Elia
Santoro aveva ragione: Antonio Stradivari fu protetto dalla potente
Compagnia di Gesù, come altri liutai del suo tempo e precedenti a
lui. Quella che poteva essere solo una felice intuizione è stata
recentemente confermata dal ritrovamento, tra i reperti stradivariani
non ancora esposti al Museo del Violino, di un biglietto datato 24
agosto 1727, da cui si apprende come Giuseppe Filiberto Barbieri,
rettore della Compagnia di Gesù, s'impegni a far pervenire una
cassetta per conto di Antonio Stradivari al Procuratore dei Padri
Gesuiti del Collegio di Modena. “Ho ricevuto dal Barone Pietro
Fedele una cassetta seugnata colle lettere R.P.M., e procurerò
dispedirla con opportuna occasione a Modena al Padre Procuratore dei
padri Gesuiti di quella città, come si debba dal sig. Antonio
Stradivari. In fede”. Il fortunato ritrovamento è stato effettuato
dal conservatore del Msueo del Violino Fausto Cacciatori e dal
paleografo Marco d'Agostino nell'ambito di una ricerca paleografica
sui reperti stradivariani delle collezione civiche liutarie in cui
sono stati sottoposti tutti i reperti, esposti
e non, ad una nuova serie di analisi e confronti, anche con il
contributo del Laboratorio Giovanni Arvedi di diagnostica non
invasiva dell’Università di Pavia che ha sede all’interno del
Museo.
Dopo
oltre un anno di lavoro i primi risultati sono sorprendenti, con
nuove attribuzioni e la scoperta di elementi originali, mai esposti
in epoca recente. Dagli studi, che saranno completati entro l’anno
e saranno pubblicati nel nuovo catalogo della collezione, sono emersi
reperti sicuramente provenienti dalla bottega di Antonio Stradivari,
che presentano sue annotazioni e che furono utilizzati per la
costruzione dei suoi strumenti.
Fra
quanto esaminato sono stati ritrovati, fra l’altro, i disegni per
la decorazione della tastiera e della cordiera della viola tenore
conservati alla Galleria dell’Accademia di Firenze, unico strumento
ancora nelle condizioni originarie. Disegni pubblicati, all’inizio
del secolo scorso, dai fratelli Hill nel loro libro sulla vita e le
opere di Antonio Stradivari, ma dei quali si era persa ogni traccia.
Oltre
a questi modelli anche il disegno forato per lo spolvero delle
decorazioni presenti sulla fasce del violino Rode del 1720
appartenuto al Marchese Carbonelli di Mantova.
Il biglietto scritto da Busseto |
Ma
è sicuramente questo piccolo biglietto spedito da Busseto ad
attirare l'attenzione anche dei non esperti sulla personalità
stradivariana.
Già
Santoro aveva notato come le etichette stradivariane rivelassero con
chiarezza la protezione dei Gesuiti fin dal 1672 e lo stesso liutaio
avesse quasi certamente aderito alla Compagnia di San Giuseppe sin
dai tempi in cui questa si trovava sotto la parrocchia di Sant'Agata.
Con ogni probabilità la Compagnia di Gesù aveva appoggiato ed
apprezzato, come già fatto precedente dai Carmelitani, gli studi di
carattere scientifico che Stradivari aveva condotto negli ultimi anni
del XVII secolo sulla costruzione del violino. I Gesuiti, nel
complesso di San Marcellino, oltre alle scuole, facevano funzionare
anche tre oratori destinati ai giovani, e due Congregazioni, una
destinata ai gentiluomini, cioè coloro che potevano vantare quarti
di nobiltà ma del frattempo si erano impoveriti fino a tornare allo
stato borghese, ed un'altra destinata ai mercanti e agli artisti.
Quest'ultima era intitolata a San Giuseppe e curava un altare nella
chiesa di Sam Marcellino dove, non a caso, sono conservati anche
lavori di Giacomo Bertesi. La protezionedei Gesuti si rivela, nel
caso di Stradivari, da un piccolo sigillo che a partire dal 1672 si
trova sulla parte bassa a destra del cartiglio. Se la dicitura “Sub
titulo Sanctae Teresae” che ritroviamo nei cartigli dei Guarneri
secenteschi rivelava il riferimento ai Carmelitani, così la croce
racchiusa in doppio circolo con le iniziali A.S. alludeva nel caso di
Stradivari alla croce con il monogramma JHS usata dai Gesuiti. Ed è
facile comprendere come il grande liutaio potesse affidarsi proprio a
quell'ordine che grazie ai suoi numerosi collegi, aveva conquistato
tutta l'Europa ed anche i nuovi continenti, così da consentire la
diffusione della fama dei suoi violini grazie al prestigio ed agli
ampi consensi goduti dall'ordine presso tutti i ceti sociali.
Il violino Rode del 1720 |
D'altronde
i liutai avevano sempre goduto di protezioni da parte dei grandi
origini religiosi fin dai tempi di Andrea Amati e di suo fratello,
soprattutto da parte delle due grandi organizzazionidei carmelitani
Scalzi e dei Gesuiti che, pur contrapposte, godevano a Cremoandi un
indiscusso primato culturale. I Carmelitani Scalzi avevano la loro
base nel convento nei pressi della chiesa di Sant'Imerio e, in virtù
della loro predilezione per le scienze, si erano interessati alla
costruzione degli strumenti ad arco, dando disponibilità alle
richieste degli Amati. Niccolò ad esempio fece rogare nel 1682 il
proprio testamento nel convento carmelitano, facendosi poi
seppellire, due anni dopo, nella vicina chiesa di S. Imerio. Secondo
Santoro la protezione dovevs risalire fino ai tempi del padre Niccolò
e continuare con i Guarneri, che avevano vissuto con gli Amati. Il
convento era dedicato a San Giovanni della Croce e alla santa
riformatrice delle istituzioni delle istituzioni carmelitane Teresa
di Gesù. La famiglia Amati, però, al contrario di Sradivari, aveva
ritenuta questa protezione del tutto privata, diversamente dai
Gesuiti, che invece, rendevano nota la loro protezione per questo o
quel liutaio. All'inizio del XVII secolo, però, il collegio
gesuitico di San Niccolò non esercitava ancora la propria influenza
in campo culturale, ma si era ramificato nel settore mercantile. Tra
i suoi adepti vi erano Alessandro Capra, alcuni consoli mercantili
tra cui Domenico Mainoldi, un sindaco dell'Università degli orafi
come Giovanni Battista Ferrari. Ma dalla metà del secolo i Gesuiti
non fecero più mistero della predilezione riservata ad artisti,
mercanti, banchieri e nobili.
La
protezione esercitata dai Gesuiti su Stradivari è ancora più
evidente nel caso di Giuseppe Guarneri, che, diversamente da tutti
gli altri liutai, nell'etichetta dei suoi strumenti poneva un sigillo
identico a quello dell'ordine con la croce e il monogramma JHS. I
Gesuiti scelserodi proteggere questi liutai perchè ritenuti i più
importantie gli unici in grado di rappresenare l'elite della scuola
cremonese, anche se non disdegnarono di dare il lor appoggio anche ad
litri liutai non cremonesi, cone Giovanni Battista Guadagnini, che
nei suoi strumenti appoese etichette con un sigillo che imita quello
gesuitivo con una croce o una doppia croce.
La
collezione del Museo stradivariano è costituita da 1305 oggetti,
forme e disegni preparatori per la costruzione degli strumenti,
modelli cartacei e lignei e attrezzi di lavoro.
La
raccolta, unica al mondo, si è costituita nel corso del tempo
partendo dalla donazione di Giovanni Battista Cerani nel 1893,
formata da 408 oggetti proveniente dal laboratorio del liutaio
cremonese Enrico Ceruti. Seguirono altre donazioni, fra le quali
ricordiamo quella dei coniugi Piazza Soresini, consistente nel pozzo
e nel frammento di arcibanco proveniente dalla casa di Antonio
Stradivari.
Il
contributo più consistente arrivò nel 1930, quando il liutaio
bolognese Giuseppe Fiorini donò a Cremona la collezione da lui
acquistata, nel 1920, dagli eredi del conte Cozio di Salabue, cui era
stata ceduta nel 1774 da Paolo, figlio di Antonio Stradivari. Il
sommario inventario redatto da Illemo Camelli, direttore del Museo
Civico, all’atto dell’acquisizione conteggiò 1303 oggetti.
Il 6
dicembre del 1956 tutto il materiale fu trasferito dal Museo Civico
alla Scuola di Liuteria, che all’epoca aveva la propria sede in
Palazzo dell’Arte; in questa occasione fu redatto un nuovo
inventario da cui risultano 1117 reperti.
Tutto fu
infine trasferito al Museo Civico e nel 1976 si inaugurò il Museo
Stradivariano con ingresso da via Palestro. Nel 2001 l’ultimo
spostamento nella sala Manfredini del Museo Civico, fino al 2013,
anno dell’apertura del Museo del Violino. Il trasferimento nella
nuova sede non ha introdotto variazioni nel percorso espositivo.
Particolari della viola tenore dell'Accademia |
Nel 1972
Simone Fernando Sacconi pubblicò nel suo libro I Segreti di
Stradivari il catalogo dei 709 reperti esposti nella sede di via
Palestro; i reperti tuttora esposti a cui si sono aggiunti il
frammento di arcibanco e la lettera autografa di Stradivari
acquistata dalla fondazione Stauffer.
Una parte
significativa della collezione, costituita da 509 oggetti, non fu mai
fruibile dai visitatori, poiché tali reperti furono considerati di
interesse inferiore rispetto a quelli esposti.
Un primo
lavoro paleografico sui reperti esposti è stato svolto da Marco
D’Agostino, professore del Dipartimento di Musicologia e Beni
Culturali dell’Università degli Studi di Pavia, e pubblicato nel
2009. Sono stati classificati i reperti, cartacei e lignei, con
annotazioni autografe del liutaio cremonese, e sono state individuate
le note eseguite da altre mani fra le quali il Conte Cozio di
Salabue.
Con
il trasferimento al Museo del Violino di tutto il materiale è stato
avviato uno studio approfondito – a cura del conservatore Fausto
Cacciatori in collaborazione con il paleografo Marco D’Agostino -
sui 593 reperti che non erano mai stati esposti. Nello stesso tempo,
in collaborazione con il professor Marco Malagodi, coordinatore
scientifico del Laboratorio Giovanni Arvedi di diagnostica non
invasiva dell’Università di Pavia che ha sede all’interno del
Museo, sono in corso analisi chimiche sulla caratterizzazione
elementale degli inchiostri utilizzati per le diverse annotazioni
presenti sui reperti.
Per
quanto rigaurda la scrittura l'esame paleografico ha permesso di
enucleare tra i repetti mai esposti al pubblico un gruppo di
manoscritti sicuramente autografi di Antonio Stradivari, tra cui, di
notevole importanza, l'annotazione delle armi con intarsi in
madreperla della viola tenore realizzate per il principe di Toscana.
E' stato poi possibile riportare alla mano del grande liutaio altre
annotazooni grazie al confronto con le lettre guida, individuate
nella q, composta come fosse una g, la p e la d, e le aste
ascendenti, molto elevate e sinuose che nella parte alta si piegano
verso destra. Dallo studio effettuato è stato possibile ricondurre a
Stradivari il 30% dei reperti non esposti.
Nonostante il principe dei liutai sia
stato ampiamente studiato, non è mai stato individuato in modo
inequivocabile il corpus direttamente riconducibile a lui e le
caratteristiche del modo in cui lavorava la sua bottega, con la
partecipazione dei figli Omobono e Francesco, prima che il figlio
Paolo
cedesse tutto quanto in blocco al conte
Cozio di Salabue. E' proprio questa figura di commerciante e
collezionista a complicare un po' tutto quanto: le sue annotazione
compaiono spesso accanto a quelle del maestro, spesso ne ripetono le
frasi e il tono. Dopo la morte di Antonio gli eredi vendettero a
Cozio di Salabue oltre ad un certo numero di violini trovato in
bottega, anche forme, disegni e vari attrezzi. La collezione del
conte, passata poi in eredità alla famiglia Dalla Valle nel 1840, fu
poi venduta nel 1920 al liutaio Giuseppe Fiorini che a sua volta la
donò al Comune di Cremona nel 1930. Un grande numero dei reperti
stradivariani conservato al museo è provvisto di scrittura vergata
non di rado anche da due o più mani: si tratta di 125 pezzi su 710.
Le annotazioni erano state tutte attribuite a Antonio, ma già verso
la fine degli anni Ottanta il conservatore Andrea
Mosconi era convinto che ci fosse anche
dell'altro. Ed aveva ragione: solo il 30% di quelle scritte sono
autografe, mentre la parte restante non lo era ed è forte il dubbio
che, in realtà, sia stato proprio il conte Cozio a metterci del suo.
E forse anche qualcuno dei due figli. Ci sono pervenute
tre preziose testimonianze manoscritte
di Antonio Stradivari sicuramente di sua mano: una lettera datata 12
agosto 1708, una seconda lettera non datata, e il testamento del 24
gennaio 1729. I tre autografi sono conservati a Cremona, il primo al
Museo stradivariano, il secondo all'Archivio di
Stato
e il terzo presso la famiglia Sacchi.
Non mi sembra strano che Antonio facesse degli studi scientifici
RispondiEliminasulla costruzione dei violini.Infatti anche io ne faccio per la revisione dei miei clarinetti