David Hume |
Forse a Cremona,
dove fervevano i preparativi per la visita del nuovo governatore
dello Stato di Milano, il conte Ferdinando di Harrach con la moglie,
che, appena fresco di nomina, tornava in città dopo pochi mesi dal
primo passaggio nel settembre 1747, era sfuggita la presenza di quel
grassoccio e pacifico nobiluomo scozzese. D'altronde erano anni che
la città e le campagne erano percorse senza sosta da soldati
spagnoli, francesi e austriaci che chiedevano in continuazione vitto,
alloggio e denaro. E poi quel signore elegante dall'aspetto bonario,
faceva di tutto per passare inosservato. Guardava, ascoltava e
passava oltre. Guardava e scriveva, tanto. Si accompagnava ad un
maturo militare inglese, il tenente generale James Saint Clair,
responsabile delle forze militari britanniche in Fiandra, dove era
stato inviato due anni prima, quando dalla corte di Vienna erano
iniziati a soffiare altri venti di guerra. Era lui che aveva voluto
con sé quel giovanotto, che di militaresco non aveva nulla,
in una delicatissima missione, una vera a propria operazione di
intelligence, destinata a restar sotto traccia. Una presenza talmente
discreta che non venne mai notata dagli annalisti locali. Eppure
quell'uomo mite, grassoccio e rubizzo, di lì a qualche anno avrebbe
fatto molto parlare di sé. Quello strano tipo, che parlava un
italiano fluente ed aristocratico con una marcata inflessione
inglese, non era altri che David Hume. Il ricordo di quel passaggio a
Cremona è raccolto nelle poche righe, acute ed essenziali, di una
lettera inviata all'amico Montesquieu il 12 maggio 1748: “Ahimè,
povera Italia! Il povero abitante muore di fame nel mezzo
dell'abbondanza della Natura: e nella vigna carica arde per la sete.
Le tasse sono qui esorbitanti oltre ogni limite”. Il tutto
intervallato da un passo tratto dalle Egloghe di Virgilio, la sua
grande passione: “Impius
haec tam culta novalia miles habebit; Barbarus has segetes?”,
cioè “Un veterano senza Dio possiederà questo terreno incolto,
questi campi un barbaro?”. Non poteva esserci un'immagine più
chiara per descrivere la disgraziata situazione in cui versava
Cremona, paradigma di quella dell'intera pianura Padana, che il quel
momento attraversava la sua crisi peggiore. Anche per Mantova, dove
era stato solo qualche giorno prima, Hume osservava l'11 maggio:
“Dirò solo che nulla può essere più singolarmente bello della
pianura della Lombardia, né più mendicante e miserabile di questa
città”.
Tra
il 1745 e il 1748 Hume fu segretario particolare del generale James
di Saint Clair, già luogotenente delle forze britanniche nelle
Fiandre, presso le ambasciate segrete militari di Vienna e di Torino.
“Allora vestii l’uniforme di ufficiale…e aiutante in campo” ,
osserva Hume nella sua autobiografia, racimolando una fortuna di
1000 sterline. Saint Clair lo aveva scelto, chiesto e ottenuto
rifiutando un segretario che gli era stato assegnato dal ministero,
il che significa che il filosofo godeva della massima fiducia del
luogotenente. Hume accettò l’incarico soprattutto per il desiderio
di fare nuove esperienze e conoscenze e anche per un obbligo di
riconoscenza verso Saint Clair perché aveva già rifiutato in
precedenza l’impiego offertogli dallo stesso nelle Fiandre. Dopo un
viaggio attraverso l'Olanda e la Germania e un soggiorno a Vienna, il
generale St. Clair partì da Vienna per Torino il 26 aprile 1748,
passando per Trento, Milano, Mantova, dove giunse l'8 maggio, e
Cremona. L'annuncio della firma dei preliminari di pace a
Aix-la-Chapelle rese però praticamente inutile la missione di
ambasceria; tuttavia, su richiesta del re di Sardegna, il generale
St. Clair, con Hume e il seguito dell'ambasciata, si ferma a Torino
fino alla fine di novembre. Del soggiorno di Hume a Torino rimangono
poche notizie, più che altro aneddoti sul suo presunto innamoramento
di una contessa e su alcuni disturbi fisici provocati
dall'alimentazione. Hume continuò la carriera diplomatica anche in
seguito perché tra il 1763 e il 1766 fu segretario del conte di
Hertford, ambasciatore inglese in Francia e, per qualche mese, egli
stesso ambasciatore supplente. Ancora fra il 1767 e il 1769 fu
sottosegretario di stato del ministro per il dipartimento del Nord,
generale Conway, nel governo di William Pitt il Vecchio. Ma il
vecchio e bonario Hume pare non averne approfittato più di tanto.
Dal
viaggio da Vienna a Torino al seguito di Saint Clair, che
accompagnerà anche nell’attacco
tentato alle coste della Francia, nascono le considerazioni di Hume
sulla guerra e la sua posizione critica nei confronti dei conflitti,
da cui emerge lo sguardo realista e a tratti ironico di Hume sulla
“miserabile guerra. Questi scritti si collocano in una fase
decisiva per lo sviluppo del suo pensiero politico e ci consegnano
una figura inedita del filosofo come cultore dell’arte bellica,
esperto di strategie militari, ufficiale amico di generali e
ministri, osservatore acuto delle personalità dei sovrani e delle
dinamiche internazionali.
Cremona nel XVIII secolo |
Quando
Hume arrivò a Cremona, la città usciva dall'incubo di una nuova
guerra, che sembrava ancora realtà solo un anno prima, quando ad
aprile erano già stati requisiti 170 carri con quattro cavalli
ciascuno per le esigenze delle truppe, ed a giugno era stata
applicata una nuova tassa di oltre quattro lire per finanziare altre
imprese militari. Perciò quando il 18 ottobre 1748 arrivò la pace
di Aquisgrana che riconosceva Maria Teresa come legittima erede di
Carlo VI e al marito Francesco Stefano di Lorena il titolo imperiale
e quello di Granduca di Toscana, la città tirò un sospiro di
sollievo. La Lombardia avrebbe goduto di 48 anni ininterrotti di
pace, dopo quasi mezzo secolo di ininterrotte operazioni belliche che
avevano pesantemente falcidiato l'economia del territorio. Ancora a
gennaio del 1746 era stata richiesta una nuova provvista di frumento
per le truppe, una raccolta di carri per rifornire di sale il
Piemonte, un nuovo rifornimento per la fortezza ed il campo di
Pizzighettone, ed ancora una raccolta di muli per l'armata per paura
della recrudescenza della peste bovina. Da quindici anni la provincia
era percorsa in lungo e in largo dagli eserciti: prima da quelli
coinvolti nella guerra di successione polacca, e poi in quella
austriaca. Fin dal 1730 si era trasformata in una grande caserma:
alla fine di luglio di quell'anno, infatti, le caserme rigurgitavano
di armati e due compagnie vennero alloggiate nel convento di San
Pietro, altre due in San Bartolomeo, S. Angelo e S. Domenico, in
scuderie vennero trasformate S. Agostino e S. Vincenzo. Il convento
di San Francesco fu adibito a magazzino di avena, orzo e spelta
provenienti dalla Germania, la chiesa di S. Antonio del Fuoco diventò
il magazzino della paglia e delle stoppie. A metà ottobre si
annunciava l'arrivo di ben otto battaglioni ed ai primi di febbraio
una grida del governatore Daun obbligava i cittadini a mettere a
disposizione dell'esercito altri cavalli e carrozze per trasportare
le truppe austriache a Casalmaggiore, Pizzighettone, Parma e
Piacenza. Alla fine del dicembre 1733 l'esercito franco-piemontese
aveva occupato la provincia con settemila cavalli, distribuiti in due
gruppi lungo il Po e l'Oglio, da Casalmaggiore a Soncino, compreso
Bozzolo. La provincia era al centro di tutte le operazioni militari
rifornendo l'esercito confederato di fieno, biade, legna, paglia,
olio candele, orzo, granaglie e via dicendo.
La presenza di così tanti soldati faceva aumentare i casi di stupro
e di adulterio, ma, osservava il cronista di questi fatti, il notaio
Carlo Calvi, non tanto per le violenze subite quanto per i regali che
i giovani francesi offrivano alle donne povere della città.
Durante
il primo inverno di guerra, nei mesi di gennaio e febbraio 1734,
Cremona ospitò 15.000 soldati, quasi trentamila la provincia, con
7000 cavalli. L'anno precedente l'abate dei canonici lateranensi
aveva espresso la propria preoccupazione che i dirigenti degli
ospedali francesi volessero convertire in ospedale la chiesa e la
canonica di San Pietro, cosa che puntualmente avvenne, così come per
le altre chiese di San Luca, San Francesco, San Geroldo, Sant'Angelo,
S, Caterina della Incoronata, il Seminario, i palazzi Redenaschi e
Pallavicini e San Domenico. La chiesa e il convento di S. Agostino,
secondo quanto affermato dal priore Camia, avrebbero ospitato più di
ventimila soldati francesi feriti e ammalati, di cui 17.000 sarebbero
morti in tre anni. Gli agostiniani per ottenere il risarcimento dei
danni subiti si rivolsero allora all'ambasciatore francese a Roma,
attraverso il cardinale Fleury, il quale rispose che se il re Luigi
avesse dovuto pagare tutti i danni provocati dalla guerra non sarebbe
bastato tutto il suo patrimonio.
Maria Teresa d'Austria |
Magazzini
militari per la conservazione del fieno furono aperti nelle chiese di
S. Antonio Abate e di San Carlo ed il magazzino del vino in S.
Cristoforo. Alla fine del 1734 i soldati francesi alloggiati in città
erano 12.000 ed in provincia, nei quartieri d'inverno, vi erano 31
battaglioni. Un memoriale dei deputati inviato alla Giunta di Governo
ai primi di ottobre del 1735 bene descrive la situazione drammatica
del cremonese, dove molti contribuenti che non erano riusciti a
versare la loro quota di diaria, avevano ricevuto reiterate minacce
di esecuzione, in quanto dopo essere stati spogliati di tutti quei
generi da cui si poteva derivare denaro, non erano stati in grado di
pagare la loro quota di tributi. Erano stati ridotti in miseria dai
continui ordini di carri, buoi, alloggi per le truppe, spoglio di
fieni, stoppie e dall'obbligo di acquistare fuori dal paese il fieno
per l'esercito. La vendemmia, inoltre, era stata effettuata in buona
parte dalle truppe prima del tempo, quando le uve non erano ancora
mature. Mentre, non potendoli mantenere, gli animali erano stati
spediti fuori Paese. A complicare ulteriormente le cose era
sopravvenuta un'epidemia del bestiame, proveniente dal Veneto.
Per
questo il 13 dicembre si era celebrato un triduo nella chiesa di S.
Abbondio, con suppliche alla Vergine di Loreto e l'esposizione della
santa Tavola nella chiesa di Sant'Agata, a cui si doveva offrire un
peso di cera bianca. Da un bilancio consuntivo del 15 giugno 1736 in
meno di tre anni, a partire dal novembre 1733, Cremona aveva fornito
fieno, avena, legna, paglia, alloggiamenti ,stoppie, lettiere per
cavalli, e subito danni per mobili, spese di spurgo agli ospedali,
letti forniti agli ufficiali per 4.788,231 lire, e per la diaria lire
433.985 moneta di Milano. Nonostante tutto a luglio vennero
richiesti nuovamente foraggi e legna, e ad agosto si ordinò di
pagare lire 12.2.5 di Milano per ogni lira d'estimo, ed a settembre,
appena entrate a Cremona le truppe imperiali, nuovamente di pagare la
doppia diaria di 40.000 fiorini. I padroni erano cambiati, ma le
tasse restavano le stesse.
L’opera
forse più nota di Hume è il Trattato
sulla natura umana (Londra
1739), ma che inizialmente non ebbe alcun successo. Esso rappresenta
in filosofia una vera e propria svolta: Kant dirà che è stato Hume
a risvegliarlo dal suo “sonno dogmatico”. Il sottotitolo
del Trattato illustra
bene le intenzioni di Hume: è “un tentativo di introdurre il
metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali”. In
altri termini, Hume vuole fondare una scienza dell’uomo su basi
sperimentali.
Tutti i contenuti della mente umana non sono altro se non percezioni e si dividono in due classi, che Hume chiama impressioni ed idee. Le impressioni sono tutte le sensazioni, passioni, emozioni nell’atto in cui vediamo, sentiamo, amiamo, desideriamo ecc. Le immagini illanguidite e sbiadite di quelle impressioni sono invece le idee o pensieri. Ogni idea deriva per Hume dalle precedenti impressioni e non vi possono essere idee di cui non si sia avuta in precedenza l’impressione. Hume risolve così totalmente la realtà nel molteplice delle idee attuali e non ammette nulla al di là di esse. Egli tronca quindi di colpo il problema delle idee astratte e delle idee innate: noi non abbiamo idee se non dopo aver avuto delle impressioni; sono solo queste ultime ad essere originarie. Lo scetticismo sarà inevitabile, viste le premesse.
Tutti i contenuti della mente umana non sono altro se non percezioni e si dividono in due classi, che Hume chiama impressioni ed idee. Le impressioni sono tutte le sensazioni, passioni, emozioni nell’atto in cui vediamo, sentiamo, amiamo, desideriamo ecc. Le immagini illanguidite e sbiadite di quelle impressioni sono invece le idee o pensieri. Ogni idea deriva per Hume dalle precedenti impressioni e non vi possono essere idee di cui non si sia avuta in precedenza l’impressione. Hume risolve così totalmente la realtà nel molteplice delle idee attuali e non ammette nulla al di là di esse. Egli tronca quindi di colpo il problema delle idee astratte e delle idee innate: noi non abbiamo idee se non dopo aver avuto delle impressioni; sono solo queste ultime ad essere originarie. Lo scetticismo sarà inevitabile, viste le premesse.