Il bozzetto di Antonio Rizzi al museo civico Ala Ponzone |
Anche per la giunta Galimberti, il
palazzo Cittanova rappresenta un spina nel fianco. Il Comune resta
dell'idea che l'edificio debba essere valorizzato, anche se il
precedente bando per l'assegnazione in concessione ad un privato ad
uso di sala polivalente, non ha avuto l'esito sperato. Corsi e
ricorsi storici. Nel 1883 il consiglio comunale di Cremona aveva
addirittura deciso all'unanimità di raderlo al suolo per i costi
elevati che avrebbe comportato il suo restauro. Tra i più fervidi
sostenitori della demolizione vi era Leonida Bissolati che però
venne messo in minoranza da una successiva votazione del 20 gennaio
1886 con cui se ne decise, viceversa, il recupero. In realtà
dovevano trascorrere altri 27 anni perchè iniziassero i lavori veri
e propri, sulla base di un progetto dell'ingegnere milanese Emilio
Gussalli sostenuto dall'assessore Alessandro Groppali, approvato dal
consiglio comunale il 14 giugno 1913. Il palazzo restò chiuso per
quattordici anni fino a quando nel 1927, furono conclusi gli
interventi di tipo statico, come annunciava trionfalmente il “Regime
Fascista” del 25 maggio: “Ora il palazzo, magnifico e suggestivo
nella struttura esterna, nella scala, nello smisurato salone
superiore, è nuovo invidiabile ornamento di Cremona che via via coi
successivi restauri di edifici, con la messa in valore delle sue
raccolte, è prossima a ridiventare centro artistico e storico
impareggiabile, e attrattiva irresistibile per gli italiani e per gli
stranieri”. Eppure solo dopo un anno si era già pronti a mettere
nuovamente mano ad un altro corposo intervento di
“modernizzazione”che avrebbe dovuto interessare la decorazione
del grande salone, con il coinvolgimento del pittore Antonio Rizzi.
Il progetto, che avrebbe comportato una serie di affreschi lungo le
pareti del salone e sul soffitto, non fu mai realizzato. Se ne trova
traccia nel corposo epistolario intercorso tra l'artista e il suo
pigmalione, Illemo Camelli, maggiore sponsor del nuovo progetto che
avrebbe dovuto rimarcare in modo più esplicito i legami storici
intercorrenti tra il nuovo assetto politico fascista e l'autonomia
comunale medievale. Scrive infatti il 7 marzo 1928 Rizzi rivolgendosi
a Camelli: “Credi potranno bastare per la decisione del podestà i
due schizzi prospettici della sala portati in gennaio? Io credo,
invece, che sarà necessario presentare i bozzetti delle singole
composizioni. Il partito delle tavole si presta a svolgere il tema in
modo assai distinto ed originale ma aumenta anche le difficoltà
della trattazione e della scelta dei soggetti. Vi ho pensato un poco
in questi ultimi giorni: dopo lunga meditazione le mie conclusioni
sono queste (e le dico perchè ti desidero complice corresponsabile
per quanto, almeno, concerne la scelta dei soggetti): I. Che non si
possa rinunziare all'aneddoto per quanto questo si renda più
difficile nella forma decorativa della tavola. II. Che convenga
scegliere gli aneddoti in quel periodo comunale che culmina colle
figure del Palavicino e del Dovara e germina colla ricostruzione
della città dopo la distruzione di...di...fatta da Agilulfo (?) mi
pare”. Secondo il progetto presentato dal Rizzi i soggetti
sarebbero stati dieci: un'allegoria della città (“a scartamento
ridotto”, sottolinea Rizzi), la ricostruzione della chiesa di San
Michele con la figura della regina Teodolinda, l'assalto alle rocche
del vescovo Landolfo nel 1030 che segna l'inizio della vita comunale,
il convegno di Cremona nel 1167 poco prima di Pontida, il Carroccio,
la partenza della nave (“detta la Buza”) nel 1189 alla volta di
Gerusalemme, la Consacrazione della Cattedrale nel 1190, il vescovo
Sicardo in quanto pacificatore tra il popolo della città vecchia e
quello della città nuova, i ritratti di Uberto Pallavicino e Buoso
da Dovara a cavallo con il palazzo di Cittanova sullo sfondo e in uno
scomparto inferiore “la figura di Ezzelino rabbiosamente morente in
carcere, concludendo con la costruzione del Torrazzo. “A me sembra
che questi dieci soggetti siano tutti artisticamente belli –
concludeva Antonio Rizzi – e riassumano il periodo comunale di
Cremona che è anche, credo, il periodo più saliente o almeno più
interessante di tutta la sua storia. Desidero però il tuo visto e la
tua approvazione od, eventualmente, qualche tuo migliore suggerimento
o consiglio prima di cominciare a studiare la forma (sebbene la forma
già me la veda tutta, vagamente, in testa) poiché io di storia non
me ne intendo”. Due bozzetti per la riforma del salone superiore
del palazzo Cittanova sono conservati nei depositi del Museo Civico,
attualmente in comodato presso la Prefettura di Cremona. Nello stesso
periodo l'artista cremonese si stava occupando anche della
decorazione della Sala della Consulta nel palazzo comunale,
deliberata alla fine del 1927, per la quale realizzò l'ovale della
volta di impronta settecentesca con otto tondi in cui raffigurò
l'allegoria del Buon governo sulle orme del Lorenzetti nel palazzo
pubblico di Siena, e quattro grandi pannelli che celebrano le glorie
cittadine e le sue risorse economiche del territorio: la tradizione
pittorica e quella musicale; le personalità politiche, religiose e
letterarie, e i lavoratori dell'agricoltura e dell'industria. Il
ciclo figurativo di palazzo Cittanova, dunque, avrebbe potuto
costituire il pendant di quello comunale, collegandosi, anche
idealmente, all'idea della rinascita politica ed economica
determinata dal nuovo buongoverno fascista.
Il secondo bozzetto di Rizzi per il Cittanova |
In realtà Rizzi aveva già presentato
a Cremona due bozzetti alla fine del 1926 o nelle prime settimane del
1927 che non avevano avuto l'accoglienza sperata, motivo che
l'artista imputa alla fretta con cui sono erano stati predisposti,
come scrive lui stesso in una lettera a Camelli del 21 febbraio 1927:
“Ho letto sul 'Regime' di venerdì un tuo articoletto sul palazzo
di Cittanova e sento con piacere che i lavori volgono al termine. Mi
pare tuttavia che, per quanto riguarda gli affreschi tu cominci a
parlarne alquanto freddamente. Penso che forse è male io abbia
lasciati a Cremona quei due piccoli schizzi fatti in tutta furia in
poche ore come per dire: vedrei, press'a a poco, una cosa così e
così; schizzi che, se presi alla lettera, non possono aver dato
luogo che ad una infinità di critiche. E si capisce. Quest'anno, per
me, riguardo al salone, è stata una vera fatalità: mentre credevo
avere un'annata libera da altri impegni, come mi avvenne negli anni
scorsi (ed a quest'ora il progetto sarebbe tutto pronto al completo)
non ebbi mai un momento di respiro ed al palazzo non mi fu più
possibile pensare. Ora, nel marzo, spero poterci ripensare e
completerò subito il progettino della parete grande, poi te lo
manderò o te ne manderò fotografia e quindi proseguirò, in quel
tempo che potrò disporre, allo studio delle altre pareti”. Rizzi
si mostra molto interessato alla realizzazione, anche se, con estremo
scrupolo, non manca di esternare la propria preoccupazione per
l'assetto definitivo del salone, comprendente anche gli arredi che
avrebbero dovuto armonizzarsi con il ciclo affrescato. E si dice
disposto a rinunciare ad altre commesse pur di eseguire l'importante
lavoro cremonese, a patto che all'ombra del Torrazzo si esca
dall'incertezza. “Ma vorrei sapere anche se qualcuno ha già
pensato al rivestimento in legno – scrive - al motivo delle
finestre e del fregio, perchè questi ultimi due specialmente vanno
armonizzati per forma e colore colle storie delle pareti ed io nel
mio progettino ci ho pensato a modo mio e mi sembra anche in modo che
non possa spiacere agli architetti archeologi di Milano. Ad ogni modo
è bene intendersi poiché si tratta di un'opera che a volerla
abbracciare riempiendo le pareti di macchie di colore come si
trattasse di una festa per Carnovale, con molti aiuti, si potrebbe
fare anche in un mese o due ma a volerne poi fare un'opera d'arte che
possa rimanere negli anni o nei secoli, se non ci vogliono due secoli
ci vogliono certo degli anni. Bisogna tu mi dica chiaro quali sono le
intenzioni dei padroni di Cremona, quali le intenzioni della
Sovrintendenza: In aprile od in maggio avrò una nuova visita di quei
negozianti d'arte di Boston che mi diedero lavoro quest'anno scorso.
Potrebbero darmi altre ordinazioni. Se io so di dover fare
quest'opera grandiosa a Cremona rinuncio alle ordinazioni eventuali
(sebbene si tratti di gente che non paga molto, o, ma puntualmente
alle consegne) ma non mi converrebbe rinunciare se le cose di Cremona
dovessero continuare a nuotare in un mare di incertezza”.
In attesa di conoscere quale siano le
intenzioni della Soprintendenza, Rizzi fornisce le sue indicazioni
sul rivestimento in legno che dovrebbe correre lungo le pareti: “Ti
accludo già disegnato all'ingrosso il disegno dello stesso quale è
nel mio progettino – scrive a Camelli il 31 marzo 1927 – Così
com'è, coll'interruzione ogni cinque o sei scomparti di una targa
piatta che richiama il motivo del fregio araldico ricorrente in alto
e rompe la monotonia, fa bene nell'insieme e così desidererei che
fosse. Quanto all'altezza esso deve terminare esattamente col margine
inferiore delle finestre perchè le pareti frescate non devono essere
bordure dipinte in basso (non facciamo una contraffazione
dell'antico, siamo intesi, neh) e le scene figurali devono essere
tagliate in basso precisamente dal rivestimento in legno. Ciò è
segnato anche nel primo sommario schizzo che tieni. Il sedile io l'ho
completamente abolito. Desiderei essere informato del disegno fatto
dalla Sovrintendenza per un accordo”. L'attenzione dell'artista è
addirittura maniacale e lo spinge ad aggiungere, in una cartolina
postale scritta poche ore dopo: “Ti rammento che anche il colore
delle parti in legno del Salone è indispensabile sia bene intonato a
tutta la decorazione. 'Tinta di legno vecchio' – sottolinea – hai
detto, e sta bene, ma le tinte di legno vecchio sono molte, dal color
cioccolato al color tortora. Qui occorre il colore di un legno noce,
di tono dorato, non verniciato. Parlo come se il lavoro si dovesse
fare perchè, malgrado tutto, spero ancora si faccia”. Il 7 aprile
Rizzi annunciava a Camelli che sarebbe stato presente
all'inaugurazione del salone restaurato di palazzo Cittanova ed in
tale occasione avrebbe portato due bozzetti, uno dell'allegoria e uno
della finestra di uno dei due lati lunghi. “Non voglio però tu mi
dia del toscano più di quanto ne merito”, aggiungeva riferendosi
alla meticolosità nel descrivere i particolari che avrebbe dovuto
avere la zoccolatura, della cui resa l'artista sembra molto
preoccupato. “Io ero partito dall'idea di abolire completamente il
sedile e per questo avevo mantenute le riquadrature chiodate molto
comuni in alta Italia. Verona per es. ne è piena ed anche il motivo
della targa applicata alla riquadratura (l'ho vista in alta Italia
e,se non erro, a Verona o giù di lì. Ad ogni modo di queste
quistioni nessuno se ne può intendere meglio della Sovrintendenza.
E' certo però che se nelle pitture volessero una imitazione di stile
vera e propria, rinuncerei”.
Sorge, però, un altro problema: la
chiusura dell'apertura presente sulla sinistra della parte di fondo,
dove oggi sono collocate le scale che conducono all'ascensore, che il
pittore vorrebbe eliminare: “Questo sì è veramente un punto sul
quale non potrei assolutamente transigere. L'otturazione di quella
apertura era già stata concessa e convenuta di comune accordo
coll'architetto Perrone sino al prima sopralluogo al palazzo nella
primavera del '25, ricordi? Se quell'apertura non si chiudesse la
parete principale coll'allegoria sarebbe fritta in padella!...E'stata
chiusa? Ci scommetto che no. Ma bisognerà pensarci subito, tanto
subito che anche architettonicamente par sufficiente la traccia
all'esterno di quella foratura”. Ma la parete di fondo non può
essere modificata con l'eliminazione dell'apertura, destinata
originariamente a condurre all'arengario poi eliminato, ed allora
Rizzi punta i piedi. Ha già pronti “tre disegnetti acquarellati su
cartaccia qualsiasi”, sufficienti però a chiarire l'idea
dell'artista in merito alla decorazione del salone, e non è disposto
a rinunciare al proprio progetto. “Ciò significa in modo lampante
che tutta la decorazione figurale modernista 'anche del più spinto
modernismo' (così dicevi tu ultimamente) non ha più ragion
d'essere. Nel 1200 non usavano tanti fronzoli, bastavano le pareti
nude. Seguendo quest'ultimo criterio è ben certo che il mio progetto
potrebbe anche esser giudicato, magari, un cinematografo ma io chiedo
allora (silicet parva ecc.a) che cosa sia tutto Giotto se non
cinematografo. Cinematografo sì, ma con tanta arte in più che il
mobile spettacolo delle films non potrà mai avere; e ciò per quella
completa assenza di stile che ha, in se stessa, la realtà nuda e
cruda. Siamo d'accordo? Riassumendo: come posso io rinunziar alla
soppressione (internamente) dell'apertura per l'arengario se questa
mi rovina in pieno la composizione della grande allegoria? Più
semplice rinunziare all'impresa: si gira internamente un rubinetto
e...non se ne parla più”. Rizzi d'altronde si era sempre detto
contrario a qualsiasi falsificazione storica dell'antico, “per
quale non sprecherei un'ora sola del mio tempo esistendo per la
bisogna decoratori abilissimi, specializzati, al servizio della
Sovrintendenza”, sognando “di poter fare un importante lavoro di
carattere popolare e narrativo come questo, parlando al pubblico
semplicemente, spontaneamente come il cuore detta”. Si pensa allora
di rivedere il progetto originario, riducendo il ciclo affrescato ad
una serie di ”quadri figurali” per aggirare l'ostacolo. Ma Rizzi
non sembra disposto a sentir ragioni. “Dici bene che la decorazione
deve servire l'architettura e non viceversa - scrive a Camelli l'11
maggio 1927- ma ripeto che, per le precedenti intelligenze, ho sempre
calcolato quell'apertura come soppressa. Questo il nodo della
quistione che ha provocato i miei strambotti più che plausibili, del
resto. Ora mi spieghi chiaramente che Sovrintendenza e pubblica
opinione sono contrarie ad una decorazione di lusso ma che il Comune,
ciò malgrado, vuol farmi l'onore dell'incarico di una serie di
soggetti ecc.a. Ed è onore veramente troppo superiore ai miei
piccoli meriti ma anche doppia responsabilità tanto più che a tirar
le somme di una preventivo (coi prezzi tuttora vigenti) si monta ad
una cifra non differente. Di tutto parleremo presto a Cremona. V'ha
un punto della tua lettera alquanto oscuro ove dici che non debbo
decorare il salone da cima a fondo come un pittore di stanze ma
pensare solo ai soggetti figurali. Sarà bene per me ma, dato il
carattere dell'ambiente (il qual andrà pur rispettato) non possono
concepire i quadri figurali disgiunti da una ossatura (sia pur
semplice) ornamentale”.
A giugno, l'ultimo colpo di scena, a
cui Rizzi, però, mostra di non prestar fede, aggiungendo altre
considerazioni personali sui gusti artistici della committenza di
regime: la presenza di possibili problemi strutturali proprio alla
vigilia dell'inaugurazione ed a restauro ultimato, con la rescissione
del contratto con l'impresa esecutrice dei lavori. “La cosa mi par
tanto carina, tanto geniale che il dispiacere si risolve in riso”,
è il commento dell'artista. “Potrei dirti che me lo aspettavo,
specialmente ora, dopo la raccomandazione del Duce ai podestà di
economizzare nelle spese; ma me lo aspettavo anche perchè so come
camminano le cose dell'arte in questo momento di trionfo novecentista
e quali siano le direttive che vengono dall'alto... Potrei citarti
altri esempi del genere, recentissimi. E' deplorevole che un'alta e
quadrata mente quale è quella del nostro Duce non abbia per le cose
d'arte quella matura competenza che occorrerebbe per reggere il
timone di questa barca e finisca poi col trovarsi dominato da
timonieri e...timoniere che non so in quali acque faranno condurre il
naviglio. Io non sono un misoneista; anzi guardo tutto serenamente,
senza preconcetti e (secondo la mia comprensione) ciò che mi par
nuovo e bello lo ammiro con entusiasmo, quando non è degenerazione.
Ma vorrei tu vedessi, ad esempio, la maggior parte delle tele esposte
qui alla mostra degli avanguardisti del 'Sindacato' e della 'Casa del
Selvaggio'!!...Parola d'onore che certi dipinti li può fare anche la
mia servotta che non conosce altra tecnica che quella del lavandino.
Eppure sono queste le esposizioni oggi portate ed incoraggiate
ufficialmente dal Governo con elogi, quattrini ed acquisti. Per
concludere: credo che se invece del mio umilissimo nome si fosse
trattato di qualche luminare del tipo Carrà, Soffici, Rosay e
quant'altri insomma che abbiano già date serie prove di negazione
assoluta per mestiere del pittore, anche l'ingegnere capo del Genio
civile avrebbe trovata solidissima la statica del palazzo di
Cittanova. Se mi sbaglio me lo dirai”. Rizzi tuttavia spedì
ugualmente quattro fotografie dei bozzetti che aveva già pronti,
avvertendo che si trattava solo di schizzi di massima. La prima era
un'allegoria della città con in alto “la figura simbolica della
città colla impresa erculea, l'asta e l'ulivo ed il fascismo
giovinetto, circondata dai santi protettori e da un nimbo di gloria.
In basso l'agricoltura espressa con una scena realistica delle
sfogliatrici di granturco. A sinistra il gruppo dei cremonesi celebri
(in fondo, a cavallo gli antichi signori di Cremona). Presso la
finestra...il Torrone e la Mostarda e, a destra, i cavalli”: La
seconda raffigurava la prima finestra sul lato verso la piazza con il
congresso di Cremona del 1167, la terza la seconda finestra verso la
piazza con l'insurrezione contro il vescovo Landolfo e la
pacificazione fra le due città e la quarta il banchetto nuziale di
Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Alcuni di questi soggetti
vennero ripresi in una successiva proposta presentata a marzo del
1928, l'ultima prima del definitivo abbandono del progetto. La
decorazione, come sappiamo, non fu mai realizzata e Rizzi in altra
lettera attribuì questa decisione ad un ostracismo politico, in
quanto non iscritto al sindacato corporativo fascista. I motivi, in
realtà, sembrano essere di ordine economico: il 17 agosto 1927 la
Sovrintendenza all'arte medievale e moderna rifiutò un ulteriore
finanziamento di 20 mila lire per il palazzo Cittanova. Rizzi non si
diede per vinto e, probabilmente su suggerimento di Camelli, presentò
nel marzo dell'anno successivo un ulteriore progetto, che restò
lettera morta. Del Cittanova non si parlò più ma l'artista ebbe
l'incarico di dipingere la sala della Consulta di palazzo Comunale,
dove utilizzò alcune delle idee che non era riuscito a concretizzare
nel salone del Cittanova.