Foglie di salice bianco |
Gli
effetti dell'acido salicilico, da cui si ottiene l'aspirina, sono
noti da tempo. Erodoto, nelle sue “Storie” parla di un popolo
stranamente più resistente degli altri alle comuni malattie, che usa
masticare le foglie di salice. Ippocrate, il padre della medicina
moderna, descrive nel V secolo una polvere amara estratta dalla
corteccia del salice, utile per alleviare il dolore ed abbassare la
febbre. Lo stesso rimedio viene citato dai sumeri, dagli egizi e
dagli assiri, ma era conosciuto anche dai nativi americani che lo
usavano per curare il mal di testa, la febbre, i dolori muscolari. E'
stato il reverendo Edward Stone, nel 1757, a scoprire gli effetti
benefici della corteccia del salice, da lui assaggiata, e sei anni
dopo, in una lettera inviata alla Royal Society, a giustificarne
l'utilizzo contro le febbri. Ma, prima che nel 1828 Johann Buchner
isolasse in cristalli la sostanza attiva dell'estratto di corteccia
del salice bianco, fu un medico cremonese a suggerirne l'uso di massa
per combattere gli effetti delle forme di raffreddamento tra i
contadini, dopo averne sperimentati gli effetti su se stesso. Il
medico si chiamava Matteo Moro e di lui è rimasto il ricordo per
essere stato l'inventore, qualche anno prima, di una particolare
seggiola ostetricia destinata alle partorienti. Curiosamente, però,
Francesco Robolotti, medico lui stesso, ed autore di una storia della
medicina cremonese, non lo ricorda tra i medici illustri suoi
contemporanei, limitandosi ad annotare che un suo opuscolo venne
rintracciato tra le carte del dottor Giambattista Rasori, di
Barzaniga.
Matteo
Moro suggerì la cura con l'acido salicilico in una lettera inviata
alla “Gazzetta di Cremona” dei fratelli Manini, il 22 luglio 1816
a pag. 240: Eccone il testo: Il dott. Moro Medico Chirurgo, già
conosciuto per le di lui produzioni stampate in Milano, membro di
diverse accademie, s'affretta di manifestare quanto segue.
Le
osservazioni in medicina, quanto più sono semplici, altrettanto sono
pregievoli. Una delle piante comunissime a rinvenirsi nelle Provincie
della Lombardia si è il Salice, o Salcio (Salix alba, fragilis,
pentandra Linnei). Tre sono le specie di salice che servono al
medesimo scopo, e poco diversificano fra loro nell'azione medica. Il
Salice in genere è conosciuto anche dal più idiota de' contadini
avendolo tutto di sott'occhio, coronando per lo più i loro campi.
Questa pianta indigena è considerata febbrifuga per sapore amaro,
stittico, balsamico della sua corteccia, specialmente ne' suoi rami.
Questo succedaneo alla China-China si è rescritto in decozione,
facendo bollire nell'acqua la corteccia di detta pianta, ed in altri
modi: ma parlando dei contadini, talvolta pressati dalle facende
della campagna, non trovano il tempo di fare con esattezza questa
bollitura decozione, colatura ecc., per cui al loro solito trascurano
ogni utile mezzo e si riducono gravemente infermi.
Il
dott. Moro nel 1815 fu travagliato da febbre intermittente di tipo
terzana, prese alquante once di china, e la febbre dopo un certo
periodo di tempo, gli ritornava. Dovendo per la di lui pubblica
delegazione visitare i suoi ammalati, alla mattina montava a cavallo,
e nel suo gire pigliava de' ramicelli di salice, e masticandone
questa corteccia ed inghiottendone la scialiva, provò in effetto che
più oltre non sentì la febbre, e che tanti contadini soggetti alla
febbre terzana consigliati da lui a far uso di quella corteccia nello
stesso modo, comodissima per loro da aversi, e potendola masticare
anche nel tempo che travagliano in campagna, specialmente alla
mattina a digiuno si preservavano dalla recidiva di detta terzana.
Questa
semplicissima osservazione può essere di grand'utile pei nostri
contadini, tanto più nella stagion presente, dove in alcune province
lombarde dominano molte febbri del suindicato carattere. Posta anche
la necessità di dover con giudizio del Medico arrestare colla China
China, od altro farmaco, certe febbri intermittenti, per la loro
intensità e carattere perniciose, sarà sempre cosa utile e
vantaggiosa ai nostri contadini, che loro sia nota l'azione
febbrifuga di un semplice che tutto di hanno sott'occhio, e il facile
metodo di adoperarlo per impedire la recidiva della terzana.
Quanti
uomini di campagna non andrebbero soggetti alle coliche, alle
dissenterie, al tenesmo etc. se trovandosi sull'aja con al verga in
mano battere i loro raccolti, facessero uso della suddetta corteccia
per masticazione! Essi per moto e pel calore estivo non soffrirebbero
questa sete inestinguibile che di sovente li obbliga a bere in gran
copia dell'acqua, e bevendone anche sarebbe corretta da quel succo
amaro, balsamico, corroborante che ne impedirebbe i tristi effetti.
S'affretta
l'osservatore, affinchè stante le attuali contingenze ciò sia reso
a pubblica notizia in bene dell'umanità. Da Cremona, lì 12 luglio
1816.
Fisico
D.G. Matteo Moro, Medico chirurgo maggiore”
Vecchia pubblicità dell'aspirina |
Non
si hanno molte notizie sull'opera di Matteo Moro. Viene citato il 7
dicembre 1797 come medico curante di Francesca Sartori di 51 anni di
Borgo Ticino (Pavia) (Annotazioni medico-pratiche sulle diverse
malattie trattate nella clinica medica della R. Università di Pavia
negli anni MDCCXCVI, MDCCXCVII, MDCCXCVIII...del signor professore
Giuseppe Frank...di Valeriano Luigi Brera, vol. II, Crema, Donna,
1807, pp. 77).
Francesco
Robolotti ricorda di aver trovato tra le carte del dottor
Giambattista Rasori, di Barzaniga, morto nel 1821 di tifo
petecchiale, un opuscolo dal titolo “Sull'opera di ostetricia del
prof. Nessi e del dottore Matteo Moro” e lo dice medico di Cremona
(Robolotti Francesco, Storia e statistica economico-medica
dell'Ospitale Maggiore di Cremona, Cremona, Feraboli, 1831, p. 277).
Nel
giornale di medicina pratica compilato da Valeriano Luigi Brera,
(vol.III, Padova, Stamperia del Seminario, 1813, p.273) si cita il
caso di un'ernia inguinale spuria “per causa verminosa” in un
paziente settantenne curato felicemente a Cremona da Matteo Moro. Che
nel 1814, è citato tra i membri dell'Ateneo Veneto. Una guarigione
che ha del prodigioso: “Si presentò al signor dott. Matteo Moro,
Medico-chirurgo in Cremona, un settuagenario di buon temperamento con
tumore dolente nella regione inguinale destra, accompagnato da
tormini, da movimento febbrile e da scarsezza di escrezioni alvine.
Tuttochè mancasse il vomito, il tumore aveva al tatto l'aspetto
d'un'ernia piuttosto omentale che intestinale. Si tentà in vano di
farne la riduzione; e perciò venne prescritto un clistere mollitivo:
Riveduto nel giorno susseguente quest'infermo si osservò, che dal
tumore riputato ernioso era uscito un grosso lombricoide; e che
svanita ogni tumefazione inguinale non vi rimase che il foro fatto
dal verme fuor uscito. Immediatamente si dissiparono la colica e la
febbre, e l'alveo divenne regolare. La picciola ferita fu ridotta in
pochi giorni a cicatrice”.
Nel
1812 Matteo Moro aveva presentato una nuova seggiola ostetrica di sua
invenzione per la casa delle partorienti di Santa Caterina alla ruota
di Milano “seggiola rinvenuta utile non solamente pel parto
naturale, ma ben anco per il non naturale” (Storia della medicina
in aggiunta e continua a quella di Curzio Sprengel scritta dal dott.
Francesco Freschi, vol. VIII, parte seconda, Milano, Volpato, 1851,
p. 1389 e Dizionario Classico di medicina interna ed esterna,
Venezia, Antonelli, 1835, p. 700) L'opuscolo, accompagnato da due
tavole in rame, pubblicato da Sonzogno, è recensito dal Giornale del
Taro del 1812, a pagina 158: “Le cognizioni del sig. dottor Moro in
punto d'ostetricia non possono essere dubbiose: dodici e più anni di
pratica non interrotta gli debbono aver presentate innumerevoli
occasioni di rettificare i suoi principi teorici, di esercitar la sua
mano, e di stabilire quali fossero gli stromenti ed apparecchi di
cui, per avventura, ancor mancava questo ramo sì importante della
chirurgia. I viaggi ch'egli ha intrapresi per le città principali
del Regno, il suo non breve soggiorno in questa capitale e le spese
da lui impiegate per arricchirsi ognor più più di lumi
nell'esercizio della sua arte, sono nuovi titoli che procacciar
debbono al nostro professore confidenza ed estimazione. Guidati da
questi riflessi, abbiamo, tempo fa, raccomandata la sua operetta,
intitolata 'Dottrina umana delle cose principali per una levatrice';
ed ora ci facciamo premura di annunziare la nuova seggiola
ostetricia, da lui ultimamente inventata, sicuri che le persone
dell'arte ne riconosceranno tutta l'utilità, e non tarderanno a
farne uso, ed a sostituirla alle altre seggiole praticate da prima. I
favorevoli voti, che ha già riscosso da incliti personaggi
l'invenzione del sig, dottor Moro, mentre le presagiscono il più
felice successo, debbono altresì fin d'ora incoraggiarne l'autore, e
dargli fondate speranze sulla pubblica riconoscenza”.
Il
nostro medico cremonese può dunque essere inserito tra i primi
sperimentatori dell'efficacia dell'acido salicilico, anche se la vera
storia
dell’aspirina ha avuto inizio nel XVIII secolo grazie alle fortuite
associazioni mentali di un pastore della contea di Oxford. Un giorno,
passeggiando in un bosco, il reverendo Edward Stone, esperto
botanico, assaggiò, per caso, un pezzetto di corteccia di un salice.
Trovandola particolarmente amara richiamò nella sua mente l’amaro
sapore della cinchona, pianta dalla quale veniva estratto il chinino,
conosciutissimo anti-malarico, importata dal Perù.
Il
reverendo, esperto anche di questioni mediche, iniziò a pensare che
la scorza di salice poteva essere utile per combattere le febbri
malariche, pur essendo stupito del fatto che, paradossalmente, questo
albero crescesse proprio nelle regioni più umide e insalubri. Il 2
giugno 1763, Edward Stone lesse una relazione alla riunione della
Royal Society di Londra, in cui venivano presentati i successi
ottenuti, nella lotta alle febbri malariche, con il decotto di scorza
di salice su 50 soggetti febbricitanti. Nella sua ricerca
intitolata: "Sulla corteccia di salice nella cura delle febbri
malariche" avviò sulla scena terapeutica i salicilati e quindi
l’aspirina. Il decotto di corteccia di salice tanto esaltato da
questo ecclesiastico di Chipping Norton nell’Oxfordshire agiva
effettivamente nelle febbri malariche. Poco importava se l’azione
antifebbrile non era associata a quella anti-malarica effettiva del
chinino. Iniziarono nei primi decenni del XIX secolo indagini serrate
in punti disparati dell’Europa nel tentativo di ottenere allo stato
puro quella che veniva ritenuta la sostanza attiva del salice.
Nel
1828 il professor Johann Andreas Buchner di Monaco di Baviera ne
ricavò, mediante ebollizione, una massa gialla che chiamò salicina.
L'anno seguente il farmacista francese Leroux isolò la salicina,
principio composto da glucosio ed alcool salicilico in forma
cristallina:
30 grammi di "salicina" vengono estratti da 500 grammi di scorza di salice. Nel 1835, in Svizzera, da un cespuglio selvatico molto comune nei campi si ottiene una sostanza simile: viene chiamata "spirsauro" e qualche anno dopo ci si accorge che è acido acetilsalicilico allo stato puro.
30 grammi di "salicina" vengono estratti da 500 grammi di scorza di salice. Nel 1835, in Svizzera, da un cespuglio selvatico molto comune nei campi si ottiene una sostanza simile: viene chiamata "spirsauro" e qualche anno dopo ci si accorge che è acido acetilsalicilico allo stato puro.
Si
deve però, a Raffaele Piria, chimico napoletano, il merito di aver
scoperto che dalla salicina si poteva giungere all’acido
salicilico. Piria ne dette comunicazione in due articoli, "Ricerche
sulla salicina ed i prodotti che ne derivano" (1838) e "Ricerche
di chimica organica sulla salicina" (1845). Intanto la salicina
era stata trovata in diversi vegetali come nei fiori di ulmaria e
nell’olio di gualteria (essenza di Wintergreen).
Ed
infine, nel 1853 il chimico Charles Frederic Gerhardt di Strasburgo
produsse per la prima volta l'acido acetilsalicilico, in forma
tuttavia chimicamente impura e quindi non stabile. Il procedimento di
acetilazione risultò così complesso da scoraggiare le aziende
farmaceutiche, tanto da ritardare di circa 44 anni il passo
successivo. Ad Hermann Kolbe di Marburgo va invece il merito di aver
scoperto la struttura dell'acido salicilico e di averlo sintetizzato.
Nel
1874 si poté così avviare la produzione industriale dell'acido
salicilico, il cui prezzo era dieci volte inferiore a quello del
prodotto naturale. Questa sostanza aveva tuttavia un gusto
sgradevole e spesso aggrediva la mucosa gastrica, costringendo le
persone afflitte da dolori a scegliere tra due mali.
Felix Hoffmann |
Ad
arriviamo a quello che è stato sempre ritenuto lo scopritore
dell'aspirina: Felix Hoffmann, era un giovane chimico dell’industria
chimica tedesca Bayer di Leverkusen, in Renania Bayer. Il padre di
Felix, affetto da una grave forma di malattia reumatica, assumeva il
salicilato di sodio che gli conferiva un grande giovamento,
nonostante il sapore sgradevole e l’effetto gastrolesivo. Nel
tentativo di migliorare la qualità di vita del padre, Felix
Hoffmann iniziò a condurre indagini sistematiche alla ricerca di un
composto efficace e tollerabile, alternativo al salicilato di sodio.
Muovendo dalle esperienze di Gerhardt, Hoffmann tentò di nobilitare
l'acido salicilico per migliorarne la tollerabilità e riuscì nel
suo intento mediante l'acetilazione, cioè attraverso la combinazione
di acido salicilico con acido acetico. Il 10 agosto 1897 egli
descrisse nelle sue note di laboratorio l'acido acetilsalicilico
(ASA), da lui sintetizzato in forma chimicamente pura e stabile.
Ma il vero scopritore dell'aspirina non sarebbe stato lo scienziato cui da sempre viene attribuita l'impresa, ma il suo superiore, ebreo tedesco, Arthur Eichengruen, il cui ruolo è stato cancellato con l'ascesa al potere dei nazisti in Germania.
Ma il vero scopritore dell'aspirina non sarebbe stato lo scienziato cui da sempre viene attribuita l'impresa, ma il suo superiore, ebreo tedesco, Arthur Eichengruen, il cui ruolo è stato cancellato con l'ascesa al potere dei nazisti in Germania.
Questa
rivelazione è stata fatta di recente da Walter Sneader, vicecapo del
dipartimento di scienze farmaceutiche all'università di Strathclyde,
a Glasgow a seguito di alcune ricerche che gli hanno permesso di
trovare una descrizione della scoperta dell'aspirina di Hoffmann
nella Storia della Tecnologia Chimica datata 1934 (un anno dopo la
presa del potere di Adolf Hitler).
Sneader
sostiene che: Hoffmann era una delle 10 persone che lavoravano
sotto Eichengruen ai tempi della scoperta; un procedimento messo a
punto da Eichengruen è stato seguito negli esperimenti che hanno
portato all'aspirina. Secondo il professore scozzese, Eichengruen non
aveva condizioni di contestare Hoffmann nel 1934 perché stava
lottando contro la marea di antisemitismo e sperava di salvare la
Eichengruen Lavori Chimici, l'azienda che aveva fondato dopo aver
lasciato la Bayer nel 1908.
Eichengruen non ce l'ha fatta. La sua azienda e gran parte dei suoi averi sono stati sequestrati e, a 75 anni, è stato mandato al campo di concentramento di Theresienstadt nell'attuale Repubblica Ceca. E' sopravvissuto, ma non è stato in grado di pubblicare le sue rivendicazioni di aver scoperto l'aspirina fino al 1949. Lo ha fatto in un allora oscuro giornale scientifico tedesco chiamato Pharmazie, un mese prima di morire, ma la Bayer ha smentito tali affermazioni.
Arthur Eichengruen |
Eichengruen non ce l'ha fatta. La sua azienda e gran parte dei suoi averi sono stati sequestrati e, a 75 anni, è stato mandato al campo di concentramento di Theresienstadt nell'attuale Repubblica Ceca. E' sopravvissuto, ma non è stato in grado di pubblicare le sue rivendicazioni di aver scoperto l'aspirina fino al 1949. Lo ha fatto in un allora oscuro giornale scientifico tedesco chiamato Pharmazie, un mese prima di morire, ma la Bayer ha smentito tali affermazioni.
Prima
della sua registrazione, l'ASA fu sottoposto dalla Bayer a
sperimentazione clinica, una prassi fino ad allora sconosciuta. I
risultati furono così positivi che la direzione dell'azienda non
esitò ad avviare la produzione del farmaco.
Quando
l'1 febbraio 1897 la Bayer mette in commercio l'aspirina il nome non
è scelto a caso: la "a" è l'abbreviazione di acido
acetilsalicilico, "spir" viene da "spirsäure"
che in lingua tedesca sta per "acido della spirea", la
pianta da cui per la prima volta venne estratto l'acido, e
"ina" è uno dei suffissi classici utilizzati in chimica.
Il nome "aspirina", dunque, è una testimonianza precisa di
quanto di utile può essere contenuto nelle erbe ma costituisce anche
il punto di arrivo di una lunga ricerca scientifica. Il 1° febbraio
1899 venne depositato il marchio Aspirina che un mese dopo, il 6
marzo, fu registrato nella lista dei marchi di fabbrica dell'Ufficio
Imperiale dei Brevetti di Berlino. Iniziava così una marcia
trionfale: l’affermazione dell’aspirina fu da questo punto un
crescendo.
Nessun commento:
Posta un commento