è stato realizzato a distanza di poco tempo dalla muratura più interna
ma è possibile che, nel procedere della costruzione, abbia richiesto qualche
aggiornamento stilistico delle parti inferiori realizzate precedentemente. Questo potrebbe spiegare la differenza
tra il primo ed il secondo sigillo, mentre la ghirlanda è stata probabilmente
aggiornata sia verso la metà del Quattrocento, che nel corso di un pesante restauro
del 1581, quando vennero aggiunte le otto colonne poste sul piano della
merlatura. Se osserviamo, però, il primo sigillo, non possiamo fare altro che
sottolineare le analogie con i minareti spagnoli e magrebini di qualche
decennio prima, nella distribuzione della finestratura, nella disposizione di
sole tre cornici marcapiano, nella stessa composizione della torre sormontata
nel nostro caso da un corpo ottagonale, nella presenza di una loggetta
imediatamente sottostante il piano della merlatura. Ma a sbalordire sono
soprattutto le proporzioni: il
Torrazzo è alto 70,40 metri al piano della merlatura, simile cioè all'altezza
del minareto di Marrakech e della Giralda di Siviglia.
Ma non vi è da
stupirsi per questo: le vicende storiche attraversate dalla città testimoniano
un frequentazione continua con l'oriente. Rapporti costanti si hanno a partire
dal 1090 quando, in Terra Santa, si alternano per qualche tempo governatori
cremonesi e, dal 1155, la città ottiene il diritto di battere moneta, tolto a Milano,
il che significava possibilità di controllare il traffico delle materie prime
destinato ai mercati locali e transalpini. Gli interessi
commerciali condizionarono la storia di Cremona per tutto il corso del XII
secolo. La perfetta integrazione tra commerci terrestri ed il controllo delle
vie d'acqua fluviali, ottenuto mediante alleanze e trattati con le città
vicine, uniti al caposaldo in Terra Santa e all'autonomia comunale protetta
dall'autorità imperiale con un sodalizio che durava ormai dai tempi del
Barbarossa, costituirono gli elementi che permisero alla città di raggiungere,
tra il 1226 e il 1267, l'apice della potenza economica. Durante la signoria del
Pallavicino i mercanti cremonesi figuravano tra i frequentatori abituali delle
fiere di Champagne, e tramite navi di Venezia, Genova e Pisa, dei mercati di
Barcellona, Valenza e Maiorca, giungendo fino a Costantinopoli, dove l'ufficio
di cambio era diretto allora da due cremonesi. Condizioni particolarmente
favorevoli avevano poi spinto i mercanti di Montpellier a scegliere fin dal
1254 la città padana come caposaldo delle operazioni con l'Adriatico e gli
stessi trafficanti toscani ed umbri avevano costituito qui un polo mercantile
per le stoffe di Valenza e Londra.
Non bisogna poi
dimenticare che Gherardo da Cremona, molto nel 1187, fu traduttore di testi
arabi a Toledo e promotore di un'analoga iniziativa nel convento cittadino di
Santa Lucia dove ebbe sede un'importante biblioteca. Ma soprattutto Cremona era
la corte del più grande mediatore culturale del Medioevo, Federico II, che
nella città, diventata il quartier generale dell'esercito imperiale già prima
della battaglia di Cortenuova del 1249, soggiornò almeno diciotto volte a
partire da quel luglio 1212 quando, appena diciassette e braccato dai milanesi,
fu salvato ed accolto dai cremonesi. Costante nell'esercito di Federico era la
presenza degli arcieri saraceni che, per testimonianza dello stesso Pier Delle
Vigne, a Cortenuova combatterono accanto ai cremonesi, armati delle loro lunghe
picche. E sicuramente, nella metà del XIII secolo, non ci si stupiva di vedere
girare per le strade di Cremona l'elefante di Federico con il suo codazzo di
assistenti arabi, medici, gastronomi, guerrieri, architetti e scienziati. Una
presenza che, sicuramente, è stata fondamentale anche per lo sviluppo culturale
e artistico della stessa città.
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