Le vetrate dell'abside del duomo di Milano |
Il duomo di Milano possiede
straordinarie vetrate gotiche che costituiscono un'affascinante
Bibbia luminosa ed uno dei più interessanti esempi dell'arte
vetraria italiana. La loro stesura seguì passo passo le vicende
edilizie del cantiere quando già nella prima fase dei lavori si
presentò il problema di chiudere con vetri le grandi finestre. La
prima soluzione proposta nel 1397 prevedeva semplicemente la messa in
opera di vetri colorati, ma già qualche anno dopo si decise di dare
alla finestre delle vetrate istoriate, decorate
in modo da costituire il racconto visivo con cui Dio si manifesta al
suo popolo attraverso la luce, immagine stessa di Cristo. Il
cantiere, in realtà, si è chiuso solo nel 1988 con il compimento
delle finestre sulla facciata, dopo sei secoli di lavori in cui si
sono alternati i maggiori maestri vetrai, da Michelino
da Besozzo a Stefano da Pandino, da Pellegrino Tibaldi
all’Arcimboldo,
oltre a un’infinita serie di maestri lombardi, fiamminghi e
internazionali come l’ungherese Giovanni
Hajnal dell’ultimo
lavoro.
E tra i primi artisti che si cimentarono nell'impresa vi fu anche un
cremonese, ricordato nei Registri della Veneranda Fabbrica del duomo
di Milano con il nome di Maffiolo, non solo in qualità di “magister”
vetraio, ma anche come “rechamatorem”, cioè arazziere. Di questo
artista sicuramente importante, almeno a giudicare dalle vicende in
cui fu coinvolto a Milano, e della sua famiglia, non è rimasta
alcuna traccia negli storici locali. Al punto tale che si è pensato
che in realtà la sua formazione artistica sia avvenuta a Milano,
dove potrebbe essere giunto al seguito di Bonino da Campione, lo
scultore campionese attivo nel duomo di Cremona agli esordi della sua
carriera, che nel 1357 aveva firmato il sarcofago di Folchino
Schizzi, oggi collocato sotto la Bertazzola alla destra del protiro
maggiore della Cattedrale. Bonino, destinato a diventare nel corso
del XIV secolo il maggior rappresentante della produzione plastica
lombarda, era entrato a far parte del Consiglio della Fabbriceria del
duomo milanese nel 1388, dopo essere stato nel corso degli anni
Settanta uno degli scultori preferiti dai Visconti. Qui
Bonino lavorò fino al 1397, contemporaneamente a Iacopo da Campione,
autore della lunetta della porta della sacrestia settentrionale e
ingegnere della Fabbrica accanto a Giovannino de' Grassi che, con le
sue ricerche naturalistiche, rappresentava il maggior interprete
dell'arte gotica lombarda, precedente gli influssi che avrebbe poi
esercitato il gotico internazionale. Sono gli anni in cui gli artisti
lombardi difendevano la tradizione locale contro gli influssi delle
maestranze tedesche, rappresentate dallo scultore Hans Fernach e
dall'architetto Heinrich Parler di Ulma.
La creazione degli animali e delle piante |
Conclusasi
questa fase con la morte dei suoi protagonisti, il panorama degli
scultori presenti a Milano fu dominato da personalità come Jacopino
da Tradate, Matteo Raverti e Niccolò da Venezia, che operarono
secondo i modelli loro forniti da Paolino da Montorfano e Isacco da
Imbonate. Paolino da Montorfano è il più antico pittore con questo
cognome, ricordato nelle carte dell'archivio della Fabbriceria,
quando il 3 agosto 1402 si offriva per dipingere alcune storie di
santi per le vetrate del duomo. Allo stesso anno risale la prima
citazione del nostro Maffiolo come vetraio e come "magister"
impegnato nella fase di costruzione e decoro architettonico
dell'edificio. Maffiolo compare in un documento del 30 maggio 1402
come membro della commissione chiamata a giudicare il disegno per il
finestrone centrale dell'abside del duomo, progettato da Filippino da
Modena: è indicato come il disegnatore e il supervisore del tondo
con la "collumbeta", l'aquila che orna lo straforo
terminale della finestra. Due sculture in marmo serpentino con lo
stesso soggetto, che con questa denotano evidenti somiglianze
formali, conservate oggi al Museo del Duomo di Milano senza che ne
sia conosciuta la provenienza, potrebbero essere ricondotte alla
progettazione ed esecuzione da parte di Maffiolo che, dunque, sarebbe
stato anche scultore. Si è ipotizzato infatti il suo intervento
anche per un capitello pensile dello zoccolo esterno del duomo
raffigurante una Testa
di vecchio con grappolo d'uva,
già attribuito a maestranze nordiche attive nel cantiere alla fine
del XIV secolo, ma riconducibile a Maffiolo per il confronto con le
linee nette e flessuose della "collumbeta" e la somiglianza
con il volto del Padre Eterno, effigiato nelle vetrate che l'artista
cremonese realizzò a partire dal 1417.
Nel
1429, però, Maffiolo è indicato nei documenti anche come "magistrum
rechamatorem", a testimonianza della particolare eccellenza in
quest'arte, della quale però nulla è rimasto. Non è un fatto
strano, dal momento che nel medioevo sono noti casi di grandi artisti
che praticarono più di un'arte, senza dimenticare il fatto che
Maffiolo proveniva da una città dove la fabbricazione ed il
commercio dei panni di lino e di cotone era fiorente fin dalla metà
del Duecento e non è fuori luogo ritenere che, accanto a tessitori,
curatori, manganatori e tintori vi fossero anche artisti impegnati in
questo tipo di lavorazione. A Pavia, ad esempio, nel 1410 era attivo
come ricamatore Teodorico di Fiandra, mentre nel 1420 è ricordato a
Mantova come”tapezarius” e “magister a paramentis” un certo
“Zaninus de Francia” che avrebbe fornito disegni per arazzi. Un
altro “Francisco de Mantua” è citato in alcuni documenti degli
Archivi Vaticani come “rechamatori” tra il 1417 ed il 1420.
Francesco Malaguzzi Valeri ricorda un certo Stefano ricamatore che
nel 1456 aveva impegnato a Soncino una stoffa sottratta al conte
Carlo da Motone, e nel 1459 un tessitore, Pietro Mazzolino, che aveva
aperto a Milano un laboratorio di velluti e sete ricamate.
La creazione dell'Universo |
Il
maggiore impegno di Maffiolo nella Fabbrica del duomo fu senz'altro
nell'ambito della realizzazione delle vetrate del coro, di cui
restano solo pochi antelli sopravvissuti alla distruzione e agli
spostamenti ottocenteschi. Si tratta delle vetrate con la Creazione
degli animali e delle piante, della creazione dell'Universo e della
creazione dell'uomo già assegnati da Monneret de Villard a Niccolò
da Varallo ma riportate poi a Maffiolo in seguito al ritrovamento di
numerosi pagamenti per la loro esecuzione. La messa in opera di
vetrate istoriate nel duomo milanese era cominciata agli inizi del XV
secolo con la commissione delle finestre della sacrestia, per
eseguire le quali arrivarono Antonio da Cortona e Niccolò da
Venezia. Con il procedere dell'elevazione dell'edificio, seppur
relativamente tardi, nel 1414 i fabbriceri Beltramino da Bollate e
Giorgio de Lavizzi vengono incaricati di cercare un artista che sia
in grado di decorare con vetrate i tre grandi finestroni dell'abside,
dopo la conclusione del grande rosone centrale della Raza dedicato al
duca Galeazzo Visconti. Un'impresa colossale che avrebbe comportato
la realizzazione di trecento antelli rettangolari ed altrettanti per
i tre rosoni. Scelgono Zanino Angui de Normandia a cui vengono
consegnati vetro, ferro e piombo, ma intanto vogliono verificare
anche le capacità dei numerosi artisti locali che nel frattempo si
sono offerti, tra cui Maffiolo da Cremona e Franceschino Zavattari.
Maffiolo è già impegnato in diversi lavori, ed è di volta in volta
indicato come recamatorem‘, ‘de la rama’,’faber’;
Franceschino invece appartiene alla famiglia degli Zavattari, famosi
frescanti. Nessuno di loro in effetti è uno specialista maestro
vetraio. Il 29 febbraio 1416 Zanino Angui presenta un gruppo di
antelli già eseguiti ad una commissione di esperti, tra cui vi è
anche un altro cremonese, Stefano da Pandino, abitante a Milano dove
conduce una bottega di pittore insieme al padre Lanfranco.
Evidentemente allettato dalla possibilità di lavorare nel cantiere
del duomo, lo stesso Stefano qualche mese dopo presenta un antello di
prova offrendosi di eseguirlo a proprie spese purchè gli venga
messo a disposizione il materiale necessario. I fabbriceri, a loro
volta pressati dalle difficoltà economiche, nel 1417 accettano la
proposta e riforniscono Stefano di una grande quantità di vetro
necessario alla realizzazione di venti antelli e alla fine di ottobre
assegnano a Maffiolo l'esecuzione delle altre due finestre absidali,
dopo un duro confronto con Franceschino Zavattari, a cui erano state
appaltate in un primo tempo. Per eseguirle Franceschino si era
impegnato ad acquistare il vetro a proprie spese, ma evidentemente
non aveva convinto del tutto la Veneranda Fabbrica, che aveva
preferito anticipare invece 540 lire a Maffiolo.
La creazione dell'uomo |
Nel maggio del 1418,
al momento della consacrazione dell'altare maggiore da parte del papa
Martino V, provenente da Basilea e diretto a Roma, le vetrate non
sono ancora pronte ed i nuovi pannelli vi sono apposti in modo
provvisorio. Il 10 marzo 1420 i venticinque antelli di Maffiolo,
costituenti il primo quarto della vetrata, vengono esaminati dalla
commissione della Fabbrica, tra cui anche un esperto, Tomaso degli
Umiliati di Brera. Ma vi è un ritardo nell'esecuzione dei pannelli,
ed inizia un contenzioso con la Veneranda Fabrica, a dirimere il
quale viene chiamato nell'agosto Michelino da Besozzo, "pictorem
superno et magistrum a vitratis in totum". Nei dieci mesi
successivi Maffiolo realizza e consegna un altro quarto del
finestrone e nell'agosto del 1421 ha finalmente fine con il pagamento
di 22 antelli per la vetrate grande. Nel 1424 è registrato il
pagamento del lavoro e l'anno successivo gli viene fatto credito per
la concessione di altro vetro insieme con Paolino da Montorfano.
L'ultima
opera documentata di Maffiolo è del 1427: si tratta della
commissione di due insegne di Filippo Maria Visconti da porre sopra
uno stendardo in campo d'oro, per le quali gli furono computate le
spese per l'oro, l'argento e la seta. Un'attività legata
evidentemente alla sua competenza di "magistrum rechamatorem",
che testimonia gli ambiti dell'attività figurativa della sua
bottega, continuata presumibilmente dal figlio Giovanni. Di Maffiolo
non è nota né la data né il luogo della morte.
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