Il congresso al Cittanova |
Fu
condizionato più dalla Guerra del Golfo che dal dibattito interno il
22° congresso della federazione cremonese del Pci, venticinque anni
fa, il 22 gennaio 1991, l'ultimo in vista del congresso nazionale
della Bolognina che avrebbe sancito, di lì a una settimana la fine
del Partito Comunista e la nascita del nuovo Partito democratico
della sinistra. Sette i delegati cremonesi che sarebbero andati a
Rimini il 29 gennaio: Marco Pezzoni, Luciano Pizzetti, Sergio
Cofferati, Anna Riccardi e Claudio Rebessi per la mozione Occhetto,
Evelino Abeni e Giorgio Bergonzi per la mozione Ingrao e Cossutta.
L'ultimo segretario del partito falce e martello, Marco Pezzoni,
tracciando un bilancio del congresso con un occhio a Rimini, diceva:
«Io sono convinto che l'identità comunista da sola non può farcela
a cambiare la società italiana, ha bisogno del contributo di altre
identità non comuniste da porre sullo stesso piano e con uguale
dignità. Una sorta di sfida alla società civile italiana che ha
tutte le ragioni per lamentarsi della partitocrazia ma che nel
contempo deve anch'essa impegnarsi nel cambiamento attraverso lo
strumento offerto dalla politica». Molte le speranze ma anche le
riserve nei confronti del nuovo soggetto politico che avrebbe
raccolto il testimone del vecchio Pci. Giorgio Bergonzi aveva
sottolineato come il progetto politico di “Rifondazione comunista”
non potesse rimanere una semplice testimonianza all'interno del
futuro Pds o in posizione di arroccamento all'esterno della nuova
formazione, ma avesse dovuto conquistarsi un'autonomia di
elaborazione culturale. Evelino Abeni temeva la “scissione
silenziosa” che sarebbe derivata se il pluralismo del Pds, non
garantito da precise regole, si fosse limitato solo ad una
spartizione del potere; Pippo Superti, esponente della mozione
Occhetto, sperava che il nuovo partito fosse in grado di assumere
decisioni senza forme di veto, mentre Cesare Mainardi, per la mozione
Bassolino, vedeva che le mozioni, in realtà, si erano già
cristallizzate in correnti.
Al
congresso di Rimini il primo no venne da Giorgio Bergonzi che, con un
gruppo di delegati cremonesi, aveva preferito abbandonare l'aula
mentre Occhetto pronunciava orgogliosamente il suo discorso.
I delegati cremonesi al congresso di Rimini |
«Sono
entrato nel Pci sull'onda del sessantotto – raccontava – in una
posizione di contestazione nei confronti della maggioranza del
partito, e ho dato molto. Mi sono commosso quando ho sentito dire che
non c'è più il Pci. Ho avuto subito la sensazione che bisognava
ricominciare tutto da capo; poi, durante la conferenza stampa che è
seguita ho provato come una grande liberazione, una grande voglia di
ricominciare, con la consapevolezza delle grandi difficoltà che ci
attendono e la mancanza di certezze per riuscire a farcela. Nei
compagni del Pci c'è una grande aspettativa: dopo il no, cercano
adesso un punto di riferimento. Dobbiamo ritornare ad avere forza
propositiva. Tanti compagni, per tanto tempo, non hanno visto una
proposta obiettiva. Adesso c'è, e apre possibilità che non siamo
nemmeno noi ancora in grado di valutare. La nostra proposta può
costituire il punto di riferimento per i compagni che hanno lasciato
il partito in questi ultimi anni. A Cremona siamo passati da circa
diecimila a ottomila iscritti in pochi anni. Sono tante le persone
perse per strada a cui dobbiamo dare una possibilità». Altri
cremonesi, invece, solidarizzavano con Occhetto, esautorato
momentaneamente dalla carica di segretario con un colpo di mano:
“Condividiamo la sua amarezza- scrivevano – ma non si deve
ritirare. Quale futuro potrà avere il Partito democratico della
sinistra se a dirigerlo non ci sarà colui che con più
determinazione si è battuto per la sua nascita? Noi vogliamo che il
Consiglio nazionale elegga Achille Occhetto segretario del Pds. A
tutti i consiglieri nazionali chiediamo senso di responsabilità,
trasparenza, chiarezza nella linea e nelle scelte politiche“.
Non
bastò l'elezione di Occhetto alla segreteria per lenire le ferite, e
se da un lato Evelino Abeni, ex assessore provinciale all'ecologia,
annunciava di non volere aderire alla nuova formazione, dall'altro
pur critici nei confronti del Pds, altri diciotto firmatari dell'ex
mozione 2 decidevano di condurre la loro battaglia dall'interno per
preservare l'identità comunista. Erano Rosolino Amidani, Giovanni
Carboni, Giorgio Castagnetti, Aurelio Cavalli, Mimmo Dolci, Sante
Gerelli, Camillo Gizzi, Ely Lazzari, Attilio Marchini, Gianfranco
Piseri, Gigi Rossetti, Guido Sanfilippo, Walter Tacchinardi, Claudio
Turati, Giorgio Canesi, Valerio Lazzari, Santina de Micheli e Marco
Turati. “Il nostro è un razionale progetto politico per costruire
un processo di rifondazione comunista dentro il Partito democratico
della sinistra – comunicavano - che è e resta la più grande
forza della sinistra italiana. Lavoriamo dunque oggi per promuovere
un'area politico-culturale di comunisti democratici dentro il Pds,
capace di analisi, ricerca, iniziativa ed espressione ad un tempo
unitaria ed autonoma, dentro e fuori il partito, nella società, che
punta a spostare a sinistra l'identità futura del Pds per aprire
nuovi orizzonti di liberazione. Dal Golfo ai contratti, dalla
questione democratica alla questione sociale, vogliamo riempire di
idee e di lotte, di cultura e di movimento, le grandi zone d'ombra,
sia sul terreno della politica che su quello delle regole, aperte nel
nuovo partito. Per questo non condividiamo la scelta di quella parte
di compagni che sono usciti dal partito. Non ci pare che oggi di
questo ci sia bisogno in Italia. Rispettiamo una scelta, che ci pare
però improduttiva per il futuro e lontana dal progetto di
rifondazione comunista, «tutto il contratio di una separazione»,
che abbiamo sostenuto nella mozione congressuale...Rivolgiamo dunque
una proposta forte a tutti i compagni ed a tutte le compagne:
costruire un'area di comunisti democratici mel Partito democratico
della sinistra, perchè non venga disperso il patrimonio di cui i
comunisti italiani sono portatori, perchè centrali siano le lotte in
difesa della pace, dell'ambiente, dei bisogni dei lavoratori, dei
diritti dei cittadini, per un'alternativa sociale e politica in
Italia e nel mondo”.
Mentre
veniva annunciato per domenica 24 febbraio il primo congresso della
nuova formazione politica, che si sarebbe tenuto in realtà il 2
marzo, il Movimento per la rifondazione comunista, costituito il 10
febbraio, bruciava le tappe e si presentava ufficialmente la domenica
precedente in sala Rodi col dirigente Lucio Libertini, rendendo per
la prima pubblici i nomi degli aderenti: Giorgio Bergonzi, Stefano
Bozzetti,Vanni Brignani, Angelo Bruschi, Gian Paolo Dusi, Giulio
Filippazzi, Gianni Gaboardi, Bruno Gaburri, Leonardo Galli, Francesco
Gerevini, Bruno Ginelli, Lorenzo Girelli, Franca Grisoli, Antonio
Maestrelli, Mario Maffina, Gian Luca Magnani, Gian Carlo Manara,
Antonio Miglio, Claudio Morini, Maria Oneda, Pier Carlo Ottoni, Enzo
Poli, Ivana Piazza, Daniela Polenghi, Aldo Puerari, Giuseppe Rebessi,
Felice Rosimi e Eros Siboni. Costante era nel manifesto il richiamo a
Gramsci e quello alle contraddizioni che avevano caratterizzato il
vecchio Pci negli anni '60 e '80. Bandiere rosse con falce e
martello disposte lungo le pareti laterali di sala Rodi, all'ombra di
un grande striscione bianco su cui campeggiava a sinistra un grande
“no alla guerra” e a destra i ritratti simbolo di Marx in primo
piano e dietro, in una continuità fisica ed ideale, quelli di Lenin,
Gramsci e Togliatti. Poco più di trecento gli aderenti al nuovo
movimento.
I delegati al congresso al Cittanova |
Qualche
giorno dopo anche altri leader storici del Pci annunciavano la loro
scelta: al termine di un percorso travagliato, decidevano di aderire
al Pds anche Evelino Abeni, Camillo Fervari, Sante Gerelli della
sezione di Gussola e Gianantonio Nardi, segretario della Camera del
lavoro di Casalmaggiore. Le probabilità che Abeni, soprattutto, non
entrasse nel Pds erano in realtà molto alte e d'altronde lo stesso
aveva sottolineato nel corso di una conferenza stampa che si era
trattato di una “scelta molto sofferta”. «Non abbiamo
sottoscritto il documento presentato giorni fa da alcuni nostri
compagni perchè questo atto non avrebbe tradotto i travagli
personali di ciascuno di noi. Abbiamo sentito l'esigenza di
riflettere un po' di più per comprendere quali spazi reali avremmo
avuto all'interno del Pds. Una scelta scaturita dalla convinzione che
nel Pds esistano comunque spazi perchè si possa connotare in maniera
fattiva la presenza degli aderenti all'area dei comunisti
democratici, tenendo conto delle possibilità offerte dallo statuto
del partito. Rimane la simpatia per i compagni che non sono entrati
nella nuova formazione, senza nessun attaccamento vetero-nostalgico
ad una simbologia da salvare ma convinti che rimanga il problema
dell'identità storica dei comunisti”. E parole di apprezzamento
andavano anche per l'ultimo segretario Marco Pezzoni, che con la sua
posizione al congresso di Rimini, astenendosi sulla mozione Ingrao
per la guerra del Golfo, si sarebbe giocato l'ingresso nel consiglio
nazionale del Pds.
Sabato
2 marzo l'ex Pci chiudeva definitivamente con il passato scegliendo a
Cà de' Somenzi i 66 componenti del nuovo comitato federale del Pds,
con l'ingresso, per la prima volta, degli esterni negli organi del
partito. Nel documento politico conclusivo, approvato con venti
astenuti, si sottolineava la validità dell'esperienza amministrativa
in corso, aprendo al confronto con le opposizioni, rappresentate da
repubblicani e socialisti: «Le alleanze politiche con DC e Verdi –
sottolineava il documento – non sono nate solo da una situazione di
necessità. Il Pds considera queste alleanze come passaggi
importanti, pur senza attribuire loro alcun valore strategico, nati
da processi politici autentici che hanno attraversato l'opinione
pubblica, alla cui base vi è una condivisione di obiettivi
programmatici, di risposte possibili alla crisi delle istituzioni
localie alla loro scarsa incidenza sul governo dei processi reali.
Questo è il patto che abbiamo assunto con gli elettori: rimpere un
sistema di potere che aveva determinato un uso distorto delle
istituzioni e riformare la politica». Ricordiamo gli organismi
dirigenti di quella prima formazione del Pds. Il comitato federale
era costituito da Evelino Abeni, Franco Albertoni, Giovanni Amidani,
Renzo Antoniazzi, Paolo Arisi, Rosalba Azzali, Giuseppe Azzoni,
Gianfranco Barbieri, Mario Bardelli, Ersilia Baruffini, Adriano
Bellandi, Aldo Boccaccia, Ilde Bottoli, Rosa Botturi, Adriano
Bruneri, Giorgio Canesi, Alida Canova, Alberto Cappellini, Bruno
Casarini, Giorgio Castegnetti, Bruno Cavagnoli, Aurelio Cavalli,
Cristina Cavalli, Adriana Cilento, Filippo Colace, Palmiro Donelli,
Carlo Duca, Giorgio Ferrari, Deo Fogliazza, Adriano Galli, Lucia
Genzini, Giorgio Gerelli, Sante Gerelli, Daniele Cigni, Camillo
Gizzi, Fiorenzo Gorni, Eli Lazzari, Fiorella Lazzari, Rosanna Lugli,
Ferruccio Maffezzoni, Cesare Mainardi, Cristina Manfredini, Stefana
Mariotti, Silvia Mineri, Luigina Oppi, Margherita Pedraccini, Marco
Pezzoni, Luciano Pizzetti, Antonella Poli, Elisa Refolli, Paolo
Renzi, Anna Riccardi, Antonio Romani, Gigi Rossetti, Maura Ruggeri,
Guido Sanfilippo, Pippo Superti, Giuseppe Tadioli, Enrico Tavoni,
Giuseppe Tiranti, Silvia Toninelli, Claudio Turati, Marco Turati,
Lucio Vangi ed Emilio Zelioli. La commissione federale di garanzia
era formata da Oriana Barcellari, Angela Curtareli, Santina De
Micheli, Stefano Dossena, Gianni Fervari, Mario Gennari, Giacomo
Guindani, Atilio Marchini, Terez Marosi, Iva Moretti, Massimo Moroni,
Alessio Picarelli, Gianfranco Piseri, Loredana Rancati, Giovanni
Sguaita. I delegati al congresso provinciale erano Evelino Abeni,
Giuseppe Azzoni, Oriana Barcellari, Basilio Boeghi, Liliana Cavalli,
Camillo Fervari, Giovanni Gagliardi, Sante Gerelli, Camillo Gizzi,
Giacomo Guindani, Attilio Marchini, Roberto Moroni, Stefana Mariotti,
Siliva Mineri, Marco Pezzoni, Luciano Pizzetti, Pierluigi Rossetti,
Fabrizio Ruggeri, Pier Sttilio Superti, Giorgio Toscani.
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