venerdì 30 dicembre 2016

Quando si voleva il murales al Cittanova

Il bozzetto di Antonio Rizzi al museo civico Ala Ponzone
Anche per la giunta Galimberti, il palazzo Cittanova rappresenta un spina nel fianco. Il Comune resta dell'idea che l'edificio debba essere valorizzato, anche se il precedente bando per l'assegnazione in concessione ad un privato ad uso di sala polivalente, non ha avuto l'esito sperato. Corsi e ricorsi storici. Nel 1883 il consiglio comunale di Cremona aveva addirittura deciso all'unanimità di raderlo al suolo per i costi elevati che avrebbe comportato il suo restauro. Tra i più fervidi sostenitori della demolizione vi era Leonida Bissolati che però venne messo in minoranza da una successiva votazione del 20 gennaio 1886 con cui se ne decise, viceversa, il recupero. In realtà dovevano trascorrere altri 27 anni perchè iniziassero i lavori veri e propri, sulla base di un progetto dell'ingegnere milanese Emilio Gussalli sostenuto dall'assessore Alessandro Groppali, approvato dal consiglio comunale il 14 giugno 1913. Il palazzo restò chiuso per quattordici anni fino a quando nel 1927, furono conclusi gli interventi di tipo statico, come annunciava trionfalmente il “Regime Fascista” del 25 maggio: “Ora il palazzo, magnifico e suggestivo nella struttura esterna, nella scala, nello smisurato salone superiore, è nuovo invidiabile ornamento di Cremona che via via coi successivi restauri di edifici, con la messa in valore delle sue raccolte, è prossima a ridiventare centro artistico e storico impareggiabile, e attrattiva irresistibile per gli italiani e per gli stranieri”. Eppure solo dopo un anno si era già pronti a mettere nuovamente mano ad un altro corposo intervento di “modernizzazione”che avrebbe dovuto interessare la decorazione del grande salone, con il coinvolgimento del pittore Antonio Rizzi. Il progetto, che avrebbe comportato una serie di affreschi lungo le pareti del salone e sul soffitto, non fu mai realizzato. Se ne trova traccia nel corposo epistolario intercorso tra l'artista e il suo pigmalione, Illemo Camelli, maggiore sponsor del nuovo progetto che avrebbe dovuto rimarcare in modo più esplicito i legami storici intercorrenti tra il nuovo assetto politico fascista e l'autonomia comunale medievale. Scrive infatti il 7 marzo 1928 Rizzi rivolgendosi a Camelli: “Credi potranno bastare per la decisione del podestà i due schizzi prospettici della sala portati in gennaio? Io credo, invece, che sarà necessario presentare i bozzetti delle singole composizioni. Il partito delle tavole si presta a svolgere il tema in modo assai distinto ed originale ma aumenta anche le difficoltà della trattazione e della scelta dei soggetti. Vi ho pensato un poco in questi ultimi giorni: dopo lunga meditazione le mie conclusioni sono queste (e le dico perchè ti desidero complice corresponsabile per quanto, almeno, concerne la scelta dei soggetti): I. Che non si possa rinunziare all'aneddoto per quanto questo si renda più difficile nella forma decorativa della tavola. II. Che convenga scegliere gli aneddoti in quel periodo comunale che culmina colle figure del Palavicino e del Dovara e germina colla ricostruzione della città dopo la distruzione di...di...fatta da Agilulfo (?) mi pare”. Secondo il progetto presentato dal Rizzi i soggetti sarebbero stati dieci: un'allegoria della città (“a scartamento ridotto”, sottolinea Rizzi), la ricostruzione della chiesa di San Michele con la figura della regina Teodolinda, l'assalto alle rocche del vescovo Landolfo nel 1030 che segna l'inizio della vita comunale, il convegno di Cremona nel 1167 poco prima di Pontida, il Carroccio, la partenza della nave (“detta la Buza”) nel 1189 alla volta di Gerusalemme, la Consacrazione della Cattedrale nel 1190, il vescovo Sicardo in quanto pacificatore tra il popolo della città vecchia e quello della città nuova, i ritratti di Uberto Pallavicino e Buoso da Dovara a cavallo con il palazzo di Cittanova sullo sfondo e in uno scomparto inferiore “la figura di Ezzelino rabbiosamente morente in carcere, concludendo con la costruzione del Torrazzo. “A me sembra che questi dieci soggetti siano tutti artisticamente belli – concludeva Antonio Rizzi – e riassumano il periodo comunale di Cremona che è anche, credo, il periodo più saliente o almeno più interessante di tutta la sua storia. Desidero però il tuo visto e la tua approvazione od, eventualmente, qualche tuo migliore suggerimento o consiglio prima di cominciare a studiare la forma (sebbene la forma già me la veda tutta, vagamente, in testa) poiché io di storia non me ne intendo”. Due bozzetti per la riforma del salone superiore del palazzo Cittanova sono conservati nei depositi del Museo Civico, attualmente in comodato presso la Prefettura di Cremona. Nello stesso periodo l'artista cremonese si stava occupando anche della decorazione della Sala della Consulta nel palazzo comunale, deliberata alla fine del 1927, per la quale realizzò l'ovale della volta di impronta settecentesca con otto tondi in cui raffigurò l'allegoria del Buon governo sulle orme del Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena, e quattro grandi pannelli che celebrano le glorie cittadine e le sue risorse economiche del territorio: la tradizione pittorica e quella musicale; le personalità politiche, religiose e letterarie, e i lavoratori dell'agricoltura e dell'industria. Il ciclo figurativo di palazzo Cittanova, dunque, avrebbe potuto costituire il pendant di quello comunale, collegandosi, anche idealmente, all'idea della rinascita politica ed economica determinata dal nuovo buongoverno fascista.

Il secondo bozzetto di Rizzi per il Cittanova
In realtà Rizzi aveva già presentato a Cremona due bozzetti alla fine del 1926 o nelle prime settimane del 1927 che non avevano avuto l'accoglienza sperata, motivo che l'artista imputa alla fretta con cui sono erano stati predisposti, come scrive lui stesso in una lettera a Camelli del 21 febbraio 1927: “Ho letto sul 'Regime' di venerdì un tuo articoletto sul palazzo di Cittanova e sento con piacere che i lavori volgono al termine. Mi pare tuttavia che, per quanto riguarda gli affreschi tu cominci a parlarne alquanto freddamente. Penso che forse è male io abbia lasciati a Cremona quei due piccoli schizzi fatti in tutta furia in poche ore come per dire: vedrei, press'a a poco, una cosa così e così; schizzi che, se presi alla lettera, non possono aver dato luogo che ad una infinità di critiche. E si capisce. Quest'anno, per me, riguardo al salone, è stata una vera fatalità: mentre credevo avere un'annata libera da altri impegni, come mi avvenne negli anni scorsi (ed a quest'ora il progetto sarebbe tutto pronto al completo) non ebbi mai un momento di respiro ed al palazzo non mi fu più possibile pensare. Ora, nel marzo, spero poterci ripensare e completerò subito il progettino della parete grande, poi te lo manderò o te ne manderò fotografia e quindi proseguirò, in quel tempo che potrò disporre, allo studio delle altre pareti”. Rizzi si mostra molto interessato alla realizzazione, anche se, con estremo scrupolo, non manca di esternare la propria preoccupazione per l'assetto definitivo del salone, comprendente anche gli arredi che avrebbero dovuto armonizzarsi con il ciclo affrescato. E si dice disposto a rinunciare ad altre commesse pur di eseguire l'importante lavoro cremonese, a patto che all'ombra del Torrazzo si esca dall'incertezza. “Ma vorrei sapere anche se qualcuno ha già pensato al rivestimento in legno – scrive - al motivo delle finestre e del fregio, perchè questi ultimi due specialmente vanno armonizzati per forma e colore colle storie delle pareti ed io nel mio progettino ci ho pensato a modo mio e mi sembra anche in modo che non possa spiacere agli architetti archeologi di Milano. Ad ogni modo è bene intendersi poiché si tratta di un'opera che a volerla abbracciare riempiendo le pareti di macchie di colore come si trattasse di una festa per Carnovale, con molti aiuti, si potrebbe fare anche in un mese o due ma a volerne poi fare un'opera d'arte che possa rimanere negli anni o nei secoli, se non ci vogliono due secoli ci vogliono certo degli anni. Bisogna tu mi dica chiaro quali sono le intenzioni dei padroni di Cremona, quali le intenzioni della Sovrintendenza: In aprile od in maggio avrò una nuova visita di quei negozianti d'arte di Boston che mi diedero lavoro quest'anno scorso. Potrebbero darmi altre ordinazioni. Se io so di dover fare quest'opera grandiosa a Cremona rinuncio alle ordinazioni eventuali (sebbene si tratti di gente che non paga molto, o, ma puntualmente alle consegne) ma non mi converrebbe rinunciare se le cose di Cremona dovessero continuare a nuotare in un mare di incertezza”.

In attesa di conoscere quale siano le intenzioni della Soprintendenza, Rizzi fornisce le sue indicazioni sul rivestimento in legno che dovrebbe correre lungo le pareti: “Ti accludo già disegnato all'ingrosso il disegno dello stesso quale è nel mio progettino – scrive a Camelli il 31 marzo 1927 – Così com'è, coll'interruzione ogni cinque o sei scomparti di una targa piatta che richiama il motivo del fregio araldico ricorrente in alto e rompe la monotonia, fa bene nell'insieme e così desidererei che fosse. Quanto all'altezza esso deve terminare esattamente col margine inferiore delle finestre perchè le pareti frescate non devono essere bordure dipinte in basso (non facciamo una contraffazione dell'antico, siamo intesi, neh) e le scene figurali devono essere tagliate in basso precisamente dal rivestimento in legno. Ciò è segnato anche nel primo sommario schizzo che tieni. Il sedile io l'ho completamente abolito. Desiderei essere informato del disegno fatto dalla Sovrintendenza per un accordo”. L'attenzione dell'artista è addirittura maniacale e lo spinge ad aggiungere, in una cartolina postale scritta poche ore dopo: “Ti rammento che anche il colore delle parti in legno del Salone è indispensabile sia bene intonato a tutta la decorazione. 'Tinta di legno vecchio' – sottolinea – hai detto, e sta bene, ma le tinte di legno vecchio sono molte, dal color cioccolato al color tortora. Qui occorre il colore di un legno noce, di tono dorato, non verniciato. Parlo come se il lavoro si dovesse fare perchè, malgrado tutto, spero ancora si faccia”. Il 7 aprile Rizzi annunciava a Camelli che sarebbe stato presente all'inaugurazione del salone restaurato di palazzo Cittanova ed in tale occasione avrebbe portato due bozzetti, uno dell'allegoria e uno della finestra di uno dei due lati lunghi. “Non voglio però tu mi dia del toscano più di quanto ne merito”, aggiungeva riferendosi alla meticolosità nel descrivere i particolari che avrebbe dovuto avere la zoccolatura, della cui resa l'artista sembra molto preoccupato. “Io ero partito dall'idea di abolire completamente il sedile e per questo avevo mantenute le riquadrature chiodate molto comuni in alta Italia. Verona per es. ne è piena ed anche il motivo della targa applicata alla riquadratura (l'ho vista in alta Italia e,se non erro, a Verona o giù di lì. Ad ogni modo di queste quistioni nessuno se ne può intendere meglio della Sovrintendenza. E' certo però che se nelle pitture volessero una imitazione di stile vera e propria, rinuncerei”.

Sorge, però, un altro problema: la chiusura dell'apertura presente sulla sinistra della parte di fondo, dove oggi sono collocate le scale che conducono all'ascensore, che il pittore vorrebbe eliminare: “Questo sì è veramente un punto sul quale non potrei assolutamente transigere. L'otturazione di quella apertura era già stata concessa e convenuta di comune accordo coll'architetto Perrone sino al prima sopralluogo al palazzo nella primavera del '25, ricordi? Se quell'apertura non si chiudesse la parete principale coll'allegoria sarebbe fritta in padella!...E'stata chiusa? Ci scommetto che no. Ma bisognerà pensarci subito, tanto subito che anche architettonicamente par sufficiente la traccia all'esterno di quella foratura”. Ma la parete di fondo non può essere modificata con l'eliminazione dell'apertura, destinata originariamente a condurre all'arengario poi eliminato, ed allora Rizzi punta i piedi. Ha già pronti “tre disegnetti acquarellati su cartaccia qualsiasi”, sufficienti però a chiarire l'idea dell'artista in merito alla decorazione del salone, e non è disposto a rinunciare al proprio progetto. “Ciò significa in modo lampante che tutta la decorazione figurale modernista 'anche del più spinto modernismo' (così dicevi tu ultimamente) non ha più ragion d'essere. Nel 1200 non usavano tanti fronzoli, bastavano le pareti nude. Seguendo quest'ultimo criterio è ben certo che il mio progetto potrebbe anche esser giudicato, magari, un cinematografo ma io chiedo allora (silicet parva ecc.a) che cosa sia tutto Giotto se non cinematografo. Cinematografo sì, ma con tanta arte in più che il mobile spettacolo delle films non potrà mai avere; e ciò per quella completa assenza di stile che ha, in se stessa, la realtà nuda e cruda. Siamo d'accordo? Riassumendo: come posso io rinunziar alla soppressione (internamente) dell'apertura per l'arengario se questa mi rovina in pieno la composizione della grande allegoria? Più semplice rinunziare all'impresa: si gira internamente un rubinetto e...non se ne parla più”. Rizzi d'altronde si era sempre detto contrario a qualsiasi falsificazione storica dell'antico, “per quale non sprecherei un'ora sola del mio tempo esistendo per la bisogna decoratori abilissimi, specializzati, al servizio della Sovrintendenza”, sognando “di poter fare un importante lavoro di carattere popolare e narrativo come questo, parlando al pubblico semplicemente, spontaneamente come il cuore detta”. Si pensa allora di rivedere il progetto originario, riducendo il ciclo affrescato ad una serie di ”quadri figurali” per aggirare l'ostacolo. Ma Rizzi non sembra disposto a sentir ragioni. “Dici bene che la decorazione deve servire l'architettura e non viceversa - scrive a Camelli l'11 maggio 1927- ma ripeto che, per le precedenti intelligenze, ho sempre calcolato quell'apertura come soppressa. Questo il nodo della quistione che ha provocato i miei strambotti più che plausibili, del resto. Ora mi spieghi chiaramente che Sovrintendenza e pubblica opinione sono contrarie ad una decorazione di lusso ma che il Comune, ciò malgrado, vuol farmi l'onore dell'incarico di una serie di soggetti ecc.a. Ed è onore veramente troppo superiore ai miei piccoli meriti ma anche doppia responsabilità tanto più che a tirar le somme di una preventivo (coi prezzi tuttora vigenti) si monta ad una cifra non differente. Di tutto parleremo presto a Cremona. V'ha un punto della tua lettera alquanto oscuro ove dici che non debbo decorare il salone da cima a fondo come un pittore di stanze ma pensare solo ai soggetti figurali. Sarà bene per me ma, dato il carattere dell'ambiente (il qual andrà pur rispettato) non possono concepire i quadri figurali disgiunti da una ossatura (sia pur semplice) ornamentale”.


A giugno, l'ultimo colpo di scena, a cui Rizzi, però, mostra di non prestar fede, aggiungendo altre considerazioni personali sui gusti artistici della committenza di regime: la presenza di possibili problemi strutturali proprio alla vigilia dell'inaugurazione ed a restauro ultimato, con la rescissione del contratto con l'impresa esecutrice dei lavori. “La cosa mi par tanto carina, tanto geniale che il dispiacere si risolve in riso”, è il commento dell'artista. “Potrei dirti che me lo aspettavo, specialmente ora, dopo la raccomandazione del Duce ai podestà di economizzare nelle spese; ma me lo aspettavo anche perchè so come camminano le cose dell'arte in questo momento di trionfo novecentista e quali siano le direttive che vengono dall'alto... Potrei citarti altri esempi del genere, recentissimi. E' deplorevole che un'alta e quadrata mente quale è quella del nostro Duce non abbia per le cose d'arte quella matura competenza che occorrerebbe per reggere il timone di questa barca e finisca poi col trovarsi dominato da timonieri e...timoniere che non so in quali acque faranno condurre il naviglio. Io non sono un misoneista; anzi guardo tutto serenamente, senza preconcetti e (secondo la mia comprensione) ciò che mi par nuovo e bello lo ammiro con entusiasmo, quando non è degenerazione. Ma vorrei tu vedessi, ad esempio, la maggior parte delle tele esposte qui alla mostra degli avanguardisti del 'Sindacato' e della 'Casa del Selvaggio'!!...Parola d'onore che certi dipinti li può fare anche la mia servotta che non conosce altra tecnica che quella del lavandino. Eppure sono queste le esposizioni oggi portate ed incoraggiate ufficialmente dal Governo con elogi, quattrini ed acquisti. Per concludere: credo che se invece del mio umilissimo nome si fosse trattato di qualche luminare del tipo Carrà, Soffici, Rosay e quant'altri insomma che abbiano già date serie prove di negazione assoluta per mestiere del pittore, anche l'ingegnere capo del Genio civile avrebbe trovata solidissima la statica del palazzo di Cittanova. Se mi sbaglio me lo dirai”. Rizzi tuttavia spedì ugualmente quattro fotografie dei bozzetti che aveva già pronti, avvertendo che si trattava solo di schizzi di massima. La prima era un'allegoria della città con in alto “la figura simbolica della città colla impresa erculea, l'asta e l'ulivo ed il fascismo giovinetto, circondata dai santi protettori e da un nimbo di gloria. In basso l'agricoltura espressa con una scena realistica delle sfogliatrici di granturco. A sinistra il gruppo dei cremonesi celebri (in fondo, a cavallo gli antichi signori di Cremona). Presso la finestra...il Torrone e la Mostarda e, a destra, i cavalli”: La seconda raffigurava la prima finestra sul lato verso la piazza con il congresso di Cremona del 1167, la terza la seconda finestra verso la piazza con l'insurrezione contro il vescovo Landolfo e la pacificazione fra le due città e la quarta il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Alcuni di questi soggetti vennero ripresi in una successiva proposta presentata a marzo del 1928, l'ultima prima del definitivo abbandono del progetto. La decorazione, come sappiamo, non fu mai realizzata e Rizzi in altra lettera attribuì questa decisione ad un ostracismo politico, in quanto non iscritto al sindacato corporativo fascista. I motivi, in realtà, sembrano essere di ordine economico: il 17 agosto 1927 la Sovrintendenza all'arte medievale e moderna rifiutò un ulteriore finanziamento di 20 mila lire per il palazzo Cittanova. Rizzi non si diede per vinto e, probabilmente su suggerimento di Camelli, presentò nel marzo dell'anno successivo un ulteriore progetto, che restò lettera morta. Del Cittanova non si parlò più ma l'artista ebbe l'incarico di dipingere la sala della Consulta di palazzo Comunale, dove utilizzò alcune delle idee che non era riuscito a concretizzare nel salone del Cittanova.

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