lunedì 15 maggio 2017

Il giallo del violetto

Johann Reiter nel suo laboratorio di Mittenwald

Johann Reiter è stato tra i principali artisti della scuola liutaria di Mittenwald. È nato nel 1879 ed è stato uno dei pochi artigiani nella sua città natale che non fosse alle dipendenze di fabbriche più grandi. Ereditò lo stile da suo padre, Johann Baptist Reiter (1834-1899), un altro grande nome nella tradizione di Mittenwald, che, a sua volta, era stato allievo e discepolo del leggendario Jean Vauchel (1782-1856). Johann Reiter non è stato solo un brillante liutaio, ma anche un fine ricercatore, un polistrumentista e un artista propenso alle sperimentazioni a cui è attribuita la realizzazione di strumenti originali come il violino ottavo e la viola pomposa. Ma non è così. Nel 1936 il sommo maestro bavarese fu al centro di una polemica proprio per essersi attribuito l'invenzione di uno strumento a lungo vagheggiato, che già Johann Sebastian Bach aveva tentato di realizzare, ma in realtà costruito qualche anno prima da un abile liutaio di Casalbuttano, Luigi Digiuni. Lo strumento venne battezzato “violetto”, e in realtà riprendeva le idee formulate qualche secolo prima da Bach a proposito della viola pomposa e del “violoncello piccolo”. La polemica tra il liutaio tedesco e l'artigiano cremonese, alla vigilia delle celebrazioni stradivariane del 1937, non trovò spazio sugli organi di stampa cittadini, “Regime fascista” e la rivista “Cremona” entrambi soggetti allo scrupoloso controllo di Roberto Farinacci che, in quegli anni, stava tessendo una fitta rete di relazioni con la Germania di Hitler e non avrebbe avuto alcuna intenzione di inimicarsi il potente alleato tedesco con un problema di progenitura proprio in tema liutario. Se ne trova invece notizia in un gruppo di quotidiani italiani pubblicati tra il 7 ed il 21 settembre del 1936: la Gazzetta del Popolo e Stampa Sera di Torino, il Popolo d'Italia di Milano, il Popolo di Roma e qualche altro. E questo ha permesso di rendere giustizia al liutaio cremonese che, negli anni più oscuri della nostra tradizione liutaria, cercava di tenere alta la fama dei grandi maestri. Un episodio ed una figura di cui già ai quei tempi ci si sarebbe facilmente dimenticati, se non fosse stato per quella disputa che trovò spazio sui giornali nazionali e che, dopo la morte di Digiuni avvenuta l'anno successivo, permise di attribuirgli il giusto riconoscimento postumo nelle manifestazioni dedicate al sommo dei liutai.
Il violetto di Digiuni
al Museo del Violino
Così spiega la questione “Stampa Sera” in un articolo del 7 settembre: “In questi giorni molti quotidiani hanno pubblicato la notizia che il liutaio bavarese Giovanni Reiter, allievo di Mathias Klotz, ha testè brevettato in Germania un nuovo strumento ad arco, intermedio tra la viola e il violoncello, strumento che già Sebastiano Bach aveva tentato di ottenere con la 'viola pomposa'. Esso rende una voce di tenore che fino ad ora mancava nei quartetti ad archi e permette di prendere le parti dei violoncelli e dei bassi nelle orchestre di sala. Orbene, l'Italia può rivendicare a sé il diritto di precedenza in questa, chiamiamola così, invenzione per merito di un artigiano liutaio cremonese, Luigi Digiuni, che ideò e costrusse uno strumento del genere nel 1922, lo battezzò 'violetto' e lo presentò nel 1923 alla esposizione interprovinciale delle industrie artistiche tenuta in quell'anno a Cremona. In quella circostanza si tenne pure un concerto di strumenti ad archi e il 'violetto' venne suonato da esimii professionisti che lo lodarono. Senonchè la cosa morì lì. Il Digiuni, cedendo alle pressioni di conoscenti, fece poi brevettare lo strumento ed egli è in possesso di regolare 'attestato di privativa industriale' dell'allora Ministero dell'Economia Nazionale n. 230.533, in data 19 settembre 1924. mentre la sua domanda coi documenti di legge venne depositata alla Prefettura di Cremona il 10 maggio 1924, alle ore quattordici. Il brevetto dello strumento porta la denominazione 'nuovo tipo di strumento musicale a corde, violino basso sistema Digiuni'. Di tale strumento il Digiuni ne ha costruiti tre esemplari, poi la sopravvenuta crisi mondiale e la scarsa ricerca di strumenti lo indussero a non farne più. Di essi uno è stato venduto e due sono ancora visibili presso di lui. Tale strumento che si suona a spalla come il violino, ha la cassa lunga 40 centimetri e le larghezze massime delle due parti arrotondate sono cm. 20,7 la superiore e cm. 27,2 l'inferiore. Le fascie sono alte nella parte superiore cm. 4 e nella inferiore cm. 4,3. Anche il 'violetto' del Digiuni è uno strumento intermedio fra la viola e il violoncello, la cui voce è di timbro gradevolissimo; la sua corda più bassa corrisponde alla terza corda del violoncello, perciò in confronto del violoncello manca solo del do basso. Il Digiuni si indusse a studiare e a costruire tale strumento nel 1922, dopo aver letto in un volumetto di liuteria che nei secoli scorsi era stato costruito uno strumento a gamba più piccolo del violoncello ma di voce più dolce e più potente di quella della viola. Egli pensò di farne uno simile ma a braccio e sua prima idea era di suonarlo lui stesso, essendo egli buon suonatore di violino”.
Uno dei tre esemplari del violetto, già facente parte della collezione del Museo stradivariano, è conservato oggi al Museo del Violino di Cremona.

Il museo della liuteria a Mittenwald
Per trovare un antecedente del violetto del Digiuni, bisogna tornare indietro di un paio di secoli. Viole da braccio di voce intermedia fra la viola contralto e il bassetto (poi Violoncello) voce di baritono erano  in realtà esistiti anche in epoca "classica". Di Stradivari esiste ancora intatta la viola tenore "Medicea", costruita nel 1690 per il granduca di Firenze, che ha le seguenti misure: lunghezza corpo 47.8 cm, larghezza corpo superiore 21.9 cm, larghezza del corpo inferiore 27.2 cm, e qualche altro esemplare ridotto in seguito nelle dimensioni per farlo diventare "contralto", naturalmente per ragioni di mercato.
Secondo testimonianze dell’epoca Bach avrebbe poi convinto il liutaio Johann Christian Hoffmann a costruire uno strumento che avesse contemporaneamente la qualità del violino tenore suonato a braccio secondo l’antica tradizione (‘Fagottgeige’, ‘viola da spalla’) e le caratteristiche del violoncello, dal suono più evoluto. I contemporanei ed i biografi di Bach, per indicare tale strumento basso suonato a braccio, hanno coniato il nome di ‘viola pomposa’, che sarebbe stata realizzata dopo il 1730. Vi è però un altro strumento a cui Digiuni sicuramente pensava quando realizzò il suo violetto. Delle sei suites per violoncello solo le prime cinque sono state scritte per lo strumento che noi conosciamo. La sesta è destinata ad uno strumento a cinque corde di incerta identificazione che viene accordato come il violoncello ma con una corda di mi acuto in più che gli permette di comprendere il registro del violoncello, che costituisce il basso della famiglia del violino, e quello del tenore della famiglia, strumento scomparso alla fine del XVII secolo. E' possibile che questo strumento concepito per suonare la sesta suites sia il violoncello piccolo che Bach peraltro utilizza in nove cantate a partire dall'ottobre del 1724. I musicologi sostengono che non si può suonare la sesta suite con gli esemplari di viola pomposa oggi conosciuti, strumento che Heinrich Husmann nel 1936 ha suggerito di identificare con il violoncello piccolo. Se così fosse, però, bisognerebbe pensare ad un altro strumento ancora che assomigliava al normale violoncello, con una corda in più e decisamente più piccolo per evitare che la corda aggiunta, più acuta, potesse spezzarsi se sottoposta ad una tensione troppo forte. Per Curt Sachs Bach non avrebbe inventato la viola pomposa, in quanto non esisterebbero composizioni scritte per questo strumento. Qualche violoncello piccolo del XVIII secolo è sopravvissuto, ma lo strumento si estinse negli anni successivi alla morte di Bach. Alcuni finirono per essere rimodellati con manici più piccoli per farne strumenti destinati ai bambini. Uno è conservato in un museo di Bruxelles, un altro costruito da Hoffman è andato perduto durante la Seconda Guerra Mondiale, un altro ancora è riapparso intorno ai primi anni del secondo millennio in Sudafrica. C'è però un liutaio moderno che ha cercato di far rivivere lo strumento perduto: è un emigrato russo che ha il proprio laboratorio a Bruxelles, Dmitry Badiarov, che venne a Cremona un paio d'anni fa. Confuso spesso con il violocello piccolo è stato anche il violoncino, usato tra il 1580 ed il 1750 , che assolveva al ruolo da tenore e poteva avere quattro o cinque corde.

Luigi Digiuni (foto Archivio della Liuteria Cremonese)
Luigi Digiuni era un liutaio autodidatta, nato a Casalbuttano nel 1878 e trasferitosi poi a Cremona. Seguiva un modello personale di buona tonalità e con vernice di rilievo. Si dedicò alla costruzione di violini, viole, chitarre e contrabbassi e con Remedeo Muncher, Carlo Bonetti, Ugo Gualazzini e Renzo Bacchetta si prodigò per la nascita della Scuola di Liuteria che, però, non riuscì a vedere realizzata, in quanto morì nel 1937, proprio alla vigilia delle celebrazioni stradivariane. Ma a dargli notorietà è stata proprio la realizzazione del “violetto”, esposto postumo nel corso della mostra di liuteria contemporanea del bicentenario stradivariano. Nei primi anni del Novecento Digiuni è rimasto a difendere la tradizione liutaria cremonese, seppur dal punto di vista artistico molto lontana dai grandi del passato, con un piccolo gruppo di artigiani di buona levatura: Pietro Grulli, Giuseppe Beltrami, Carlo Bosi, Remedeo Muncher, Lorenzo Marconi e Carlo Schiavi.
Johan Reiter era invece figlio d'arte e negli anni Trenta rappresentava la punta di diamante della scuola di Mittenwald, fondata da Ludwig I nel 1858, ma in realtà erede di una tradizione che risale a Mathias Klotz, allievo di Nicola Amati. Nel XVI e XVII secolo Mittenwald aveva vissuto una vera e propria età dell'oro grazie agli scambi commerciali di Venezia, ai banchieri Fugger di Augsburg e ai mercanti di Nurnberg che ne avevano fatto il centro dei loro traffici. Quando i mercanti veneziani decisero di spostare il loro mercato a Bolzano, la città ne ricevette un colpo mortale. La tradizione vuole che in quegli anni, nel 1684, un giovane chiamato Mathias Klotz, decise lasciare la città per andare all'estero a far fortuna. Dopo aver attraversato le Alpi arrivò a Cremona, alla ricerca di quel lavoro che non riusciva a trovare nel suo villaggio bavarese, ormai in rovina.
Cremona era allora famosa in tutto il mondo per i suoi violini già apprezzati in Francia, Germania e Inghilterra. Il giovane Klotz camminava per le strade di Cremona, quando improvvisamente sentì una musica proveniente da uno strumento che non aveva mai sentito prima. Entrò in una piccola bottega ingombra di violini, liuti e lire. Un vecchio gli chiese cosa voleva. Klotz disse che stava cercando un lavoro e, con sua sorpresa, venne assunto come apprendista. Il vecchio era Nicola Amati, il grande maestro che alle proprie dipendenze aveva anche Antonio Stradivari, e sotto di lui Klotz apprese i segreti del violino, segreti che poi lui riprese a Mittenwald anni dopo quando aprì la propria bottega, divenuta ben presto un rinomato centro di produzione, grazie anche alla facilità di reperimento delle materie prime nelle foreste poste nelle vicinanze della città. La bottega di Reiter, in un edificio antico della città a poca distanza dal museo ricavato nell'originaria bottega di Klotz al No. 3 di Obermarkt, negli anni Trenta era ormai attiva da circa duecento anni.

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