La fiera di San Pietro nel 1901 |
Tradizionalmente
si fa risalire l'origine della fiera di San Pietro alla battaglia
delle Bodesine. combattuta tra milanesi e cremonesi presso
Castelleone il 2 giugno 1213, festa dei santi Marcellino e Pietro
esorcista, che coincideva quell'anno con la ricorrenza della
Pentecoste. Secondo la leggenda a favorire le sorti dei cremonesi
sarebbe stata la comparsa miracolosa dei due santi patroni a cavallo,
che si posero alla guida dell'esercito quando ormai era in rotta. I
cremonesi riportarono una grande vittoria, sottraendo ai milanesi il
Carrocci,che da quel giorno sarebbe stata ricordata con una fiera
che, non si sa esattamente per quale motivo, si tenne
tradizionalmente il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo. Forse
alla base di questo slittamento sta la confusione sul nome del santo,
identificato con San Pietro apostolo. E' più probabile, invece, che
la fiera abbia un'origine mercantile, legata al commercio dei
bozzoli, che normalmente giungono a maturazione tra la fine di maggio
ed i primi di luglio. Lo storico Giuseppe Bresciani accenna
semplicemente ad una cerimonia seicentesca a cui prendevano parte la
nobiltà, il popolo, l'autorità municipale e tutto il clero. I
Patrimoniali della città si muovevano collegialmente preceduti da
quattro servitori municipali e si recavano alla chiesa di San Pietro
per rendere omaggio al Principe della Chiesa e ricevere in cambio un
paio di guanti candidi del valore di un ducatone, secondo un legato
così espresso dal nobile Fogliata, risalente al 1615.
Ufficialmente
a Cremona il mercato pubblico dei bozzoli si teneva sotto un tendone
installato in piazza del Duomo nel 1882. Dai
dati statistici riportati in giunta dal sindaco Giuliano Sacchi il 31
agosto 1888, quando si pensava di realizzare un nuovo mercato coperto
in piazza Cavour, si ricava che nel 1888 si erano prodotti 81.920
chilogrammi di bozzoli, non molto in verità, rispetto a quanto
prodotto nel 1882, ad esempio, quando i chili furono 113.848, ma
comunque una discreta quantità. E probabile, però, che prima di
giungere al luogo deputato alla contrattazione vera e propria tra
produttori e filangieri la produzione contadina di bozzoli freschi
venisse incettata dai mercanti, secondo una prassi diffusa ma
scarsamente documentata, già alle porte della città.
Il
mercato dei bozzoli si chiudeva tradizionalmente il giorno di San
Pietro, il 29 giugno, ed è probabile che in tale ricorrenza i
contadini, avendo a disposizione più denaro del solito, si recassero
in città a far compere, sostando nei pressi di porta Po, a poca
distanza dall'attracco fluviale, approfittando della ricorrenza
festiva. Henri Pirenne ha descritto il processo per cui dalle piazze
delle città medievali, luoghi tradizionalmente deputati allo scambio
di merci specifiche, con lo sviluppo dell'attività mercantile e
l'ingresso di nuovi venuti, gli scambi commerciali si siano
progressivamente trasferiti all'esterno degli spazi consueti, fuori
dalle mura, nei sobborghi. In questo contesto nascono le fiere, che
inizialmente radunano i venditori e gli acquirenti solo in occasione
di particolari feste religiose, una o due volte all'anno, nei pressi
delle chiese ed in un secondo tempo, pur conservando i loro carattere
fondamentalmente ludico, si trasformano in manifestazioni
continuative, inserite nel quadro dell'economia agraria, come punti
fissi di un circuito mercantile con cadenze fisse. I mercati
cittadini restano nella loro funzione di approvvigionamento di beni
per gli abitanti, mentre le fiere vengono a costituire il primo
canale di collegamento tra la città e la campagna, tra le zone di
produzione e quelle di commercializzazione dei prodotti. (H. Pirenne,
Storia
economica e sociale del Medioevo,
Roma 1997, p. 68)
Prima
che nel gennaio 1748 il Consiglio dei Decurioni della città di
Cremona iniziasse ad affrontare il progetto di una fiera, con
particolare riferimento alla produzione tessile sulla base delle
istanze dell'Università dei mercanti, la fiera di San Pietro era con
ogni probabilità l'unica occasione di scambio ed incontro annuale
per un mercato povero come quello contadino, basato prevalentemente
sullo scambio in natura, legato alla stagionalità ed alla sua
origine ludica e sacrale.
Nel
1828 si parla esplicitamente per la prima volta di “baracche della
fiera” in un documento dell'ingegnere del Comune Giovanni Battista
Tarozzi che, facendo seguito ad una rimostranza dell'Imperiale Regia
Intendenza provinciale delle Finanze, suggerisce l'utilizzo di una di
queste strutture per riparo provvisorio degli agenti doganali che,
con la realizzazione della nuova strada diretta al porto, non
avrebbero goduto più dalla loro Ricevitoria della visuale idonea ad
osservare il flusso delle merci. Questa soluzione sarebbe già stata
adottata in occasione della costruzione della nuova porta Po nel
1825. Evidentemente la Congregazione municipale aveva a disposizione
un certo numero di questi padiglioni, utilizzati in occasione della
fiera sul piazzale esterno della porta, divenuta ormai un
appuntamento tradizionale. Prima di tale data l'unica traccia della
Fiera di San Pietro è nel primo sipario del Teatro Filodrammatici
dipinto da Giovanni Motta verso la fine del XVIII secolo, di cui
resta testimonianza nell'inventario dei beni posseduti nel 1864 dalla
Società Filodrammatica, che rappresenta “La Fiera detta di S.to
Pietro”. L'originale, conservato al Museo civico Ala Ponzone, è
stato ricostruito dal pittore Sereno Cordani per incarico
dell'Associazione provinciale degli Ambulanti presieduta da Giuseppe
Poli in occasione della fiera del 1969. Il sipario, originariamente
steso ed inchiodato su un'intelaiatura in legno, venne ritrovato
arrotolato nelle soffitte del museo in precario stato di
conservazione, in quanto la polvere aveva completamente impregnato la
tela, strappata in corrispondenza dei chiodi che la tenevano legata
al telaio e la pittura, in seguito all'arrotolamento, era quasi
completamente scrostata. Una successiva ripulitura, inoltre, aveva
finito con il danneggiare ulteriormente le scaglie superstiti dei
colori originari, rendendone quasi impossibile la lettura. Nella
ricostruzione offerta da Cordani compaiono a destra la facciata della
chiesa di San Pietro, dove in passato si sarebbe tenuta la fiera, le
case di via Cesari digradanti verso corso Vittorio Emanuele e nella
parte sinistra una folla di popolani e nobili raccolta intorno alle
bancarelle ed agli spettacoli dei giocolieri. I bambini reggono in
mano il tradizionale “castello”: un bastone lungo fino a due
metri ed avvolto in carta colorata sul quale, ad una distanza di una
ventina di centimetri l'uno dall'altro, erano fissati dei cerchi
concentrici di cartone colorato a cui erano appesi dolci tradizionali
e piccoli doni. Una tradizione che si estingue intorno al 1914.
La giostra onde marine del 1901 |
Dal
1826 si tiene a porta Po il mercato delle gabbie in vimini, del
pollame e soprattutto dell'uva, proveniente dal piacentino, il
piazzale esterno alla porta viene completato nel 1838, tra il 1854 ed
il 1855 viene realizzato il nuovo ponte sul colatore Morbasco e nel
giugno 1857 viene collaudata la nuova strada Passeggio che, però,
viene pesantemente danneggiata nell'ottobre da una disastrosa piena
del Po che impone un generale riordino di tutti gli argini per
eliminare i fenomeni di corrosione, operazione che viene completata
nel 1861.Tuttavia fino al 1868, anche in occasione della festività
di San Pietro, vengono concessi indifferentemente spazi diversi della
città per installarvi baracconi e divertimenti di spettacoli
viaggianti, senza alcun riferimento ad un evento particolare. Così
avviene per piazza San Luca fin dal 1864, per il piazzale esterno di
porta Milano, piazza San Domenico, piazza San Tommaso e piazza Lodi.
Spesso si tratta non di comuni girovaghi, ma di compagnie affermate,
come quella del “Teatro meccanico” di Antonio Cardinali che, il
20 giugno 1868, chiede di installare il proprio padiglione “messo
elegantemente adobbato luminato a gas, tapeti per terra senza
sciamassi di sorta” specificando che “il piazzale adatto per noi
sarebbe quel medesimo che abiamo avuto circa 18. fà in un piazzale
credo vicino alla Questora”. Il “teatro meccanico” è
l'antesignano del cinema moderno, una sorta di varieté azionato da
mezzi tecnici utilizzati nella scenotecnica teatrale e nelle
illusioni ottiche che si stanno sperimentando in quegli anni: nel
buio della sala lo spettatore segue il passaggio, talvolta animato,
di uomini, animali, veicoli mentre nell'ambiente circostante
avvengono mutamenti come il passaggio dalla notte al giorno, il mare
che da calmo diventa burrascoso ottenuti dall'associazione di due o
più lanterne magiche e da lastre di vetro che, sovrapponendosi o
scorrendo le une sulle altre mediante un congegno meccanico, danno
l'illusione del movimento o di fenomeni naturali, come la caduta
della neve, il sorgere del sole o il calare della notte. Il tutto
accompagnato da effetti sonori adeguati che suscitano meraviglia e
rendono la rappresentazione più efficace. A questo tipo di
spettacoli complessi e tecnologicamente avanzati continuerà ad
essere riservato spazio adeguato nell'edizione della fiera
settembrina, mentre la dimensione più popolare resterà prerogativa
della fiera di San Pietro sul piazzale di Porta Po. Qui già negli
anni precedenti era stata concessa un'area a Vincenzo Valanzasca per
installarvi un tiro al bersaglio e nel settembre 1868 la sezione
edile viene incaricata di limitarne esattamente lo spazio, stabilendo
in 5 lire l'affitto per un periodo di quindici giorni in occasione
della fiera di settembre.
Il
carattere popolare della fiera è confermato dalla prima richiesta di
plateatico per posizionare una giostra ed un organetto sul piazzale
di porta Po di Annunciata Ferrari “illetterata” di Paderno
Cremonese ed è datata 19 giugno 1869, un recinto “destinato ad
esporre al Pubblico una raccolta di belve” della ditta Faimali di
Milano è documentato nel 1873 e sempre in quest'anno si registra
anche il primo incidente, con protagonista una scimmia del serraglio
che morde alla mano sinistra il girovago Faustino Lapelli di Annicco,
a sua volta titolare di una giostra, che viene visitato in Ospedale
dal capo medico Ciniselli, per scongiurare il pericolo che l'animale
sia idrofobo. Nel 1874 si aggiunge una compagnia equestre e l'anno
successivo la giostra acrobatica di Antonio Ruffini. Nel 1876 è la
volta dell'esposizione di “fenomeni”, proposti da Faustino Loschi
di Annicco, uno dei più assidui frequentatori della Fiera di San
Pietro: in realtà si tratta della macabra esposizione di due feti,
figli di due abitanti di Annicco, che Loschi ha già esposto a
Bergamo, con l'autorizzazione della Commissione municipale di sanità.
Compare anche il tiro al bersaglio con armi ad aria compressa di
Vincenzo Vallanzasca. Nel 1881 è la volta della “donna atleta”,
della “donna albina” e dell'immancabile donna cannone, attrazione
inventata solo qualche anno prima nel 1877, esposte in un unico
padiglione, affiancato da un altro con un coccodrillo vero ed alcuni
serpenti. Non mancano i prestigiatori, il primo che fa richiesta nel
1887 è un certo De Lorenzo, che possiede anche un “gabbinetto
pittorico”. In quell'anno la presenza di spettacoli viaggianti
doveva essere già consistente, se Maria Alberici chiede di poter
installare eccezionalmente il suo teatro di varietà in “quella
piazzetta apena dentro della porta a sinistra di fianco proprio al
Macello”, in quanto sono “già occupati tutti i posti fuori di
porta”.
Accanto
alle giostre più semplici, manovrate da cavalli, compaiono anche le
celebrità circensi della Belle Epoque. La prima è nel 1876 la
grande “Ménagerie des Indes” di Joseph Pianet, serraglio attivo
fin dal 1834 il cui titolare comprava animali in Algeria. Ma la più
celebre è Nouma Hawa, giunta a Cremona con il suo circo nel 1895:
originaria di Costantinopoli, Nouma Hawa, il cui nome significa Rosa
della sera, aveva rilevato il circo dal marito, il celebre domatore
Pernet, morto a Roma nel 1883 in seguito al morso di un leone, e lei
stessa era stata attaccata più volte nel 1883 alle "Folies
Bergères" dalla sua leonessa, da un'altra leonessa, a cui aveva
cercato di sottrarre i cuccioli, nel 1886, ed infine nel 1888 da un
orso bianco, che a Bruxelles le aveva lacerato un seno. Nel 1915,
dopo fortunate tournèe in Italia e Svizzera, vendette il circo
ritirandosi sul lago di Ginevra.
Nel
1889 Hugo Haase porta a Cremona la novità della giostra elettrica:
un tapis roulant su cui sono sistemate delle barche, mosso da
macchine installate in tendoni nascosti al pubblico.
La
fine dell’Ottocento vede la nascita del fenomeno delle fiere
industriali, il cui fine era quello di presentare al pubblico i nuovi
ritrovati tecnologici, intrattenendo al contempo i visitatori. Ecco
quindi che, accanto alle attrazioni fantastiche degli ambulanti,
fanno la loro comparsa giochi meccanici, altalene, giostre. Avviene
così che la fiera, che fino a quel momento aveva offerto un
divertimento basato esclusivamente sulla fantasia o sulle doti
fisiche e intellettuali dell’uomo, lascia gradualmente spazio alle
macchine, che si rivelano ben presto più remunerative delle attività
ambulanti nelle piazze. Con l’introduzione dei parchi divertimento,
cambia anche il ruolo del pubblico, non più spettatore passivo, ma
parte attiva dell’attrazione stessa. Inizialmente è infatti
proprio l’uomo la forza motrice di molti mezzi: si pensi alle prime
altalene che si muovevano grazie ai muscoli di forzuti individui ai
seggiolini agganciati a lunghe catene, quelli ancora oggi noti come
calci, i cui primi esemplari erano mossi dalle braccia dell’uomo. È
il periodo anche delle giostre a cavalli di legno, che dovevano il
proprio movimento circolare ad un cavallo bendato che veniva fatto
girare in tondo. Seguono infine quelle che venivano chiamate onde di
mare per il loro movimento rotatorio e ondulatorio: primordiali
giostre a saliscendi di produzione straniera, come quella portata
alla fiera di San Pietro da Diomede Manfredi nel 1901.
Fino
al 1915 i banchi dei venditori ambulanti si allineavano su due file
lungo corso Vittorio Emanuele fino al piazzale di porta Po, dove
trovavano posto i baracconi delle attrazioni. Nel 1916, sia in
conseguenza della realizzazione della linea tranviaria che per lo
scoppio del conflitto mondiale, vennero eliminati i banchi sul lato
sinistro della strada. Altre giostre trovavano posto in piazza della
Libertà, mentre, in occasione della fiera settembrina, si
utilizzavano anche gli spazi di piazza Risorgimento, il sagrato della
chiesa di San Luca, piazza Agamennone Vecchi ed in altre occasioni
piazza Marconi, porta Romana, porta Mosa.
Nel
1926, tra gli imbonitori che sistemano i loro baracconi sul piazza di
porta Po, davanti a casa Foletti staziona Giovanni Paneroni, di
professione gelataio specializzato nella fabbricazione del
“tiramolla”, ma divenuto con successo sostenitore della teoria
della terra piatta e ferma, che spiega con l'ausilio di un
giroscopio. Tra le due guerre Paneroni gode di un certo successo e
produce una copiosa mole di scritti e disegni sull'argomento,
diventando famoso per il suo motto “La Terra non gira, o bestie).
Pochi i baracconi in piazza Libertà: due giostre, due serragli, un
museo anatomico vietato ai minori di 18 anni, un circo equestre e
qualche tiro a segno. Nel 1927 tra la folla viene notata la presenza
di uno dei più grandi ciarlatani del tempo, che ormai si dedica al
commercio di quadri: si tratta di Arturo Frizzi, nato a Mantova, ma
cresciuto nell'orfanotrofio cremonese “Casa Archetta”, venditore
girovago di opuscoli, almanacchi, cartoline illustrate,
prestigiatore, venditore di chincaglierie, suonatore ambulante e
strillone, con un trascorso di attivista politico nel Partito
Socialista ma noto soprattutto per aver dato alle stampe “Il
ciarlatano”, un racconto autobiografico in cui dispensa anche
consigli bizzarri per vivere di espedienti.
I
banchetti sfilano da via Baldesio a piazza della Pace dove su due
file sono stati installati anche alcuni baracconi: un “gigante”,
le foche, il castello incantato, il palazzo misterioso, un
padiglione di “attrattive moderne” ed un baraccone anonimo. Vera
attrazione della fiera è la pista delle auto elettriche,
probabilmente una delle prime giunte in Italia. A portarla a Cremona
è forse Felice Piccaluga, anche se la richiesta iniziale di
posteggio in piazza dell'anno precedente è per un padiglione
sportivo. La cosa è particolarmente interessante perchè
tradizionalmente si attribuisce l'introduzione della prima pista
elettrica a due meccanici
di biciclette veneti, nonché venditori di dolci casalinghi alle
fiere, Umberto Favalli e Umberto Bacchiega di Bergantino in provincia
di Rovigo, che il 24 aprile 1929 erano in grado di presentare sulla
piazza di Bergantino, per la Fiera di San Giorgio, la prima autopista
interamente italiana e tutta in legno, mutuando l'idea dall'americana
Dodgem Corporation, capace già nel 1922 di sfornare ben 800
vetturette. La trovata si basava ovviamente sull’elettricità e
soprattutto sulla sua tecnica di distribuzione, attraverso una rete
sospesa alla quale attingere con un trolley tipo quello dei tram,
idea brevettata sempre negli Stati Uniti addirittura nel 1890.
(1. continua)
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