La motonave Cisterna 1 alla banchina della raffineria Italia |
Il fischio prolungato della sirena
ruppe quella mattina invernale il silenzio ovattato del fiume. Erano
da poco passate le 11 di quel 25 febbraio di 60 anni fa e quell'urlo
liberatorio lungo tre minuti faceva piazza pulita del silenzio durato
per interminabili quarant'anni. Otto lustri in cui l'ingegnere Pietro
Bortini aveva cullato il sogno di vedere solcare le placide acque del
Po finalmente da una nave, una nave vera che frangesse i flutti con
la forza della sua prua. Quarant'anni di sogni e di battaglie, di
discussioni contro tutto e contro tutti fedele alla sua idea che la
navigazione interna avrebbe rappresentato il futuro dei trasporti e
non solo la generosa utopia di un inguaribile sognatore. Quella
petroliera che trasportava, pigra e maestosa, 720 tonnellate di
greggio, lunga 62 metri e larga 8, e che ora attraccava alla sponda
quella mattina invernale del 1957, lo ripagava di tanti anni di
amarezza e delusioni spesi nel progettare, nel pubblicare su riviste
specializzate la sua ferma convinzione nella navigabilità del grande
fiume. Nel silenzio dello Stato, solo l'ingegnere Armando Moschetti,
realizzatore del più grande complesso industriale cremonese di
allora, la “raffineria Italia” dei fratelli Alberto e Mario
Camangi, lo aveva sostenuto nell'idea. D'altronde, quelle di Bortini
erano le stesse premesse a cui aveva attinto Moschetti qualche anno
prima nel porre la prima pietra della raffineria in riva al fiume,
dove avrebbe dovuto nascere il canale navigabile che avrebbe unito
Locarno a Venezia attraverso Milano e Cremona e nei pressi del porto
fluviale, che avrebbe dovuto dare nuovo impulso allo sviluppo della
città. Ma le parole non bastavano, bisognava convincere anche i più
scettici con un esperimento che avrebbe troncato qualsiasi altra
discussione. Ed ecco allora Armando Moschetti gettare in guanto della
sfida: far partire da Marghera una petroliera non da seicento, ma
addirittura da oltre settecento tonnellate, capace di trasportare
tanto greggio quanto quello di quaranta autocisterne con rimorchio,
per poi trarre da questo viaggio le conseguenze. Tre giorni prima di
quella fatidica mattina la “Cisterna 1” era partita da Marghera
risalendo il tratto più conosciuto del fiume fino a Mantova, già
percorso allora da natanti di ogni stazza, per imboccare poi il
braccio più inesplorato del fiume a monte della città virgiliana.
Tutto era filato liscio e qualche minuto prima delle 11 la bettolina
poteva passare prima sotto il ponte in ferro e poi sotto il
metanodotto, iniziando le complesse operazioni per l'attracco,
preceduti dai rituali tre fischi di sirena. A riva attendevano il
Prefetto, le autorità e una gran folla di curiosi. A far gli onori
di casa l'ingegnere Moschetti che forniva spiegazioni sul
funzionamento delle lunghe condutture, del radar, e dei svari
servizi. Poi i tubi dell'oleodotto di terra vennero agganciati a
quelli della nave e dalla pancia della “Cisterna1” iniziò a
sgorgare, diretto alla raffineria, il primo petrolio trasportato
lungo il fiume.
A bordo di quella prima nave vi era un
passeggero d'eccezione, il futuro direttore del quotidiano “La
Provincia” Fiorino Soldi, allora ancora solo un giornalista,
fervente sostenitore della validità della navigazione interna, che
volle raccontare l'emozione di quel primo, e per molti sapetti
pionieristico, viaggio sul Po, con toni appassionati.
Bortini e Moschetti |
Ecco il reportage di Fiorino Soldi.
“A Polesine il Po forma una grande
ansa: pare quasi un braccio di mare, rinserrato a malapena tra le
rive che quasi scompaiono all'orizzonte, tutto frastagliato di boschi
di pioppi turriti. Al pontile del traghetto stamattina alle 8, c'era
un po' di gente gesticolante, scesa di corsa dall'argine verso
l'ampio corso del fiume. Più in disparte, isolati ed in silenzio,
alcuni pescatori, i rudi e tipici pescatori padani, fissi sulle acque
lontane come se vedessero per la prima volta un miraggio; il miraggio
era laggiù, in mezzo al Po: un gran pennacchio di fumo, come una
enorme bandiera nera spiegata nel cielo, attaccata ad una colossale
asta d'acciaio, la nave, la poderosa navecisterna, primo grosso
natante in navigazione diretta da Venezia a Cremona.
Issato a bordo di un motoscafo da
trasporto, un uomo guardava quello spettacolo con due occhi lucidi di
commozione: era l'industriale Armando Moschetti, colui che la storia
indicherà come l'audace realizzatore di un sogno da tanti decenni
vagheggiato: la ripresa della regolare navigazione sul Po. Era un'ora
storica dunque questa, contrassegnata col nome di 'Cisterna 1': una
nave di piccolo tonnellaggio, simile ad una portaerei in
miniatura,rosso il ponte e bianco lo scafo, comandata da una valoroso
capitano di mare che dopo tante traversate oceaniche era stato
improvvisamente chiamato a dirigere il natante da Venezia a Cremona.
Eccolo qui nella saletta da pranzo sottocoperta, il comandante
Giovanni Massarin. Alto, tarchiato, la faccia rubiconda ed i gesti
scattanti che sembrano dare un tono ancor più deciso allo scarno
linguaggio. «Cosa ho detto quando mi hanno ordinato di iniziare il
primo viaggio con una motocisterna sino a Cremona? Niente. E che si
deve dire? Forse che il Po non è una gran via d'acqua? Certo che il
problema si è presentato difficile per il semplice fatto che mai
nessuno prima d'ora, con un simile mezzo, ha tentato la avventura. E
proprio di avventura si tratta». E seguendo, oltre il vetro
dell'oblò il corso del fiume: «Ecco, mi dice, vede? Andiamo da una
curva all'altra e ci sono ben 45 curve dalla foce del Mincio, a
Mantova, sino a Cremona. E' l'unico dato segnaletico della nostra
'carta nautica'. Di altro non c'è segnato nulla, se non quei
cartelli indicatori che, tra una curva e l'altra, avvertono del
mutamento del corso della corrente. Un fiume che serpeggia è il Po,
selvaggio ed ancora allo stato primitivo, o meglio nello stato in cui
è stato abbandonato da secoli perchè un tempo il Po era
navigabile».
La motocisterna "numero 1" |
La grande avventura era cominciata alle
22 di venerdì scorso. La 'Società Navicisterne' di La Spezia, con
l'ardimentoso fervore che la contraddistingue, aveva accettato la
proposta della società 'Camangi' di trasportare il petrolio grezzo
dal suo deposito costiero Ligabue di Venezia-Marghera, sino alla
grande centrale della 'Raffineria Italia' di Cremona. Il progetto,
dovuto allo spirito d'iniziativa di Armando Moschetti, doveva essere
realizzato quasi nel segreto, come la pratica dimostrazione che le
teorie di tanti tecnici trovavano un fondamento nella realtà e che
era ormai tempo di passare dalle parole ai fatti. A tale scopo tre
motocisterne sono state caricate a Venezia per giungere a Cremona.
La 'numero uno' (che precede di un
giorno il rimanente convoglio) è lunga 62 metri, larga 8, alta 2,30:
ha una portata di 720 tonnellate e dieci cisterne, sistemate da una
parte e dall'altra dello scafo. L'unica sovrastruttura, che emerge
oltre ai boccaporti ed agli impianti di pompaggio, è la cabina di
comando davanti alla quale è sistemato un radar. Tre grandi
proiettori girevoli servono per l'orientamento durante l'oscurità.
La velocità della nave è di circa otto chilometri orari; la potenza
dei due motori di 168 hp effettivi. Questa nave ha già coperto in
viaggi del genere circa 150 mila chilometri, pari ad ottantamila
miglia marine; mai però prima d'ora un natante di simili dimensioni
aveva superato le foci del Mincio.
Il percorso fluviale Venezia-Cremona è
di 298 km. (quello stradale di via Mantova-Legnago-Padova è di 215
km. E quello ferroviario di via Mantoa di 208 km.). Agli effetti
della navigazione, gli ultimi 50 chilometri erano considerati i più
difficili in quanto non si conoscevano esattamente le uniformità
degli alvei di corrente e le possibilità di manovra dei grossi
natanti. In ciò stava l'avventura odierna; ma tutto l'equipaggio
della 'Cisterna 1' sentiva di vivere un'ora storica e l'ha vissuta
così, semplicemente, come fosse una cosa normale. Nessun stato
d'allarme a bordo e nessuna agitazione: gli uomini erano vigilanti,
ma calmi come se navigassero sul mare.
Tutto l'equipaggio si sente così, dal
motorista Sante Mantovani al primo pilota Fulvio Negrini, al secondo
pilota Enrico Cavicchi, ai marinai Gennaro Turati, Anselmo Vicentini,
Luciano Cavallari; ed anche il cuoco Ernesto Moretti la pensa così.
Stamattina questi uomini si sentono affratellati come non mai,
sereni, calmi, lieti di vedere, nelle ore più impensate della
navigazione, il direttore della loro Società che balza da un argine
all'altro per dare un segno di incoraggiamento. Nè vanno dimenticati
i due uomini che, a bordo di un motoscafo-rimorchiatore precedono la
nave con gli scandagliatori a mano, controllo effettuato dal Genio
Civile per collaborare alla riuscita dell'impresa.
Dalla tolda della nave il paesaggio è
incantevole, così evanescente che pare dipinto su un vetro. Gli
isolotti sono disseminati alla deriva e sono grandi banchi di sabbia
adatti alla sosta delle anitre selvatiche. Le boscaglie si allineano
per chilometri e chilometri lungo le rive e troneggiano imponenti su
ampi squarci di campagna grigia. Qualche gruppo di uccelli neri
trasvola attorno alla nave: sono i 'gabbiani' del Po, gli abitatori
di questa selvaggia zona dove non sembra che la gente possa vivere.
Squallida e spettrale desolazione padana, lungo un fiume che un tempo
fu pur sonante di cimenti armati e gloriosa strada di progresso
commerciale!
Questa nave, col suo ritmico e sordo
rumore, spacca un silenzio secolare; avanza come una prora che taglia
i misteri dei secoli, trascinandosi dietro ricordi di storia. Dal
tempo dei romani quando Cremona fu il centro del più fortificato
municipio antigallico, all'epoca bizantina quando a Cremona iniziato
il grande commercio del sale con Comacchio e Ravenna; dal tempo dei
Comuni quando Cremona fu il maggior porto fluviale per gli scambi
dalla Francia al Medio Oriente, sino all'epoca viscontea e sforzesca
quando sul fiume s combatterono accanite battaglie navali con le
galee della Serenissima. Imperatori e papi, re e diplomatici, santi e
poeti, quante figure leggendarie passarono da queste rive oggi ancora
uguali, tar questo silenzioso mondo che pare sia rimasto fermo alle
antichissime epoche delle palafitte.
L'accoglienza dei cremonesi sull'argine |
Tutto questo simboleggia stamattina la
'Cisterna 1', la prima nave a motore che solca il Po dal mare a
Cremona, portando il frutto ultimo della civiltà, il petrolio, così
come un tempo i mercanti cremonesi importavano dal Levante spezie e
drappi di damasco. Sventola da prua a poppa il gran pavese: tutti i
membri per formare come un grande arcobaleno, una simbolica bandiera
del progresso che varca i confini creati dagli uomini per abbracciare
tutta l'umanità come fosse uan sola famiglia.
Ecco, laggiù, il Torrazzo, la grande
mole che emerge dal fondo nebbioso dell'orizzonte. Gli uomini della
'Cisterma 1', escono in coperta e segnano col dito la grande torre
come fosse l'enorme faro di un porto sconosciuto. Fischia la sirena
ed il suono poderoso frantuma il silenzio e con esso i ricordi e le
nostalgie. Laggiù sventola una grande bandiera tricolore: oltre il
ponte di Cremona, al primo porticciolo della nuova storia della
navigazione fluviale padana. Gente accorre sugli argini, dalla via
del Sale alla banchina della gru dei ghiaiaioli; alcune macchine
scendono a precipizio verso gli spiazzi delle rive. Gente si muove
dappertutto, arrivando; poi tutti stanno immobili, fissi su questo
grande scafo che per la prima volta si accinge a passare sotto il
grande ponte in ferro.
Anche lassù il traffico è sospeso; si
vedono le automobili fermarsi e parecchia gente corre alle ringhiere
del viadotto pedonale. Il comandante Giovanni Massarin dirige
l'ultima fatica: i piloni del ponte troncano la corrente ed il
fondale maggiore è quasi introvabile. Si procede lentissimamente,
facendo girare la nave secondo le segnalazioni ritmiche degli
scandagliatori. Si procede, adagio, ma si procede. La gente che ormai
nereggia sulla riva guarda attonita come vedesse qualcosa giunto da
un altro mondo, chissà, una specie di strano 'disco volante'
acquatico.
Quando la nave, finalmente, esce
dall'intricato labirinto dei fondali di corrente e passa il ponte,
tutti i marinai corrono verso l'ancora ed i cavi di attracco. Laggiù
c'è una grande bandiera che aspetta; e là termina il gran viaggio:
un porticciolo modesto, costruzione da pionieri della civiltà. Ma
l'opera è compiuta. Sono le ore 11,30 del 25 febbraio 1957; sotto il
gran tricolore, le autorità applaudono alla nave che giunge. Nessuno
è sfinito sulla tolda; tutti i marinai, comandante in testa,
completano le operazioni di sbarco. Così, come se avessero compiuto
un'impresa normale e semplice; serenamente, proprio come si compete
ai discendenti di quella stirpe di navigatori che han portato la
civiltà lungo tutti i mari, in tutte le terre e lungo tutti i
secoli”.
Ad accogliere l'arrivo della prima
bettolina il prefetto Dal Cortivo, il commissario straordinario
Salazar, l'ingegnere capo del Genio Civile Giunta, l'Intendente di
Finanza Acacia, i dirigenti della Camera di Commercio e delle
associazioni, ma sopratutto, vicino all'assessore provinciale ai
lavori pubblici Scaglia, l'ingegnere Pietro Bortini, che per tanti
anni aveva diretto l'Ufficio tecnico provinciale, il più fervido
sostenitore della navigabilità del Po, che vedeva il suo sogno
coronato dal successo.
Il giorno successivo giunsero a Cremona
anche le altre due navi cisterna, accompagnate ancora da una folla di
persone assiepate sugli argini per assistere all'arrivo. Tuttavia non
mancarono i problemi perchè le due cisterne furono costrette ad
arrestarsi a pochi metri dal ponte a causa di fondali troppo bassi.
In particolare dal secondo battello, che aveva corso il rischio di
insabbiarsi, fu travasato parte del greggio, con un 'operazione che
richiese alcune ore, che consentì all'imbarcazione di attraccare al
bacino della raffineria Italia solo verso il tardo pomeriggio.