Emilio Caldara (Archivio storico Società Umanitaria di Milano) |
La
solidarietà non conosce confini, colori né ideologie. Ce lo insegna
una bella storia di cent'anni fa, di cui furono protagonisti operai e
contadini della nostra città. Nell'autunno del 1919 un sindaco di
umili origini operaie, Emilio Caldara di Soresina, primo cittadino
socialista di Milano, tese la mano agli ex nemici austriaci lanciando
un progetto di accoglienza e fraternità destinato ad accantonare
tutto l'odio maturato in quegli anni, prima che, nel giro di un
lustro, il fascismo ne cancellasse con un colpo di spugna il ricordo.
I mesi che
seguirono l'armistizio di Villa Giusti il 4 novembre 1918 fecero più
vittime che la guerra stessa fra i bambini dell’Europa centrale. A
causa del blocco economico la gente era ridotta alla fame e le
malattie facevano strage tra i vinti. Prime ad accorgersi di questa
situazione furono le donne inglesi che lanciarono una campagna di
controinformazione costringendo a porre fine al
blocco e a organizzare un’azione umanitaria di
emergenza rivolta ai bambini dei paesi più colpiti dalla
guerra, dando vita al Save the Children Fund .
Anche da parte austriaca agli inizi di dicembre 1919 arrivano
pressanti richieste di soccorsi per salvare un paese ormai prossimo
al disastro e in Italia il dramma austriaco colpisce le coscienze e
produce le prime iniziative locali di
solidarietà. Cremona è tra le prime a
rispondere.
La
mattina del 10 dicembre l'Eco del Popolo
pubblica l'appello sottoscritto da Antonino
Campanozzi, segretario della Lega dei Comuni Socialisti; Ludovico
D’Aragona, segretario della Confederazione Generale del Lavoro e
AntonioVergnanini, presidente della Lega Nazionale delle Cooperative:
“Vienna, la suntuosa capitale dell'infranto impero, in cui la vita
aveva raggiunto i più alti culmini della gioia e degli agi, oggi
dolora e si accascia sotto il tormento delle più atroci privazioni,
della fame. Le notizie che ci giungono sono sempre più sconfortanti;
e fra esse assumono un sinistro colore di tragicità quelle intorno
alle sofferenze di cui sono vittime le numerose turbe di fanciulli
innocenti, ai quali la vita si schiude fu un'alba così fosca e piena
di vergogna. Noi non sappiamo come meglio auspicare ad una sollecita
era di pace e di lavoro che tutti invocano, ma che lo spirito
sovverchiatore del capitalismo minaccia di allontanare sempre più se
non chiamando queste piccole vittime della ferocia umana a propiziare
la fine di ogni contesa e facendoli, essi, i figli dei «vinti»,
segno della pietà e della sollecitudine dei «vincitori»
soddisfacendo in un augusto atto di solidarietà l'ardente bisogno di
giustizia e fratellanza che tormenta le masse lavoratrici di tutto il
mondo”.
Primo
ad accogliere l'appello è Giuseppe Garibotti che, per conto del
consiglio di amministrazione dell'Ospedale, mette a disposizione dei
bambini viennesi fino a maggio 1920 l'ospizio di Cesenatico. L'11
dicembre il sindaco Caldara convoca a Milano i rappresentanti delle
amministrazioni socialiste dell'Alta Italia. Per Cremona è presente
il maestro Giuseppe Sasdelli, presidente della Congregazione di
Carità, ma ci sono anche i rappresentanti di Bologna, Reggio Emilia,
Alessandria, Busto Arsizio, Novara
e Codogno. Le camere del lavoro, le cooperative, le leghe di
resistenza del Piemonte e dell'Emilia chiedono di potere assistere
centinaia e centinaia di bimbi. Si decide che a Cremona ne
toccheranno almeno un centinaio e subito si mette in moto la macchina
della solidarietà, con una prima sottoscrizione: “In ogni famiglia
i bambini dei proletari con 20 centesimi attestino ai piccoli
fratelli austriaci la solidarietà civile ed umana dell'Italia
lavoratrice. I maestri e le maestre socialiste compiano questo loro
dovere altamente morale ed educativo”. I primi fondi, 50 lire,
vengono raccolti con una festa danzante organizzata dalla cooperativa
“Fratellanza sociale” nei locali dell'asilo Martini. In attesa
che anche il livello centrale del Partito socialista si muova,
Caldara si organizza da solo. Lui e i due sindaci di
Bologna e Reggio
Emilia chiedono al Governo di fornire loro dei treni per potersi
recare in Austria,
dove la mancanza di
carbone blocca
la circolazione ferroviaria. I treni all’andata avrebbero
caricato i generi alimentari e di soccorso raccolti e al rientro
avrebbero accompagnato a svernare in Italia un primo numero di
bambini. Ottenuti i treni, sindaci e assessori, medici, educatrici e
funzionari a fine dicembre partirono per Vienna. Mentre il 23
dicembre del 1919 verso le 7 parte da Milano il primo treno carico di
risorse alimentari, munito di cucina da campo, con a bordo medici e
infermieri, con lo scopo di trasferire nella città lombarda i primi
bambini, il presidente del comitato di Cremona, il sindaco Attilio
Botti organizza l'accoglienza: “Nelle scuole dei comuni socialisti
le amministrazioni devono far circolare schede di sottoscrizione
raccogliendo in esse le piccole offerte dei bimbi. Negli altri paesi
ove l'opposizione dei maestri o delle autorità impediscono le
sottoscrizioni nelle scuole, le organizzazioni economiche
raccoglieranno esse stesse le offerte in nome dei piccoli figli dei
lavoratori. Le cooperative e le Leghe devono subito costituire i
comitati per la raccolta dei fondi pro bambini Viennesi. Più bella
occasione per manifestare la nostra fede internazionalista non
potremmo desiderare. Le somme raccolte devono essere spedite al
Sindaco del Comune di Cremona, Presidente del Comitato pro bambini
Viennesi”.
L'arrivo dei bambini a Milano (Archivio Istituto derelitti, Milano) |
Il
comitato cremonese è costituito dal sindaco Attilio Botti, dal
sindaco di Duemiglia Attilio Boldori, dal presidente dell'Ospedale
maggiore Giuseppe Garibotti, dal presidente della Congregazione di
Carità Giuseppe Sasdelli, dal presidente degli Asili infantili Dante
Fornari, dal presidente del Patronato scolastico Costantino Superti,
da Ernesto Caporali per la Camera del Lavoro, Giuseppe Chiappari per
la Federazione provinciale Socialista, Silvio Barbieri per il Circolo
socialista di Cremona, dalle maestre Luigina Vailati, Luigina Belli e
Maria Masseroni e dagli avvocati Giuseppe Morelli e Ermegildo
Ferrari. Sul primo treno, arrivato a Milano il 28 dicembre, salgono
443 ragazzi, di cui 281 maschi e 162 femmine, tutti tra i 6 e 12
anni; di questi ne vengono scartati cinque affetti da morbillo e
tonsillite, uno da congiuntivite e uno da tignatricofitosi. Una volta
arrivati a Milano i convogli proseguono diretti in Riviera Ligure,
dove i piccoli viennesi trovano alloggio presso diverse colonie
climatiche; accolti a Porto Maurizio dalle Colonie Balneari
Permanenti del comune di Milano, a Pietra Ligure dal Comitato Colonie
Balneari, a Loano dalle Colonie del comune di Busto Arsizio, a
Spotorno dalla Colonia Climatica del Pio Istituto Santa Corona. Con
due spedizioni successive verranno accolti nel Nord Italia oltre 2000
bambini tra i quattro e i dodici anni, ospitati per un periodo di
quattro mesi negli istituti per minori, nelle colonie climatiche
liguri e sui laghi lombardi.
Bisogna
attendere il 12 gennaio 1920 per festeggiare l'arrivo dei bambini
viennesi destinati a Cremona, saliti sul secondo convoglio partito da
Milano il 3 gennaio. A differenza della prima spedizione, i bambini,
che sono stati selezionati dalle associazioni benefiche locali
Kinderfreund,vengono visitati dai medici italiani presso le loro
abitazioni, in particolare nei quartieri operai. E' un lunedì
mattina quando i due sindaci di Cremona e Duemiglia si recano a
Milano, dove la Società Umanitaria ha prestato le prime cure ai
piccoli viennesi. “I piccoli bimbi che non avevano visti gli aranci
e che da anni soffrivano la fame – racconta L'eco
del Popolo del
14 gennaio 1920 – alla prova di tanta solidarietà assunsero un
atteggiamento gaio che apparentemente diminuiva le impronte delle
sofferenze patite. I milleduecento bambini furono distribuiti nelle
diverse plaghe. I più denutriti furono mandati in riviera, gli altri
in parte ad Alessandria, a Novara, a Codogno, ecc., a Cremona ne
vennero assegnati centocinquanta. Noi, che assistemmo i bimbi nel
breve viaggio fummo tempestati di domande e di schiarimenti e il
nostro interprete traduceva tutto quello che l'animo nostro sentiva
in quel momento. Poveri bimbi. Per un concetto antiquato e millenario
i vostri padri e noi fummo ferocemente contro, terribilmente
cannibali in nome di una patria. Ma la risultante della guerra ha
rimesso alla luce del sole la bellezza del nostro ideale socialista
che non vuole più carneficine, e nei visetti scarni e vispi noi
vedevamo la speranza dell'immediato realizzarsi della nostra idea.
Non preparammo e non volemmo preparare manifestazioni al loro arrivo.
La popolazione di Cavatigozzi però intervenne a far ala alla lunga
sfilata della colonna dei disgraziati. Nell'ampio locale di
Cavatigozzi i bimbi trovarono abbondante ristoro e accoglienza
festosa. Alla vista della tavola bianca degnamente ricca di viveri,
di latte e di frutta, i bambini esultarono ringraziando colle loro
voci diventate gaie il benefattore loro. E i bimbi sapranno a giorni
che il benefattore è il Partito Socialista. Sì, o compagni di
sventura, il socialismo darà a voi ristoro e conforto e voi tornando
alle vostre case porterete belle vostre famiglie il palpito di un
ideale che non conosce confini. Così noi iniziamo tangibilmente
l'internazionale ed affratelliamo gli uomini di tutto il mondo”.
Anche
molte famiglie si offrono per ospitare i bambini, ma il comitato è
costretto al diniego perchè sarebbe impossibile in questo modo
garantire ai bimbi l'istruzione necessaria per la difficoltà della
lingua. Tra le condizioni poste dal sindaco Caldara, infatti, c'era
quella che i ragazzi non avrebbero interrotto la frequenza
scolastica, potendo seguire corsi scolastici impostati secondo il
modello austriaco tenuti da educatrici austriache. Ciò, evidenziava
il sindaco di Milano,
avrebbe garantito il rispetto della diversità culturale
e linguistica, senza nessun recondito intento di
“italianizzazione”.
Il ritorno dei bambini a Vienna (Archivio Milanoattraverso) |
La
sottoscrizione indetta fra gli alunni delle scuole vede il contributo
di oltre tremila bambini cremonesi, a Solarolo Rainerio si tiene una
grandiosa veglia di beneficenza, che non manca di dare spazio alla
polemica: “Anche il prete ha voluto dir la sua per questa festa
nostra – scrive l'Eco del Popolo – Egli disse dal pergamo
che ci vuole altro che fare delle feste pro bambini viennesi, sono i
conti che vogliamo vedere egli disse”. Ed i conti parlano chiaro:
sono state raccolte circa 7000 lire; oltre che da numerosi privati e
cooperative le offerte sono giunte anche dalle Lega spazzini
comunali, dalle alunne del convitto femminile comunale, dalle scuole
elementari di Spinadesco, dagli alunni delle elementari di S.
Ambrogio, del Centro scolastico di via Cannone, della Villetta e del
Boschetto, di Gerre Borghi dagli insegnanti del Decia, del Centro
Alfeno Varo e passeggio, del Centro Cannone e Palestro, dagli
infermieri, suore medici del Manicomio, dalla parrocchia di
Cavatigozzi.
Nel
frattempo giungono richieste di aiuto anche dalla zone di guerra
dovesi è svolta l'ultima battaglia, e la giunta municipale decide di
dare assistenza ad altri trenta bambini provenienti dal basso Piave,
che verranno alloggiati anch'essi a Cavatigozzi. Mentre la colletta
per i bambini viennesi arriva a 16.000 lire, si inizia una nuova
raccolta di fondi per i bimbi trevigiani. Vi partecipano cooperative,
contadini, operai, scolari ma anche imprenditori e la stessa Banca
Popolare. I bambini del Piave arrivano la mattina del 27 febbraio,
accompagnati dalla signora Maccagni, sorella del farmacista Carlo
Maccagni da tempo residente a Treviso, e vengono accolti al circolo
Ferrovieri dove il Ristorante Economico offre pane e latte. Vengono
visitati dal dottor Achille Girelli, poi caricati su due omnibus e
portati a Cavatigozzi. Ci si rende facilmente conto che quattro mesi
di soggiorno non saranno sufficienti ad alleggerire la loro
situazione: le case nella zona del Piave sono state distrutte o
diroccate dalle artiglierie e sarebbero costretti a trascorrere un
altro inverno in baracche prive di riscaldamento. Ogni bambino
costerà almeno 3 lire al giorno e per i trenta piccoli ospiti
serviranno almeno altre 30 mila lire.
La
sera del 2 marzo giunge a Cremona il vice borgomastro di Vienna Max
Winter, che sta visitando uno per uno i comuni dove sono alloggiati i
piccoli ospiti austriaci. Arriva in auto da Mantova, dove sono stati
accolti 275 bimbi, viene ricevuto in comune dal sindaco Botti, da
Garibotti e da una rappresentanza della commissione di assistenza per
i fanciulli viennesi. Poi si reca a Cavatigozzi per visitare i
piccoli ospiti. Ad accoglierlo, un ragazzo viennese, Alois Wagner,
l'unico di cui ci sia rimasto il nome: “La letizia di questo giorno
fortunato – sono le parole da lui pronunciate che riferisce l'Eco
del Popolo,
probabilmente scritte da qualche maestra– di questa Sua amabile
visita, rimarrà incancellabile in ogni nostro cuore, come
indimenticabile rimarrà per tutti noi il giorno del nostro arrivo in
questo lembo ospitale d'Italia, dove tutti ci amano, dove sono
persone che noi amiamo e che ameremo sempre come più cari fratelli”.
Il giorno dopo Winter riparte per Codogno
Il
21 maggio partono dalla stazione di Milano gli ultimi due treni che
riportano i bambini dalle loro famiglie in Austria.
Il Sindaco Caldara accompagna a casa la gran parte dei piccoli che
avevano soggiornato nel nord Italia. Solo per quattro di loro le cure
climatiche non hanno avuto effetto effetto. Al loro ritorno i
ragazzini e le autorità italiane vengono accolti dal vice
borgomastro Winter, a dimostrazione della piena riuscita operazione
umanitaria e della ritrovata pace dei due popoli. Emilio Caldara
dichiarerà infatti durante il pranzo offerto dal Sindaco di Milano
alla stampa viennese: “Una
promessa, che sia sopra tutti i partiti: che nessuno più di fronte
ad un bambino debba pronunciare una parola di odio contro un altro
popolo”. (Arbeiter Zeitung,
27 maggio 1920). Qualche anno dopo, nel 1924, così ricordava Caldara
quell'esperienza:”La guerra, con tutti i suoi dolori e i suoi
orrori, con l'atmosfera di odio che ne è causa ed effetto ad un
tempo, con l'avvelenamento quotidiano dei nostri sentimenti e di ogni
loro espressione, ci fece sentire tutta la profonda verità
dell'insegnamento di Cristo, per cui i bambini devono essere oggetto
di esempio e quasi di culto”(E. Caldara, Impressioni
di un sindaco di guerra,
Milano 1924)
Molto interessante. Il linguaggio del tempo è di grande fascino, così come leggere dei nascenti ideali socialisti.
RispondiElimina