lunedì 26 giugno 2017

Il lager di Cingia de' Botti

Donne slave internate al campo delle Fraschette

Si tratta di un episodio sfuggito all'attenzione degli storici locali, ma in provincia di Cremona, nel periodo compreso tra il 1942 ed il 1945, sono esistiti anche dei veri e propri campi di internamento destinati agli oppositori del regime, veri e propri centri di raccolta per coloro inviati poi al famigerato campo di concentramento delle Fraschette di Alatri, campi di lavoro per i prigionieri di guerra, e campi di internamento destinati agli stranieri ritenuti nemici dello stato, per lo più di origine greca. La ricerca storica, di cui si possono trovare i primi risultati sul portale www.campifascisti.it, è ancora all'inizio e di questi ultimi si conoscono solo i nominativi ed i luoghi di internamento, contenuti in un elenco della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati del 6 dicembre 1944, conservato all'Archivio Centrale dello Stato tra i documenti della Croce Rossa Italiana, riguardante gli internati stranieri e lo spionaggio tra il 1939 ed il 1945. Sappiamo dunque che ad Izano era internata una famiglia di nazionalità inglese, costituita da Arturo Alves, sua moglie Giuditta Danenberg e la loro figlia Elsa, provenienti da Hong Kong; a Pandino era sorvegliato speciale Panajotis Mauridis, greco nato in Turchia; a Soncino risiedevano altri tre greci ariani: Giovanni Monastiriotis di Corfù, Giorgio Karanicas di Arta e Costantino Ragopulus di Patrasso; a Robecco d'Oglio erano sorvegliati due greci ariani, Giorgio Kafritsas di Karditsa e Nicolas Kuniadis di Chios e un americano, Antonio Perniciaro; altri due greci erano a Soresina, Giovanni Sakellaropulos di Santavlese e Pericle Katsanos di Larissa; Costantino Princos di Valos a Pescarolo; all'ospizio di Vescovato Sottirio Dejannis di Chalia e Giorgio Hagiantoniu di Smirne; a Piadena Giovanni Giannopulos di Lafco e Panajiotis Nicolacakos di Chidio; ed infine a Casalmaggiore era internato Kiriakos Vorvis di Spartis. Per i quattordici internati greci il 3 aprile 1945 il Ministero delle Forze Armate dette il parere favorevole allo scambio con gli 84 prigionieri italiani degli equipaggi delle due pirocisterne Taigete ed Arcola catturati dagli alleati ed internati a loro volta a Capo Verde. Da un documento di un mese prima del Capo della Polizia della Repubblica Italiana relativo alla possibilità di effettuare questo scambio, veniamo a sapere che gli stranieri appartenenti a stati esteri internati nel territorio della RSI erano 229. Non sappiamo se tutti gli stranieri internati nel cremonese rientrarono poi nello scambio proposto.
In provincia di Cremona esistevano anche altri due campi di lavoro per prigionieri di guerra a Torlino Vimercati e a Trigolo. Se ne parla in un documento dello Stato Maggiore, ufficio prigionieri di guerra, del 12 marzo 1943, senza, peraltro che venga specificato da quale centro dipendessero. Cinquanta prigionieri erano destinati all'azienda agricola del cavalier Fortunato Marazzi a Torlino e 60 alla ditta Guerrini e Ronchetti di Trigolo.
Una vecchia foto dell'ospedale Germani
a Cingia de' Botti
Ma la località di internamento più importante della Provincia era Cingia de' Botti. Infatti secondo un documento segreto dello Stato Maggiore del reale Esercito, Ufficio protezione impianti a difesa Antiparacadutisti del 3 settembre 1942, nell'ospedale della frazione di Pieve Gurata sarebbero stati internati 72 congiunti di ribelli del Carnaro deportati dai territori della provincia annessa di Fiume, affidandone la sorveglianza a sette militari della stazione dei Carabinieri: “Risulta, inoltre – scrive il Capo dell'Esercito Vittorio Ambrosio - che per altri elementi del genere sarebbero in corso provvedimenti di sgombero e sistemazione nel Regno con modalità analoghe. Pur condividendo l'opportunità dell'allontanamento dalla Venezia Giulia dei congiunti dei ribelli, non sembra che la sua attuazione, con le modalità suaccennate, offra tutte le garanzie che appaiono neessarie e ciò perchè trattandosi di individui da considerarsi pericolosi, siccome aderenti e facenti parte di vere e prorpie organizzazioni a noi contrarie, particolarmente sviluppate nei territori della frontiera orientale non è da escludere che, lasciati relativamente liberi, anche se vigilati, possano cercare di concorrere ad atti di sabotaggio ed attentati promossi dalle organizzazioni stesse, svolgere facile propaganda ai nostri danni, (specie verso i contadini e le classi meno colte) e, comunque,dedicarsi ad attività incontrollate, in collegamento con le ripetute organizzazioni sia direttamente sia per corrispondenza (dato che questa ultima, con la sistemazione in esame, può assai facilmente eludere da censura. Quanto sopra – conclude Ambrosio – m'indusse a prospettare a codesto Ministero l'opportunità di raccogliere gli elementi in questione in appositi luoghi di concentramento, fuori dal contatto con la popolazione civile ed adeguatamente vigilati dalle forze di polizia”. Il generale Ambrosio, d'altronde, conosceva bene la situazione dei territori occupati, in quanto aveva partecipato alle operazioni sul fronte jugoslavo ottenendo in pochi giorni notevoli successi personali che gli procurarono la nomina a Commendatore dell'Ordine militare di Savoia e, all'inizio di quell'anno, la nomina a Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Tuttavia, la Difesa Territoriale di Milano, sotto la cui giurisdizione ricade anche il territorio del comune di Cingia de' Botti, considera non adeguata la sistemazione degli internati in quanto vi è troppo contatto con la popolazione civile, e propone al Ministero degli Interni di trasferire i "congiunti di ribelli" in un campo di concentramento. Il 24 ottobre 1942 l'Ispettorato per i servizi di guerra del Ministero dell'Interno rispondendo alle osservazioni del Capo di Stato Maggiore informa che ha interessato la Prefettura di Milano affinché i congiunti di ribelli vengano internati nei ricoveri di mendicità della provincia, onde limitare la loro libertà di azione e assicurare una conveniente sorveglianza. “Disposizioni analoghe – scrive il prefetto Giuseppe Stracca, ispettore per i servizi di guerra – sono state impartite per la sistemazione degli sfollati dalla frontiera orientale avviati in altre Provincie del Regno. E poiché lo stesso Stato Maggiore del Regio E. aveva, nei primi giorni del mese in corso, richiesto a questo Ispettorato ed alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza di provvedere alla ricezione e sistemazione nella penisola di altro contingente di sfollati, ammontante a circa 50 mila unità, il problema è stato oggetto di nuovo, attento esame sotto l'aspetto politico-militare.
L'incendio di un villaggio jugoslavo
In un appunto al Duce, di cui si unisce copia -aggiunge Stracca – questo Ispettorato pose in evidenza che detti elementi costituivano un serio pericolo per la compagine politica e per l'ordine pubblico del Paese e rappresentò la opportunità che quelli pericolosi e sospetti dovessero essere mantenuti nei Campi di concentramento di cui dispone la stessa Autorità Militare. Questo Ispettorato avrebbe, tutt'al più, potuto provvedere alla ricezione e sistemazione nelle Provincie delle sole popolazioni che avevano chiesto la nostra protezione, delle donne abbandonate da mariti e dei bambini rimasti privi di assistenza da parte dei loro congiunti. Questi stessi concetti confermò il rappresentante di questo Ispettorato nella riunione tenutasi il giorno 3 corrente mese, presso il Comando Supremo – Ufficio Affari Generali, Reparto III, per l'esame delle questioni relative alla sistemazione degli internati civili sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito ad azioni di polizia militare”.
In un'altra nota della Direzione di Pubblica Sicurezza si osserva che “dato l'intenso, continuo afflusso dalle nuove Provincie e dai territori occupati d'internandi politicamente pericolosi, i campi di concentramento sono quasi completamente saturi e pertanto non si ha alcuna possibilità di sistemare le persone succitate nei campi stessi: si soggiunge che i vari comuni del Regno e le altre località a disposizione dell'Ispettorato dei Servizi di Guerra sono del pari quasi interamente sature e soltanto con grandi difficoltà si è riusciti finora a sistemare le persone di cui sopra nelle pochissime zone rimaste disponibili. Si soggiunge infine che recentemente questo ufficio, in dipendenza delle difficoltà di cui sopra, ha dovuto rispondere in senso negativo ad una richiesta del Comando Supremo tendente ad immettere nei campi di concentramento per internati civili 18000 elementi sospetti rastrellati dalle autorità militari nel corso delle operazioni effettuate nelle nuove provincie e nei territori occupati. Si assicura tuttavia che gli elementi di cui sopra, destinati nei vari comuni del Regno, sono sottoposti ad opportuna vigilanza da parte degli organi di polizia”.
Sembra che a Cingia de' Botti gli internati fossero alloggiati presso un istituto ospedaliero, ma certamente lo fu un gruppo di altri 27 familiari di ribelli che arrivò a Cremona il 28 luglio 1942 e due giorni dopo venne internato presso l'Ospedale Germani, come si apprende da una nota della Prefettura all'Ispettorato Servizi di Guerra del 23 novembre 1942: “Si precisa che il secondo gruppo di 27 congiunti di ribelli giunto a Cremona il 28 luglio senza alcun preavviso, venne trattenuto fino al 30 detto (epoca in cui venne sistemato presso l 'Ospedale Germani di Cingia de' Botti) per stabilire se trattavasi di congiunti di ribelli e quindi da internare, oppure di amici dell'Italia e quindi da proteggere e sistemare in Cremona”.
L'hotel Al Parco di Lovran
Non è nota l'identità di questi internati ed il loro destino, se non di alcuni di essi. Una di questi, Eleonora Mateicic, come informa una nota della Prefettura del Carnaro alla Direzione Generale per i Servizi di Guerra del 12 gennaio 1943, aveva chiesto di essere inviata all'internamento presso i fratelli Zvonimir e Mario che, dopo essere stati arrestati a Podhum. erano stati inviati prima nel campo di concentramento provvisorio di Lovran nei pressi di Fiume e poi a Cingia de' Botti. La Prefettura spiega che “allo scopo di prevenire la possibilità che la predetta possa, spinta dal bisogno, svolgere attività deleteria, si propone che venga internata nel predetto comune per riunirsi ai suoi familiari”. Il Ministero dell'Interno si dice d'accordo con la proposta di internamento, ma poco prima della partenza di Eleonora Mateicic per Cingia de' Botti dove dovrebbe ricongiungersi con la famiglia, il prefetto di Cremona con un telegramma urgente prega di sospendere il trasferimento perché tutti gli internati di Cingia de' Botti stanno partendo per il campo di concentramento Le Fraschette di Alatri.
Il periodo dell'internamento all'Ospedale Germani è allietato anche da nuove nascite: Antonia Ban, che fa parte del secondo gruppo, ha dato alla luce il 4 dicembre 1942 una bimba cui viene dato il nome di Palmira e Maria Valeria, due giorni dopo, la piccola Angela Marsanic. Sempre il 6 dicembre Elisabetta Grabar dal Germani viene trasferita al reparto maternità dell'Ospedale Maggiore. I neonati vengono aggiunti al gruppo degli sfollati ed assistiti anch'essi con una retta di 7 lire al giorno. Di altre donne si conosce solo il nome: Bozica e Ivka Ban, Angela Darinka e Gorina Grabar, Giovanna Hatesic, Giuliana Klic, Barbara e Caterina Kukulian. Elvira Juretic, Caterina Lukesic, Albina Marsanic, Luigia e Maria Mateicic, Maria Skaron, Maria e Mattea Simon, Susanna Sudan, Ljuba Zmarich, Francesca e Vittoria Zoretic.
Il 20 gennaio 1943 arriva alla Prefettura con telegramma l'ordine del Sottosegretario all'interno Guido Buffarini Guidi perchè le famiglie dei ribelli vengano fatte accompagnare al campo di concentramento di Fraschette in provincia di Frosinone mantenendo intatti i nuclei familiari ed escludendo solo quelli che abbiano trovato un'occupazione stabile, e contemporaneamente l'invito alla Prefettura di Frosinone di comunicare alla direzione del campo l'arrivo di complessive 400 persone. Come informa un successivo telegramma della Prefettura di Frosinone, il 4 febbraio gli internati cremonesi erano arrivati a destinazione e fatti proseguire con i loro bagagli per il campo di Le Fraschette. Tra di loro non vi era Eleonora Mateicic che nel frattempo aveva trovato lavoro presso la famiglia del tenente colonnello Giuseppe Maltese, giudice del Tribunale di Guerra di Fiume, ed aveva di conseguenza rinunciato a raggiungere i due fratelli internati a Cingia de' Botti, ed ora, siamo all'11 febbraio 1943, trasferiti nel campo Le Fraschette di Alatri.

La maggior parte degli internati a Cingia de' Botti provenivano dal campo di concentramento di Lovran, istituito presso il Park Hotel, una struttura alberghiera di 500 posti requisita dalla prefettura di Fiume, presso di cui passarono, per tutto il tempo in cui rimase in funzione, circa tremila civili internati, molti di questi sgomberati dal villaggio di Podhum. Qui, il 12 luglio 1942, i soldati italiani al comando del maggiore Armando Goleo, per ordine del prefetto della Provincia del Carnaro Temistocle Testa avevano fucilato in un campo ai piedi della collina, almeno duecento abitanti del villaggio, che fu poi dato alle fiamme. I fucilati erano maschi per lo più dai 16 ai 64 anni. I bambini, i vecchi e le donne, cioè l’intera popolazione del paese, furono deportati nei vari campi di internamento in Italia, dai quali parecchi di loro non fecero più ritorno. Molti dei cognomi delle donne internate a Cingia de' Botti, ricorrono anche nelle lapidi di bronzo sul muro di cinta del Parco delle Rimembranze di Podhum: Ban, Grabar, Hatesic, Kukulian, Marsanic, Mateicic, Skaron. L’eccidio fu compiuto, secondo Testa, per vendicare sedici soldati uccisi dai ribelli di Podhum nella prima decade di luglio, mentre fonti del Fascio di Fiume puntarono il dito, all’epoca, sulla morte di due maestri elementari, i coniugi Giovanni e Francesca Renzi, il 16 giugno 1942, mandati dal regime fascista nelle terre occupate e annesse per italianizzare gli slavi. Secondo le fonti partigiane i due maestri elementari vennero fucilati il 14 giugno, dopo un processo sommario, per attività di spionaggio condotta dai coniugi Renzi contro il Movimento di Liberazione. I due maestri, peraltro, erano malvisti, anzi odiati dalla popolazione di Podhum per le dure e immeritate punizioni e i maltrattamenti inflitti ai bambini loro affidati solo perchè faticavano ad imparare l'italiano.
Il campo Le Fraschette di Alatri
Il campo delle Fraschette di Alatri, dove vennero trasferiti i 79 internati di Cingia de' Botti, era stato invece progettato nell’aprile del 1941 per ospitare 7.000 prigionieri di guerra, ma, dato il difficile problema di trovare una sistemazione alle migliaia di sfollati, il Ministero degli Interni decise presto di destinarlo a questo uso. Alla fine prevalse l'uso campo di internamento per migliaia di slavi che venivano deportati per rappresaglia contro l’attività partigiana. La gestione dell’internamento, però, fu affidata non alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, bensì all’Ispettorato Generale per i servizi di guerra. Ciò consentiva al governo di risparmiare il versamento del sussidio di L. 6,50 al giorno per ogni internato. Per questo all'interno del campo si pativa la fame, e si mangiava solo, da parte degli slavi, la brodaglia preparata dai militari. Diversa era invece la situazione per i non numerosi internati anglo-maltesi che venivano assistiti dalla Croce Rossa svizzera. Traccia chiarissima del trattamento riservato agli slavi risulta dalla consultazione dei registri di morte, da cui risulta che moriva, in percentuale, il 95% di internati slavi, quasi ogni giorno, dai due mesi di età agli 89 anni. Nel luglio 1943 su 1.162 “dalmati” presenti nel campo, circa 500 erano bambini, quasi tutti orfani. Gli internati erano civili, familiari di “ribelli” slavi, tenuti in ostaggio per convincere i partigiani a rinunciare alle loro attività in cambio del ritorno a casa degli internati. Dopo l’8 settembre, il venir meno della vigilanza consentì a molti internati di fuggire, e, nel novembre dello stesso anno, le SS tedesche imposero al governo di Salò il trasferimento degli ultimi rimasti al campo di Fossoli, presso Carpi. Gli slavi, però, avevano avuto modo, per la massima parte, di tornare fortunosamente e faticosamente a casa, visto che ai tedeschi il loro destino non interessava.




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