Il foglio identificativo di Guido Acerbi |
Un episodio oscuro dei primi anni della
nostra storia repubblicana, a lungo rimosso, ed ora riportato alla
luce nella sua drammaticità in una quarantina di pagine scritte con
passione e rigore scientifico da Mimmo Franzinelli e Nicola Graziano
nel libro “Un'odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio”,
edito da Feltrinelli. Una vicenda che diventa lo specchio dei
conflitti e delle contraddizioni di un tempo convulso, tra la fine
della guerra e le prime elezioni democratiche del 1948 nell'ex feudo
di Farinacci. A lungo, per descrivere la vicenda giudiziaria e umana
di Guido Acerbi, si sono usati i termini “estremismo”,
“infantilismo politico”, mentre invece le pagine rigorose di
Franzinelli e Graziano, lasciano intuire ben altro. Se Danilo
Montaldi ne avesse avuto il tempo, avrebbe probabilmente dato alle
stampe quel documento clandestino avuto il 20 aprile 1951 in cui
Guido Acerbi, detenuto a Portolongone oggi noto come Porto Azzurro,
racconta a Ernesto Marabotti le condizioni di vita nel carcere a cui
era stato condannato in quanto accusato del delitto “Piccoletti”.
Ma, ancor di più, avrebbe completato quella sua ricerca sociologica
sull'effettivo ruolo della “paramilitare” e dei rapporti dei
militanti clandestini con l'ufficialità dell'apparato, testimoniata
solo da un foglietto di appunti.
Acerbi, assolto dall'accusa di
costituzione di organizzazione a carattere militare, appena
diciannovenne venne condannato per omicidio a ventisei anni, sei mesi
e venti giorni di carcere oltre alla multa di 190.000 lire, con
libertà vigilata e interdizione perpetua dai pubblici uffici e nellaprimavera del 1949 venne trasferito nel
penitenziario di massima sicurezza dell'Isola d'Elba da dove iniziò
un'odissea giudiziaria che lo portò a Alessandria, Pizzighettone,
Milano, Piacenza fino al manicomio di Aversa, dove entrò la
mezzanotte del 3 settembre 1959 per uscirne il 30 settembre 1962 a trentaquattro anni. Lavorò poi
come geometra in modo autonomo, prima di trovare impiego all'ufficio
urbanistica del Comune di Cremona. Non si avvicinò mai più alla
politica attiva, pur non nascondendo le sue simpatie di sinistra, e
confessava di essersi profondamente pentito di quella “tragica
stupidaggine”, dovuta “ad accecamento ideologico”.
E' la vigilia delle elezioni del 18
aprile 1948. Guido Acerbi è uno studente di quinta geometri
dell'Istituto tecnico superiore Eugenio Beltrami, legato agli
ambienti della Federazione comunista e dell'Anpi. Sono momenti di
grande tensione: gli ex garibaldini nascondono le armi in previsione
di un'eventuale offensiva democristiana.
Nel giugno del 1946 la questura ha già rinvenuto una quantità di
fucili mitragliatori, bombe a mano e materiale bellico nella caserma
Massarotti, sede provinciale delle Fiamme Verdi. Qualche mese dopo,
in agosto, vengono sequestrate due mitragliatrici Breda e il 10
settembre il bracciante Olimpio Puerari viene ucciso a bruciapelo dall'ex segretario fascista di
Scandolara Ravara Mario Morandi, che poi verrà infine assolto dopo
un processo interminabile.
Guido, dal canto suo, appena sedicenne,
nel corso delle vacanze scolastiche di Natale nel dicembre 1944,
aveva lasciato la città e raggiunto una prima volta i partigiani tra
Valdarda e Valnure ma poi, salvato dal rastrellamento da una famiglia
di contadini, era stato convinto da questi a tornarsene a casa. Ma il
ragazzo non aveva più voluto saperne della scuola e si era aggregato
alla brigata “Eugenio Curiel” con il nome di battaglia di
“Rinaldo”, occupandosi della distribuzione clandestina di volantini.
Agli inizi di marzo 1945, dopo essersi iscritto al Pci, era stato
assegnato alla prima brigata “Ferruccio Ghinaglia”, il 10 marzo
aveva combattuto in uno scontro ad Azzanello e poi arrestato il 21
aprile per propaganda sovversiva, per poi essere rilasciato quattro
giorni dopo alla vigilia dell'insurrezione.
Nell'autunno del 1947
Guido costituisce il circolo giovanile Giuseppe Garibaldi al numero 2
di viale Trento e Trieste, presso la sede del comitato provinciale
Anpi: conta una settantina di soci, tra cui Benito Longoni, di sei
anni più anziano, nipote del dirigente democristiano Tarcisio
Longoni, già membro del Cln di Monza, che poi verrà eletto deputato
nelle successive elezioni del 18 aprile 1948. I due giovani si legano
al sessantenne Pietro Piccoletti, un personaggio strano che vive di
espedienti e che nella sua abitazione di via Genala 21 raccoglie ogni
genere di oggetti, ma che, soprattutto, custodisce le armi recuperate
e stipate nei depositi della stazione.
Guido fa riferimento a lui
per spostare le armi custodite nella propria abitazione, dapprima
nella casa dell'amico, e poi, il 28 marzo 1948, fuori città nella
capannina del circolo Garibaldi in un bosco in riva al fiume Po. Su
un carretto a tre ruote vengono portati fucili, bombe a mano e due
mitragliatrici Breda, che vengono nascosti in una cavità ricavata
sotto il pavimento, raggiungibile attraverso una botola.
I dirigenti
politici del Pci erano a conoscenza di questi traffici? Probabilmente
si, sostiene Franzinelli, ma lasciavano fare sia perchè i due
gravitavano nell'orbita della sinistra, sia perchè non iscritti al
Pci. Garanzia, questa, di totale estraneità in caso di un eventuale
arresto. Ma quando la campagna elettorale entra nel vivo e la
tensione cresce, Piccoletti muta atteggiamento e pretende denaro per
mettere a disposizione dei compagni il suo arsenale. Vuole
quarantamila lire o minaccia di rivelare l'esistenza della rete
clandestina.
Il 21 marzo, domenica di Pasqua, Acerbi, giunto al
capanno per completare il trasferimento delle armi, non trova più
il materiale bellico già recuperato.
Guido Percudani ad una riunione del PCI |
Evidentemente Piccoletti lo ha già
venduto, e Guido medita la vendetta. Chiede a Isaia Gardani della
Federazione del Pci come ci si debba comportare nei confronti di un
traditore, ottenendo la risposta di “toglierlo dalle spese”
mentre il dirigente organizzativo Guido Percudani suggerisce più prudentemente di allontanarlo dalla
cerchia dei compagni.
L'appuntamento per il chiarimento definitivo,
o piuttosto per la resa dei conti, è fissato per la notte di sabato
3 aprile a Bosco ex Parmigiano, nei pressi delle colonie padane:
Guido si sarebbe presentato con la somma necessaria per far recedere
Piccoletti dal suo proposito. Ma Guido quel denaro non l'ha
recuperato e cerca di convincere l'amico a tornare sui propri passi.
Piccoletti, messo alle strette, confessa di aver venduto le armi a
due giovani ebrei, provenienti dall'est europeo, alloggiati nel campo
dell'ex caserma Pagliari, militanti sionisti che a loro volta hanno
già consegnato l'arsenale all'Organizzazione militare nazionale Irgun impegnata
contro gli inglesi per la costituzione dello Stato di Israele. In
piena notte esplodono tre colpi che freddano Piccoletti mentre in
disparte sta arrotolandosi una sigaretta: due provengono dalla
Browing calibro 9 di Acerbi, uno, che risulterà letale, dalla
pistola a tamburo calibro 12 di Longoni. I due
si liberano del cadavere gettandolo nel Po, da cui verrà recuperato
fortunosamente da un pescatore di Stagno di Roccabianca il pomeriggio
del 19 aprile, mentre è in corso lo spoglio dei voti. Nella tasca un
biglietto con l'invito a partecipare ad una riunione del Circolo
Garibaldi alle 18,30 di quel maledetto 3 aprile.
Si organizza la camera ardente nella
sede dell'Anpi cercando di dirottare i sospetti verso i neofascisti,
ma il 21 aprile i carabinieri sono già sulle piste di Acerbi, che
viene arrestato. Lui si proclama innocente, ma i carabinieri sono
convinti, attraverso Guido, di coinvolgere nell'omicidio tutta la classe dirigente del comunismo
cremonese. Per questo, in assoluto isolamento, lo interrogano in modo
serrato per nove giorni fino a quando il 30 aprile Acerbi confessa e
dichiara: «nelle sue piene facoltà mentali e con piena coscienza di
aver premeditatamente ed in unione col Longoni ucciso a colpi di
pistola il Piccoletti, in quanto costui pretendeva dalle 30 alle 50
mila lire in compenso della custodia delle armi che aveva tenuto in
casa sua per conto della formazione paramilitare di esso Acerbi e
minacciava di denunciarlo». Il 1 maggio viene arrestato anche
Longoni, che conferma punto per punto l'esistenza di una formazione
paramilitare dotata di armi da guerra. Grazie alle sue rivelazioni
i carabinieri ritrovano le armi «avvolte in sacchi e dentro bauli e
cassette, ben lubrificate e ingrassate efficienti per lo più e
pronte per l'uso, tutto un armamentario di mitragliatrici, mitra,
fucili, moschetti e bombe a mano, con un'abbondante dotazione di
munizioni, accessori e pezzi di ricambio, ritenuto sufficiente ad
armare un intero reparto». Longoni, allettato dalla promessa di un
trattamento di favore, indica in Arnaldo Bera, ex comandante della
formazione garibaldina “Ferruccio Ghinaglia” e segretario della
Federazione del Pci, l'organizzatore
di traffici d'armi, e Bera, fiutata
l'aria, decide di sparire. Nell'ipotesi accusatoria della
magistratura, scrive Franzinelli «lo studente sarebbe il paravento
della mente politica, annodata nella Federazione comunista di
Cremona. Il segretario organizzativo Guido Percudani e il
responsabile provinciale del Circolo Garibaldi Ugo Bonali avrebbero
'diretto l'attività dell'Acerbi, pur essendo consapevoli che esso
aveva strutture e caratteristica di associazione militare'. L'azione
militare sarebbe scattata 'in caso di vittoria del Fronte Popolare,
contro qualunque movimento reazionario specialmente di fascisti che
avessero inteso mettersi contro la vittoria del Fronte».
Gli interrogatori si svolgevano di
notte, con una lampada abbagliante puntata sugli occhi. Venne
seviziato e percosso a sangue da un capitano e da due marescialli dei
carabinieri fino allo svenimento anche il capo deposito locomotive
della stazione Antonio Assumma che alla fine firmò la confessione predisposta dagli
inquirenti. «Fummo tenuti per 16 giorni in una cella che si dormiva
sopra di un tavolaccio senza pagliericcio con due sole coperte,
lunghe e grosse come due fazzoletti da naso, senza mai un'ora
d'aria», dichiararono gli imputati una volta riacquistata la
libertà.
Il 'caso Acerbi' tenne banco anche il
16 giugno 1948 quando Alcide De Gasperi ne riferì alla Camera
incendiando gli animi, ricollegando i fatti cremonesi alle trame del
comunismo internazionale.
Guido Acerbi con Fabrizio Merisi |
«Il tambureggiamento propagandistico -
racconta Franzinelli - gonfia oltremodo il 'caso Cremona', ma i
successivi accertamenti giudiziari ridimensionano l'organizzazione
paramilitare della triade Acerbi-Longoni-Piccoletti. L'armamento
rinvenuto sotto la baracca in riva al Po si confà più a una
rottameria che a un gruppo paramilitare. Secondo la perizia, infatti
'le mitragliatrici per lo più non erano idonee allo scopo, e sovente
neppure efficienti; le munizioni versavano in stato di cattiva
conservazione e pertanto dichiarate di incerta efficienza e fuori uso
dal punto di vista tecnico, praticamente atte all'uso ma con pericolo
continuo di rottura delle canne per eccesso di pressione da aumentate
densità di caricamento'. L'arsenale era dunque inservibile e
addirittura pericoloso per chi avesse voluto utilizzarlo. Non ci
fosse stato di mezzo l'omicidio di Piccoletti, la questione sarebbe liquidabile come una ragazzata, frutto
di esaltazione politica».
La Corte d'Assise nel corso del
processo respinge le accuse del pubblico ministero con una sentenza
che smonta l'intero teorema dell'apparato armato al servizio della
Federazione comunista, tuttavia i dirigenti della sinistra cremonese
troncano qualsiasi rapporto con il giovane studente, ritenuto
colpevole di tutti i loro guai giudiziari e viene modificata la sua
scheda di riconoscimento partigiano redatta nel febbraio 1947,
aggiornata dapprima con la dicitura “Sospeso” e poi “Espulso
per indegnità morale”. Per lui si aprono le porte del carcere di
Portologone e poi del manicomio di Aversa. Ma «immerso suo malgrado
nell'inferno di Portolongone, il ventiduenne cremonese subisce una
rapida maturazione e vivifica, nella dimensione collettiva della
solidarietà e della lotta, le sue radici egualitarie. Nel triennio
intercorso dal delitto in riva al Po, si è mutato da ragazzo perso
in avventate congiure in un uomo consapevole del prezzo e della
dignità della vita». Negli otto anni per cui si trascina la vicenda
giudiziaria vengono via via ridimensionate tutte le accuse. Il 22
gennaio 1955 la Corte d'assise d'appello di Brescia nega che i
circoli garibaldini «oltre ai professati scopi culturali, sportivi e
di propaganda politica, avessero un programma delittuoso e sotto di
essi si celassero delle formazioni di
carattere militare». Viene poi assolto per non aver commesso il
fatto il segretario federale del Pci Arnaldo Bera.
E su Guido nel settembre 1959
l'ufficiale sanitario della città di Cremona, da cui attinge
informazioni il direttore della struttura di Aversa, scrive: «All'età
di 18 anni ha mostrato molto interesse per la politica ed ha
incominciato a frequentare amici iscritti a partiti estremisti. In
casa però il suo contegno è rimasto sempre normale. Il Parroco
afferma che il soggetto proviene da famiglia onesta ed onorata.
Durante il periodo della liberazione si è lasciato trascinare dai
compagni ed ha commesso il reato per cui subisce ancor ora la
condanna. Detti compagni hanno avuto buona parte nel traviamento
dell'Acerbi».