Lorenzo Bernini, Ritratto di papa Urbano VIII |
Si racconta che Niccolò Ridolfi,
maestro generale dei Domenicani costretto alle dimissioni da papa
Urbano VIII della potente famiglia Barberini, richiesto dai Padri del
Capitolo quale dovesse essere la persona più adatta a ricoprire
l'alto incarico, avesse risposto, senza alcuna esitazione: “Turco”.
E fu così che un professore cremonese di filosofia, diventò il
Maestro generale dell'Ordine dei predicatori, la maggiore autorità
dell'ordine religioso fondato da Domenico di Guzmàn.
Tommaso Turco, o Turchi, era nato a
Cremona nel 1595 “da onesta stirpe” ed appena quindicenne era
stato ordinato frate il 29 agosto 1610, ed assegnato al convento
cittadino. Dieci anni dopo si era già fatto conoscere per le sue
doti intellettuali nello studio della filosofia e della teologia, ed
aveva già fatto progressi così sorprendenti al confronto con gli
altri allievi, che il cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di
Alessandro divenuto papa nel 1621 con il nome di Gregorio XV, lo
aveva voluto presso di sé come suo teologo personale. Nel 1623,
nonostante la sua giovane età, lo aveva addirittura fatto nominare
dallo zio vescovo di Scala e Ravello nel Regno di Napoli, anche se in
realtà la nomina non aveva avuto effetto, appunto perchè ritenuta
sconveniente. “Più utile forse, e per l'Ordine suo più decoroso
fu, che tratto non ne fosse per essere su di una cattedra Vescovile
collocato - osserva il suo biografo, fra Giambattista Contarini
(Notizie storiche circa li pubblici professori nello studio di Padova
scelto dall'ordine di San Domenico, Venezia, 1769) – poiché
proseguendo ad insegnare nelle scuole de' Conventi più insigni di
sua vasta Provincia, se ne sparse la fama per tutta l'Italia, come di
uomo per profondità di dottrina, per copia di erudizione, per la
perizia nel diritto canonico, nella storia ecclesiastica, ed in più
lingue, spezialmente ebraica, greca, caldea, superiore a molti, né
inferiore ad alcuno de' tempi suoi”.
Proprio per queste sue qualità, il
maestro generale dell'ordine, fra Niccolò Ridolfi, che tre lustri
dopo lo avrebbe indicato come suo successore, lo aveva scelto fra
tanti altri, nonostante la sua giovane età, per reggere lo studio
generale di Bologna per poi, nel successivo Capitolo generale a Roma
nel 1629, dichiararlo Maestro senza, tuttavia, abbandonare
l'insegnamento a Bologna. Più tardi, dovendo scegliere il successore
di fra Marco Rossetti, il 27 gennaio 1631 i riformatori dello studio
di Padova proposero al Senato padre Tommaso Turco per la cattedra di
metafisica. Non solo il Senato accettò l'indicazione, ma assegnò al
giovane Tommaso uno stipendio di duecento fiorini, una cifra
superiore a quella che solitamente veniva attribuita- “L'applauso
che riscossero fino da principio le sue lezioni – osserva ancora il
biografo – corrispose alla fama, che di lui era precorsa, singolare
era il profitto che ne traevano li studenti, non ordinaria la
soddisfazione che ne provava il Senato; ma sensibilissimo, e comune a
tutti il dispiacere in veggendolo dopo un solo quinquennio obbligato
a dimettere l'impiego, per assumerne altri a' quali il Cielo lo aveva
destinato”. Era accaduto che papa Urbano VIII, che conosceva bene
fra Tommaso, lo aveva chiamato a Roma verso la fine del 1643 per
assumere l'incarico di Procuratore generale dell'ordine, in seguito
alla morte di Padre Domenico Gravina, prologo alla successiva nomina
a Maestro generale da parte del Capitolo di Roma il 13 maggio 1644,
vigilia di Pentecoste.
La chiesa di San Domenico a Cremona |
In realtà a favorire la nomina di fra
Tommaso era stato Niccolò Ridolfi, caduto in disgrazia presso la
famiglia Barberini, da cui proveniva il papa. I motivi vanno
individuati da un lato nella forte azione riformatrice di Ridolfi
presso l'ordine domenicano di Francia, e dall'altro nelle vicende
romane. Per questo motivo, una volta divenuto Maestro generale, una
delle prime preoccupazioni di Tommaso fu quella di riabilitare il suo
anziano protettore. Ma andiamo con ordine.
Niccolò Ridolfi era divenuto
domenicano dopo un incontro con San Filippo Neri e dopo aver
frequentato in un primo tempo la Compagnia dei Gesuiti. Aveva
rifiutato una prima nomina cardinalizia, per diventare
in seguito teologo personale di papa Gregorio XV e, deceduto fra
Serafino Secchi, Vicario generale dell'ordine, nominato da Urbano
VIII e, eletto dai frati, Maestro generale. In tale veste si
era preoccupato di risanare la situazione economica dell'Ordine e di
riequilibrare le differenze fra un convento e l'altro e fra un
religioso e l'altro; non di rado vi erano infatti numerose disparità
fra religiosi ricchi e poveri e fra conventi ricchi e poveri. A
questo scopo aveva creato la Cassa Generalizia dell'Ordine,
espropriando tutti i beni e gli averi che, in violazione della
regola, conventi e religiosi avevano conservato e che eccedevano le
necessità quotidiane.
Questo
procurò molta prosperità all'Ordine e agli stessi conventi, dal
momento che il Maestro generale cominciò a redistribuire in maniera
molto munifica le risorse che affluivano nella Cassa generalizia,
donando soprattutto a quei conventi che erano in difficoltà e ai
poveri. Nello stesso tempo, però, gli procurò problemi con i
religiosi ricchi e con quelli poveri che intanto si erano arricchiti;
e furono soprattutto alcuni di questi ultimi, che in qualche caso
avevano usato risorse dell'Ordine per mantenersi e mantenere i loro
familiari, a promuovere processi contro di lui e la sua azione
riformatrice. Il divario fra conventi e religiosi ricchi e poveri era
particolarmente presente in Francia, dove negli ultimi cento anni si
era anche cominciato a non rispettare più la regola da un punto di
vista morale. Si erano formate due categorie di frati: la più ricca,
comprendente i maestri in teologia, i baccellieri, i predicatori e i
frati di famiglie benestanti viveva una vita agitata, godeva di molti
privilegi, possedeva in convento i propri appartamenti, non viveva in
comunità ed era dispensata dal coro e dalla messe cantante, aveva al
proprio servizio conversi e domestici e andavano a questuare per
conto loro. La categoria dei frati poveri, ai quali il convento non
passava nulla, tirava avanti a fatica, era obbligata a questuare
ovunque, anche nelle taverne, ed era gravata dagli impegni più
pesanti, come la presenza nel coro, la celebrazione delle messe ad
ora tarda o cantate, l'ascolto delle confessioni. Ovviamente le
famiglie benestanti non mandavano volentieri i loro figli in un
ordine dove per vivere si doveva chiedere la carità e di conseguenza
calavano le vocazioni e si doveva ricorrere ai ceti più poveri,
mentre nel frattempo fiorivano gli altri ordini come i Gesuiti, i
Recolletti, i Carmelitani scalzi, i Cappuccini, ammirati e sostenuti
dalla gente.
Velasquez, Ritratto di papa Innocenzo X |
Lassismo
e squilibri cessarono con il mandato di Ridolfi, che con una risoluta
azione si trasferì oltralpe per guidare in prima persona il
cambiamento. Appena arrivato impose di nuovo rigore e austerità ai
frati ricchi e si preoccupò in pari tempo di migliorare la vita dei
frati più poveri, spesso incaricati dei lavori più pesanti e
costretti ad elemosinare ovunque per tirare avanti.
A tale scopo egli fece valere anche le disposizioni, uscite da tanti capitoli precedenti ma mai applicate fino ad allora, che obbligavano ricchi e poveri ad un unico e comune noviziato, fondando anche un nuovo Noviziato Generale in Parigi. Egli inoltre introdusse anche fra i domenicani gli esercizi spirituali retaggio della sua giovanile frequentazione dei Gesuiti. Nei conventi visitati da Ridolfi non c'era più alcun tipo di silenzio né clausura, uomini e donne circolavano liberamente e non vi erano più un refettorio comune, un biblioteca, vesteria, dormitorio perchè ognuno viveva per conto proprio lasciando la chiesa ed lo stesso convento in totale stato di abbandono
A tale scopo egli fece valere anche le disposizioni, uscite da tanti capitoli precedenti ma mai applicate fino ad allora, che obbligavano ricchi e poveri ad un unico e comune noviziato, fondando anche un nuovo Noviziato Generale in Parigi. Egli inoltre introdusse anche fra i domenicani gli esercizi spirituali retaggio della sua giovanile frequentazione dei Gesuiti. Nei conventi visitati da Ridolfi non c'era più alcun tipo di silenzio né clausura, uomini e donne circolavano liberamente e non vi erano più un refettorio comune, un biblioteca, vesteria, dormitorio perchè ognuno viveva per conto proprio lasciando la chiesa ed lo stesso convento in totale stato di abbandono
Sul
piano politico, sulla scorta dell'esperienza fatta al tempo della sua
permanenza transalpina, tentò una difficile mediazione con il
cardinale Richelieu per riappacificare Francia, Spagna ed Austria e
scongiurare un'alleanza dei francesi con i protestanti. Ma la sua
azione riformatrice in campo religioso, che aveva colpito numerosi
interessi, e la sua azione diplomatica, che gli aveva attirato molte
antipatie e lo aveva coinvolto in trame più alte e inestricabili,
provocarono la sua deposizione, desiderata sia dai frati cui aveva
sottratto ricchezze e aveva costretto a tornare alla piena osservanza
della regola, ma anche auspicata velatamente dalla cancelleria
francese. Fu così che al Capitolo convocato a Genova nel 1642, il
candidato filofrancese Michele Mazzarino, fratello del più famoso
Giulio, arrivato in anticipo coi suoi sostenitori e prima che fossero
giunti tutti gli altri provinciali, riuscì a leggere ai presenti un
documento del cardinal Barberini che lo designava presidente del
Capitolo. Mazzarino riuscì a far approvare la deposizione di Ridolfi
e, poco dopo, a farsi eleggere nuovo maestro generale da un ridotto
numero di aventi diritto. Per tutta risposta, i frati austriaci e
spagnoli, contrari alle trame politiche dei Mazzarino, uscirono dal
Capitolo e, riunitisi a Cornigliano, elessero un altro maestro,
Tommaso di Rocamora. A questo punto, il Papa fu costretto a nominare
una commissione che dichiarò nulle sia la deposizione di Ridolfi che
le successive elezioni di Mazzarino e Rocamora, restituendo il
governo dell'Ordine al primo dei tre. Il Papa in seguito demandò ad
un successivo Capitolo Generale il giudizio delle colpe, ma poco dopo
sollevò ugualmente Ridolfi dall'ufficio, chiudend operò tutti i
processi contro di lui e manifestando l'intenzione di chiamarlo
all'episcopato. Intanto al Ridolfi non fu affidata nessuna diocesi,
mentre il Mazzarino venne nominato Maestro del Sacro Palazzo.
Nel
successivo Capitolo, convocato a Roma dal Papa nel 1644 i frati che pensavano di poter rieleggere prontamente il Ridolfi, si
trovarono di fronte al veto del pontefice, che fece valere il suo
rifiuto anche nei confronti di fra Domenico de Marinis, maggior
collaboratore di Ridolfi, in un primo tempo eletto dal Capitolo. La
grande paura della famiglia Barberini era che Ridolfi, durante il
Capitolo, potesse rivelare gli intrighi e le malefatte della famiglia
cui apparteneva il papa. A quel punto i padri capitolari si
orientarono sul nome di Tommaso Turco, anch'esso consigliato loro da
Ridolfi e, alla fine, confermato dal Papa. Alla morte di Urbano VIII,
avvenuta lo stesso anno, salì al soglio pontificio Innocenzo X,
della famiglia Pamphili, acerrima nemica dei Barberini che, amico del
Ridolfi, elevò alla carica del Sacro Palazzo proprio Domenico de
Marinis, il candidato al governo dell'Ordine su cui Urbano VIII aveva
posto il veto.
Forse
Tommaso Turco avrebbe voluto risolvere subito la questione del suo
mentore Niccolò Ridolfi, ma si fermò a Roma solo un anno. Si recò
dapprima in Francia, ed il 26 novembre 1645 era a Parigi per
riformare il convento di San Giacomo. Racconta il suo biografo:
“Persuasa con particolarità la Regine del sapere singolare del
nostro Generale, premurosamente incitollo a combattere e colla voce,
e con la penna l'eresie che in quel regno ed in que' giorni
oltremisura infierivano; lo che fatto forse egli avrebbe, se in quel
poco tempo che restogli di vita, altri gravissimi affari tenuto non
lo avessero indispensabilmente occupato”. Fu così che nel marzo
1646 dalla Francia passò in Belgio, dove fu accolto con grandi feste
e grande entusiasmo, e da lì di nuovo in Francia nel convento di
Tolosa, e poi in Spagna, ricevuto dallo stesso re Filippo IV, per il
Capitolo generale di Valencia del 1647. Riuscì a tornare a Roma nel
1648 e subito sollecitò il nuovo papa Innocenzo X a riunire una
commissione di cardinali per riabilitare il Ridolfi, fino alla sua
completa assoluzione. Purtroppo per ironia del destino, fu tutto
inutile. Tommaso Turco morì improvvisamente il 1 dicembre 1449 a 54
anni di età, e Niccolò Rodolfi pochi mesi dopo, il 1 maggio 1650, a
dieci giorni dall'apertura del Capitolo che lo avrebbe sicuramente
eletto maestro generale. Conclude il suo biografo: “Com'egli era
uomo di gran mente, di attività, di coraggio, così concepute aveva
idee, quali se mandate avesse ad effetto risultate sarebbero in gran
vantaggio, e sommo lustro di quell'Ordine, di cui era capo; ma la
morte che in età troppo fresca lo colse, gliene impedì la
esecuzione. Li disagi sofferti ne' lunghi viaggi, le occupazioni
moleste, ed incessanti, guastarongli per tal modo la sanità, che un
solo anno in circa da che restituito erasi da Spagna in Roma, fu
sorpreso da gravissima infermità, che tosto ei riconobbe mortale;
onde chiesti, e ricevuti con superiorità d'animo, e spirito di
singolar divozioni gli ultimi Sacramenti, cessò di vivere il primo
dicembre 1649, che della età sua non era che il 54: Pianse la di lui
morte immatura, non solamente l'Ordine nostro, che in lui perduto
aveva un Generale per costumi, per dottrina, per zelo, per
intrepidezza, per estimazione, e per merito a veruno de' suoi
predecessori non inferiore; ma la compianse tutta Roma, l'Italia, la
Europa; e lagnossene con distinzione il Pontefice Innocenzo X che al
funesto annunzio, che recato gliene fu, ebbe a dire: che caduta era
una colonna della cristiana Repubblica, non che della Religione
Domenicana”.