venerdì 10 luglio 2015

Stradivari il "Gesuita"


Elia Santoro aveva ragione: Antonio Stradivari fu protetto dalla potente Compagnia di Gesù, come altri liutai del suo tempo e precedenti a lui. Quella che poteva essere solo una felice intuizione è stata recentemente confermata dal ritrovamento, tra i reperti stradivariani non ancora esposti al Museo del Violino, di un biglietto datato 24 agosto 1727, da cui si apprende come Giuseppe Filiberto Barbieri, rettore della Compagnia di Gesù, s'impegni a far pervenire una cassetta per conto di Antonio Stradivari al Procuratore dei Padri Gesuiti del Collegio di Modena. “Ho ricevuto dal Barone Pietro Fedele una cassetta seugnata colle lettere R.P.M., e procurerò dispedirla con opportuna occasione a Modena al Padre Procuratore dei padri Gesuiti di quella città, come si debba dal sig. Antonio Stradivari. In fede”. Il fortunato ritrovamento è stato effettuato dal conservatore del Msueo del Violino Fausto Cacciatori e dal paleografo Marco d'Agostino nell'ambito di una ricerca paleografica sui reperti stradivariani delle collezione civiche liutarie in cui sono stati sottoposti tutti i reperti, esposti e non, ad una nuova serie di analisi e confronti, anche con il contributo del Laboratorio Giovanni Arvedi di diagnostica non invasiva dell’Università di Pavia che ha sede all’interno del Museo.
Dopo oltre un anno di lavoro i primi risultati sono sorprendenti, con nuove attribuzioni e la scoperta di elementi originali, mai esposti in epoca recente. Dagli studi, che saranno completati entro l’anno e saranno pubblicati nel nuovo catalogo della collezione, sono emersi reperti sicuramente provenienti dalla bottega di Antonio Stradivari, che presentano sue annotazioni e che furono utilizzati per la costruzione dei suoi strumenti.
Fra quanto esaminato sono stati ritrovati, fra l’altro, i disegni per la decorazione della tastiera e della cordiera della viola tenore conservati alla Galleria dell’Accademia di Firenze, unico strumento ancora nelle condizioni originarie. Disegni pubblicati, all’inizio del secolo scorso, dai fratelli Hill nel loro libro sulla vita e le opere di Antonio Stradivari, ma dei quali si era persa ogni traccia.
Oltre a questi modelli anche il disegno forato per lo spolvero delle decorazioni presenti sulla fasce del violino Rode del 1720 appartenuto al Marchese Carbonelli di Mantova.
Il biglietto scritto da Busseto
Ma è sicuramente questo piccolo biglietto spedito da Busseto ad attirare l'attenzione anche dei non esperti sulla personalità stradivariana.
Già Santoro aveva notato come le etichette stradivariane rivelassero con chiarezza la protezione dei Gesuiti fin dal 1672 e lo stesso liutaio avesse quasi certamente aderito alla Compagnia di San Giuseppe sin dai tempi in cui questa si trovava sotto la parrocchia di Sant'Agata. Con ogni probabilità la Compagnia di Gesù aveva appoggiato ed apprezzato, come già fatto precedente dai Carmelitani, gli studi di carattere scientifico che Stradivari aveva condotto negli ultimi anni del XVII secolo sulla costruzione del violino. I Gesuiti, nel complesso di San Marcellino, oltre alle scuole, facevano funzionare anche tre oratori destinati ai giovani, e due Congregazioni, una destinata ai gentiluomini, cioè coloro che potevano vantare quarti di nobiltà ma del frattempo si erano impoveriti fino a tornare allo stato borghese, ed un'altra destinata ai mercanti e agli artisti. Quest'ultima era intitolata a San Giuseppe e curava un altare nella chiesa di Sam Marcellino dove, non a caso, sono conservati anche lavori di Giacomo Bertesi. La protezionedei Gesuti si rivela, nel caso di Stradivari, da un piccolo sigillo che a partire dal 1672 si trova sulla parte bassa a destra del cartiglio. Se la dicitura “Sub titulo Sanctae Teresae” che ritroviamo nei cartigli dei Guarneri secenteschi rivelava il riferimento ai Carmelitani, così la croce racchiusa in doppio circolo con le iniziali A.S. alludeva nel caso di Stradivari alla croce con il monogramma JHS usata dai Gesuiti. Ed è facile comprendere come il grande liutaio potesse affidarsi proprio a quell'ordine che grazie ai suoi numerosi collegi, aveva conquistato tutta l'Europa ed anche i nuovi continenti, così da consentire la diffusione della fama dei suoi violini grazie al prestigio ed agli ampi consensi goduti dall'ordine presso tutti i ceti sociali.
Il violino Rode del 1720
D'altronde i liutai avevano sempre goduto di protezioni da parte dei grandi origini religiosi fin dai tempi di Andrea Amati e di suo fratello, soprattutto da parte delle due grandi organizzazionidei carmelitani Scalzi e dei Gesuiti che, pur contrapposte, godevano a Cremoandi un indiscusso primato culturale. I Carmelitani Scalzi avevano la loro base nel convento nei pressi della chiesa di Sant'Imerio e, in virtù della loro predilezione per le scienze, si erano interessati alla costruzione degli strumenti ad arco, dando disponibilità alle richieste degli Amati. Niccolò ad esempio fece rogare nel 1682 il proprio testamento nel convento carmelitano, facendosi poi seppellire, due anni dopo, nella vicina chiesa di S. Imerio. Secondo Santoro la protezione dovevs risalire fino ai tempi del padre Niccolò e continuare con i Guarneri, che avevano vissuto con gli Amati. Il convento era dedicato a San Giovanni della Croce e alla santa riformatrice delle istituzioni delle istituzioni carmelitane Teresa di Gesù. La famiglia Amati, però, al contrario di Sradivari, aveva ritenuta questa protezione del tutto privata, diversamente dai Gesuiti, che invece, rendevano nota la loro protezione per questo o quel liutaio. All'inizio del XVII secolo, però, il collegio gesuitico di San Niccolò non esercitava ancora la propria influenza in campo culturale, ma si era ramificato nel settore mercantile. Tra i suoi adepti vi erano Alessandro Capra, alcuni consoli mercantili tra cui Domenico Mainoldi, un sindaco dell'Università degli orafi come Giovanni Battista Ferrari. Ma dalla metà del secolo i Gesuiti non fecero più mistero della predilezione riservata ad artisti, mercanti, banchieri e nobili.
La protezione esercitata dai Gesuiti su Stradivari è ancora più evidente nel caso di Giuseppe Guarneri, che, diversamente da tutti gli altri liutai, nell'etichetta dei suoi strumenti poneva un sigillo identico a quello dell'ordine con la croce e il monogramma JHS. I Gesuiti scelserodi proteggere questi liutai perchè ritenuti i più importantie gli unici in grado di rappresenare l'elite della scuola cremonese, anche se non disdegnarono di dare il lor appoggio anche ad litri liutai non cremonesi, cone Giovanni Battista Guadagnini, che nei suoi strumenti appoese etichette con un sigillo che imita quello gesuitivo con una croce o una doppia croce.
La collezione del Museo stradivariano è costituita da 1305 oggetti, forme e disegni preparatori per la costruzione degli strumenti, modelli cartacei e lignei e attrezzi di lavoro.
La raccolta, unica al mondo, si è costituita nel corso del tempo partendo dalla donazione di Giovanni Battista Cerani nel 1893, formata da 408 oggetti proveniente dal laboratorio del liutaio cremonese Enrico Ceruti. Seguirono altre donazioni, fra le quali ricordiamo quella dei coniugi Piazza Soresini, consistente nel pozzo e nel frammento di arcibanco proveniente dalla casa di Antonio Stradivari.
Il contributo più consistente arrivò nel 1930, quando il liutaio bolognese Giuseppe Fiorini donò a Cremona la collezione da lui acquistata, nel 1920, dagli eredi del conte Cozio di Salabue, cui era stata ceduta nel 1774 da Paolo, figlio di Antonio Stradivari. Il sommario inventario redatto da Illemo Camelli, direttore del Museo Civico, all’atto dell’acquisizione conteggiò 1303 oggetti.
Il 6 dicembre del 1956 tutto il materiale fu trasferito dal Museo Civico alla Scuola di Liuteria, che all’epoca aveva la propria sede in Palazzo dell’Arte; in questa occasione fu redatto un nuovo inventario da cui risultano 1117 reperti.
Tutto fu infine trasferito al Museo Civico e nel 1976 si inaugurò il Museo Stradivariano con ingresso da via Palestro. Nel 2001 l’ultimo spostamento nella sala Manfredini del Museo Civico, fino al 2013, anno dell’apertura del Museo del Violino. Il trasferimento nella nuova sede non ha introdotto variazioni nel percorso espositivo.
Particolari della viola tenore dell'Accademia
Nel 1972 Simone Fernando Sacconi pubblicò nel suo libro I Segreti di Stradivari il catalogo dei 709 reperti esposti nella sede di via Palestro; i reperti tuttora esposti a cui si sono aggiunti il frammento di arcibanco e la lettera autografa di Stradivari acquistata dalla fondazione Stauffer.
Una parte significativa della collezione, costituita da 509 oggetti, non fu mai fruibile dai visitatori, poiché tali reperti furono considerati di interesse inferiore rispetto a quelli esposti.
Un primo lavoro paleografico sui reperti esposti è stato svolto da Marco D’Agostino, professore del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università degli Studi di Pavia, e pubblicato nel 2009. Sono stati classificati i reperti, cartacei e lignei, con annotazioni autografe del liutaio cremonese, e sono state individuate le note eseguite da altre mani fra le quali il Conte Cozio di Salabue.
Con il trasferimento al Museo del Violino di tutto il materiale è stato avviato uno studio approfondito – a cura del conservatore Fausto Cacciatori in collaborazione con il paleografo Marco D’Agostino - sui 593 reperti che non erano mai stati esposti. Nello stesso tempo, in collaborazione con il professor Marco Malagodi, coordinatore scientifico del Laboratorio Giovanni Arvedi di diagnostica non invasiva dell’Università di Pavia che ha sede all’interno del Museo, sono in corso analisi chimiche sulla caratterizzazione elementale degli inchiostri utilizzati per le diverse annotazioni presenti sui reperti.
Per quanto rigaurda la scrittura l'esame paleografico ha permesso di enucleare tra i repetti mai esposti al pubblico un gruppo di manoscritti sicuramente autografi di Antonio Stradivari, tra cui, di notevole importanza, l'annotazione delle armi con intarsi in madreperla della viola tenore realizzate per il principe di Toscana. E' stato poi possibile riportare alla mano del grande liutaio altre annotazooni grazie al confronto con le lettre guida, individuate nella q, composta come fosse una g, la p e la d, e le aste ascendenti, molto elevate e sinuose che nella parte alta si piegano verso destra. Dallo studio effettuato è stato possibile ricondurre a Stradivari il 30% dei reperti non esposti.
Nonostante il principe dei liutai sia stato ampiamente studiato, non è mai stato individuato in modo inequivocabile il corpus direttamente riconducibile a lui e le caratteristiche del modo in cui lavorava la sua bottega, con la partecipazione dei figli Omobono e Francesco, prima che il figlio Paolo
cedesse tutto quanto in blocco al conte Cozio di Salabue. E' proprio questa figura di commerciante e collezionista a complicare un po' tutto quanto: le sue annotazione compaiono spesso accanto a quelle del maestro, spesso ne ripetono le frasi e il tono. Dopo la morte di Antonio gli eredi vendettero a Cozio di Salabue oltre ad un certo numero di violini trovato in bottega, anche forme, disegni e vari attrezzi. La collezione del conte, passata poi in eredità alla famiglia Dalla Valle nel 1840, fu poi venduta nel 1920 al liutaio Giuseppe Fiorini che a sua volta la donò al Comune di Cremona nel 1930. Un grande numero dei reperti stradivariani conservato al museo è provvisto di scrittura vergata non di rado anche da due o più mani: si tratta di 125 pezzi su 710. Le annotazioni erano state tutte attribuite a Antonio, ma già verso la fine degli anni Ottanta il conservatore Andrea
Mosconi era convinto che ci fosse anche dell'altro. Ed aveva ragione: solo il 30% di quelle scritte sono autografe, mentre la parte restante non lo era ed è forte il dubbio che, in realtà, sia stato proprio il conte Cozio a metterci del suo. E forse anche qualcuno dei due figli. Ci sono pervenute
tre preziose testimonianze manoscritte di Antonio Stradivari sicuramente di sua mano: una lettera datata 12 agosto 1708, una seconda lettera non datata, e il testamento del 24 gennaio 1729. I tre autografi sono conservati a Cremona, il primo al Museo stradivariano, il secondo all'Archivio di
Stato e il terzo presso la famiglia Sacchi. 

1 commento:

  1. Non mi sembra strano che Antonio facesse degli studi scientifici
    sulla costruzione dei violini.Infatti anche io ne faccio per la revisione dei miei clarinetti

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