venerdì 10 dicembre 2021

Farinacci e il "massacro di Cremona"

Farinacci con Mussolini al convegno agrario

Poco più di cent'anni fa, il 5 settembre 1920, Benito Mussolini al teatro Politeama Verdi tiene, in occasione del convegno regionale dei Fasci lombardi, il suo primo discorso programmatico. La manifestazione, è fortemente voluta da Roberto Farinacci, intransigente capo degli squadristi locali che, per organizzarla, si è recato di persona a Milano ad incontrare Mussolini, affrontando un viaggio, che, a dispetto della breve distanza, si rivela difficoltoso per gli scioperi in corso. La città, infatti, è fitta di presidi operai che il futuro ras cremonese, ancora sconosciuto ai più, beffa utilizzando la sua vecchia tessera di ferroviere e spacciandosi per staffetta degli scioperanti. In città la tensione si mantiene alta, perché i socialisti non hanno digerito la “provocazione” del raduno del 5 settembre; circolano voci di rappresaglie e vendette sugli elementi fascisti locali, pochi e ben conosciuti dai loro avversari.  “Io sono reazionario e rivoluzionario, a seconda delle circostanze - sono le parole pronunciate da Mussolini, passate alla storia - Farei meglio a dire, se mi permettete questo termine chimico, che sono un reagente. Se il carro precipita, credo di fare bene se cerco di fermarlo; se il popolo corre verso un abisso, non sono reazionario se lo fermo, anche colla violenza. Ma, sono certamente rivoluzionario quando vado contro ad ogni superata rigidezza conservatrice e contro ogni sopraffazione libertaria…Noi non siamo per la guerra, ma a chi ci aggredisce, spareremo sempre sul grugno. Poiché non siamo seguaci di San Filippo Neri, che insegnava di tendere, dopo la prima percossa, l’altra guancia d un nuovo schiaffo…Questa è l’ora del fascismo antidemagogico; l’ora di una sana attività politica, non avvilita da tessere e da statuti, che riporti la vita nazionale nel suo giusto ritmo. Perché l’unico nostro ideale è la massima grandezza dell’Italia”. In questo discorso Mussolini delinea abbastanza chiaramente la nuova strategia del fascismo, dopo la correzione di rotta operata tre mesi e mezzo prima al Congresso di Milano. Innanzitutto emerge la volontà di giocare, da minoranza agguerrita e armata, la carta della lotta di piazza, con l'intento di colpire “senza pietà” i socialisti, così com'è avvenuto già nel 1919  con l'incendio dell'«Avanti!» il 15 aprile e gli scontri in occasione dello sciopero di solidarietà con la Russia del 20-21 luglio. Poi spicca la priorità attribuita alle rivendicazioni nazionalistiche sul confine orientale: l'omaggio all'impresa di Fiume, l'esaltazione delle prime violenze squadriste contro gli slavi, la critica al governo per il ritiro delle truppe dalla città albanese di Valona, l'ambizione di trasformare l'Adriatico in un «catino d'acqua» italiano. Il capo del fascismo non vuole vincolarsi ad alcuna alleanza fissa (siamo «gli zingari della politica italiana»; dice). Ma evidente è la sua intenzione di ergersi a difensore dell'ordine costituito. Apre alla monarchia, deponendo ogni «pregiudiziale repubblicana». Apre al Vaticano, rendendo omaggio all'«immenso impero spirituale» rappresentato dalla Chiesa cattolica. Apre ai capitalisti, indicando abbastanza apertamente nel mercato e nell'impresa privata le «molle principali» che reggono l'economia nazionale, mentre irride i sindacalisti riformisti, come il segretario aggiunto della Cgl Gino Baldesi, giunti in ritardo alla consapevolezza che la demagogia non paga. Soprattutto Mussolini mostra di aver capito che la situazione si polarizza sempre più tra gli estremi per la crisi delle «forze intermedie», liberali e democratici, che si stanno «sfasciando per mancanza di uomini». Una circostanza che offre al fascismo vari spazi politici da occupare. Il motto di Mussolini, evocando la località di Ronchi da cui partì l'impresa di Fiume, è «me ne frego», diventato poi l'emblema delle camicie nere. Uno slogan per in verità non indica indifferenza o disinteresse egoistico verso il prossimo, ma che significa: non mi importa delle conseguenze negative che può avere la mia azione, coerente ai miei ideali. 
Piazza Roma negli anni Venti

In coincidenza con il raduno fascista, arriva puntuale la mobilitazione avversaria, sotto forma di una manifestazione pro Russia sovietica con tremila socialisti: un lungo corteo preceduto dai “ciclisti rossi” ed accompagnato dalla banda “Spartacus” si snoda dalla Camera del Lavoro attraverso corso Garibaldi, corso Campi, piazza Roma e via Solferino fino in piazza del Comune dove intervengono Costantino Lazzari, Ferdinando Cazzamalli, Attilio Boldori, Ernesto Caporali, Dante Bernamonti ed il rappresentate dei ferrovieri Bonini. Ma è il giorno dopo che la violenza, a stento trattenuta nei giorni precedenti, esplode. Le versioni sono discordanti. Secondo i socialisti un gruppo di fascisti, la mattina di lunedì 6 settembre, sarebbe transitato più volte davanti alla redazione de “L'Eco del popolo” lanciando minacce, mentre altri fascisti milanesi e fiumani, avrebbero manifestato l'intenzione di assaltare la Tipografia Proletaria. Di conseguenza alcuni responsabili socialisti avrebbero reagito scacciando il gruppetto e inseguendolo per le vie della città fino a raggiungerlo, malmenando infine i facinorosi. I fascisti, invece, parlano di una vera e propria caccia all'uomo. Già nella notte tra domenica e lunedì vi erano state numerose zuffe e pestaggi, nel corso dei quali era stato ferito a pugni e colpi di bastone un giovane fascista, un certo Agazzi. Purtroppo l'unica ricostruzione dei fatti è affidata al quotidiano “La Provincia”, che manifesta apertamente le sue antipatie socialiste. Secondo questa ricostruzione, dunque, poco dopo le 9 di lunedì un nuovo gruppo di fascisti si era recato a manifestare davanti agli uffici del periodico “Interessi cremonesi” costringendo ad intervenire un plotone di Carabinieri al comando del tenente Bellucci per ripristinare l'ordine. Un gruppetto di socialisti avrebbe dunque deciso di reagire “componendo una squadra rossa” comandata dal segretario della Camera del Lavoro Ernesto Caporali e dal segretario dei metalmeccanici Verzelletti per malmenare alcuni tra i più noti esponenti fascisti locali, tra cui il professor Anselmino e lo studente Franzetti. Una nuova rissa avviene verso le 15 al bar Roma, quando un certo Pasotelli, fascista, aggredisce a pugni alcuni socialisti. 

Verso le 22 si accende una nuova discussione al bar Aquarium tra un gruppo di fascisti, con Farinacci, Sigfrido Priori, Groppali, Mario Ronconi, Arturo Rizzini e il ragionieri Filippini, ed un gruppo di socialisti, dove figurano l'ex sindaco Attilio Boldori, Sidoli, Rossetti, Tarquinio Pozzoli, Verzelletti, Pederneschi e l'infermiere Gerevini. Il primo diverbio vede protagonisti Gerevini e Filippini, mentre le due fazioni rimangono estranee fino a quando, sembra, il gruppo socialista interviene spingendo i due contendenti contro il muro, dove sono i fascisti. Immediatamente si accende un furioso corpo a corpo, partito da un colpo di bastone inferto, pare da Pozzoli, al fascista Pietro Alquati. La rissa degenera quando Sigfrido Priori, all'angolo con via Solferino, si mette a sparare scaricando tutti i sette colpi della sua rivoltella in direzione della strada e del giardino pubblico di piazza Roma. Rispondono altri colpi, e la folla fugge terrorizzata lasciando sul campo solo i feriti. Arrivano i Carabinieri comandati dal capitano Ugoletti, con il vice commissario Struffi, alcuni agenti e il vigile urbano Zanoni, che cerca di afferrare per le gambe Priori il quale si difende brandendo un pugnale prima di essere disarmato e ammanettato. Le sette vittime della sparatoria vengono trasportate all'interno del bar Aquarium e poi all'ospedale. Due sono ormai cadaveri: viene identificato immediatamente Vittorio Podestà, ha in tasca la tessera del partito fascista ed è stato colpito mortalmente da un colpo sparato a bruciapelo che gli ha perforato il torace. L'altro viene identificato poco dopo nel tenente Luciano Priori, studente del quarto annodi ingegneria, colpito alla tempia da un proiettile mentre, provenendo dal bar Nazionale in piazza del Duomo, stava attraversando piazza Roma diretto in centro. I cinque feriti sono Attilio Boldori, ex sindaco di Duemiglia colpito ad un braccio da un colpo sparato a bruciapelo; Giuseppe Faelutti, colpito alla mano destra; Guido Ricotti, ferito al capo; Eugenio Sora, ferito di striscio al fianco sinistro e Pietro Alquati.

Le versioni su quello che poi Farinacci utilizzerà in chiave propagandista come “Il massacro di Cremona”, sono ovviamente differenti. Secondo i socialisti le provocazioni sarebbero partite dai fascisti e  lo stesso Farinacci avrebbe minacciato di sparare a chiunque avesse manifestato atteggiamenti ostili, mentre i fascisti sostengono di essere rimasti estranei alla disputa tra Filippini e Gerevini fino a quando Pozzoli non avrebbe colpito Podestà con un bastone.

Squadra d'azione, al centro Farinacci 

Vengono arrestati Sigfrido Priori e Farinacci, a cui viene sequestrata anche una pistola a quattro colpi. Il quotidiano “La Provincia”, affida la ricostruzione dei fatti al vice commissario Struffi: “Intanto si svolgeva la disputa tra il rag. Filippini e l'infermiere Gerevini. Questo è certamente colui a cui si deve fare risalire l'originaria responsabilità del conflitto: infatti tanto nella giornata quanto, e più specialmente, lunedì sera, egli aggrediva gli avversari con insulti e provocazioni intollerabili. Nessuno però intervenne. «Senonchè – continua il vice commissario Struffi – mentre io stavo pregando i capi gruppo di allontanarsi si accese d'un tratto una violenta disputa tra il socialista Verzelletti e un fascista». Egli accorse subito per calmare i due, quando ad un tratto udì il Pozzoli, vicino a lui, gridare rivolto ai fascisti: «Ah,siete voi che volete ammazzare tutti i socialisti», alzare il bastone e abbassarlo violentemente per colpire qualcuno (si suppose – dicemmo – che quest'uno fosse l'Alquati). Questa prima violenza si sviluppò immediatamente in una rissa generale. I bastoni si alzavano da parecchie mani; subito dopo si vide qualcuno cadere a terra percosso; poi gli spari ripetuti, certo provenienti da più armi. Lo Struffi scorse l'ex sindaco Boldori che si slanciava su un fascista, vestito sportivamente coi gambali e serrarlo nelle braccia e vide il fascista applicare la canna della rivoltella al braccio del Boldori e far fuoco. Il Boldori cadeva nelle braccia di un presente. Il vice commissario Struffi, il capitano Ugoletti dei carabinieri e l'agente Cantagallo si slanciarono sul feritore – il priori Sigifreddo -  e cercarono di trattenerlo. (Pare qui che il particolare del tentato pugnalamento del vigile Zanoni sia cosa non vera). Intanto, per il fuggi fuggi generale si era fatto una certa rarefazione tra la folla, e il vice commissario Struffi vide, mentre ancora colluttava col feritore che era uomo fortissimo, vide distintamente – e moltissime testimonianze suffragano la sua tesi – un individuo basso, scamiciato, ce era stato prima notato nel gruppo socialista, estrarre la rivoltella e sparare all'impazzata 7 colpi: quattro contro via Solferino, tre contro il giardino. Ed era appunto uno di questi ultimi che fatalmente raggiungeva il tenente Luciano Priori, che transitava in fretta per sottrarsi allo scompiglio, uccidendolo”. 

In realtà  le ricostruzione si sprecano, anche se è abbastanza palese il tentativo di scaricare l'intera responsabilità di quanto accaduto sui socialisti, parlando di “premeditata provocazione”, scagionando in parte Sigfrido Priori, che avrebbe sparato solo tre colpi, dando la caccia al fantomatico sparatore scamiciato, limitando il ruolo di Farinacci, che sarebbe stato nell'impossibilità di sparare in quanto gettato a terra nella calca di via Solferino. Peraltro nell'abitazione di Priori vengono trovati 60 proiettili della rivoltella che gli era stata sequestrata al momento dell'arresto. 

La mattina di giovedì 9 settembre si svolgono in pompa magna i funerali delle due vittime, con la partecipazione, dice il giornale, di circa quindicimila persone, con la declamazione di un carme funebre da parte di Luigi Ratti. Nel frattempo arriva la scarcerazione per Farinacci, perchè la perizia balistica ha escluso che i colpi siano partiti dalla sua rivoltella, previa firma di una diffida a non farsi più vedere per le vie cittadine, per non ”provocare”.

Nei giorni successivi viene arrestato con l'accusa di avere ucciso i due fascisti, Luigi Arcaini, un brentadore residente a S. Ambrogio, noto per le sue simpatie socialiste i cui connotati corrispondono ad alcune testimonianze raccolte sul posto: “statura media, tarchiato, colorito scuro, baffi neri, folti, all'americana, e tatuaggi sulle braccia: su di una a forma di due S intrecciati come il nodo di fune che tiene l'ancora, e sull'altro le lettere A ed L sovrastanti ad altre figure”.

 

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