Il castello di Santa Croce a Cremona |
E’ quanto scrive Francesco
Guicciardini nelle “Storie fiorentine” su uno dei più importanti
avvenimenti politici del Quattrocento che ebbe come scenario la
Cremona sforzesca.
Per due giorni, il 26 e 27 febbraio
1483, la Capitale del Po fu al centro della diplomazia nazionale nel
tentativo di risolvere la “Guerra del sale” che stava opponendo
Ferrara a Venezia.
Nel castello di santa Croce convennero
da ogni parte d’Italia i maggiori signori del tempo, preceduti
dalle complesse trattative e dalle schermaglie politiche, non senza
esclusione di colpi, condotte dagli ambasciatori nel preparare il
terreno. Ludovico il Moro era già giunto in città il 3 febbraio. Il
giorno precedente Eusebio Malatesti, scrivendo da Sabbioneta, aveva
annunciato che il duca di Milano si sarebbe poi dovuto recare a
Casalmaggiore con trecentocinquanta cavalli e che la cittadina si
apprestava a preparare gli alloggiamenti, ma che sei giorni prima
Pietro Marca e suo figlio Guido erano stati raffigurati poco
elegantemente appesi per i piedi sulla fronte del palazzo comunale.
Ludovico il Moro |
Ludovico arrivò entrando da porta San
Luca: “Subito gli andai contra sin a la Porta de Sancto Lucha, -
racconta Francesco Sicco, procuratore di Guido Torello signore di
Guastalla, citato da Carlo Bonetti - dove, dimorando poco, gionse Sua
Ecc. et il Reverendissimo Mons. Ascanio: a li quali volendo far il
debito mio dismontai da cavallo per tocargli le mane et le Sue
Signorie non volsero toccarmela, et facta assi reverentia me fecero
montar a cavallo, et volse el prefato Signor Lodovicho ch’io
andassi vanti a Sua Signoria cum el prefato Mons. Ascanio, qual ad
ogni modo volse che gli andasse de sopra, et sa questo modo introrno
ne la citade com tanto trionfo et solennitade del mondo et cum
bellissima compagnia et grande: gionti a la Piaza el Sig. Lodovico
accompagnò Mons. Canio in Vescovato dove è alozato; poi sua
Eccellenza andoe a smontar a casa de Bartolomeo de Roncadello, dove
allozò la ill.ma Madona Clara, quando andò in Franza. Dismontato
che fui ritornai da sua Ecc.za, la quale me abrazoe”.
Ludovico il Moro si era recato prima di
tutto a Casalmaggiore per sistemare una questione con i conti
Torelli, signori di Guastalla, cui aveva sottratto il possesso di
Montechiarugolo e che si era impegnato a restituire offrendo anche
5000 ducati ogni anno.
Nel frattempo tesseva la sua tela
diplomatica, chiedendo agli Estensi di Ferrara di inviare alla dieta
il conte Marsilio in sostituzione del protonotaro che avrebbe
preferito la sede di Montecchio.
Aveva poi mostrato al procuratore dei
Torelli alcune lettere che lo informavano del fatto che anche Lorenzo
de’ Medici avrebbe partecipato alla dieta se ne avesse avuto il
permesso dalla Signoria fiorentina.
Lo stesso Francesco Sicco fornisce
altre informazioni al suo signore Guido Torello sulle mosse del Moro:
prima di partire da Milano aveva dato ordine che si preparassero
“mille homini d’arme, cinquecento lancie spezzate, trecento de
suoi e venti de la famiglia, quarante per homo, et ventuo in panno,
barde et penachini, che stano ducati sessanta per cadauno, et sii
capi de quadra più secondo la coditione loro”. Aveva poi ricevuto
lettere da Venezia in cui si diceva che la Serenissima avrebbe fatto
di tutto per compiacersi il duca di Milano. Mentre fervevano i
preparativi della dieta Ludovico il Moro il 10 febbraio aveva
raggiunto in nave Casalmaggiore.
Lorenzo il Magnifico alla Dieta di Cremona |
Francesco Gonzaga |
Anche la giornata del 27 febbraio fu
spesa in trattative continue e, a detta dello scrivente “le cose
vanno benissimo et macime a proposito dell’Ill. S.N. et de lo
signor Duca de Ferrara, qual hozi ha comintiato andar inbconsilio
perchè sua sig.a è stata meglio de l’usato et credo che la se
sanarà presto del corpo et de la mente, vedendo le cose andar a suo
proposito”. In realtà non si risolse nulla, e fu solo la Pace di
Bagnolo due anni dopo a por fine alla questione.
<+S CAP6R>P<+S TONDO>assato
alla storia con la duplice definizione di “Guerra di Ferrara”
o “Guerra del sale”, il conflitto che si è combattuto fra
il 1481 ed il 1484 con ferocia inaudita e continui
capovolgimenti di fronte in tutta l’Italia, dato anche il vasto
sistema di alleanze che era venuto a crearsi, ha vissuto sul
territorio del Ducato estense alcuni degli episodi più eroici della
contesa.
I motivi che hanno indotto la
Repubblica Veneta a scatenare una guerra contro il Ducato di Ferrara
sono stati molteplici.
In ambito nazionale, in uno stato
italiano inesistente e suddiviso fra una miriade di signori e
signorotti, quasi tutti imparentati fra di loro ma pronti in
ogni momento a rinnegare il sangue e l’amico pur di allargare i
loro domini ed il loro potere, si assisteva di continuo ad intrighi
ed alleanze più o meno finte.
In tale fluttuante ed ondivago quadro
politico la Repubblica Veneta era riuscita a fondare un autentico
impero grazie al sistema di traffici commerciali sulle vie d’acqua
e guardava con grande attenzione ad una sua espansione territoriale
non solo sui possedimenti estensi del Polesine di Rovigo ma su tutto
il Ducato di Ferrara, col quale intratteneva rapporti di ordinaria
diplomazia e stipendiava un Visdomino in città e uno a Comacchio:
questa figura, in quei tempi, ricopriva un ruolo importantissimo
poiché si trattava di un magistrato che aveva l’altissimo compito
di proteggere gli interessi dei sudditi veneziani che aveva la
residenza nel Ducato estense. Vari sono i motivi che prepararono
il terreno alla guerra del sale.
Nel 1480 venne stipulata la pace
fra Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze e Ferdinando, re di
Napoli, alla quale aveva formalmente aderito anche Ercole I il
quale, tra l’altro, aveva avuto il comando nella precedente
divergenza militare fra Venezia e Firenze, in seguito a maggio del
1480 si addivenne ad un’alleanza fra papa Sisto IV e la
potentissima Repubblica di Venezia ed a settembre del 1480 Girolamo
Riario, nipote del Papa e signore di Imola, che ambiva al Ducato
di Ferrara, dopo essersi impadronito di Forlì ed accordato con Sisto
IV, convinse Venezia a muovere la guerra contro Ferrara.
In ambito locale, invece, si sa
di diverse questioni che hanno concorso in ugual misura a
spingere Venezia verso la guerra.
Innanzi tutto Venezia non vedeva di
buon occhio Ercole I d’Este, perché aveva sposato Eleonora
d’Aragona, la figlia di Ferdinando, re di Napoli, il quale pensava
che fosse giunto il momento di porre un freno alla potenza veneta; vi
era una controversia con Ferrara sui confini, con chiari risvolti
economici legati ai dazi da pagare sulle merci in transito; esisteva
poi il fenomeno dell’emigrazione dei rodigini che, fin dal 1464
avevano iniziato ad oltrepassare i loro confini e a
spingersi ben oltre le terre del padovano, fino ad occupare
le terre di Cavarzere.
Venezia ebbe a lagnarsi di ciò col
duca Borso ma decise, comunque, di soprassedere: in quel momento
aveva altri interessi di cui occuparsi e le proteste rimasero in
“ambito diplomatico”.
Infine il problema del monopolio del
sale sul quale la Repubblica di Venezia, in virtù di tre antichi
privilegi (aiuti a Matilde di Canossa, nel 1101, nel recupero di
Ferrara, diverse convenzioni dal 1204 al 1366 e,
infine, trattato del 1405 con gli Estensi nel quale si
stabiliva, in via definitiva, che gli Estensi non avrebbero potuto
commercializzare il sale di Comacchio) aveva conseguito monopolio del
sale comacchiese.
Il trattato di pace del 25 marzo 1405
imponeva a Ferrara la rinuncia alle saline di Comacchio e l’obbligo
di comperare il sale direttamente da Venezia.
Da ultimo una questione di soldi:
quando Nicolò III decise di costruire il castello estense, chiese
due prestiti, uno di 44.000 ducati (25.000 e 19.000) al marchese
di Mantova, a cui diede in pegno la terra di Melara e uno di 50.000
ducati alla Repubblica di Venezia, che si tenne in pegno e a garanzia
del debito pressoché tutto il Polesine di Rovigo.
Al tempo della guerra, il duca Ercole I
non contravvenne mai a tali regole ma egli, tuttavia, sapeva bene che
in diverse località del suo territorio (Ariano, Volano, Filo,
Ostellato, Portomaggiore e Comacchio) risultava pressoché
impossibile impedire la raccolta di un bene gratuito della Natura.
A gennaio del 1479 Ercole I venne
informato ufficialmente dal suo console a Venezia della
duplice lamentela del doge Giovanni Mocenigo: da una parte
egli voleva fermare il contrabbando del sale da parte,
principalmente, dei comacchiesi che lo prelevavano dalle saline e lo
rivendevano ad un prezzo inferiore rispetto a quello monopolizzato da
Venezia; dall’altra, voleva interrompere anche il fenomeno del
brigantaggio operato, a suo dire, dagli stessi comacchiesi che poi,
dopo le scorribande, risultavano pressoché imprendibili poiché
andavano a cercare rifugio nelle paludose acque vallive.
Ercole I decise di indagare solo sul
fenomeno del brigantaggio visto che conosceva assai bene l’altro
problema della raccolta non autorizzata del sale che egli mai
combatté dato l’evidente tornaconto personale. Così venne a
sapere che ad esercitare il brigantaggio erano gli stessi miliziani
di stanza a Comacchio i quali, non essendo pagati regolarmente, si
dedicavano ad assaltare i mercanti che colà transitavano. Venne
anche a sapere di numerose donne che vendevano il loro corpo agli
stessi soldati in cambio del sale. Venezia decise così sia di
compiere azioni dimostrative, operate da soldati mercenari
ciprioti ed albanesi, i quali prima ingaggiarono scaramucce e
misero a fuoco capanni e fortini, poi occuparono
militarmente Magnavacca e Comacchio, sia di scortare militarmente i
carichi di merci destinati al passaggio da quelle parti ma,
nonostante tale sorveglianza, nell’estate del 1480 vennero
attaccate alcune navi cariche di barili di aceto. La reazione
comacchiese alla presa della città si tradusse nell’iniziativa di
Riccardo Arveda che, dopo aver raccolto un grosso manipolo di
volontari e disperati, riuscì a liberare Comacchio e ad uccidere
pressoché tutti gli invasori. Sul fronte politico le cose iniziarono
però a peggiorare per gli estensi poiché stava prendendo corpo il
progetto di Girolamo Riario che concluse i patti con Venezia: dopo
la sconfitta degli Estensi, il Ducato sarebbe andato a papa Sisto IV
che l’avrebbe donato allo stesso Riario mentre Venezia sarebbe
entrata in possesso di Reggio e Modena. Con Venezia si schierano:
Sisto IV, Girolamo Riario, il marchese di Monferrato, il conte di San
secondo (Pier Maria de’ Rossi) e la città di Genova. Le truppe
vennero affidate al comando di Roberto da Sanseverino, conte di
Caiazzo (Caserta). Con Ferrara scesero in campo, sotto il comando di
Federico da Montefeltro, duca di Urbino Ferdinando, re di Napoli, il
duca di Milano Ludovico il Moro, il marchese di Mantova Federico
Gonzaga, i Bentivoglio di Bologna, i principi Colonna di
Roma e la Repubblica di Firenze. Tuttavia, nonostante l’alto numero
di alleati, l’esercito estense poté schierare al massimo diecimila
armati contro un esercito nemico numerosissimo e privo di problemi
economici.
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