venerdì 13 dicembre 2013

C'è posta per tutti


C’è posta! Quello con il portalettere è diventato un appuntamento pressochè quotidiano. Ma un regolare servizio di posta, quando è nato a Cremona? Già in documenti del 1385 troviamo accenni a cavallari di posta e a messaggeri appiedati, che facevano servizio fra le varie città del Ducato di Milano, ed erano tenuti a segnare l’ora di partenza e quella di arrivo, a farsi rilasciare ricevute ed attestazioni dai funzionari delle varie stazioni e dai destinatari, e soprattutto a spostarsi con la massima celerità. Nel secolo successivo, gli Sforza hanno mirabilmente sviluppato e perfezionato il servizio.
Ma per aver qualche certezza dobbiamo arrivare al 1571. Un certo Zaccaria Boccalino presenta al Comune un progetto per realizzare un servizio di scambio della corrispondenza tra Cremona e Venezia. E’ la prima notizia della nascita della posta all’ombra del Torrazzo. Il progetto prevedeva che un incaricato avrebbe stazionato in permanenza nella piazza del Duomo per ricevere le lettere che il Comune o i privati gli avessero consegnato per essere inoltrate a Venezia, dove un altro incaricato, in un luogo prestabilito, avrebbe provveduto ad inoltrarle ai diretti interessati e a ricevere in carico i plichi da rimettere a sua volta alla nostra città. Il servizio si sarebbe svolto ogni lunedì quando due corrieri sarebbero partiti alla volta di Venezia, impiegando per il viaggio quattro giorni seguendo la via più breve possibile.
Distribuite le lettere a Venezia, avrebbero atteso due giorni per avere la risposta da recapitare a Cremona in altri quattro giorni. In questo modo per avere una risposta ad una lettera spedita si sarebbero dovuti attendere dieci giorni, ammesso che il destinatario fosse stato il più solerte possibile nel rispondere al mittente.
Per garantire che il servizio sarebbe stato perfetto e scrupoloso Zaccaria Boccalino informava il Comune che ai corrieri sarebbe stata applicata una penale di dieci scudi d’oro a titolo di risarcimento ogni volta che “fossero negligenti e non fedeli a eseguire l detta loro impresa”. Non sarebbe stata applicata invece alcuna sanzione se il danno fosse stato dovuto ad un “impedimento fortuito, cioè di mal tempo o d’infermità o altri casi sogliono accadere alla giornata senza colpa e fatto di quelli”. Gli impedimenti più frequenti in questi tempi potevano essere solo imboscate e rapine.
Franco Tasso uno dei primi imprenditori

Il neoimprenditore postale aveva lasciato in bianco lo spazio riservato al compenso per l’effettuazione del servizio, che, trattandosi di un incarico pubblico, si sarebbe dovuto concordare con il Comune. Boccalino faceva presente la comodità di questo sistema di spedizione postale per Venezia, che avrebbe permesso anche l’inoltro della corrispondenza per Milano, Roma, Napoli, Firenze, Lucca e altre città italiane.
Il proponente rivendicava il diritto dell’invenzione e chiedeva al Comune, nell’eventualità che il progetto venisse accolto, di averne il privilegio della gestione, in quanto nessun altro “possa per niun tempo tal impresa esercitare senza licentia et consenso di esso supplicante per essere inventore”. Non sappiamo se sia stata accolta la richiesta di questo primo servizio postale tra Cremona e Venezia, sta di fatto che l’anno dopo fu istituito un servizio di posta regolare fra Cremona e Milano. A gestirlo erano Giovanni Pietro Mola e Giovanni Battista Moroni, che avevano presentato una regolare domanda al Comune.
Le modalità del primo servizio postale erano del tutto simili a quelle proposte l’anno prima dal Boccalino: un incaricato stazionava in un luogo preciso di piazza del Duomo dove ritirava le lettere e i denari da inoltrare a destinazione e nel frattempo consegnava tutto quanto fosse arrivato da Milano. I corrieri da Cremona partivano due volte alla settimana, il mercoledì e il sabato. D’altronde un esempio di come dovesse essere organizzato un regolare servizio postale lo aveva offerto già da qualche decennio la famiglia Tasso di Cornello, che detenne per secoli il monopolio del servizio postale tra l’impero tedesco e gli altri stati d’Europa.
A sottoscrivere gli accordi e fissare le tariffe furono chiamati dal Comune Lazzaro Affaitati e Alessandro Fiammeni che stabilirono che i due appaltatori versassero una cauzione di duecento scudi a titolo di garanzia. Il prezzo della spedizione era fissato in tre soldi e sei denari per ogni oncia, ma per le lettere che non fossero arrivate al peso minimo di mezza oncia la tariffa era fissata in un soldo e sei denari, mentre per il trasporto di denaro fu fissata la tariffa di venti soldi per ogni cento scudi d’oro e di 15 per ogni cento scudi d’argento. Mola e Moroni provvedevano anche a recapitare a Milano la corrispondenza del Comune, per un compenso di quattro lire per ogni viaggio. Il Comune, però, quando si trattava di propria corrispondenza, era solito inviare un corriere espressamente a Milano per un importo di sei lire d’inverno e di cinque d’estate.
I due gestori privati, pertanto, avevano chiesto di poter avere almeno cinque lire per ogni viaggio indipendentemente dalla stagione, ovviamente solo per quei viaggi in cui si sarebbero trasportati i plichi comunali.
La spedizione di una lettera
La stazione di posta per il cambio dei cavalli era situata fuori porta San Luca e nel 1757 a reggerne le sorti era un certo Domenico Manini che in quell’anno aveva fatto richiesta alla Magnifica Comunità per tenere “in città tutti li cavalli destinati alla posta” perchè di notte “non si può uscir dalla città con lettere per inviarle al suo cammino atteso che le porte sempre se trovano serrate” e di fronte ad un’urgenza sarebbe stato indispensabile avere la disponibilità di un servizio sempre attivo.
Le porte della città, infatti, non venivano aperte quando si presentava una persona isolata sia all’interno che all’esterno delle mura, per cui il nostro imprenditore concludeva chiedendo al Comune che “a tutte le ore della notte sia licito al postiglione intra e uscir nella città, siccome nel resto dello Stato si è servito et si serva”. Anche in questo caso non sappiamo se la richiesta, inviata da Cremona a Milano, sia stata accolta, anche se è presumibile ritenerlo, visto che il nostro postiglione dichiara di essere il “postero nella presente città di Cremona per beneficio di S. M. Cattolica pubblico e privato”, cioè di essere dipendente del Corriere Maggiore di Milano.
Il Corriere Maggiore era colui che in ogni Stato stava a capo del servizio delle poste. Pare che avesse diritti o privilegi sugli introiti; che si prendesse delle decime da parte degli altri corrieri ed emolumenti sulle lettere; per contro era a suo carico il pagamento dei salari ai luogotenenti, cancellieri, mastri di posta, ordinari e procaccia. A lui competevano le vertenze che sorgevano fra i vari agenti del servizio. I luogotenenti, come dice il termine, facevano le veci del Corriere Maggiore o Generale di posta.
I cancellieri seguivano i luogotenenti, ed a loro competeva il servizio di ufficio, ed il controllo su lettere, pieghi, valori, dei quali dovevano tenere carico e scarico nella consegna ai corrieri. Per avere un’idea dell’importanza e regolarità del servizio, si può notare che un cancelliere era sempre presente nell’ufficio, in modo che si alternassero ordinariamente giorno e notte. Una funzione assai importante era quella sostenuta dai Mastri di posta che presiedevano ad ogni stazione.
L’incarico veniva concesso di regola a persone che gestivano osterie; fornendo essi i cavalli ai viaggiatori, poteva accadere che questi si fermassero a pernottare alla “posta”. Ad essi competevano vari privilegi, fra cui quello di portare armi, l’obbligo ai corrieri di smontare alle loro case, l’esclusività delle forniture dei cavalli agli stessi. Inoltre spettava loro di ricevere, smistare e distribuire la posta, ed erano esenti dal carico di alloggiare soldati, per non essere impossibilitati nell’espletamento del loro ufficio.
La nomina del Mastro di posta si doveva al Corriere Maggiore. Il Mastro di posta aveva alle sue dipendenze dei postiglioni e naturalmente una dotazione di cavalli; la sua abitazione stava verso la strada; la vigilanza di cui era responsabile, lo obbligava talora a farvi dormire qualche mastro di stalla o postiglione perché la notte, sentendo il suono della cornetta, accorressero con sollecitudine a preparare i cavalli per il cambio, in modo da far perdere il minor tempo possibile al viaggiatore od al corriere. 
Il nostro Domenico Manini era appunto “Maestro di posta” di Cremona e nell’agosto del 1577 cercò di sostituirsi al Mola e al Moroni nel loro incarico di trasportare plichi e lettere da Cremona a Milano, offrendosi egli stesso per l’onere di “portar et reportar lettere da Milano, fagotti et danari et altre cose doi fiate la settimana col pagamento de doi soldi per lettera, sei soldi l’onza per plico di lettere et meggio scuto per cento, secondo che detti Mola et Compagni vanno una sola volta la settimana a Milano, riscuotono cinque soldi soldi per lettera, soldi diece per ogni onza de plico de lettera et soldi tre per ciascun scuto”. Insomma, l’offerta era senza dubbio vantaggiosa.
Le lettere che arrivavano a Cremona grazie al servizio postale erano smistate da speciali incaricati. Il primo, ricordato nel 1576, era ancora il nostro Giovanni Battista Moroni, che in un censimento di quell’anno è chiamato “portalettere”, di un altro, un cenno Giovanni Battista Zecchi, vi è un cenno del 1620. Nel 1638 la posta per Roma, Venezia e Milano partiva il sabato e arrivava il giovedì. Le carrozze da posta avevano la precedenza su tutte le altre, per farsi riconoscere suonavano apposite cornette e la loro velocità era regolata da apposite norme.

Già dal principio del Seicento abbiamo un catalogo delle stazioni di Posta della Lombardia. Le stazioni segnate sulla linea tra Milano e Mantova sono: Melegnano, Lodi, Zorlesco, Pizzighettone, Cremona, Pieve San Giacomo.  A Cremona nel 1675 la corrispondenza veniva raccolta e distribuita in una bottega del palazzo comunale, affittata ad un privato e con l’affitto il Comune pagava lo stampatore Paolo Puerone per le spese sostenute per pubblicare la vita di Sant’Omobono.
Bisogna attendere il 1730 per avere un servizio postale gestito direttamente dallo Stato, in questo caso l’amministrazione austriaca, ma la razionalizzazione comportò anche dei disguidi: un aumento delle tariffe ma anche dei ritardi. Al punto da far rimpiangere i vecchi messaggeri a piedi.
Tant’è che i presidenti al Governo cremonesi fecero presenti le difficoltà direttamente a Milano: “Due volte la settimana solevansi trasmettere le lettere de Cremona a Milano giungendovi al sabato, e al martedì, ma in oggi viene talmente ritardato il corso delle medesime che non già due volte in Milano si ricevono, ma una sola, e quella con tal vicinanza ha il ricevente, e il doversi rispondere, che assolutamente riesce impossibile di eseguire quel tanto, che da corrispondenti viene ordinato e proscritto. Sono già più settimane che le lettere di Cremona per la via della posta non giungono che una volta sola per settimana, e con tanto ritardo, che è seguito il caso in cui non sono giunte che al martedì mattina, quel giorno medesimo in cui devesi rispondere. Ne è già che in Cremona non scrivansi le lettere molto prima, ma portare alla posta sulla bona fede che debbono avere immediato il suo corso, rimangono colà oziose per più giorni con pregiudicio del Privato, e Pubblico comercio, restandone pregiudicata anche la Città stesa nelle presenti contingenze”. Eppure esistevano già da qualche anno le diligenze postali. Che si erano sovrapposte ed integrate a quelle di trasporto privato, ne è una prova il nome di postiglione dato a chi guidava sia le diligenze che i cavalli delle poste. Un servizio regolare con velocifero, importato dall’Inghilterra, è ricordato dal 1828 a Milano per Cremona e Mantova con partenze giornaliere dall’Albergo dei Tre e del Cappello.
Poste e passeggeri viaggiavano insieme, ma come? In un volumetto stampato a Bassano nel 1789 “Il viaggiatore moderno, ossia la vera guida per chi viaggia con la descrizione delle quattro parti del mondo”, l’autore, prima di dispensare i suoi consigli, premette che chi non ha soldi è meglio che stia a casa propria, e per lui non servono consigli di sorta; chi ha la borsa ben fornita, invece, si prepari ad allentarne i cordoni ad ogni piè sospinto.
Comunque, per farla breve, “chi brama d’intraprendere viaggi, prima di ogni altro implori il divino aiuto, ed a questo effetto si premunisca con quei rimedi spirituali che insegna la S. Madre Chiesa, confessandosi e comunicandosi divotamente e facendo celebrare anche qualche Messa pro itinerantibus”. Aggiunge poi un paio di preghiere speciali ed una filastrocca di giaculatorie da biascicare intanto che si guarda fuori dal finestrino. Pregare e raccomandar l’anima! Perché oltre che il pericolo di ribaltare ed andar a finire sotto le ruote per l’imprevidenza dei postiglioni, ed infatti il servizio passeggeri sui velociperi fu sospeso, vi era sempre l’eventualità di finire nelle mani dei briganti. Le strade ne erano infestate, anche nei pressi della città.
Si ricorda, ad esempio, che sulla piazza di San Giovanni in Melegnano, un certo anno, se ne impiccarono un paio e quando qualcuno incappava nella giustizia veniva giustiziato ed appeso ad un albero lungo lo stradale.




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