Giovanni Beltrami ritratto dal Piccio |
“V'ha egli forse mestieri di lodare
quando i soli fatti tessono l'encomio il più lusinghiero?”, si
chiedeva nel 1839 Antonio Meneghelli, parlando di Giovanni Beltrami
“onore del cielo italiano, perchè a niuno secondo fra i
glittografi antichi, e forse maggiore di quanti fiorirono ne' tempi a
noi più vicini. Sono chiari il Pistrucci e il Berini; questi per
molto valore nello scolpire le pietre dure tanto a rilievo, quanto ad
incavo; quegli per avere incisa la lira sterlina, guardata qual tipo
delle monete coniate per eccellenza. Ma niuno intraprese opere di
lunga lena pari a quelle del Beltrami; niuno di accinse a
rivaleggiare col pennello e collo scarpello; niuno diede in un
topazzo di pochi pollici, od alta pietra di simil tempra, la Cena di
Leonardo da Vinci, la Tenda di Dario di Lebrun, Giove coronato dalle
Ore dell'Appiani, e Bacco consegnato da Mercurio alla Ninfa
dell'antro Niseo, preso da un contorno dell'immortale Canova”
(Meneghelli Antonio, Insigne glittografo Giovanni Beltrami, Padova,
1839).
Giovanni Beltrami (1779-1854) nonno del
matematico Eugenio, è stato uno dei più grandi incisori di pietre
dure italiani, con ogni probabilità il più grande dell'Ottocento.
Presso il Museo civico Ala Ponzone si conserva quello che è
considerato il suo capolavoro: un cristallo di rocca, ma secondo
alcuni si tratta di un topazio
bianco del Brasile, con incisa la Tenda di Dario, soggetto tratto da
un dipinto del 1661 di Charles
Le Brun che si
trova a Versailles, realizzato nel 1828 per Bartolomeo
Turina e per il
fratello Ferdinando.
Ma tra i suoi clienti giovanili Beltrami poteva annoverare anche la
famiglia Bonaparte; nella raccolta di stampe Bertarelli a Milano è
conservata un'incisione all'acquaforte di Felice Zuliani che
riproduce due cammei con i ritratti di Napoleone e di sua moglie
Giuseppina di Beauharnais, andati in seguito perduti, come purtroppo
è accaduto a gran parte della produzione dell'incisore cremonese.
Potrebbe essere proprio la signora Bonaparte la figura femminile
ritratta nel cammeo, inciso in agata, che l'artista cremonese regge
nel ritratto che ne fece Giovanni Carnevali, detto il Piccio,
conservato oggi presso la Pinacoteca Ala Ponzone. Il ritratto ha
un'impostazione cinquecentesca con l'artista raffigurato di tre
quarti a mezzo busto che mostra tra le mani una delle sue creazioni.
I cammei per la famiglia Bonaparte |
I due nel 1838 avevano partecipato insieme all'esposizione di Brera
per la quale Beltrami aveva preparato una raffigurazione dell'Olimpo
tratta dal quadro di Andrea Appiani, che il settimanale artistico “Il
tiberino” di Roma del 21 settembre 1839, così descrive: “Giovanni
Beltrami cremonese, il più intraprendente glittografo, ed uno de'
pià valenti che si conoscano a' dì nostri. Cominciò sin da
fanciullo a trattare gli strumenti prossimi all'arte sua
nell'officina del padre, il quale era orefice non vulgare. Cresciuto
negli anni, ha poi condotte e i n incavo e a rilievo in pietre dure
moltissime opere, buon numero delle quali sono uscite d'Italia e sono
salite in molto pregio. La sua opera più celebre per complicazione è
la Toma di Dario; la più pregiata dagli intelligenti è il ritratto
del Sommariva. Il Beltrami è sorto artista quasi di sé, singolare
nell'arte sua, principalmente per sicurezza di mano e acutezza di
vista. Ora egli benchè molto innanzi negli anni, compì non ha guari
un topazio bianco di Russia, nel quale ha ritratto il quadretto
vaghissimo di Andrea Appiani rappresentante Giove incoronato dalle
Ore. Bello in codesta piccolissima traduzione è principalmente il
torso di Giove. Che se non ogni parte è con perfezione disegnata,
forse vorrà darsene colpa alla piccolezza delle dimensioni. E' forse
per timore di ciò il valentissimo glittografo romano allievo
prediletto di Pichler, il Borini, che vive in Milano da lunghi anni,
ama per consueto da lavorare alquanto più in grande; e veramente le
sue teste sono bellissime che si indicano a' dì nostri. Il Beltrami
sotto questa copia della lunetta d'Appiani ha scolpito il ritratto di
quel pittore, e gli è riuscito bello e somigliantissimo”.
Beltrami e il
Piccio si conoscevano probabilmente già da qualche anno attraverso
la comune frequentazione di artisti come Giuseppe Diotti e Pietro
Ronzoni. I Beltrami, d'altronde, erano una famiglia di artisti:
Giuseppe, fratello di Giovanni, era mercante ed antiquario che il
Piccio frequentava assiduamente per conoscere e studiare le opere
antiche che transitavano nella sua bottega. Il figlio Eugenio era
pittore e miniatore ed aveva sposato la cantante veneziana Elisa
Barozzi, che il Piccio ritrasse in un bellissimo disegno conservato
sempre al museo civico Ala Ponzone. Dal matrimonio tra i due sarebbe
nato il matematico Eugenio. Un altro figlio di Giovanni, Luigi, aveva
sposato una pittrice padovana, Elisa Benato a cui lo stesso Piccio
aveva donato una piccola tela rappresentante “La danza delle
stagioni”.
La tenda di Dario (Museo Civico Ala Ponzone, Cremona) |
Eppure
Giovanni aveva imparato l'intaglio delle pietre dure e preziose da
autodidatta. Lui, nato nel 1779, figlio di un gioielliere, Giuseppe e
di Teresa Cipelli e nipote del pittore Andrea Beltrami, “Giovanni -
scrive Meneghelli – sin dall'infanzia guardava con occhio di
meraviglia le pietre lavorate, e una bella testa era per lui una vera
delizia. Più grandicello osò porsi all'opra; e come ignorava del
tutto gli strumenti usati per quella maniera di reazioni, si lusingò
che, giovandosi delle punte di diamante legate in ferro, avrebbe
ottenuto in qualche guisa l'intento. Era questo il metodo dei primi
incisori, ma no 'l sapeva il Beltrami; come, posta mano al lavoro,
conobbe che quel meccanismo era difficile e di non felici
risultamenti. Amore e Dafne in un diaspro rosso, un ritratto in
corniola del conte Algarotti, una Baccante, un Giulio Papirio colla
madre s'ebbero i primi tributi; però non se ne stette contento.
Sentì che poteva fare molto di più; ma sentì che non avrebbe
aggiunta la meta desiderata, se non gli venisse di giovarsi del
metodo seguito dagli altri glittografi. Chiese al genitore di andare
a Milano, di accostarsi a qualche incisore di pietre dure per
apparare gli opportuni artifizii, divisando nel tempo stesso di
frequentare l'Accademia di belle arti per consacrarsi a tutt'uomo al
disegno, a prestar forme alla creta”. Dopo un apprendistato
insoddisfacente presso il glittografo milanese Giuseppe Grassi, il
giovane Beltrami se ne torna a Cremona dove nella bottega del padre
inizia a fabbricarsi gli attrezzi che aveva visto, ma non aveva
potuto sperimentare. Inizia col realizzare un cammeo con Eraclito e
Democrito inciso su topazio orientale, Giove e Venere in agata blu e
poco più tardi in topazio bianco una scena con Amore Psiche. La
prima commissione importante arriva con il vicerè Eugenio de
Beauharnais, figlio di Giuseppina moglie di Napoleone, che “avea
veduto con occhio di compiacenza qualche saggio del nostro artista.
No andò guari che gli allogò una collana di sedici camei, il cui
tema esser dovea la storia di Psiche. E perchè sapeva che alla più
squisita perizia glittografica accoppiava molto valore nel disegnare,
e molta fecondità nella invenzione, così volle che tutto uscisse
dalla sua mano, e suoi fossero i pensieri, i disegni”. Beltrami
sottopone il soggetto all'artista di corte Andrea Appiani e, avutane
l'approvazione, esegue il lavoro. Ma “e già l'opera viaggiava per
la contemplata destinazione; ma il corriere venne aggredito, e la
collana pure fu preda di quelle mani rapaci che tutto aveano
involato. Increbbe al Principe Eugenio il sinistro; ma nobile
retribuì a larga mano il Beltrami, come se avesse ricevuto i camei,
e ordinò che un'altra collana dell'intutto eguale occupasse
l'ingegno dell'abile artista”. La collana era un dono del vicerè
alla sua sposa, la principessa Augusta di Baviera, sposata nel 1806.
Agli stessi data il ritratto su cammeo dell'imperatrice Giuseppina:
“L'area dell'agata zaffirina. Sopra cui venne eseguito, era allo
incirca di un pollice e mezzo; eppure ne uscì un vero prodigio
dell'arte. Nè va di che stupire: quanto più piccolo era il
diametro, tanto più felici vedeane i risultati”. Nel 1815,
Beltrami si trova presso la corte bavarese di Massimiliano I per cui
realizza diversi lavori, tra i quali un intaglio con il ritratto del
sovrano, attualmente a Vienna presso il museo del tesoro imperiale
(Schatzkammer) nel palazzo di Hofburg.
Circa dieci anni più tardi, Carolina Augusta di Baviera, figlia di Massimiliano e divenuta imperatrice d'Austria, gli commissiona un ritratto in onice dell'imperatore Francesco I simile a quello già eseguito per il padre. Tra i clienti privati figura Bartolomeo Turina di Cremona che gli commissiona diversi lavori: Angelica e Medoro, la Ricchezza conquistata da Cupido, la Testa di Niobe e Rinaldo e Armida. Sempre per Bartolomeo Turina e per il fratello Ferdinando esegue un Bacco fanciullo, un Amore e Psiche (ante 1834), una corniola color acqua marina di sua invenzione e la Tenda di Dario (1828) oggi al museo civico Ala Ponzone. “Di questa Tenda – osserva il Meneghelli – si è fatto un gran cenno sin dalle prime; ma non si è detto che l'argomento è preso da un ampio dipinto; non si è detto che venne fedelmente tradotto in un topazzo di soli cinque pollici e mezzo. Tre anni interi d'incessante preoccupazione ci mostrano la lunghezza e la difficoltà dell'imprendimento, cone gli amplissimi elogi che ne fecero attestano la felicità con cui liberò la sua fede. Non v'ebbe Giornale che non magnificasse il Beltrami; e più dei Giornali va posta a calcolo la lettera tutta lodi, tutta congratulazioni, che s'ebbe dal Cicognara, giudice di molto autorevole nella provincia delle arti belle...Da oltre venti sono le figure della scena rappresentante una specie di accampamento, cui fan corona parecchi alberi indigeni: sta nel mezzo la tenda, dove il figlio di Filippo, al cui fianco vedi il fedele Efestione, accoglie le desolatissime donne di Dario. Quante volte m'ebbi sotto gli occhi l'impronto di quella incisione, tante ammirai l'ingenuo straordinario del nostro artista, che tutto tradusse, tutto espresse da vero maestro. Il volto delle supplichevoli parla il più eloquente linguaggio di un dolore giunto agli estremi; Alessandro ed Efestione nella stessa loro alterezza ti si mostrano alquanto commossi: eppure sono faccie di poche linee. Felice nel colpire gli affetti, no 'l fu meno nel presentare gli atteggiamenti svariati dei tanti che ritti o genuflessi stansi intorno al Macedone. Se mire all'armonia delle membra, non puoi desiderarla maggiore; se volgi lo sguardo ai contorni, non sapresti immaginarli più dolci; se ti arresti al piegare dei panni, lo scorgi vero e spontaneo. E' questo un vero portento dell'arte”.
Circa dieci anni più tardi, Carolina Augusta di Baviera, figlia di Massimiliano e divenuta imperatrice d'Austria, gli commissiona un ritratto in onice dell'imperatore Francesco I simile a quello già eseguito per il padre. Tra i clienti privati figura Bartolomeo Turina di Cremona che gli commissiona diversi lavori: Angelica e Medoro, la Ricchezza conquistata da Cupido, la Testa di Niobe e Rinaldo e Armida. Sempre per Bartolomeo Turina e per il fratello Ferdinando esegue un Bacco fanciullo, un Amore e Psiche (ante 1834), una corniola color acqua marina di sua invenzione e la Tenda di Dario (1828) oggi al museo civico Ala Ponzone. “Di questa Tenda – osserva il Meneghelli – si è fatto un gran cenno sin dalle prime; ma non si è detto che l'argomento è preso da un ampio dipinto; non si è detto che venne fedelmente tradotto in un topazzo di soli cinque pollici e mezzo. Tre anni interi d'incessante preoccupazione ci mostrano la lunghezza e la difficoltà dell'imprendimento, cone gli amplissimi elogi che ne fecero attestano la felicità con cui liberò la sua fede. Non v'ebbe Giornale che non magnificasse il Beltrami; e più dei Giornali va posta a calcolo la lettera tutta lodi, tutta congratulazioni, che s'ebbe dal Cicognara, giudice di molto autorevole nella provincia delle arti belle...Da oltre venti sono le figure della scena rappresentante una specie di accampamento, cui fan corona parecchi alberi indigeni: sta nel mezzo la tenda, dove il figlio di Filippo, al cui fianco vedi il fedele Efestione, accoglie le desolatissime donne di Dario. Quante volte m'ebbi sotto gli occhi l'impronto di quella incisione, tante ammirai l'ingenuo straordinario del nostro artista, che tutto tradusse, tutto espresse da vero maestro. Il volto delle supplichevoli parla il più eloquente linguaggio di un dolore giunto agli estremi; Alessandro ed Efestione nella stessa loro alterezza ti si mostrano alquanto commossi: eppure sono faccie di poche linee. Felice nel colpire gli affetti, no 'l fu meno nel presentare gli atteggiamenti svariati dei tanti che ritti o genuflessi stansi intorno al Macedone. Se mire all'armonia delle membra, non puoi desiderarla maggiore; se volgi lo sguardo ai contorni, non sapresti immaginarli più dolci; se ti arresti al piegare dei panni, lo scorgi vero e spontaneo. E' questo un vero portento dell'arte”.
Il bacio al MOMA (New York) |
Nel
1834 risulta ultimata, per il conte Sola di Milano, una corniola
bianca con il ritratto di Raffaello,
mentre, in quello stesso anno, Beltrami è impegnato nella
lavorazione dell'Olimpo
di Appiani
per essere presentato all'esposizione di Brera.
Altri committenti privati sono Bartolomeo Soresina Vidoni e Giovanni Battista Sommariva. Nei primi anni Venti dell'Ottocento, il conte Giovan Battista Sommariva è impegnato in un progetto ambiziosissimo: la decorazione del salone della sua villa di Tremezzo sul lago di Como.
Per questo aveva ordinato al noto scultore danese Bertel Thorvaldsen una serie di bassorilievi in marmo raffiguranti l'ingresso trionfale di Alessandro a Babilonia. I bassorilievi giungono da Roma tra il 1818 e il 1826, anno della morte del Sommariva che non può così vedere compiuta l'opera.
Negli stessi anni, il Sommariva decide di far incidere i soggetti dei bassorilievi su pietre preziose a affida l'incarico a Giovanni Beltrami. Conosciamo uno di questi lavori, un topazio di Siberia datato 1825, con incisa la scena di Due palafrenieri che trattengono Bucefalo, il cavallo di Alessandro il Macedone, attraverso un disegno di Paolo Vimercati Sozzi, attualmente presso il museo Poldi Pezzoli di Milano. Dell'intaglio originale di Beltrami si sono perse le tracce, non risultando nemmeno inserito nel catalogo che accompagna la dispersione della collezione Sommariva avvenuta a Parigi nel 1839.
Sempre per Sommariva Beltrami produce numerose gemme intagliate tratte da alcuni dei dipinti della sua collezione. Di queste esiste un'agata con la Comunione di Atala (ora in collezione privata), tratta da un dipinto di Anne-Louis Girodet che si trova a Parigi al museo del Louvre, un cristallo di rocca con Il Bacio dal dipinto di Francesco Hayez oggi al Metropolitan di New York (quello di Tremezzo realizzato nel 1823 per Sommariva, non quello più celebre di Brera che è del 1859) e un intaglio raffigurante Curzio, che si trova a Londra al British Museum. Del 1827 è un altro lavoro che desta la meraviglia dei contemporanei: un topazio del Brasile con incisa L'Ultima cena di Leonardo da Vinci “lungo qualche linea meno di un pollice”. Racconta Meghenelli che “tanto malagevole era l'assunto, ch'egli stesso in sulle prime si accusava di troppo ardimento. Fece cuore; ma osservò il più scrupoloso silenzio, onde, se per isventura la mano fosse venuta meno all'impresa vagheggiata, niuno il sapesse, e niuno quindi l'accagionasse di pretensione smodata. L'opera riuscì per eccellenza, e l'autore di mostrò maggiore di se stesso. La vide il principe Giovanni di Soresina Vidoni, la volle a tutto costo per sé, e se ne andò a Roma con quel tesoretto. Quanti lo videro, tanti l'ammirarono, tanti furon di lodi larghissimi, e ragguardevole Porporato fece le più calde istanze perchè gli fosse ceduto, offrendo il prezzo di mille scudi; al che quel Principe acconsentire non seppe, com'era a vedersi”.
Altri committenti privati sono Bartolomeo Soresina Vidoni e Giovanni Battista Sommariva. Nei primi anni Venti dell'Ottocento, il conte Giovan Battista Sommariva è impegnato in un progetto ambiziosissimo: la decorazione del salone della sua villa di Tremezzo sul lago di Como.
Per questo aveva ordinato al noto scultore danese Bertel Thorvaldsen una serie di bassorilievi in marmo raffiguranti l'ingresso trionfale di Alessandro a Babilonia. I bassorilievi giungono da Roma tra il 1818 e il 1826, anno della morte del Sommariva che non può così vedere compiuta l'opera.
Negli stessi anni, il Sommariva decide di far incidere i soggetti dei bassorilievi su pietre preziose a affida l'incarico a Giovanni Beltrami. Conosciamo uno di questi lavori, un topazio di Siberia datato 1825, con incisa la scena di Due palafrenieri che trattengono Bucefalo, il cavallo di Alessandro il Macedone, attraverso un disegno di Paolo Vimercati Sozzi, attualmente presso il museo Poldi Pezzoli di Milano. Dell'intaglio originale di Beltrami si sono perse le tracce, non risultando nemmeno inserito nel catalogo che accompagna la dispersione della collezione Sommariva avvenuta a Parigi nel 1839.
Sempre per Sommariva Beltrami produce numerose gemme intagliate tratte da alcuni dei dipinti della sua collezione. Di queste esiste un'agata con la Comunione di Atala (ora in collezione privata), tratta da un dipinto di Anne-Louis Girodet che si trova a Parigi al museo del Louvre, un cristallo di rocca con Il Bacio dal dipinto di Francesco Hayez oggi al Metropolitan di New York (quello di Tremezzo realizzato nel 1823 per Sommariva, non quello più celebre di Brera che è del 1859) e un intaglio raffigurante Curzio, che si trova a Londra al British Museum. Del 1827 è un altro lavoro che desta la meraviglia dei contemporanei: un topazio del Brasile con incisa L'Ultima cena di Leonardo da Vinci “lungo qualche linea meno di un pollice”. Racconta Meghenelli che “tanto malagevole era l'assunto, ch'egli stesso in sulle prime si accusava di troppo ardimento. Fece cuore; ma osservò il più scrupoloso silenzio, onde, se per isventura la mano fosse venuta meno all'impresa vagheggiata, niuno il sapesse, e niuno quindi l'accagionasse di pretensione smodata. L'opera riuscì per eccellenza, e l'autore di mostrò maggiore di se stesso. La vide il principe Giovanni di Soresina Vidoni, la volle a tutto costo per sé, e se ne andò a Roma con quel tesoretto. Quanti lo videro, tanti l'ammirarono, tanti furon di lodi larghissimi, e ragguardevole Porporato fece le più calde istanze perchè gli fosse ceduto, offrendo il prezzo di mille scudi; al che quel Principe acconsentire non seppe, com'era a vedersi”.
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