Le due cassette contenenti il tesoro |
Che
fine ha fatto il “Tesoro di Bengasi”, con i suoi ottomila pezzi
comprendenti migliaia di monete di oro, di argento e di bronzo
nonché gioielli, statuette e altri oggetti di grande valore? Il
tesoro è stato sottratto durante il colpo di Stato in Libia il 25
maggio 2011 dal caveau della Banca Commerciale Nazionale di Bengasi
nei pressi dell'Hotel Dujal, dove era stato trasferito nel 2007.
Fadel Ali Mohamed, nuovo Chairman alle Antichità della Libia,
ha
consegnato al governo italiano una richiesta di aiuto e da allora si
è scatenata una vera e propria caccia al “tesoro” con
protagonisti gli archeologi della Maic (Missione Archeologica
Italiana a Cirene). Non è la prima volta che il “tesoro di
Bengasi” scompare nel nulla. Era già accaduto nel 1944 e teatro di
quel “furto” fu la nostra Cremona, dove il tesoro transitò
discretamente per poi ricomparire misteriosamente a guerra terminata
in un paesino della valle del Brenta, da cui fu riportato a Roma. Nel
1961 venne restituito al governo libico, ma qualcuno insinuò il
sospetto che gran parte si fosse persa lungo le strade del Nord
Italia, nella Repubblica di Salò. E la Cremona di Farinacci fa così
da sfondo ad uno dei gialli più intricati dell'archeologia antica:
il clamoroso tentativo dei gerarchi nazifascisti di trafugare dai
depositi romani un tesoro di inestimabile valore, andato in fumo solo
per il precipitare degli eventi che decretarono la fine della
Repubblica di Salò e con essa del fascismo. Tutte le carte che
riguardano la presenza del tesoro all'ombra del Torrazzo sono sparite
nel nulla. Il diavolo, però, come si sa, fa le pentole ma non i
coperchi, ed è stato così possibile ricostruire l'intera vicenda
grazie al materiale conservato oggi presso l'archivio
storico-diplomatico del Ministero degli affari esteri, rintracciato
da Serenella Ensoli, docente presso la seconda Università di Napoli
La
nostra vicenda inizia nel gennaio 1941 a Bengasi, quando Gennaro
Pesce Ispettore della Soprintendenza ai Monumenti e Scavi della Libia
viene informato dal governatore colonnello Granata che le sorti della
guerra in Africa stanno precipitando e che è necessario mettere in
salvo tutti gli oggetti ritrovati nel corso degli scavi italiani in
Cirenaica: monete d’oro e d’argento, prodotti di oreficeria,
gemme, una rarissima e arcaicissima statuetta in ferro di Cirene,
avori, ambre custoditi nei sotterranei della filiale tripolina della
Banca d'Italia. Dopo alterne vicende Pesce riuscì a nascondere gran
parte del materiale di scavo a Sabratha e quello che non riuscì a
trasportare venne sistemato in due grandi casse di tipo militare
contenenti dai settanta agli ottanta chilogrammi di materiali
preziosi, che vennero sigillate e caricate sulla penultima
nave-ospedale in partenza da Tripoli. Giunto a Napoli, il 6 gennaio
del 1943 il ‘Tesoro Archeologico della Libia’ venne trasferito a
Roma Termini e depositato nel posto di Polizia del Ministero
dell’Africa Italiana, da cui fu prelevato il giorno dopo da una
delegazione formata dall’Aiutante Coloniale Francesco Campeti, per
conto del Grande Ufficiale Rodolfo Micacchi, Ispettore Generale per
le Scuole e l’Archeologia del Ministero dell'Africa Italiana,
dall’impiegato Cavalier Renato Navarra, per incarico del
Commendatore Dottor Achille Ragni, Direttore degli affari generali, e
dal Maresciallo Francesco Vannini del Nucleo dei Carabinieri. del
Ministero dell’Africa Italiana. Il tesoro fu trasferito nel
magazzino dell'Economato del Ministero e, dopo l'8 settembre, fu
trasportato, a cura del Commissario Enrico Cerulli, al Museo
Coloniale, dove le due casse furono chiuse in un nascondiglio
efficacemente protetto. Qui rimase al sicuro fino al maggio del 1944,
quando avviene il colpo di scena. Le carte del ministero dell'Africa
Italiana, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, furono trasferite
a Cremona. Cremona vide assegnarsi il Ministero della Difesa, da
dividersi con Villa Omodei tra Desenzano e Salò, il Ministero
dell'Africa Italiana, la Corte dei Conti, l'Avvocatura Generale dello
Stato, una sezione della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
l'Ufficio distribuzione olio e grassi alimentari del ministero
dell'Agricoltura, con sede al teatro Ponchielli. A Cremona si
trasferisce anche il capo dell'Ufficio per gli affari generali
Achille Ragni, che dopo l'armistizio aveva aderito al Governo
repubblicano fascista. il quale chiede al direttore del Museo
coloniale Umberto Giglio, le due cassette per portarle al sicuro nel
Nord Italia, nella Repubblica di Salò. Una prima volta Giglio riesce
a resistere alle richieste di Ragni, che però torna alla carica nel
maggio del 1944 presentando un ordine scritto del Capo degli Uffici
del Ministero dell'Africa Italiana a Roma Alfredo Siniscalchi. Le due
casse il 16 maggio1944 vengono consegnate ufficialmente dal Nucleo di
Collegamento di Roma del Ministero dell'Africa Italiana ad Achille
Ragni, che immediatamente le porta a Cremona. Micacchi, inviperito,
sporge denuncia per appropriazione indebita al Sottosegretario di
Stato per gli Italiani all'estero da cui dipende in quel momento
l'amministrazione coloniale, senza impedire, peraltro che, una volta
giunte le casse a Cremona, venga costituita in gran fretta il 25
maggio una commissione preposta alla ricognizione del tesoro,
designata dal Sottosegretario di Stato, che si riunisce il pomeriggio
del 31 maggio in una delle sale del Ministero dell'Africa Italiana,
in via Antico Rodano. Della commissione fanno parte Ercole Petazzi,
nominato presidente; Tullo Bellomi, direttore del museo civico, Luigi
Cerbella e Aurelio Massone, con funzioni di segretario. Non vi
partecipa ufficialmente Achille Ragni, anche se in realtà è lui
l'artefice dell'operazione e presiede a tutte le sedute.
Gli scavi di Sabratha |
Vi
è però un particolare: a Roma, il dott. Ragni non aveva avuto in
consegna le chiavi dei lucchetti e pertanto la Commissione,
dichiarando in questo primo verbale che esse erano andate disperse, è
costretta a rompere i lucchetti. Constatato che il materiale è
costituito da monete e preziosi della Libia e che le casse non
sembravano aver subito manomissioni, benché le condizioni dei
reperti, mal confezionati, risultino alterate dall’umidità, la
Commissione, su proposta del Presidente, decide di rinviare la
ricognizione dei reperti ai due giorni successivi. Le due cassette,
provviste di nuovi lucchetti e sigilli, vengono provvisoriamente
ricoverate nell’armadio-cassaforte dell’Ufficio Cassa, le cui
chiavi vengono affidate al Consegnatario Cassiere, mentre le chiavi
dei lucchetti e le matrici dei sigilli sono consegnate al Presidente
della Commissione Petazzi. La ricognizione del materiale si svolge il
1 e il 2 giugno: il primo giorno viene controllato il materiale
conservato nella cassetta contrassegnata “II” e il secondo con
gli oggetti custoditi nella cassa n. I. L’elenco delle opere
contenuto nei due verbali costituisce il secondo inventario, dopo
quello compilato da Pesce al momento della consegna del materiale a
Roma. Rispetto al primo sembra non mancasse materiale, anche se una
serie di plichi inseriti da Gennaro Pesce nella cassetta n. II
risultavano ora posti in quella n. I e anche la numerazione dei
plichi stessi presentava alcune variazioni. Al termine della
ricognizione, sempre alla presenza di Achille Ragni, nella tarda
mattinata del 2 giugno 1944 la Commissione dispone la custodia
definitiva delle due casse, dopo averle chiuse apponendovi spago in
croce e sigilli in ceralacca recanti la dicitura «Repubblica Sociale
Italiana – Ministero dell’Africa Italiana» e, al centro, il
fascio repubblicano. Le chiavi dei quattro lucchetti vengono affidate
al Consegnatario Cassiere e le due casse vengono depositate nella
camera blindata della Banca di Credito Commerciale di Cremona con le
polizze n. 173 e 174, intestate anche in questo caso al Consegnatario
Cassiere.
Una statuetta del tesoro |
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