Naples Ferraresi |
Anche Cremona ha il suo Oskar Schindler, l’industriale tedesco famoso per avere salvato durante la Seconda Guerra mondiale 1200 ebrei dalla Shoah. Si chiamava Naples Ferraresi, 85 anni nel 2008, quando lo abbiamo conosciuto ed ha deciso di raccontarci la sua storia. Dopo una vita che, già ad iniziare dallo strano nome, è tutta un romanzo, dal 2004 ha abitato a Gadesco Pieve Delmona. Dal settembre 1943 ai giorni della Liberazione ha salvato dai campi di concentramento tedeschi una cinquantina di suoi concittadini e ad altrettanti, rastrellati dai fascisti, ha evitato il carcere. Dopo tanti anni di silenzio, vissuto tra i suoi ricordi, sollecitato dagli amici Curzio Strina e Cornelio Bertazzoli, ha deciso di raccontare quei mesi straordinari vissuti al Comando tedesco di palazzo Trecchi, fatti di generosità e di paure, di incoscienza giovanile e di umana solidarietà. Una serie di episodi e di vicende che non hanno mai trovato spazio nei libri di storia, ma che aprono un vivo spiraglio di luce sugli anni della Repubblica di Salò, visti dalla parte di chi ci è stato, ed ha così combattuto la sua personalissima Resistenza. La sua straordinaria conoscenza del tedesco, una lingua che ancor oggi usa con scioltezza, intercalandola senza soluzione di continuità a frasi in autentico dialetto cremonese e ad un perfetto italiano, gli ha consentito in quegli anni di diventare il braccio tedesco del maggiore Grosse, il comandante della guarnigione cremonese, ed in questo modo iniziare quella lunga catena di solidarietà che gli ha consentito di salvare centinaia di vite umane dalla morte e dalla miseria. Eppure di quella sua straordinaria attività Naples non ne ha voluto mai parlare pubblicamente. Si è lasciato scappare qualcosa solo con gli amici più cari, che hanno insistito perchè la raccontasse anche a noi. Una storia talmente incredibile che, lo confessiamo, ci ha lasciato all’inizio abbastanza scettici. Ma quando Naples, con viva lucidità, ha iniziato a raccontare fatti, vicende, a tratteggiare il ritratto dei suoi collaboratori, a citare date ed episodi facilmente riscontrabili ci siamo lasciati trascinare e coinvolgere dal suo racconto fino a decidere di raccontarvelo a nostra volta.
Iniziamo dalla conclusione, però. Da quella mattina dopo il 25 aprile quando l’avvocato Salvalaggio, membro del Cln, incrociando Naples sulle scale mentre si sta allontanando dalla ex sede del comando tedesco ormai abbandonato, gli dice semplicemente: "Tu non devi avere paura, stai tranquillo e se hai bisogno di aiuto rivolgiti a noi. La gente chiacchiera e potresti avere problemi, ma noi ti aiuteremo". Quell’aiuto Naples non ha mai avuto bisogno di chiederlo. A dargli una mano, nei mesi dopo la liberazione, fatti di speranze e della dura realtà di sopravvivere ad ogni giorno, è stato uno dei suoi beneficiati: un commerciante milanese di nome Venier a cui Naples, approfittando dei suoi contatti, aveva fatto dissequestrare un capannone consentendogli di continuare a lavorare. Venier aveva una bottega di semi e concimi in via Solferino, ma anche buoni contatti milanesi. Una volta saputo che il nostro era senza lavoro non ci mise molto con una telefonata a trovargli un impiego al Credito Italiano di piazza Cordusio. Altri non hanno avuto per lui neppure una parola di ringraziamento: "Salvare tanta gente non mi è costato nulla, ma mi avrebbe fatto piacere se qualcuno mi avesse almeno ringraziato. E’ stata la gente semplice del Po, quella che viveva di caccia e pesca, a ricordarsi di me e portarmi, che so, un paio di fagiani consegnati a mia madre".
Roberto Farinacci |
La storia cremonese di Naples Ferraresi inizia la mattina del 18 settembre 1943, quando arriva alle porte della città a bordo di un carretto con un cappellaccio in testa e viene fermato da due tedeschi, ma bastano poche parole ed ha via libera. "Arrivavo dal Piemonte dove ero rimasto nascosto qualche giorno in un alberghetto di Chivasso. Avevo in tasca molti soldi, mi sono vestito di nuovo e giravo liberamente senza che nessuno mi dicesse qualcosa. Vedevo portare via i ragazzi nei vagoni piombati e cercavo di allungare ad alcuni un grappolo d’uva. A Cremona abitavo in via Massarotti: una mattina vedo appeso un manifesto che invita i cittadini a presentarsi al comando tedesco, per consegnare le armi probabilmente, a palazzo Trecchi. Mentre sto per salire la scalinata vedo sotto il portico una folla di ragazzi ammassati e chiedo il perchè. Mi rispondono che sono quelli che non hanno aderito alla Repubblica di Salò: chi non aderisce viene spedito via in camion o su vagoni ferroviari, a chi aderisce viene rilasciato invece una sorta di lasciapassare. Quando tocca a me incontro un soldato tedesco che mi sembra una brava persona, mi ascolta, sente che parlo correntemente tedesco e corre a chiamare un tenente. Quello mi si avvicina e mi dice: lei resta con noi. Ed io: se mi pagate ci sto. Quanto vuole, mi chiede il tenente, ed io sparo: 1500 lire al mese. Un capitale, ma quello non batte ciglio e dice: fatto. E’ là che, diciamo, è iniziata la mia carriera. Ho solo cercato, nel mio ruolo, di fare del bene a chi potevo. C’era gente che veniva a chiedere la restituzione di un fucile da caccia sequestrato. Auricchio veniva a cercare la benzina, altre ragazze avevano bisogno di un posto dove andare a dormire. Insomma i casi da affrontare erano tanti e grazie alla mia conoscenza del tedesco cercavo di convincere in tutti i modi il comandate del presidio della bontà delle richieste. Il maggiore Grosse, va detto, era comunque una brava persona, e spesso chiudeva un occhio". Ma la richiesta di aiuto si fa ancora più pressante fino a mettere a rischio la stessa incolumità del maggiore e del suo interprete italiano. "Venivano piangendo i familiari dei deportati nei campi di concentramento a chiedermi di aiutarli ed io spiegavo loro che documenti dovevano presentare, veri o falsi che fossero. Serviva una dichiarazione che vi fosse, che so, il padre morente o qualcosa del genere. Loro portavano i documenti e Grosse li firmava mettendo il timbro, anche se la carta presentata era falsa". Ma la vigilia di Natale del 1943 Naples viene chiamato dallo stesso comandante che, in tedesco, gli dice senza mezzi termini: "Ferraresi, adesso basta se no ci mettono al muro tutti e due". In questo modo però, in quei mesi, sono stati salvati 47 cremonesi. Altri venivano mandati alla Tod, i campi di lavoro "casalinghi" per la realizzazione di infrastrutture, un mezzo per preservarli da un’eventuale deportazione. "Un’altra mattina arriva una signora a casa di mia madre perchè i fascisti nel corso di un rastrellamento le avevano portato via il marito con altre 47 o 48 persone, chiedendo se potevo fare qualcosa. Ho telefonato al comando tedesco di San Vittore e ho detto di non accettare i due camion carichi di prigionieri, che in effetti sono stati respinti". L’episodio dimostra quanto i rapporti tra i fascisti nostrani e gli occupanti tedeschi fossero abbastanza tesi. In realtà il ras Roberto Farinacci non voleva proprio saperne del maggiore Grosse e malvolentieri accettava di collaborare con il comando di via Trecchi. "Sapevo che la gente protestava perchè i fascisti mandavano le brigate in montagna a rastrellare i partigiani, anche se poi pensava che fossero i tedeschi ad ordinare queste operazioni. In realtà non era per niente vero, anzi, il comando tedesco era preoccupato per queste iniziative la cui responsabilità ricadeva poi su di loro. Un giorno ho deciso di riferire la cosa al comandante, facendogli presente che se le cose andavano avanti così a rischiare di più sarebbe stato proprio lui. Grosse fece allora chiamare Farinacci: lui non parlava italiano e quello capiva poco il tedesco, per cui il comandante mi passò la telefonata e io feci da interprete tra loro due. Insomma, per farla breve, distorcendo un poco quello che si dicevano sono riuscito in qualche modo a ricomporre la cosa". Naples ancora oggi ha un vivido ricordo di quegli anni ed un giudizio positivo sui tedeschi di palazzo Trecchi. "Non era cattiva gente, i malvagi erano altrove ed anche noi dovevamo guardarci dalle spie. Mi ricordo un altro episodio: un giorno dovevamo portare delle coperte e dei viveri non so dove. Siamo passati col camion da una cascina di San Martino in Beliseto. Mentre attendavamo si è avvicinata al camion una bimbetta con i capelli scarmigliati ed il moccio al naso. L’autista, un tedesco, mi aveva fatto vedere poco prima le foto dei suoi tre figli, per cui, alla vista della bimba non ha avuto dubbi: ha preso una coperta, più grande di lei, e gliela ha data. In breve l’aia si riempì di bambini ed il camion restò senza coperte". Ma, a sua insaputa, Naples aveva anche il ruolo delicatissimo di informatore del Cln. Ogni mattina si trovava dal barbiere con due personaggi che saranno poi fondamentali per la Resistenza: l’architetto Guerrini e l’avvocato Salvalaggio. Come si usa tra clienti si scambiava qualche parola sui fatti del giorno ma, come è facile immaginare, da Naples venivano anche notizie sulla linea Gotica che per la Resistenza erano fondamentali. Per questo quando, non senza sorpresa, Naples incontrò quel suo conoscente sulle scale del palazzo Trecchi con al braccio la fascia del Cln che lo tranquillizzava sul suo futuro, solo allora capì.
Palazzo Trecchi, sede del Comando tedesco |
Una vita da romanzo quella di Naples Ferraresi, classe 1923, a iniziare dal nome. Il padre era su un cargo austriaco affondato nel corso della prima guerra mondiale quando, naufrago con altri italiani, venne salvato da una nave inglese chiamata appunto Naples. A sedici anni dipendente in Germania in una gioielleria poi nel 1942, sfiorando per un pelo una condanna come renitente alla leva, soldato a Palermo nel Genio fotoelettrica nei giorni dell’arrivo dei tedeschi. Nessuno parla la loro lingua e le truppe hanno necessità di avere un interprete. Si mette dunque a loro disposizione, godendo, a differenza dei commilitoni, della massima libertà di manovra. Da lì viene trasferito al XII Genio di Torino, dove in una caserma priva di tetto caduto per i bombardamenti, i soldati, tutti meridionali, passano sei giorni alla settimana a letto vestiti con gli scarponi mentre uno a turno cucina e fa la guardia. Poi da Torino a Lione, dove dal capitano Frezza riceve l’ordine di smetter la divisa e vestire in borghese. Il cibo arriva direttamente dall’Italia, si trascorrono le serate al ristorante od in allegra compagnia. La vita è piacevole in Francia, le vettovaglie non mancano, cibo e coperte per tutti mentre i soldati italiani sul fronte greco e russo cadono a migliaia decimati dal freddo, dalla fame e dalle cannonate. Durante un bombardamento si rifugia con la cassaforte della delegazione sotto un tunnel. Potrebbe darsela a gambe levate ed invece giustamente la restituisce. E’ addetto al controllo dell’industria bellica come ufficiale di collegamento e se la passa piuttosto bene, ed ha parecchi soldi in tasca, circa 60.000 lire, un piccolo capitale. Pochi giorni prima dell’8 settembre viene trasferito al comando artiglieria di Mentone, per poi essere aggregato ad una compagnia in Piemonte. L’8 settembre lo coglie in tenda nei pressi di Alessandria ad ascoltare il discorso di Badoglio, "un vero imbecille" lo definisce Naples. Due divisioni tedesche che avevano avuto l’ordine di smantellare il distaccamento sui Pirenei sono già in Italia e compiono un massacro. "Non avevamo ordini e non sapevamo fare nulla. Mi trovo estraneo in una compagnia italiana su un camion che sta fuggendo. Abbiamo un fucile del 1891 e quando si affiancano due tedeschi in sidecar abbiamo paura di sparare per le conseguenze che potrebbero derivarne. Poi dobbiamo attraversare il Po che là è ancora poco più di un torrente. Mi sono buttato in acqua ed ho ricuperato una barca, con cui, insieme ad altri tre o quattro cremonesi ci siamo lasciati trasportare dalla corrente. Due di questi sono andati poi con le SS". E’ dopo questo viaggio avventuroso, tra mitragliamenti ed agguati, che Naples giunge a Cremona, dove inizia la sua nuova vita.
Nessun commento:
Posta un commento