Ebrei ashkenaziti |
Cremona, nel Cinquecento, è stata
sede, con Treviso, di una delle più grandi comunità di ebrei
ashkenaziti
in Europa. E proprio all'ombra del Torrazzo, verso la metà del
secolo, nacque l'ultimo dei grandi traduttori, erede di una
tradizione che affonda le proprie radici nel Medioevo. Si chiamava
Jacob Alpron, o Halpron, ed è stato per tutta la vita uomo di grande
cultura, correttore, pedagogo, tipografo e, soprattutto, traduttore
in yiddish e in volgare. Alla sua figura ed al suo principale lavoro
di traduzione di un trattato di particolare fortuna, Precetti
per le donne hebree,
un manuale scritto da rabbi Binyamin Slonik per guidare le lettrici
nei loro compiti familiari e nella vita di coppia, è dedicato il
libro di Pia Settimi “L'ultimo traduttore, Jacob Alpron tra yddish
e italiano” (Ed. Il Prato, Padova, 2017). Ne esce il ritratto di
una personalità straordinaria di intellettuale girovago, come molti
altri stampatori ebrei del tempo, sempre alla ricerca di benefattori
e di protezione per sbarcare per lo più il lunario come precettori
in case facoltose. Sponsor di Alpron furono quasi sempre matrone
ebree, donne energiche e di discreta cultura, cui spettava un ruolo
da protagoniste nella gestione della vita domestica. A una di queste,
una certa Bona, figlia di Emanuele Cuzzeri, Alpron dedica l’editio
princeps,
apparsa nel 1616, della propria versione, dall’yiddish in italiano,
di un manuale che guidi le lettrici nei loro compiti familiari e
nella vita di coppia. Nella seconda metà del Cinquecento, Alpron
aveva spesso tradotto dall’ebraico in yiddish. Ai primi del
Seicento, il nostro erudito girovago passa invece dall’yiddish al
volgare, in risposta alle mutate condizioni linguistiche, dove il
dialetto giudeo-tedesco degli ebrei immigrati in Italia
settentrionale lascia il posto alla lingua nazionale, l'italiano. Gli
ebrei di origine tedesca erano sparsi in tutta la pianura padana, ma
erano particolarmente concentrati a Treviso e a Cremona. La stessa
famiglia di Jacob proveniva con ogni probabilità da Praga. L'yiddish
era loro lingua che, tra Quattro e Cinquecento, attecchisce tra le
comunità ebraiche dell’Italia settentrionale grazie sopratutto
alla tipografia ebraica che nel XVI secolo vive la propria epoca
d'oro. È una produzione minore e popolareggiante, rivolta
innanzitutto alle donne, che non sono in grado, per mancanza
d’istruzione, di affrontare i grandi tomi rabbinici. Fino a quando
agli inizi del Seicento un tipografo ebreo decideva
di dedicare una parte consistente della sua produzione alla
letteratura in volgare diretta al pubblico dei suoi correligionari.
Era questi Jacob (Giacomo) Katz da Castellazzo, un polacco
proveniente da Cracovia, conosciuto come il Soresina. Impiegato come
correttore di testi ebraici nella stamperia di Giovanni De Gara a
Venezia, qualche anno dopo si era messo in proprio e, grazie
all’esperta consulenza di Leon da Modena, di cui pubblicava alcune
delle opere più importanti, faceva uscire dai suoi torchi una scelta
di significativi testi ebraici in traduzione volgare. L’opera più
importante e controversa, uscita dalla stamperia di Soresina, era un
manuale di ritualistica, rivolto alle donne ebree delle comunità
dell’Italia settentrionale.
Mercanti ebrei in una miniatura |
Si
trattava di una traduzione ampliata e adattata di un’opera
originalmente pubblicata in yiddish dal rabbino lituano Beniamin da
Grodno, intesa a rendere edotte le donne sulle norme rituali che
erano richieste di osservare. Il traduttore in volgare toscano era il
rabbino Jacob Alpron, che, dopo essere transitato a Villafranca
d'Asti, dove è documentato nel 1565, ed a Riva di Trento, approdato
a Padova, apponeva numerose aggiunte per rendere il testo confacente
alle esigenze del pubblico ebraico italiano (Mizwot nashim melammedah
[...]. Precetti da
esser imparati dalle Donne Hebree [...] composto per Rabbì Biniamin
d’Harodono in lingua tedesca, tradotto ora di nuovo dalla detta
lingua nella Volgare,Venezia
1616).
Era il primo libro di ritualistica che non veniva stampato in ebraico
ma in italiano, e costituiva una vera e propria rivoluzione nel campo
della letteratura ebraica, destinata agli ebrei della penisola. I
Precetti godettero di un prevedibile successo e venero
ristampati a Padova nel 1625 e a Venezia nel 1652 e nel 1710. Poi nel
1732 la Chiesa di Roma li mise all’indice e ne vietò la
pubblicazione, forse perché non vedeva di buon occhio che un testo
di ritualistica ebraica si trovasse alla portata anche di un pubblico
di lettori cristiani, che avrebbero potuto risultarne contaminati. Il
domenicano Antonino Teoli, predicatore agli
ebrei del ghetto di Roma, incaricato dalla Congregazione del
Sant’Uffizio di redigere un dettagliato rapporto sui Precetti
era
giunto alla conclusione che si dovesse proibire quel testo perché
conteneva sconcezze e oscenità, che avrebbero turbato i lettori
cristiani, soprattutto i giovani e i più
sprovveduti. Il tema delle tradizioni rituali ebraiche, che a dire
degli inquisitori «erano esse quasi tanti fiumi derivati dal
velenoso mare talmudico», esercitava un fascino irresistibile per i
cristiani, che conoscevano poco e male il giudaismo rabbinico, verso
il quale provavano in cuor loro sentimenti ambivalenti, di attrazione
e di repulsione. D'altra parte la leadership religiosa ebraica era
refrattaria a rendere pubblici in una lingua accessibile a tutti i
riti giudaici nelle loro forme e con le loro giustificazioni nel
legittimo timore che, interpretati con malizia e tendenziosità,
avrebbero potuto essere fonte di nuove discriminazioni e
persecuzioni. In questo, se pur con motivazioni diverse e talvolta
diametralmente opposte, preti e rabbini andavano paradossalmente
d'accordo.
Antico calendario ebraico |
L'ambiente
in cui nasce Jacob Alpron era culturalmente molto vivo. Durante la
dominazione spagnola la colonia cremonese era divenuta la più
numerosa ed influente dell'ebraismo lombardo. Al momento della
definitiva espulsione degli ebrei dallo Stato di Milano nel giugno
del 1597 a Cremona erano presenti 37 nuclei familiari, per un totale
di circa 220 persone, ma qualche anno prima, nel 1590, le presenze
erano arrivate ad essere 456. Nel 1576 la popolazione si concentrava
soprattutto in tre zone cittadine: S. Lucia, S. Bartolomeo, S. Sofia,
S. Nicola alle spalle del palazzo del Comune; S. Elena, S.
Margherita, S. Leonardo, S. Agata lungo la strada per Milano; S.
Vito, S. Prospero, Mercatello, S. Tommaso, S. Ippolito sul fianco del
duomo, verso la porta per Venezia. A Cremona, a differenza delle
altre città, non venne mai attuato per difficoltà di realizzazione
il progetto della segregazione in un ghetto, individuato nella
contrada “Prato del vescovo” che dal fianco del duomo giungeva a
Santa Maria in Betlem. Le attività prevalenti erano quella
feneratizia, con tassi di interesse oscillanti dal 20 fino al 40%, il
commercio dell'usato, l'oreficeria e soprattutto la stampa.
Sappiamo
che a Cremona venne copiato un libro di preghiere già nel 1479 e,
sempre nella seconda metà del XV secolo, un libro di preghiere per
le feste. Risale poi al 1480 la copia del Commento di Gersonide al
Pentateuco, mentre un Pentateuco era stato copiato nel 1474. Nel 1550
il celebre copista Meir da Padova copiò qui dei rotoli della Legge
per Josef Norlenghi. Nella seconda metà del XVI secolo ebbe luogo
anche l'episodio del Kherem,
cioè la scomunica, proclamata dai rabbini di diverse città
italiane, convenuti a Cremona, contro il Me'or
Einajim di
Azariah de' Rossi, accusato di esprimere teorie in contrasto con la
tradizione, in particolare riguardo alle aggadot (insegnamenti)
talmudiche e midrashiche e riguardo alle pretese della cronologia di
risalire all'epoca della creazione del mondo. Il testo del Kherem
fu
approvato dal rabbino Avraham Menachem Porto-Cohen (Katz) e
sottoscritto da Shaul Refael Carmini, rappresentante degli ebrei del
Ducato, entrambi cremonesi.
L'attività
tipografica per cui Cremona divenne famosa è legata alla
pubblicazione di svariate opere ebraiche, stampate nella tipografia
di Vincenzo Conti, prima, e, poi, di Cristoforo Draconi, entrambi
cristiani, che, con la loro produzione, soppiantarono per qualche
anno il primato di Venezia.
Vincenzo
Conti era stato già attivo nel campo tipografico proprio a Venezia
da cui si trasferì a Cremona, dove ottenne il permesso di stampare
in latino nel 1555 e, l'anno seguente, iniziò a stampare testi
ebraici, dietro invito degli israeliti locali, cui era vietato
l'esercizio dell'attività tipografica.
La
produzione del Conti si estese per un arco di 11 anni (1556–1567),
suddividendosi in due periodi: dal 1556 al 1561 e dal 1565 al 1567. A
differenza di quanto era in uso, Conti si servì di caratteri
tipografici nuovi e di svariate decorazioni per i frontespizi. Dal
1560–61 sino al 1565 l'attività tipografica cremonese fu
interrotta a causa della disputa sul Talmud che si era conclusa con
il rogo del 1559, in cui furono bruciati anche numerosi esemplari
della tipografia del Conti. Era accaduto che nel 1559, a seguito di
una violenta predicazione quaresimale, l'Inquisitore Giovanni
Battista Clarino aveva ordinato di consegnare entro poche ore, sotto
pena pecuniaria, tutti i libri proibiti, Talmud in
primis:
in seguito alle accorate proteste ebraiche presso il sovrano Filippo
II, il governatore dello Stato di Milano Cristoforo Madruzzo, pur
ordinando la restituzione dei libri sequestrati agli ebrei, non vi
incluse il Talmud, mentre gli Inquisitori cercarono di sottrarre la
questione all'intervento dell'autorità laica, mandando al rogo oltre
10.000 libri[
La
prima opera stampata dal Conti fu Ammudei
Golah di
Isaac ben Josef di Corbeil, che uscì grazie alla collaborazione di
Samuel Boehm e Shmuel Zanvil Pescarol (Pescarolo): quest'ultimo,
oltre ad aver collaborato alla stampa di diverse altre opere in cui,
tuttavia, secondo l'uso del tempo, non sempre il suo nome figurava,
era correttore di stampa e responsabile della censura secondo le
regole imposte dall'Inquisizione. Quanto a Boehm, prima di essere
attivo a Cremona, era stato noto correttore di stampa a Venezia.
Il
rabbino Meir Heilpron, anch'egli di provenienza veneziana, fu attivo
nella stampa di opere ebraiche a Cremona e, poi, a Mantova, mentre il
rabbino Hajim Gattegno fu coinvolto nell'edizione dello Zohar,
che è l'opera più famosa legata alla tipografia del Conti, uscita
nel 1559. La stampa di opere in yiddish si deve, invece, a Leib
Bress, rabbino di provenienza tedesca, ma legati all'attività
tipografica furono anche il rabbino Abraham Pescarol (Pescarolo) e il
rabbino David Norlenghi.
Vincenzo
Conti dal 1558 al 1567 continuò a stampare
libri ebraici censurati dall'Inquisizione, servendosi, però, della
tipografia di Riva di Trento, fondata da un altro ebreo cremonese, il
medico Jacob Marcaria, che vi si era trasferito nel 1557, dopo che a
Cremona era stato membro del tribunale rabbinico, presieduto da Yosef
Ottolenghi, in seguito alla pubblicazione della bolla di Paolo IV Cum
nimis absurdum,
che vietava ai medici ebrei di curare pazienti cristiani.
A
Cremona Conti ultimò la stampa del Mahzor tedesco,
iniziata a Sabbioneta (nel Ducato
di Mantova), nel 1556, da Tobia Foa, presso cui il Conti aveva fatto
il suo apprendistato, e, di converso, a Sabbioneta, venivano
terminate opere cominciate a Cremona.
Dopo
la morte del Conti, nel 1569 o nel 1570, l'attività tipografica fu
ripresa da Cristoforo Draconi che stampò, nel 1576, l'opera Josef
Lekah di
Eliezer Ashkenazi, giovandosi dell'aiuto di Solomon Bueno.
Contratto matrimoniale ebraico |
Tra
le figure di spicco nell'editoria ebraica dell'epoca vi è anche il
rabbino Josef Ottolenghi (Ottolengo), d'origine tedesca, residente a
Venezia, che si trasferì a Cremona, in virtù della libertà di
studio e di stampa che vi regnava, in contrasto con quanto accadeva
altrove in Italia, e vi aprì una yeshivah,
dando grande impulso agli studi e promuovendo l'afflusso di molti
studenti forestieri. La sua opera in favore dell'incremento degli
studi ebraici si ritrova menzionata con grande rilievo nella ben nota
cronaca di Josef ha-Cohen, Emeq
ha-Bakhah,
in cui si attribuisce il rogo del Talmud del 1559 alla controversia
tra l'Ottolenghi e il suo concorrente Joshua de' Cantori che, a
quanto si evince da una serie di indizi, non avrebbe avuto competenza
sufficiente per curare adeguatamente l’attività editoriale,
praticata, peraltro, principalmente a scopo di lucro.
Legato
alla disputa sul Talmud fu anche il gesuita Vittorio Eliano,
d'origine ebraica, nipote del noto grammatico Elia Levita Ashkenazi,
che soggiornò a Cremona come inviato dell'Inquisizione e fu attivo
come censore, della cui assistenza professionale si servì, per la
sua attività di stampa di manoscritti, Joshua de' Cantori.
Il
vicario dell'Inquisizione inviato a remona., fra Sisto da Siena,
ebraista, assistette al rogo di 12.000 codici talmudici, di mille
copie del Commento
della Torah di
Menachem da Recanati e di 10.000 scritti di attinenza talmudica,
salvando, tuttavia, 2.000 esemplari dello Zohar che
giacevano nella tipografia del Conti.
Alcuni
dei rabbini coinvolti nell'attività tipografica furono anche autori
di opere stampate e manoscritte in particolare Josef Ottolenghi,
Abraham Pescarol e David Norlenghi). Il noto Eliezer Ashkenazi
(Lazzaro Tedeschi), che fu anche rabbino a Cremona. per un breve
periodo, fu autore di alcune opere manoscritte, come Menachem
Coen-Porto.
Antonio
Campi si servì dell'incisore ebreo David da Lodi per la pianta della
città di Cremona, pubblicata nel suo libro Cremona fedelissima
città,
del 1585
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