Johann Reiter nel suo laboratorio di Mittenwald |
Johann
Reiter è stato tra i principali artisti della scuola liutaria di
Mittenwald. È nato nel 1879 ed è stato uno dei pochi artigiani
nella sua città natale che non fosse alle dipendenze di fabbriche
più grandi. Ereditò lo stile da suo padre, Johann Baptist Reiter
(1834-1899), un altro grande nome nella tradizione di Mittenwald,
che, a sua volta, era stato allievo e discepolo del leggendario Jean
Vauchel (1782-1856). Johann Reiter non è stato solo un brillante
liutaio, ma anche un fine ricercatore, un polistrumentista e un
artista propenso alle sperimentazioni a cui è attribuita la
realizzazione di strumenti originali come il violino ottavo e la
viola pomposa. Ma non è così. Nel 1936 il sommo maestro bavarese fu
al centro di una polemica proprio per essersi attribuito l'invenzione
di uno strumento a lungo vagheggiato, che già Johann Sebastian Bach
aveva tentato di realizzare, ma in realtà costruito qualche anno
prima da un abile liutaio di Casalbuttano, Luigi Digiuni. Lo
strumento venne battezzato “violetto”, e in realtà riprendeva le
idee formulate qualche secolo prima da Bach a proposito della viola
pomposa e del “violoncello piccolo”. La polemica tra il liutaio
tedesco e l'artigiano cremonese, alla vigilia delle celebrazioni
stradivariane del 1937, non trovò spazio sugli organi di stampa
cittadini, “Regime fascista” e la rivista “Cremona” entrambi
soggetti allo scrupoloso controllo di Roberto Farinacci che, in
quegli anni, stava tessendo una fitta rete di relazioni con la
Germania di Hitler e non avrebbe avuto alcuna intenzione di
inimicarsi il potente alleato tedesco con un problema di progenitura
proprio in tema liutario. Se ne trova invece notizia in un gruppo di
quotidiani italiani pubblicati tra il 7 ed il 21 settembre del 1936:
la Gazzetta del Popolo e Stampa Sera di Torino, il Popolo d'Italia di
Milano, il Popolo di Roma e qualche altro. E questo ha permesso di
rendere giustizia al liutaio cremonese che, negli anni più oscuri
della nostra tradizione liutaria, cercava di tenere alta la fama dei
grandi maestri. Un episodio ed una figura di cui già ai quei tempi
ci si sarebbe facilmente dimenticati, se non fosse stato per quella
disputa che trovò spazio sui giornali nazionali e che, dopo la morte
di Digiuni avvenuta l'anno successivo, permise di attribuirgli il
giusto riconoscimento postumo nelle manifestazioni dedicate al sommo
dei liutai.
Il violetto di Digiuni al Museo del Violino |
Così
spiega la questione “Stampa Sera” in un articolo del 7 settembre:
“In questi giorni molti quotidiani hanno pubblicato la notizia che
il liutaio bavarese Giovanni Reiter, allievo di Mathias Klotz, ha
testè brevettato in Germania un nuovo strumento ad arco, intermedio
tra la viola e il violoncello, strumento che già Sebastiano Bach
aveva tentato di ottenere con la 'viola pomposa'. Esso rende una voce
di tenore che fino ad ora mancava nei quartetti ad archi e permette
di prendere le parti dei violoncelli e dei bassi nelle orchestre di
sala. Orbene, l'Italia può rivendicare a sé il diritto di
precedenza in questa, chiamiamola così, invenzione per merito di un
artigiano liutaio cremonese, Luigi Digiuni, che ideò e costrusse uno
strumento del genere nel 1922, lo battezzò 'violetto' e lo presentò
nel 1923 alla esposizione interprovinciale delle industrie artistiche
tenuta in quell'anno a Cremona. In quella circostanza si tenne pure
un concerto di strumenti ad archi e il 'violetto' venne suonato da
esimii professionisti che lo lodarono. Senonchè la cosa morì lì.
Il Digiuni, cedendo alle pressioni di conoscenti, fece poi brevettare
lo strumento ed egli è in possesso di regolare 'attestato di
privativa industriale' dell'allora Ministero dell'Economia Nazionale
n. 230.533, in data 19 settembre 1924. mentre la sua domanda coi
documenti di legge venne depositata alla Prefettura di Cremona il 10
maggio 1924, alle ore quattordici. Il brevetto dello strumento porta
la denominazione 'nuovo tipo di strumento musicale a corde, violino
basso sistema Digiuni'. Di tale strumento il Digiuni ne ha costruiti
tre esemplari, poi la sopravvenuta crisi mondiale e la scarsa ricerca
di strumenti lo indussero a non farne più. Di essi uno è stato
venduto e due sono ancora visibili presso di lui. Tale strumento che
si suona a spalla come il violino, ha la cassa lunga 40 centimetri e
le larghezze massime delle due parti arrotondate sono cm. 20,7 la
superiore e cm. 27,2 l'inferiore. Le fascie sono alte nella parte
superiore cm. 4 e nella inferiore cm. 4,3. Anche il 'violetto' del
Digiuni è uno strumento intermedio fra la viola e il violoncello, la
cui voce è di timbro gradevolissimo; la sua corda più bassa
corrisponde alla terza corda del violoncello, perciò in confronto
del violoncello manca solo del do basso. Il Digiuni si indusse a
studiare e a costruire tale strumento nel 1922, dopo aver letto in un
volumetto di liuteria che nei secoli scorsi era stato costruito uno
strumento a gamba più piccolo del violoncello ma di voce più dolce
e più potente di quella della viola. Egli pensò di farne uno simile
ma a braccio e sua prima idea era di suonarlo lui stesso, essendo
egli buon suonatore di violino”.
Uno
dei tre esemplari del violetto, già facente parte della collezione
del Museo stradivariano, è conservato oggi al Museo del Violino di
Cremona.
Il museo della liuteria a Mittenwald |
Per
trovare un antecedente del violetto del Digiuni, bisogna tornare
indietro di un paio di secoli. Viole da braccio di voce intermedia
fra la viola contralto e il bassetto (poi Violoncello) voce di
baritono erano in realtà esistiti anche in epoca "classica".
Di Stradivari esiste ancora intatta la viola tenore "Medicea",
costruita nel 1690 per il granduca di Firenze, che ha le
seguenti misure: lunghezza corpo 47.8 cm, larghezza corpo superiore
21.9 cm, larghezza del corpo inferiore 27.2 cm, e qualche altro
esemplare ridotto in seguito nelle dimensioni per farlo
diventare "contralto", naturalmente per ragioni di
mercato.
Secondo
testimonianze dell’epoca Bach avrebbe poi convinto il liutaio
Johann Christian Hoffmann a costruire uno strumento che avesse
contemporaneamente la qualità del violino tenore suonato a braccio
secondo l’antica tradizione (‘Fagottgeige’, ‘viola da
spalla’) e le caratteristiche del violoncello, dal suono più
evoluto. I contemporanei ed i biografi di Bach, per indicare tale
strumento basso suonato a braccio, hanno coniato il nome di ‘viola
pomposa’, che sarebbe stata realizzata dopo il 1730. Vi è però un
altro strumento a cui Digiuni sicuramente pensava quando realizzò il
suo violetto. Delle sei suites per violoncello solo le prime cinque
sono state scritte per lo strumento che noi conosciamo. La sesta è
destinata ad uno strumento a cinque corde di incerta identificazione
che viene accordato come il violoncello ma con una corda di mi acuto
in più che gli permette di comprendere il registro del violoncello,
che costituisce il basso della famiglia del violino, e quello del
tenore della famiglia, strumento scomparso alla fine del XVII secolo.
E' possibile che questo strumento concepito per suonare la sesta
suites sia il violoncello piccolo che Bach peraltro utilizza in nove
cantate a partire dall'ottobre del 1724. I musicologi sostengono che
non si può suonare la sesta suite con gli esemplari di viola pomposa
oggi conosciuti, strumento che Heinrich Husmann nel 1936 ha suggerito
di identificare con il violoncello piccolo. Se così fosse, però,
bisognerebbe pensare ad un altro strumento ancora che assomigliava al
normale violoncello, con una corda in più e decisamente più piccolo
per evitare che la corda aggiunta, più acuta, potesse spezzarsi se
sottoposta ad una tensione troppo forte. Per Curt Sachs Bach non
avrebbe inventato la viola pomposa, in quanto non esisterebbero
composizioni scritte per questo strumento. Qualche violoncello
piccolo del XVIII secolo è sopravvissuto, ma lo strumento si estinse
negli anni successivi alla morte di Bach. Alcuni finirono per essere
rimodellati con manici più piccoli per farne strumenti destinati ai
bambini. Uno è conservato in un museo di Bruxelles, un altro
costruito da Hoffman è andato perduto durante la Seconda Guerra
Mondiale, un altro ancora è riapparso intorno ai primi anni del
secondo millennio in Sudafrica. C'è però un liutaio moderno che ha
cercato di far rivivere lo strumento perduto: è un emigrato russo
che ha il proprio laboratorio a Bruxelles, Dmitry Badiarov, che venne
a Cremona un paio d'anni fa. Confuso spesso con il violocello piccolo
è stato anche il violoncino, usato tra il 1580 ed il 1750 , che
assolveva al ruolo da tenore e poteva avere quattro o cinque corde.
Luigi Digiuni (foto Archivio della Liuteria Cremonese) |
Luigi
Digiuni era un liutaio autodidatta, nato a Casalbuttano nel 1878 e
trasferitosi poi a Cremona. Seguiva un modello personale di buona
tonalità e con vernice di rilievo. Si dedicò alla costruzione di
violini, viole, chitarre e contrabbassi e con Remedeo Muncher, Carlo
Bonetti, Ugo Gualazzini e Renzo Bacchetta si prodigò per la nascita
della Scuola di Liuteria che, però, non riuscì a vedere realizzata,
in quanto morì nel 1937, proprio alla vigilia delle celebrazioni
stradivariane. Ma a dargli notorietà è stata proprio la
realizzazione del “violetto”, esposto postumo nel corso della
mostra di liuteria contemporanea del bicentenario stradivariano. Nei
primi anni del Novecento Digiuni è rimasto a difendere la tradizione
liutaria cremonese, seppur dal punto di vista artistico molto lontana
dai grandi del passato, con un piccolo gruppo di artigiani di buona
levatura: Pietro Grulli, Giuseppe Beltrami, Carlo Bosi, Remedeo
Muncher, Lorenzo Marconi e Carlo Schiavi.
Johan
Reiter era invece figlio d'arte e negli anni Trenta rappresentava la
punta di diamante della scuola di Mittenwald, fondata da Ludwig I nel
1858, ma in realtà erede di una tradizione che risale a Mathias
Klotz, allievo di Nicola Amati. Nel XVI e XVII secolo Mittenwald
aveva vissuto una vera e propria età dell'oro grazie agli scambi
commerciali di Venezia, ai banchieri Fugger di Augsburg e ai mercanti
di Nurnberg che ne avevano fatto il centro dei loro traffici. Quando
i mercanti veneziani decisero di spostare il loro mercato a Bolzano,
la città ne ricevette un colpo mortale. La tradizione vuole che in
quegli anni, nel 1684, un giovane chiamato Mathias Klotz, decise
lasciare la città per andare all'estero a far fortuna. Dopo aver
attraversato le Alpi arrivò a Cremona, alla ricerca di quel lavoro
che non riusciva a trovare nel suo villaggio bavarese, ormai in
rovina.
Cremona
era allora famosa in tutto il mondo per i suoi violini già
apprezzati in Francia, Germania e Inghilterra. Il giovane Klotz
camminava per le strade di Cremona, quando improvvisamente sentì una
musica proveniente da uno strumento che non aveva mai sentito prima.
Entrò in una piccola bottega ingombra di violini, liuti e lire. Un
vecchio gli chiese cosa voleva. Klotz disse che stava cercando un
lavoro e, con sua sorpresa, venne assunto come apprendista. Il
vecchio era Nicola Amati, il grande maestro che alle proprie
dipendenze aveva anche Antonio Stradivari, e sotto di lui Klotz
apprese i segreti del violino, segreti che poi lui riprese a
Mittenwald anni dopo quando aprì la propria bottega, divenuta ben
presto un rinomato centro di produzione, grazie anche alla facilità
di reperimento delle materie prime nelle foreste poste nelle
vicinanze della città. La bottega di Reiter, in un edificio antico
della città a poca distanza dal museo ricavato nell'originaria
bottega di Klotz al No. 3 di Obermarkt, negli anni Trenta era ormai
attiva da circa duecento anni.
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