In
guerra muoiono così i poveri come i ricchi. La carestia, conseguenza
della guerra, è sentita specialmente dai poveri. Ma anche i ricchi
soffrono molti danni che derivano dalla guerra. E' perciò
impossibile che la guerra l'abbiano
voluta i ricchi”. Era il marzo del 1918, l'esercito tedesco aveva
scatenato l'offensiva di primavera sul fronte occidentale, mentre su
quello italiano, dopo il
grande sforzo militare e logistico di Caporetto, che non aveva
prodotto un completo crollo dell'esercito italiano, gli austriaci
erano ridotti allo stremo. Per far fronte alla riorganizzazione
dell'esercito italiano, i ranghi imperiali erano stati rimpolpati con
reclute diciassettenni e veterani, ma scarseggiavano le armi ed il
cibo e la propaganda degli alleati aveva finito con lo sfiancare
anche l'ostinata pervicacia degli austroungarici. Proprio in quei
giorni, in attesa dell'attacco finale sul Grappa e alle foci del
Piave, agli italiani veniva richiesto un ultimo sforzo. Non solo ai
soldati al fronte, ma anche alle donne ed ai bambini rimasti nelle
città e nei villaggi. Tutti potevano e dovevano essere utili alla
patria. Anche
la scuola durante la Grande Guerra si trasformò in una macchina per
il sostegno
patriottico.
A cambiare furono in particolare le materie che, dopo un'attenta
revisione, proposero programmi pedagogici legati al tema del
conflitto e discussioni legate all'attualità. L'obiettivo era far
capire anche ai bambini cosa fossero la Patria,
la guerra
per Trento e Trieste,
l'eroismo
militare e
farli familiarizzare anche con gli aspetti più tragici della guerra
come le violenze quotidiane e la morte.
L'opuscolo stampato a Cremona nel 1918 (Museo del Risorgimento di Bologna) |
Fu
così che proprio nel marzo di cent'anni fa, per iniziativa del
Segretariato Provinciale di Cremona delle Opere federate d'assistenza
e Propaganda Nazionale venne pubblicato un opuscolo “Pro resistenza
interna. Dettati per le scuole elementari” dove i dettati, divisi
per classi 2a e 3a, 4a, 5a, 6a affrontavano i temi della crudeltà
del nemico, dell’impegno alla resistenza interna da parte della
popolazione, delle misere condizioni di vita dei profughi delle terre
invase, degli eroi italiani (da Dante a Garibaldi) e non mancavano
per le ultimi classi, lettere di figli ai padri in guerra, in cui i
bambini raccontavano i loro sacrifici per aiutare la mamma e il loro
impegno per la vittoria dell’Italia.
La
necessità di avvicinare la scuola e la trincea finiva con il
coinvolgere tutte le materie di insegnamento: per la lingua italiana
erano previste letture di giornali e periodici che narravano episodi
della guerra, l’esame e la descrizione di vignette, quadri,
cartoline illustrate rappresentanti i più significativi momenti ed
episodi di guerra e specialmente atti d'eroismo del nostro esercito;
per la geografia si proponevano tra l’altro, la configurazione del
Carso e l’elenco dei comuni conquistati, ed i problemi logistici
che affrontava in questo senso l'esercito italiano. Snel
programma di scienze venne
dato grande spazio alle novità tecnologiche in campo militare. I
bambini scoprivano così le armi utilizzate al fronte, gli esplosivi,
la crudeltà dei gas asfissianti, gli affascinanti aeroplani. Non
mancavano poi riferimenti alle tecniche di costruzione delle
trincee, dei camminamenti, dei reticolati e l'organizzazione delle
retrovie. Infine,
venne suggerito agli insegnanti di educazione fisica di sostituire le
ore di ginnastica e sport con visite
agli ospedali militari,
alle fabbriche riconvertite
alla produzione militare e ai campi
di prigionia.
Gli
insegnanti avevano anche il compito di sorvegliare e segnalare i casi
di bambini che si dimostrassero poco inclini a sostenere la guerra e
lo sforzo patriottico. Antonio Gibelli ("La Grande Guerra degli
italiani", BUR, Milano, 2009, p. 235), racconta ad esempio di
una bambina che in un tema, scrisse: "Chi fa la guerra sono
tutti poveretti perché di signori non ce n'erano lì in terra"
riportando delle considerazioni sentite dal padre, ricoverato in un
ospedale dopo essere stato ferito al fronte. La maestra, dopo aver
chiesto dove avesse sentito queste cose, strappò il compito e diede
un ceffone alla piccola. Nulla doveva turbare il crescente
patriottismo dei bambini.
Non
a caso l'opuscolo cremonese si apre con il testo che abbiamo
riportato all'inizio. E' un dettato per bambini di 2ª e 3ª
elementare. Altri affrontavano il tema del nemico tedesco. Infatti
fino
alla fine del XIX secolo, i bambini erano stati poco considerati
all'interno delle società e del nascente mercato
di massa. Al contrario, all'inizio del Novecento iniziarono ad essere
visti come dei potenziali lettori
e consumatori di beni, nella consapevolezza che la
loro nazionalizzazione avrebbe costituito per molti versi la premessa
all’opera di statalizzazione dell’infanzia condotta
successivamente dal fascismo. “I Tedeschi. Recita un altro dettato
– si credono destinati da Dio a governare il mondo e perciò fanno
la guerra per dominare tutti gli altri popoli. Siccome poi la
Germania è molto popolata e possiede tanto ferro e tanto carbone,
così con la prepotenza, cerca, fuori dai suoi confini, nuove terre
per dare sfogo alle sue produzioni. Per queste ragioni la Germania fa
la guerra con grave danno di tutti gli altri Stati”. Come i soldati
al fronte, anche ai bambini si chiedeva obbedienza, senza la pretesa
di sapere i perchè ed i per come della guerra. Un dettato per la 2ª
e 3ª: “Noi fanciulli non dobbiamo prestar fede ai cattivi e agli
ignorante che vogliono i tedeschi in Italia. Dobbiamo ascoltare le
parole dei nostri maestri e ripetere in casa e fuori che questa
guerra è stata voluta dalla Germania, la quale mira a diventare a
ogni costo la padrona del mondo”. Ed ancora un richiamo
nazionalista: “Gli uomini più grandi del mondo sono: gli
scienziati Archimede, Galileo, Volta e Marconi; il poeta Dante
Alighieri; lo scopritore Cristoforo Colombo; i pittori Raffaello,
Tiziano e Michelangelo; i musicisti Rossini e Verdi; i condottieri
Giulio Cesare, Napoleone e Garibaldi. Questi grandi sono nati in
Italia e, per essi, tutti gli uomini ebbero la civiltà ed il
progresso. Gli italiani non lo devono dimenticare; gli italiani hanno
diritto, come ogni altro popolo, di avere la propria libertà, perchè
la propria civiltà continui a trionfare”.
Foto del Museo dell'Educazione-Università di Padova |
Se
la condizione dei bambini nel periodo di guerra mutava in relazione
alla loro appartenenza sociale, è comunque possibile rilevare alcuni
elementi che accomunavano le esperienze dei più piccoli. A partire
dalla diffusione dell'ideologia della parsimonia e dei sacrifici che
divenne un imperativo economico e morale che riguardava tutti i
cittadini, indistintamente, inclusi i più piccoli. Nei giornalini a
loro destinati, nelle cartoline illustrate, nei manifesti murali, i
bambini diventavano destinatari di ammonimenti precisi: non consumare
troppo le scarpe saltando alla corda, non sprecare carta facendo
macchie sui fogli, consumare solo lo stretto necessario per
l'alimentazione, magari rinunciando allo zucchero che
scarseggiava. Ai più piccoli si consigliava questo dettato: “La
carestia, conseguenza della guerra, comincia a farsi sentire. È
dovere di tutti sopportare le privazioni di questi difficili momenti
senza lamento alcuno, serenamente e silenziosamente. Tutto ciò che
risparmieremo nelle nostre case tornerà a beneficio dei soldati che,
altrimenti, ai gravi disagi della trincea dovrebbero aggiungere anche
quello più grave della fame”. Ed ancora: “I nostri bravi soldati
resistono, combattono da leoni, perhè il crudele nemico non avanzi,
Essi vogliono vincere e vinceranno. Ma alla volontà loro la nostra
si aggiunga forte, risoluta. Il ricco, il povero, il letterato,
l'operaio, il sacerdote, si uniscano fraternamente in un solo
pensiero: la vittoria. Grandi e piccoli, uomini e donne con animo
virile sopportino dolori e privazioni. Bisogna resistere,
bisogna vincere”. Un dettato per i più grandicelli ammoniva: “E'
tempo di sacrifici, fanciulli miei, delle generose rinuncie, che
ognuno impone a sé stesso, sull'unica legge del cuore, quando la
Patria è nel pericolo e nel dolore. L'aula è poco riscaldata:
ebbene, ci riscalderemo noi con la ginnastica che fa l'animo lieto e
rinvigorisce il corpo; occorre tanto legno lassù per nuove trincee;
nessuno qui senta il freddo. Il pane è oscuro: ma ai nostri prodi
combattenti non mancheranno le buone pagnotte; nessuno si lagni. Gli
abitini sono un po' logori, ma di grigio verdi ce ne saran sempre di
nuovi; non pensiamo a inutili capricci. E non più leccornie, non più
cinematografi, non più sollazzi, finchè lo straniero calpesti il
suolo d'Italia”. Un altro dettato cerca di giustificare la mancanza
di derrate alimentari. mettendo all'indice i disfattisti: “Alcuni
dicono ancora oggi: «Si poteva restare neutrali e non vi sarebbe
stata carestia». Ebbene guardiamo le azioni neutrali p.e. la
Svizzera e la Spagna. Esse sono in condizioni quasi peggiori di noi
per quantità di generi alimentari. Ciò perchè gli Stati in guerra
han proibito l'esportazione di molti generi e han rincarato tutto. I
neutrali, per aver ciò che loro manca, devono pagarlo ad altissimo
prezzo. E' aumentato anche incredibilmente il costo dei trasporti di
merci, per i danni dei sottomarini. I negozianti nei paesi neutrali
hanno comperato ad ogni prezzo i viveri, per rivenderli ai paesi
belligeranti, e tutto questo ha portato la carestia anche ai
neutrali, carestia forse più grave di quella che sentiamo noi”.
Disegni di un bambino (Museo dell'Educazione-Università di Padova) |
Non mancavano parole
anche per le martoriate popolazioni che si trovarono nei territori
invasi dalle truppe austriache e tedesche all’indomani di
Caporetto; qui i bambini e le bambine conobbero anche la paura e la
fame, la prepotenza degli uomini in armi, il precoce contatto con la
violenza e con la morte. Inoltre i bisogni della popolazione finirono
in se- condo piano rispetto alle priorità dell’esercito
occupante: i generi alimentari destinati ai civili vennero
drasticamente razionati; le produzioni manifatturiere e agricole
vennero requisite e si procedette allo smantellamento di ciò che
ri- maneva dell’apparato produttivo; foraggi, animali, derrate
alimentari e persino suppellettili domestiche e biancheria dovettero
essere consegnate. “Abbi pietà di tutti gli infelici; ma, oggi, il
tuo cuore sia specialmente rivolto ai profughi delle terre invase: ai
miseri che abbandonarono la casa, le cose più care, per isfuggire
alla cattiveria del nemico, per essere liberi e Italiani. Per loro
risparmia il soldino destinato alla gola”.
La necessità di
fornire un sostegno patriottico ai soldati impegnati al fronte, vede
in prima linea anche i bambini. Il nostro opuscolo si conclude con
l'indicazioni di due dettati dal forte contenuto emotivo: “Scrivete
al vostro babbo, suggerite alla mamma, che con voi gli scriva:
ditegli che lo vedete con gli occhi del cuore e della mente, e ve lo
figurate attento e fiero, pronto all'attacco per la vittoria nostra,
per la sconfitta di quel nemico che mira con ansia feroce a rendersi
padrone delle nostre case, delle nostre belle campagne, delle nostre
industri città, che vuol calpestare le tombe dei nostri avi che
l'avevano scacciato, che vuol soffocare in noi ogni palpito di
libertà, che vuol renderci schiavi una seconda volta”. Ed infine:
“Questo grido: La Patria è in pericolo! Questo grido che vuole
chiamare in soccorso tutte le forze di tutti gli italiani, viene
persino dalle madri, che hanno già perduto un figlio e che scrivono
all'altro che è in trincea: «Figlio mio, fai il tuo dovere;
combatti e vendica il fratello ucciso; combatti e sii degno della
libertà che vogliamo, della giustizia che dobbiamo amare!» Vi sarà
ancora oggi un insensato che osi dire: «Ben vengano i Tedeschi!»?
Ricordatevi: Tedesco significa bastone, catene, forza, miseria,
avvilimento, distruzione di tutto ciò che è bello, santo, di tutto
ciò che amiamo. Di tutto ciò che è nostro”. La guerra non
risparmiava nessuno, tutti venivano chiamati. Anche i bambini.
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